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IL RUOLO DELLA GIURISPRUDENZA NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLA CAMPAIGN

4. Evoluzione del concetto di corruzione

Tra i vari contenuti di Buckley v. Valeo, gioca un ruolo fondamentale la decisione relativa agli interessi governativi capaci di giustificare una restrizione delle libertà fissate dal Primo Emendamento. Come si è appena constatato, la Corte è giunta alla conclusione secondo cui l’unico compelling

interest, in grado di legittimare disposizioni limitative della capacità

comunicativa in ambito elettorale, sia quello relativo alla prevenzione della corruzione e dell’apparenza di corruzione. Si è inoltre evidenziato come l’assetto stabilito dalla Corte abbia destato perplessità, soprattutto tra coloro che auspicavano l’attribuzione di un ruolo più importante alle esigenze egualitarie e alla prevenzione degli effetti distorsivi delle grandi donazioni. A partire da questa sentenza, le future decisioni della Corte in merito alla legittimità delle riforme in materia campaign finance si fonderanno sull’assetto delineato da Buckley; la costituzionalità delle disposizioni sarà infatti valutata in base alla loro rispondenza all’interesse anti-corruttivo.59

L’affermazione della Corte non è tuttavia esente da problematiche interpretative; in particolar modo, occorre delineare con precisione il significato da attribuire all’espressione “corruzione e apparenza di corruzione”. Le molteplici soluzioni possibili sono uno dei motivi che stanno alla base della varietà di orientamenti giurisprudenziali che si sono succeduti negli anni: optare per un concetto di corruzione piuttosto che per

58

Id.; in particolare, Moramarco ritiene che un adeguato compromesso possa essere fornito da regole finalizzate a mettere in luce i finanziatori delle comunicazioni elettorali indirizzate ad influenzare le elezioni, siano esse issue advocacy o express advocacy.

59 Per un approfondimento sulle tematiche giurisprudenziali relative al rapporto tra

corruzione e campagne elettorali, si veda T. Burke, “Corruption Concepts and Federal

Campaign Finance Law”, in “Political Corruption: Concepts and Context”, a cura di

un altro può comportare conseguenze significative circa le restrizioni ammesse nei confronti del Primo Emendamento.

In Buckley v. Valeo, la Corte appare incerta circa il significato da attribuire al concetto di corruzione; in un primo momento sembra orientata ad accoglierne una nozione ristretta, corrispondente al semplice scambio tra favori politici e denaro riassumibile nella formula del quid pro quo

arrangement,60 salvo poi precisare come il fenomeno corruttivo non debba esaurirsi nella fattispecie della tangente:

Le leggi penali circa lo scambio di tangenti affrontano solamente i tentativi più eclatanti e specifici di influenzare l’azione governativa da parte di coloro che dispongono di grandi somme di denaro.61

La Corte sembra essere consapevole del rischio insito nel ridurre il concetto di corruzione al mero scambio di donazioni e voti; una visione così semplicistica renderebbe illegittime pressochè tutte le misure restrittive, essendo necessaria una dimostrazione, basata su prove inconfutabili, della presenza di scambi concreti di favori.

Alcuni studiosi hanno manifestato le proprie perplessità, ritenendo che la Corte abbia affrontato l’argomento con eccessiva superficialità, senza tenere conto dell’importanza rivestita dal concetto di corruzione nel processo di creazione della Costituzione: si sarebbe invece reso necessario un atteggiamento più lungimirante, che mirasse a delineare un’interpretazione adattabile anche a casi futuri.

L’argomento, soprattutto nelle fasi di preparazione del testo costituzionale, era ben presente nei pensieri dei costituenti: la continua ricorrenza del tema della corruzione, nei lavori preparatori e nei testi del Federalist, fa pensare che il valore da attribuire all’interesse anti-corruttivo non sia poi così inferiore a quello del Primo Emendamento; a questo proposito, non manca chi sostiene che esso debba essere elevato a principio di rango

60 Buckley v. Valeo, 424 U.S. 1, 26-27 (1976). 61 Id., 28.

costituzionale. Il bilanciamento effettuato in Buckley assumerebbe così un peso totalmente diverso: elevando la protezione dell’interesse anti-corruttivo al livello costituzionale, se ne potrebbe dare un’interpretazione più ampia e conforme alla storia costituente statunitense. Di conseguenza, il rapporto tra tale interesse e il Primo Emendamento assumerebbe una configurazione del tutto nuova.

In particolare, i rischi connessi alla corruzione sarebbero stati una delle maggiori preoccupazioni dei costituenti, ben consapevoli dei pericoli derivanti dal rapporto tra denaro e politica. Sarebbe perciò stato opportuno che la Corte dedicasse un’analisi più attenta alle problematiche, teoriche e pratiche, concernenti l’argomento; si sarebbe quindi potuto costruire una interpretazione basata sulle solide fondamenta rappresentate dal pensiero dei costituenti.62

Una nuova evoluzione interpretativa, tesa ad ampliare il concetto di corruzione, può essere rintracciata in una successiva decisione della Corte Suprema. Nel 1978, in First National Bank of Boston v. Bellotti63, la discussione verte sulla legittimità di alcuni limiti di spesa imposti alle

corporations in ambito referendario.64

Trattando l’argomento, la Corte si trova incidentalmente a ribadire l’importanza dell’interesse governativo verso la prevenzione della corruzione politica; così facendo, fornisce un’interpretazione del rationale anti-corruttivo significativamente più ampia rispetto a quella contenuta in

Buckley:

La preoccupazione principale che sta alla base dell’emanazione di leggi come il Federal Corrupt Practices Act è costituita dal

62

Sono le tesi espresse da Z. R. Teachout, “The Anti-Corruption Principle”, cit, pp. 341 e ss. (2009). Oltre a criticare la superficialità di Buckley, l’autrice sottolinea la vaghezza e la mancanza di stabilità nei casi successivi, che pur rispettando Buckley hanno interpretato la

corruption nei modi più creativi.

63 First National Bank of Boston v. Bellotti, 435 U.S. 765 (1978). 64 Sul punto si veda infra, § 6.4.

problema della corruzione delle cariche elettive, ottenuta attraverso la creazione di debiti politici.65

Si può facilmente notare come in soli due anni la Corte oscilli tra due concezioni differenti di corruzione; mentre in Buckley si era dimostrata maggiormente ancorata alla nozione di quid pro quo, lasciando comunque aperta la porta ad interpretazioni meno restrittive, in questa nuova pronuncia appare decisamente più incline ad accogliere l’idea secondo cui la corruzione politica possa concretizzarsi in una sorta di influenza economica. La creazione di political debts, infatti, esula dal semplice scambio materiale di favori: si tratterebbe dell’instaurarsi di un rapporto di riconoscenza nei confronti del finanziatore, che porterebbe l’eletto ad avere un debito da saldare attraverso attività politiche di favore; si tratta di un punto di vista che riscuoterà ampio successo, ricorrendo spesso tra le argomentazioni dei successivi casi giurisprudenziali.

Nel periodo successivo alle due sentenze citate, la Corte affronta l’argomento della nozione di corruzione solamente in modo secondario, costringendo studiosi ed interpreti a leggere tra le righe per comprendere meglio quale sia l’orientamento predominante; è quanto accade in FEC v.

National Right to Work Committee,66 un caso del 1982 incentrato sui limiti posti a carico delle corporations e delle labor unions. Nel confermare la legittimità delle disposizioni contestate, la Corte richiama esplicitamente quanto affermato in Bellotti, ribadendo la necessità di impedire che la capacità economica dei grandi gruppi venga utilizzata per dare vita a “debiti politici” a carico degli eletti.67

Nello stesso periodo, la Corte Suprema in California Medical Association v.

FEC68 cita apertamente i contenuti di Buckley, limitandosi a riaffermare

l’importanza centrale dell’interesse anti-corruttivo senza tuttavia affrontare

65 First National Bank v. Bellotti, 435 U.S. 765, Nota n. 26.

66 Federal Election Commission v. National Right to Work Committee, 459 U.S. 197

(1982).

67 Id., 208-209.

esplicitamente l’interpretazione del concetto di corruzione. Risulta di maggior interesse un inciso contenuto in una opinion di minoranza in Brown

v. Socialist Workers ’74 Campaign Committee69

, che occupandosi del delicato tema della disclosure arriva a toccare l’interesse governativo della prevenzione dei fenomeni corruttivi:

Lo scopo dell’obbligo di trasparenza relativo alle spese dei partiti è evitare un’impropria influenza sugli elettori. La corruzione nel processo elettorale può assumere numerose forme: la concreta compravendita di voti; il ricorso a fondi segreti; trucchi sleali; il pagamento di tangenti agli addetti ai sondaggi e ad altri ufficiali legati alle elezioni.70

È evidente come la Corte, pur non formulando una definizione concreta e stabile del concetto di corruzione, sia ben consapevole del fatto che esso non possa ridursi ad un mero aspetto degli accordi quid pro quo di matrice penale. Sembra piuttosto che, in ambito politico ed elettorale, si debba far riferimento ad una nozione più flessibile, adattabile ai numerosi aspetti pratici del meccanismo elettorale. Questa convinzione è abbracciata da parte della dottrina, secondo cui il concetto di corruzione, invece di essere fissato in modo immutabile, dovrebbe avere la libertà di assumere varie sembianze, non riconducibili ad una formula statica.

Portando le conseguenze dell’impossibilità di fornire una definizione univoca all’estremo, alcuni hanno concluso che in realtà il concetto di corruzione debba trovare le proprie radici nel terreno – assai instabile, bisogna ammetterlo – della morale. Questa prospettiva, dai contorni quasi giusnaturalistici, chiaramente metterebbe seriamente a rischio l’integrità ed il funzionamento della rule of law: il potenziale espansivo di una definizione dai caratteri etici costituirebbe infatti una serio problema. Tuttavia, si

69 Brown v. Socialist Workers ’74 Campaign Committee, 459 U.S. 87 (1982).

70 Id., 109-110, O’Connor, concurring in part and dissenting in part; Rehnquist e Stevens si

afferma, altrettanto pericoloso per la rule of law è un approccio minimalistico alla questione della corruzione politica.71

Una definizione esplicita non tarderà tuttavia a comparire, emergendo dall’opinione di maggioranza stilata dal giudice Rehnquist nel caso FEC v.

NCPAC72 del 1985:

La corruzione è una sovversione del processo politico. Gli ufficiali eletti sono influenzati ad agire contrariamente ai loro doveri d’ufficio a causa delle prospettive di guadagni economici personali o di larghe infusioni di denaro nelle loro campagne elettorali. Il simbolo della corruzione è il quid pro quo finanziario: dollari in cambio di favori politici.73

Nonostante il tentativo di fissare una volta per tutte il significato di “corruzione”, la Corte appare ancora incerta sui parametri da adottare: se in un primo momento sembrerebbe aprire ad un orientamento meno restrittivo, parlando di “influenza” e di “infusioni di denaro”, il richiamo alla terminologia penale effettuato con l’utilizzo dell’espressione “quid pro quo” lascia presagire una possibile svolta in senso opposto.

L’inciso finale, affermando che il quid pro quo è il segno caratteristico del fenomeno corruttivo, non fa che aumentare i dubbi relativi all’intera definizione: viene naturale chiedersi se ciò implichi la riduzione della corruzione a scambio materiale di favori o se, al contrario, il ricorso alla parola “simbolo”, “hallmark”, voglia solamente indicare l’aspetto più eclatante di una fenomenologia assai più complessa. Essenzialmente, la questione apre diverse vie interpretative: da un lato, si può ritenere che il

quid pro quo rappresenti il nucleo della corruzione, ammettendo tuttavia che

intorno a tale nucleo possano esistere altre fattispecie, di minore intensità ma ugualmente riconducibili alla nozione di corruzione. Dall’altro lato, è

71 Cfr. L. Underkuffer, “Captured by Evil: the Idea of Corruption in Law”, Duke Law School Legal Studies Research Series, Research Paper No. 83, (2005).

72 Federal Election Commission v. National Conservative Political Action Committee, 470

U.S. 480 (1985).

possibile affermare che questo nucleo, rappresentato dal quid pro quo, sia il solo ed unico tipo di corruzione rilevante ai fini dell’esame di legittimità costituzionale. Infine, una minoranza degli interpreti considera il quid pro

quo non tanto come nucleo centrale, quanto come una delle possibili

irradiazioni del fenomeno della corruzione.74

La tappa successiva è costituita dalla presa di posizione della Corte nel caso

FEC v. Massachusetts Citizens for Life, Inc.;75 approfondendo la tematica dell’interesse anti-corruttivo allo scopo di valutare la legittimità di alcune parti della legge federale, l’opinion di maggioranza giunge a distinguere il pericolo di corruzione proveniente da soggetti diversi. Mentre i gruppi e le associazioni no-profit comporterebbero un rischio ridotto, le corporations dedite ad attività lucrative darebbero luogo a minacce ben più intense:

La preoccupazione per l’influenza corrosiva delle concentrazioni di ricchezza societarie riflette la convinzione secondo cui è essenziale proteggere l’integrità del libero mercato delle idee. […] La spendita diretta di risorse societarie in attività politiche pone il rischio che le ricchezze ammassate sul mercato economico vengano usate per ottenere un ingiusto vantaggio sulla scena politica.76

Pur non citando direttamente il concetto di corruzione, l’opinion legittima l’interesse governativo a prevenire l’indebita influenza delle grandi ricchezze sulla scena elettorale; dal momento che, in base a Buckley, l’unico interesse governativo accettabile è quello della prevenzione della corruzione, gli interpreti non tardano a ricondurre l’analisi della Corte a tale

compelling interest. L’orientamento del giudice supremo si fa così più

aperto, contemplando una declinazione del fenomeno corruttivo fortemente

74

Cfr. D. H. Lowenstein, “Political Bribery and the Intermediate Theory of Politics”, 32

UCLA Law Review 784 (1985); esaminando la corruzione in ambito penale, elabora l’idea

per cui essa abbia al centro il quid pro quo, con dei cerchi concentrici che si irradiano all’esterno.

75 Federal Election Commission v. Massachusetts Citizens for Life, Inc., 479 U.S. 238

(1986).

indirizzata verso i potenziali effetti distorsivi, derivanti dalla presenza di grandi ricchezze economiche in campo elettorale.

Il punto di vista appena esposto verrà ulteriormente approfondito nel 1990, con Austin v. Michigan Chamber of Commerce;77 dovendo valutare la legittimità costituzionale di una legge statale che proibiva il finanziamento di spese indipendenti da parte delle corporations, la Corte riprende quanto affermato dall’opinion di Brennan in FEC v. Massachusetts, sviluppando la connessione tra corruzione ed effetti distorsivi.

La scelta intrapresa dal collegio è senza dubbio significativa: infatti, sarebbe stato ben possibile limitarsi ad affermare la legittimità dello statute sulla base della sussistenza dell’interesse anti-corruttivo; la Corte invece, respingendo la soluzione più semplice, decide di arricchire il quadro interpretativo relativo al concetto di corruzione., prendendo le mosse dalla situazione relativa alle attività politiche delle corporations:

La normativa del Michigan prende in considerazione un diverso genere di corruzione all’interno dell’arena politica: gli effetti corrosivi e distorsivi delle immense aggregazioni di ricchezza accumulate con l’aiuto della forma corporativa, che hanno poca o nessuna correlazione con il supporto del pubblico nei confronti delle idee politiche della corporation.78

Prende così corpo un orientamento nuovo, che considera possibili numerose declinazioni del concetto di corruzione, non più riducibile al solo quid pro

quo affermato in passato: ad esso si affiancano altre manifestazioni dello

stesso fenomeno, che assume una rinnovata ampiezza. Agli aspetti più eclatanti, corrispondenti allo scambio materiale di favori, si devono aggiungere tipologie meno evidenti di corruzione, identificabili con l’indebita influenza esercitata dai grandi poteri economici; il risultato di tali influenze si concretizzerebbe nei menzionati effetti distorsivi e corrosivi. L’interpretazione del concetto di corruzione offerta da Austin v. Michigan è da più parti considerata la più ampia mai registrata nella storia

77 Austin v. Michigan Chamber of Commerce, 494 U.S. 652 (1990). 78 Id., 659-660.

giurisprudenziale della campaign finance; non sono mancate le numerose osservazioni di chi vi ha rintracciato un recupero del principio di equality, che sarebbe stato mascherato sotto forma di “distorsione” allo scopo di rientrare all’interno dello schema della corruzione. 79

Secondo certi interpreti, non sarebbe stato necessario “nascondere” l’equality in questo modo: infatti, la corruzione sarebbe in realtà un derivato di tale principio, piuttosto che un valore distaccato ed esterno. La scelta di

Buckley, di respingere l’interesse egualitario, si macchia di un errore

interpretativo che si ripercuote sul significato attribuito alla corruption; invece di essere uno sterile concetto, identificato con gli accordi quid pro

quo, essa sarebbe una declinazione del più ampio principio di equality,

finalizzata ad impedire la creazione di diseguaglianze attraverso l’elargizione di denaro. 80

In aperta critica con la posizione della Corte nel caso Austin si pone il giudice Scalia, che nella sua opinion81 ritiene eccessivamente ampio il

significato attribuito al concetto di corruzione, che a suo parere risulterebbe riconducibile all’interesse, respinto in Buckley, dell’uguaglianza nel finanziamento elettorale.

Da questo punto di vista, virtualmente tutto ciò che la Corte dovesse ritenere politicamente indesiderabile potrebbe essere incluso nel concetto di corruzione politica, semplicemente descrivendone gli effetti come politicamente “corrosivi”, una definizione sufficientemente vicina a “corruzione”. […] Il principio illiberale di “una persona, un minuto” è stato proposto e rigettato con forza in Buckley: «…il concetto secondo cui il governo potrebbe restringere l’espressione di alcuni elementi

79

Cfr. Z. R. Teachout, “The Anti-Corruption Principle”, cit., p. 393.

80

È la posizione di Strauss, secondo cui la prevenzione della corruzione sarebbe in realtà un derivato del principio di uguaglianza; l’autore si mostra critico nei confronti della scelta di Buckley di escludere l’equality dal novero degli interessi meritevoli di tutela in ambito elettorale. Cfr. D. A. Strauss, “Corruption, Equality and Campaign Finance Reform”, 94

Columbia Law Review, pp.1369 ss. (1994).

della nostra società al fine di amplificare la voce di altri è completamente estraneo al Primo Emendamento…».82

Un orientamento assai simile è difeso dalla dissenting opinion di Kennedy;83 al pari di Scalia, critica duramente la decisione della Corte, che avrebbe accolto un’interpretazione di corruzione troppo ampia: non riuscendo a far rientrare la legge contestata nell’ambito dell’interesse anti-corruttivo, essa avrebbe coniato una definizione del tutto nuova, lesiva delle libertà stabilite dal Primo Emendamento.

La maggioranza crea questo nuovo interesse definendolo semplicemente come un nuovo tipo di corruzione, ma non offre alcun fondamento per tale affermazione. […] Per contro, l’interesse addotto dalla maggioranza è quello, impermissibile, di alterare il dibattito pubblico silenziando la voce di determinati oratori. […] Inoltre, l’idea secondo cui il governo avrebbe un legittimo interesse per restringere la capacità comunicativa, allo scopo di equalizzare la relativa influenza degli oratori nelle elezioni, è antitetica rispetto al Primo Emendamento.84

Con Austin v. Michigan vengono allo scoperto le problematiche che fino ad allora avevano trovato spazio solamente in modo incidentale: si contrappongono infatti due modi radicalmente opposti di concepire il concetto di corruzione. Da una parte troviamo le posizioni più intransigenti, difese dai giudici che adottano una lettura più garantista e conservativa del Primo Emendamento, di cui Scalia e Kennedy sono un chiaro esempio: dal loro punto di vista, l’unico interesse governativo, che possa legittimamente giustificare misure restrittive della libertà espressiva, è rappresentato dalla necessità di prevenire la corruzione e la sua apparenza, accogliendo la nozione penalistica del quid pro quo arrangement. Questa corrente di pensiero trova dei sostenitori anche in dottrina; riprendendo le perplessità dei giudici dissenzienti, non mancano gli studiosi che ritengono il ragionamento della Corte infondato ed illogico: la “potenziale distorsione”

82 Id., 684-685.

83 Id., 695-713, A. Kennedy, dissenting; O’Connor e Scalia si uniscono a questa opinion. 84 Id., 703-705.

non è corruzione, è solo un espediente per limitare ingiustamente lo speech di alcuni soggetti, come le corporations,85 creando dal nulla un’interpretazione ad hoc dell’interesse anti-corruttivo, che non segue alcun filo logico che possa collegarla ai precedenti.86 vedremo più avanti come la serie di casi relativi alle limitazioni imposte a tali soggetti sollevi un altro problema interpretativo e teorico, quello relativo alla titolarità di diritti costituzionali da parte di soggetti collettivi ed “artificiali”.

Lo schieramento opposto, maggiormente concentrato sugli aspetti pratici connessi alla campaign finance, spinge verso una revisione del concetto di corruzione, allo scopo di renderlo più flessibile ed adattabile alle criticità della realtà materiale. Si spiega in questo modo l’orientamento accolto dalla Corte in Austin v. Michigan: rendendo meritevole di tutela l’interesse anti- distorsivo, includendolo nella nozione più ampia di corruzione, si concede una maggiore capacità di intervento al legislatore nel contrastare l’influenza dei grandi flussi di denaro sui processi elettorali, fornendo finalmente un valido strumento per contenere il potere delle corporations.87 Nonostante una simile conclusione venga raggiunta in merito alle attività politiche delle

corporations, il conseguente ampliamento delle fattispecie corruttive è

destinato ad influire su tutte le questioni di legittimità relative al finanziamento delle campagne elettorali.

Austin v. Michigan costituisce il punto di arrivo di un percorso evolutivo

ben preciso; a partire da Buckley v. Valeo, la giurisprudenza della Corte