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IL RUOLO DELLA GIURISPRUDENZA NELLA REGOLAMENTAZIONE DELLA CAMPAIGN

6. Limiti alle spese

Le spese elettorali177 sono, insieme alle contribuzioni, uno degli aspetti più analizzati dalla Corte Suprema. Lo standard fissato da Buckley v. Valeo è chiaro: “money is speech”, il denaro è espressione, come affermano molti commentatori della sentenza; ritenendo che le spese in ambito elettorale rappresentino una forma di espressione, la Corte ha sottoposto tutte le disposizioni connesse all’argomento ad un exacting scutiny, un giudizio di legittimità estremamente rigido.

Come prima cosa, la regolamentazione deve rispondere ad un interesse governativo impellente, che giustifichi la compressione delle libertà espressive; oltre a questo, occorre che le disposizioni siano proporzionate al

176

Cfr. R. K. Kelner, “The Practical Consequences of McCutcheon”, 127 Harvard Law

Review Forum 380 (2014); J. S. Berkon e M. E. Elias, “After McCutcheon”, 127 Harvard Law Review Forum 373 (2014).

177 Come si ricorderà (vedi Cap. II, § 4), all’interno della categoria delle spese si può

effettuare un’ulteriore distinzione, tra spese coordinate e spese indipendenti. Solitamente, le prime sono ritenute più sottoposte al rischio di corruzione, mentre le seconde, a causa della caratteristica dell’indipendenza, sono ritenute più sicure, superando con maggior facilità il vaglio di costituzionalità.

risultato da ottenere. Essendo le spese maggiormente tutelate rispetto alle contribuzioni, la rispondenza all’unico interesse governativo considerato legittimo, quello anti-corruttivo, viene valutata con maggiore severità. Oltre a questi aspetti essenziali, relativi al bilanciamento tra interessi governativi e libertà costituzionali, le disposizioni sulle spese hanno evidenziato la questione relativa all’identità dello speaker, ossia del soggetto finanziatore delle spese. Gli sviluppi più recenti costituiscono una svolta importantissima in questo campo, modificando un assetto che non era mai stato messo in discussione in precedenza. Come per le contribuzioni, negli ultimi anni si può constatare una marcata tendenza ad un rafforzamento delle posizioni in difesa del Primo Emendamento; la conseguenza di questo orientamento si manifesta attraverso una graduale deregolamentazione del finanziamento elettorale.

6.1. Limiti alle spese dei partiti politici

Un primo gruppo di disposizioni contestate è quello che impone delle limitazioni alla possibilità di spesa dei partiti politici; dalla casistica relativa a questo argomento è destinata a consolidarsi la distinzione tra spese indipendenti e coordinate.

Il primo caso che tratta la materia è FEC v. Democratic Senatorial

Campaign Committee:178 nella fattispecie, il comitato Democratico per la campagna senatoriale lamenta la violazione di una disposizione del FECA da parte dell’avversario, il comitato senatoriale Repubblicano. La disposizione al centro della disputa179 regola le spese effettuabili dai comitati nazionali e statali, che altrimenti sarebbero vietate dalla legge federale; in questo periodo, le spese dei comitati partitici nazionali e statali sono considerate “coordinate” con la campagna del candidato.

178 Federal Election Commission v. Democratic Senatorial Campaign Committee, 454 U.S.

27 (1981).

In seguito ad un parere della FEC, il comitato senatoriale Repubblicano era stato autorizzato ad effettuare spese in qualità di agente del comitato statale e di quello nazionale del partito. Secondo il comitato senatoriale Democratico, una simile modalità operativa sarebbe contraria alle previsioni della legge federale: per questo, decide di citare la FEC in giudizio, al fine di risolvere la controversia.

Il caso giunge all’attenzione della Corte Suprema, con la Corte d’Appello che sostiene le affermazioni dei ricorrenti. La questione ruota attorno all’ammissibilità del tipo di accordo stipulato tra i comitati, al fine di consentire al National Republican Senatorial Committee di effettuare spese per conto dei principali comitati di partito.

La Corte non ha difficoltà nel dimostrare l’infondatezza delle preoccupazioni del ricorrente; analizzando il testo legislativo, afferma che esso non contenga alcun riferimento che possa far pensare ad un’illegittimità di tali accordi. Questo caso, seppure tratti solo superficialmente la questione delle spese elettorali, costituisce la prima tappa del percorso giurisprudenziale delle disposizioni in materia di spese da parte dei partiti.

I concetti sottostanti alle disposizioni appena osservate, che considerano i comitati partitici capaci solo di effettuare spese coordinate, vengono nuovamente messi in discussione dinanzi alle autorità giudiziarie, in una lite che vede contrapposti il Colorado Republican Federal Campaign

Committee e la Commissione Federale. I contrasti nascono quando la FEC

contesta a Colorado la violazione dei limiti imposti per le spese effettuate in connessione con le elezioni federali;180 in risposta, il comitato lamenta l’illegittimità as applied di tali regole, sostenendo che i limiti non dovessero essere validi per le comunicazioni pubblicitarie effettuate indipendentemente dalla campagna del candidato.

Colorado v. FEC,181 noto anche come Colorado I, affronta tale questione, dopo che la Corte di Appello aveva dato ragione alla FEC. La Corte Suprema si pone un interrogativo fondamentale: i limiti alle spese che i partiti politici possono sostenere nelle campagne congressuali, quando applicati alle spese effettuate indipendentemente dalla campagna del candidato, sono contrari al Primo Emendamento?

L’opinion della Corte, redatta da Breyer – con cui concordano O’Connor e Souter –, come prima cosa identifica l’oggetto del contendere, stabilendo che si tratti effettivamente di ciò che Buckley ha definito “spesa indipendente”: effettuata prima ancora che fosse stato scelto un candidato, la spesa non poteva in alcun modo essere coordinata.

…la spesa in questione…è una spesa “indipendente”, non una spesa “coordinata” che alcune parti del FECA trattano alla stregua delle “contribuzioni”.182

Questa premessa fa luce su una distinzione concettuale: mentre le spese indipendenti sono massimamente tutelate dal Primo Emendamento, quelle coordinate vengono considerate più simili a contribuzioni, ricevendo un grado di tutela inferiore. I precedenti giurisprudenziali consentono così alla Corte di decidere facilmente il caso, constatando come le spese effettuate da

Colorado rientrino nella forma più libera di espressione politica: è quello

che in base al Primo Emendamento viene definito core political speech. Anche se la FEC contesta che la vicinanza tra i partiti ed i candidati renda pressochè impossibile ottenere una indipendenza ed un’assenza di coordinazione, soprattutto a causa della frequente collaborazione nell’elaborazione delle strategie di campagna elettorale, la Corte ritiene che nel caso specifico non esistano i presupposti per sostenere una simile posizione.

181 Colorado Republican Federal Campaign Committee v. Federal Election Commission,

518 U.S. 604 (1996).

In base a queste considerazioni, e supportata dai precedenti che affermano l’illegittimità dei limiti alle spese indipendenti, la Corte giunge a ritenere la disposizione in questione illegittima per come applicata a Colorado.

Kennedy, supportato da Scalia e Rehnquist, compila una concurring

opinion, schierandosi a favore di un’illegittimità totale della disposizione

che equipara le spese coordinate a contribuzioni: una simile equazione violerebbe il Primo Emendamento. Ancor più radicale è Thomas, che pur concordando con parte del giudizio, ritiene che si dovesse dichiarare l’incostituzionalità dell’intera disposizione esaminata; questa presa di posizione è coerente con l’orientamento che Thomas seguirà nel corso degli anni, manifestando sempre le proprie perplessità circa il quadro dipinto da

Buckley v. Valeo: nella sua ottica, tale pronuncia andrebbe cancellata,

ritornando ad una massima tutela della libertà di espressione.

Gli unici giudici dissenzienti, che avrebbero sostenuto la legittimità dell’applicazione della disposizione, sono Stevens e Ginsburg: entrambi dichiarano di concordare con le conclusioni raggiunte dalla Corte di Appello.

Questa sentenza, oltre a riconoscere la possibilità che i partiti effettuino spese indipendenti, preannuncia una delle tematiche più importanti del sistema della campaign finance, in particolare per quello che riguarda le spese: si tratta della coordinazione, il requisito che delimita le due categorie. Da un lato, le spese coordinate, più simili a contribuzioni e perciò più regolamentate; dall’altro, le spese indipendenti, maggiormente tutelate. Come si vedrà, soprattutto in tempi recenti sono stati sollevati numerosi dubbi sull’effettiva indipendenza di certe spese, soprattutto nei casi in cui si assiste ad una forte vicinanza tra il candidato ed il soggetto promotore della spesa indipendente.

La questione prospettata in Colorado I si ripresenta poco tempo dopo; all’inizio del nuovo millennio, la Corte Suprema si trova a rispondere alle richieste di Colorado, che questa volta lamenta l’incostituzionalità assoluta – con una facial challenge – dei limiti imposti alle spese dei partiti politici, in particolare a quelle effettuate in coordinazione con il candidato.

FEC v. Colorado,183 o più semplicemente Colorado II, si occupa del caso, approfondendo le implicazioni connesse alla categoria delle spese coordinate. Colorado ritiene che queste ultime, qualora effettuate da un partito, debbano ricevere maggior tutela: esse risponderebbero infatti allo scopo principale del partito stesso, sostenendo l’elezione di un determinato candidato. Per questo, queste spese coordinate rappresenterebbero una forma di espressione particolarmente meritevole di tutela; in quest’ottica, si creerebbe una disparità sostanziale tra l’interesse governativo addotto – quello anti-corruttivo – e le restrizioni imposte alla libertà espressiva ed associativa. Le contro-argomentazioni della parte governativa fanno leva su

Buckley, ed in particolare sull’equiparazione delle spese coordinate alle

contribuzioni: sostenere il contrario, consentendo quindi ai partiti di effettuare spese coordinate illimitate, incentiverebbe l’aggiramento dei limiti alle contribuzioni dirette imposti da Buckley.

L’opinion di maggioranza, redatta da Souter – con l’appoggio di Stevens, O’Connor, Ginsburg e Breyer –, analizza le pretese delle parti, rifacendosi in larga parte alle conclusioni raggiunte nei casi precedenti. Il punto di partenza è la considerazione secondo cui

…in Buckley v. Valeo…abbiamo deciso che le limitazioni delle contribuzioni dirette ad un candidato sono solitamente legittime, al contrario delle limitazioni imposte alle spese elettorali. […] La semplicità della distinzione è caratterizzata, tuttavia, dalla scelta dell’Atto di definire le “contribuzioni” in modo funzionale, e non formale, includendovi le “spese effettuate da chiunque in cooperazione, consultazione…con un candidato, i suoi comitati autorizzati o i loro agenti”. […] Per la legge, le spese coordinate con un candidato sono da considerare come contribuzioni.184

Questa è una premessa essenziale, che chiarisce il quadro interpretativo a cui fare riferimento: le spese coordinate vengono solitamente equiparate alle

183 Federal Election Commission v. Colorado Republican Federal Campaign Committee,

533 U.S. 431 (2001). La Corte raggiungerà una decisione con un voto di 5-4.

contribuzioni. Ora, afferma Souter, la linea di demarcazione è facilmente individuabile nel caso degli individui o dei comitati politici, che spesso non hanno alcun rapporto col candidato: l’indipendenza delle loro spese non può essere messa in dubbio.

Ma i fatti parlano meno chiaramente qualora l’indipendenza della spesa non possa essere presupposta, rendendo più difficile classificare la spesa effettuata dall’individuo o dal PAC.185

La classificazione stabilita dalla legge, più sostanziale che formale, contribuisce a tutelare l’interesse governativo alla prevenzione dell’aggiramento dei limiti contributivi. In Colorado I, la Corte ha risposto ad una questione relativa al caso singolo, senza tuttavia analizzare la legittimità costituzionale dell’equiparazione tra spese coordinate del partito e contribuzioni.

Colorado II affronta il problema, reputando opportuno iniziare da un esame

delle argomentazioni delle parti: quelle del comitato del Colorado, che si fondano su una presunta “specialità” della posizione dei partiti, allo scopo di rivendicare un livello di scrutiny più rigoroso, vengono da subito considerate deboli. L’evidenza dei fatti dimostra infatti come le spese dei partiti siano solo una delle numerose attività intraprese da tali soggetti: sottoporli alla stessa regolamentazione prevista per gli altri comitati politici non significa affatto frustrarne le funzioni. È proprio per questo motivo che

…applichiamo ai limiti delle spese coordinate dei partiti lo stesso scrutiny che abbiamo applicato agli altri soggetti della scena politica, ossia lo scrutiny valido per le contribuzioni, che valuta se la restrizione sia “adeguata” a sostenere quello che abbiamo riconosciuto come interesse governativo “sufficientemente importante”, quello della lotta alla corruzione.186

Viene confermato lo standard già previsto con Buckley; spetta ora alla Corte adottare tale metodo di valutazione, al fine di decidere circa la legittimità

185 Id., 442-443. 186 Id., 456.

del limite imposto. Per questo, ci si chiede se le argomentazioni della parte governativa, centrate sul rischio di aggiramento dei limiti e sul potenziale abuso di un sistema senza limiti alle spese coordinate, debbano considerarsi fondate. La Corte sembra non avere dubbi:

Nonostante l’incessante difesa dei limiti contestati, la realtà dei fatti dimostra come i candidati, i donatori e i partiti mettano alla prova i limiti della legge in vigore, provando oltre ogni dubbio come i limiti alle contribuzioni sarebbero erosi nel caso in cui l’abolizione dei limiti alle spese coordinate dei partiti ne incentivasse un aggiramento.187

Di conseguenza, viene confermata la legittimità costituzionale dei limiti alle spese coordinate dei partiti: le restrizioni si rendono infatti necessarie per minimizzare il rischio di circonvenzione dei limiti alle contribuzioni dirette. Una posizione diversa è espressa dalla dissenting opinion di Thomas, che trova il consenso di Rehnquist, Scalia e Kennedy; i limiti in questione sarebbero troppo ampi, interferendo con il rapporto tra partito e candidato senza che sia dimostrata la sua efficacia nella prevenzione della corruzione. Il dissenso di Thomas si estende a pressochè tutte le constatazioni della Corte: a suo parere, essa sbaglia nel ritenere che le spese coordinate siano equiparabili alle contribuzioni, così come sbaglia nel ritenere i partiti politici assimilabili ai comuni comitati politici; inoltre, anche ammesso che tali conclusioni fossero corrette, le disposizioni contestate non dimostrerebbero di servire l’interesse governativo della prevenzione dei fenomeni corruttivi.188

I tre casi appena esaminati sintetizzano due punti importanti; il primo è relativo alla definizione della situazione dei partiti politici all’interno della campagna elettorale: benchè siano in grado di effettuare spese indipendenti, occorre prestare molta attenzione alla possibile coordinazione con la campagna del candidato. Per questo, deve ritenersi ragionevole la limitazione imposta dal FECA, che equipara le spese coordinate dei partiti

187 Id., 457.

alle contribuzioni dirette; la ratio che sta alla base di questa impostazione è la prevenzione dell’aggiramento dei limiti contributivi.

La seconda conclusione che si può trarre da Colorado I e II è proprio questa: effettuare spese in coordinazione con un candidato equivale a contribuire direttamente alla sua campagna elettorale.

6.2. Limiti alle spese indipendenti dei comitati politici

Strettamente connesso alle problematiche appena esaminate è un altro caso, risalente al 1985; in FEC v. National Conservative PAC189 si approfondisce

infatti la questione delle spese indipendenti, questa volta nel contesto del finanziamento pubblico delle presidenziali. Nel 1975, NCPAC era stato denunciato dalla FEC per una presunta violazione della legge federale; la disposizione violata190 proibiva ai comitati politici indipendenti di effettuare spese non coordinate superiori a 1,000 $, qualora il candidato sostenuto avesse aderito al sistema di finanziamento pubblico per le presidenziali.

NCPAC sostiene dinanzi alla Corte Suprema l’illegittimità di tale

disposizione, che restringerebbe ingiustificatamente le libertà espressive dei comitati, violando il Primo Emendamento.

La Corte procede ad analizzare la disposizione, chiarendo subito che essa intenda limitare le spese indipendenti dei PACs, seppure nell’ambito del finanziamento pubblico. Richiamando Buckley, si riafferma la necessità di verificare se il limite risponda all’unico interesse governativo accolto, quello della prevenzione della corruzione, descritta come una «sovversione del processo politico»191.

189

Federal Election Commission v. National Conservative Political Action Committee, 470 U.S. 480 (1985).

190 26 U.S.C. 9012(f).

191 FEC v. NCPAC, 470 U.S. 480, 497. Si tratta dell’opinion di maggioranza, redatta da

Rehnquist e supportata da Burger, Blackmum, Powell ed O’Connor, con un consenso parziale di Brennan e Stevens.

…l’assenza di accordi preventivi e di coordinazione riducono di molto il valore della spesa agli occhi del candidato, alleviando il rischio che le spese facciano parte di un quid pro quo finalizzato ad ottenere favori dal candidato.192

Come in Buckley, anche in questo caso si ritiene che le spese indipendenti non arrechino alcun pericolo corruttivo, fallendo quindi il superamento dello

strict scrutiny imposto dalla Corte; più specificamente, ed in via incidentale,

si lascia trasparire la convinzione secondo cui le contribuzioni destinate a comitati indipendenti siano anch’esse portatrici di una pericolosità inferiore. Per questo, confermando la decisione della Corte Distrettuale, la disposizione esaminata viene dichiarata incostituzionale.

Contrario a questa decisione, White redige una propria opinione193 che ricalca in larga parte quanto aveva già espresso in Buckley; rifacendosi a quei concetti, sostiene la differenza tra la libertà di espressione e quella di spendere soldi, affermando la legittimità delle regolamentazioni governative. Dal suo punto di vista, inoltre, le spese indipendenti dei PACs sono equiparabili a contribuzioni dirette: pur non essendovi coordinazione, il candidato viene inevitabilmente a conoscenza di tali spese, comportandosi di conseguenza.

I PACs non operano anonimamente, in uno spazio “sottovuoto”. Si verificano significativi contatti tra organizzazioni come

NCPAC ed i candidati a, o i titolari di, cariche federali. In

aggiunta, il personale può trasferirsi dallo staff del candidato o dell’eletto a quello del PAC.194

Proprio per questo, White sostiene la legittimità della disposizione, che, una volta eliminata, lascerebbe significative lacune in grado di offrire facili scappatoie legali. In modo simile, il dissenso di Marshall critica la distinzione tra spese e contribuzioni effettuata da Buckley: secondo lui, entrambi i fenomeni dovrebbero essere sottoposti al solito grado di scrutiny,

192 Id., 498.

193 Id., 502-518, White dissenting. 194 Id., 511.

e la disposizione contestata dovrebbe superare il vaglio di costituzionalità.195

La decisione della Corte contribuisce a rafforzare l’idea secondo cui le spese elettorali, specialmente se indipendenti, debbano essere tutelate al massimo livello possibile, rientrando nel core political speech. Esse presenterebbero, nell’ambito delle campagne elettorali, il minor potenziale corruttivo; mancando un interesse legittimo, eventuali restrizioni appaiono ingiustificate.

6.3. Limiti alle spese da parte dei candidati

Ripercorrendo alcuni dei punti chiave di Buckley, Randall v. Sorrell196 trova

le sue origini in una disputa relativa ad una legge statale; nel 1997 lo stato del Vermont aveva emanato uno statute relativo al finanziamento elettorale, che tra le altre cose prevedeva dei rigorosi limiti a carico delle spese dei candidati e delle contribuzioni che questi potevano ricevere.

Neil Randall, richiamando Buckley e la relativa dichiarazione di illegittimità dei limiti alle spese, contesta la violazione del Primo Emendamento; in primo luogo, le restrizioni alle spese non supererebbero il giudizio di legittimità, non corrispondendo ad alcun interesse tutelabile. Secondariamente, i limiti alle contribuzioni sarebbero eccessivamente bassi, comportando un’indebita compressione delle capacità comunicative, sia dei donatori che dei candidati.

In contrasto con questo punto di vista si colloca il rappresentante dello stato del Vermont, che critica Buckley – suggerendo che venga sottoposto ad

overruling – per aver ignorato il rationale che sta alla base del limite alle

spese: esso infatti servirebbe ad evitare che i candidati spendano troppo tempo a raccogliere fondi, sottraendo tempo ed energie alla trattazione delle

195 Id., 518-521, Marshall dissenting. 196 Randall v. Sorrell, 548 U.S. 230 (2006).

questioni politiche più rilevanti.197 Per rafforzare le proprie posizioni, afferma inoltre come il limite risponda anche alle esigenze di prevenzione della corruzione politica.

Pur palesando alcune difficoltà nel fornire un’opinion unica, la Corte riesce a trovare una maggioranza circa il giudizio da emettere. Sei dei nove giudici si trovano d’accordo sulla necessità di dichiarare illegittime entrambe le limitazioni, dando tuttavia motivazioni diverse.

Breyer, esprimendo anche il pensiero di Roberts e, almeno in parte, quello di Alito, affronta l’interrogativo relativo ai limiti delle spese rifacendosi al principio del rispetto del precedente. Invocando lo stare decisis, sostiene l’autorità di Buckley, che porta inevitabilmente a dichiarare illegittime le limitazioni in questione.

L’analisi non si rivela altrettanto semplice per quello che riguarda i limiti contributivi, dovendosi valutare la loro adeguatezza dal punto di vista quantitativo; infatti, a partire da Buckley la Corte di solito ha ritenuto legittime tali limitazioni.

Seguendo Buckley, dobbiamo determinare se… i limiti contributivi impediscono ai candidati di «ammassare le risorse necessarie per finanziare un’efficace campagna»;[…] in poche parole, dobbiamo verificare se siano così bassi da comportare una lesione del Primo Emendamento.198

Come si ricorderà,199 Nixon v. Shrink aveva già toccato la questione, ammettendo che i limiti fissati da Buckley fossero indicativi e che fosse possibile un loro abbassamento, purchè effettuato entro limiti ragionevoli.

197

Un argomento simile era già stato sostenuto da V. Blasi, “Free Speech and the Widening