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Il concetto di strategia aziendale come lo intendiamo noi oggi si diffonde nella seconda metà del novecento negli Stati Uniti e solo in seguito sarà studiato ed elaborato dagli studiosi di management.

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2.3.1 La scuola di Harvard

I primi studi sulla strategia aziendale sono riconducibili alla scuola di Harvard che vede tra i suoi principali esponenti Alfred Chandler.

Egli definisce la strategia come “ la determinazione delle finalità e degli obiettivi fondamentali a lungo termine di un’impresa e l’adozione delle politiche necessarie alla loro realizzazione”.

L’elemento più importante della teoria di Chandler riguarda il rapporto tra strategia e struttura organizzativa. L’autore chiarisce, infatti, che l’impresa deve essere una struttura aperta pronta a cogliere i segnali provenienti dall’ esterno, capace di adattarsi alle esigenze del momento. A un cambiamento strategico dettato da un input esterno deve necessariamente corrispondere un riassetto del modello organizzativo, e quando questo non avviene l’ attuazione della strategia stessa può incontrare degli ostacoli tali da comprometterne il risultato finale.

Con modello organizzativo egli intende proprio lo schema d’organizzazione mediante il quale l’impresa viene amministrata.

Il concetto di strategia è ulteriormente sviluppato da Andrews che lo intende come “un insieme di obiettivi, scopi o fini e delle principali politiche e piani operativi per raggiungere tali fini, espressi in modo da definire il business in cui l’impresa opera o dovrà operare e che tipo di azienda è o dovrà essere, la natura del contributo economico o non economico che intende apportare agli azionisti,ai dipendenti,ai consumatori e alla comunità.”

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Figura 1 Il concetto di strategia secondo Andrews

Da questo schema si evince che, secondo Andrews, l’attuazione delle strategie dipende sia dall’ analisi della situazione esterna sia da quella interna.

Dall’analisi esterna si vanno ad identificare quali sono le opportunità e le minacce ambientali e così facendo si rileva cosa potrebbe fare l’azienda, in secondo luogo, tenendo conto delle responsabilità sociali dell’impresa, si indica ciò che concretamente si dovrebbe fare per raggiungere l’obiettivo.

Dall’analisi interna, invece, si identificano in primo luogo quelli che sono i punti di forza e di debolezza dell’azienda stessa andando così ad individuare le potenzialità (cosa può fare ), e in secondo luogo si esplicitano le aspirazioni e gli obbiettivi ( cosa concretamente vuole fare).

51 L’elaborazione del concetto di strategia secondo Andrews è molto ampia e tipica della scuola di Harvard, i concetti base sono ancora oggi molto attuali e presi in considerazione per lo sviluppo di strategie più moderne. Una considerazione importante che denota un altro passo in avanti nello studio della strategia aziendale è che l’obiettivo da raggiungere, che sia economico o non, è rivolto non solo agli azionisti ma a tutti gli stakeholders.

2.3.2 Scuola di ansoff o strategic management

Nello stesso periodo sempre negli Stati Uniti presero forma gli studi di management strategico che portarono a risultati differenti.

Secondo la scuola di Ansoff il concetto di strategia doveva essere ridotto alle modalità e ai mezzi attraverso i quali raggiungere i fini dell’ impresa, senza andare ad indagare questi ultimi.

Nasceva così un’idea di strategia più ridimensionata, di tipo esclusivamente strumentale, che presentava numerose analogie con la pratica militare. Durante le guerre, infatti, non si ricercano le motivazioni ( nel caso aziendale i fini,gli obiettivi) ma solo le modalità ( gli strumenti ) per vincerle. I generali, che sono i responsabili dell’elaborazione della strategia, non dichiarano guerra ma decidono gli strumenti adatti per combatterla. Per queste ragioni Ansoff dedica particolare attenzione al management che viene identificato come lo stato maggiore di un esercito che non interviene sui perché della guerra ma solo sul come combatterla.

Il manager quindi, attraverso una pianificazione strategica ben formalizzata, elabora le alternative di azione e individua la scelta ottimale da perseguire.

Questi studi presentavano però un grosso limite, malgrado le pianificazioni molto precise e razionali di tutte le attività da mettere in atto, non furono in grado di superare i condizionamenti casuali del mercato; infatti, si trattava di studi a breve-medio periodo, che fallirono con le crisi petrolifere, dato che lo schema di pianificazione non

52 era stato adeguatamente predisposto per rispondere a radicali condizioni mutevoli del mercato.

Se ne dedusse che una pianificazione a breve-medio periodo non consente a un’impresa una sopravvivenza per molto tempo, ma una breve comparsa, magari sfruttando un boom commerciale di un suo prodotto, il quale una volta che termina il suo ciclo di vita, rischia di portare la società ad una fine precoce.

2.3.3 Norman & Mintzberg

Verso la fine degli anni ’70 Norman critica esplicitamente il modello razionale di Ansoff per ciò che riguarda la scelta e la strutturazione della strategia; egli infatti, suggerisce di trattare questi fenomeni come processi di apprendimento ( learning by doing ).

Secondo Norman le strategie si formano sul campo attraverso una serie di processi di apprendimento continuo, guidate da una business idea che deve permettere all’azienda di distinguersi in ogni mercato dai propri concorrenti.

Mintzberg aggiunge a questo tipo di pensiero un nuovo concetto fondamentale per la scelta strategica: la vision.

Con vision si intende l’ idea o meglio la “visione”, cioè un concetto espresso in parole semplici e coincise che deve guidare l’azienda, che ne determina il posizionamento sul mercato e le aspirazioni.

Mintzberg aggiunge: “ Le strategie di maggiore successo sono le visioni, non i piani”: con questa affermazione vuole andare a sottolineare la differenza tra visione o pensiero strategico che implicano creatività,adattamento e continua evoluzione al concetto di programmazione che è invece solo l’ elaborazione e la messa in atto di strategie esistenti e già definite.

53 In quest’ottica i fattori chiave di successo per le aziende diventano la conoscenza e i processi di apprendimento ( learning by doing ) che si svolgono attraverso sistemi di relazioni sia all’ interno dell’ azienda sia verso l’esterno.

2.3.4 La strategia competitiva: Porter

Negli anni ’80 il concetto di strategia si sviluppa ulteriormente grazie ai lavori del Porter: Competitive Strategy(1980) e Competitive Advantage (1985) a cui seguiranno altri libri che andranno a definire un’ idea di strategia ancora oggi molto attuale.

Secondo l’autore la strategia è: “ la messa a fuoco di una formula circa il modo di competere di un’impresa, gli obiettivi da raggiungere e le politiche necessarie per realizzare detti obiettivi”.

La strategia per Porter deve guidare l’azienda a trovare il giusto ruolo all’interno del mercato nel quale possa avere una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti.

Sono proprio i meccanismi della concorrenza che giocano un ruolo fondamentale nella scelta della strategia e l’intensità di questa, all’interno di un determinato mercato,è dovuta secondo Porter a cinque fattori chiave: i clienti, i fornitori, le imprese concorrenti, i prodotti sostituti e i potenziali entranti.

Queste determinanti vanno analizzate una ad una tenendo conto di quelli che sono i propri punti di forza e di debolezza per capire quale è la situazione in cui versa l’impresa. La strategia viene così ideata considerando quali sono gli obiettivi che ci si è prefissati di raggiungere. In un caso l’impresa può puntare a conseguire una certa posizione di leadership del mercato e poi cercare di difenderla dagli attacchi della concorrenza, oppure ancora crearsi una nicchia che la differenzi dai concorrenti per evitare uno scontro diretto con questi.

54 Le strategie si configurano quindi come linee guida ideate per creare una situazione di vantaggio dell’impresa all’interno di un determinato settore e a permetterle di avere dei risultati economici migliori dei concorrenti.

Porter inoltre afferma: “ La base fondamentale di una prestazione a lungo termine,superiore alla media, è il vantaggio competitivo sostenibile. Sebbene un’impresa possa avere una miriade di punti di forza e di debolezza,al confronto con i propri concorrenti,per conseguire il vantaggio competitivo, occorre elaborare due strategie di base: la leadership di costo e quella di differenzazione.”

La leadership di costo è facilmente intuibile, sta nel fatto di riuscire a creare un prodotto da proporre sul mercato a un prezzo inferiore rispetto a quello della concorrenza. Questo permetterebbe sia di vendere a un prezzo inferiore e quindi accaparrarsi maggiori quote di mercato rispetto ai competitors, sia vendere allo stesso prezzo dei concorrenti ma ricavarne margini maggiori.

Le fonti del vantaggio di costo sono numerose e variano da settore a settore e a seconda del mercato in cui si opera. Le principali sono: il perseguimento di economie di scala, delle tecnologie esclusive e innovative di prodotto o di processo, un accesso facilitato e preferenziale alle materie prime o ancora la localizzazione geografica e il fattore tempo.

Naturalmente questo vantaggio deve poi essere mantenuto nel tempo e bisognerà evitare che il gap rispetto agli altri attori del mercato si riduca.

La seconda strategia di base che permette un vantaggio competitivo sostenibile è la differenzazione.

In questo caso l’azienda mira ad essere l’unica nel proprio settore a poter offrire certe variabili ritenute molto importanti dai clienti.

Essa individua quelle caratteristiche ritenute fondamentali dai consumatori e si mette nella condizione di esaudire queste richieste in maniera ineguagliabile. Colui che usufruisce del servizio o del bene riconosce questa differenza rispetto alla concorrenza ed è disposto a pagare un prezzo superiore.

55 I metodi per ottenere un vantaggio di differenziazione anche in questo caso sono diversi e cambiano a seconda del prodotto/servizio e del mercato. I più rilevanti sono: una maggiore qualità del prodotto stesso in tutte o in alcune delle sue caratteristiche, migliori servizi pre e post vendita, una migliore campagna di marketing che fa accrescere il marchio ecc.

2.3.5 Hamel e prahalad

Come abbiamo visto l’analisi di Porter sposta l’attenzione per la determinazione della strategia sulle fonti del vantaggio competitivo.

Secondo questi due autori (siamo ormai verso la fine degli anni’80), le fonti del vantaggio competitivo sono le risorse interne, le competenze chiave che l’ azienda è riuscita a sviluppare nel corso del tempo.

L’impresa deve essere vista come un insieme di core competence che permettono di sfruttare in maniera nuova e unica quelle opportunità a cui difficilmente potrebbero accedere altre aziende con competenze differenti.

Compito del management quello di implementare un’architettura strategica che permetta la creazione di competenze e indichi quali sono gli obiettivi futuri da raggiungere.

Hamel e Prahalad per centrare meglio il concetto di obiettivo futuro usano il termine di “intento strategico” per descrivere le motivazioni che devono ispirare tutti i membri dell’organizzazione nel raggiungere una posizione di leadership.

Questo implica una forte attenzione verso il futuro, in una situazione in continua evoluzione un’azienda potrà cogliere le opportunità future solo se sarà in grado di sfruttare le competenze distintive esistenti e eventualmente acquisire quelle che le mancano per raggiungere un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti.

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2.3.6 Le strategie interattive: Norman & Ramirez

Lo studio della strategia prosegue e nei primi anni ’90 e sempre sulla scia della ricerca del valore che porti un vantaggio competitivo, vengono criticate e messe in discussione le idee dei primi anni ’80 di Porter e della sua concezione di concorrenza tra imprese.

Secondo questi autori, infatti, l’azienda crea valore e può acquisire dei vantaggi solo tramite l’interazione delle proprie competenze con quelle degli altri attori del mercato.

In un mercato in continua evoluzione dove è difficile restare al passo con i tempi non è la competizione e la prevaricazione sugli altri che premia, quanto piuttosto la collaborazione e la cooperazione lungo tutta la catena del valore.

I cinque fattori chiave che, secondo Porter, dovevano essere analizzati (clienti , fornitori, concorrenti ecc) per trovare il modo di ottenere un vantaggio competitivo, diventano ora importanti mezzi per creare collaborazione tra imprese in una logica di complementarietà e specializzazione che porta vantaggi ad entrambe le parti.

Attraverso la realizzazione di accordi e partnership le aziende non solo riducono l’ entità, i rischi e i tempi per la realizzazione di nuove iniziative difficili da portare avanti singolarmente,ma hanno anche la possibilità di scambiarsi esperienze, metodi di lavoro, tecnologie, in modo da accrescere la loro competenza.

Nasce così l’idea di un’impresa caratterizzata da una forte interrelazione tra interno ed esterno che favorisce lo scambio e sfrutta le competenze cosi ottenute per restare competitiva in un ambiente in continua evoluzione.

Norman e Ramirez affermano: “L’ottica strategica non può quindi fermarsi a una configurazione d’impresa come sistema coordinato di fattori produttivi, ma richiede piuttosto un approccio diverso, in cui le relazioni interne ed esterne fanno da trama per assicurare il successo”.

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