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La fase di disinvestimento dall’operazione e la realizzazione del capital gain

negative covenants e le positive covenants

3.8 La fase di disinvestimento dall’operazione e la realizzazione del capital gain

La fase finale delle operazioni di LBO è particolarmente importante per tutti i soggetti attivi ma, in particolar modo, per i fondi di

private

equity

, visto che essi non sono legati a lungo in tali operazioni. Infatti, a differenza dei manager aziendali e degli investitori di natura industriale, che intervengono in queste operazioni con l’intenzione di proseguire l’attività aziendale nel lungo periodo, i fondi di

private

equity

hanno come obiettivo quello di registrare un guadagno di capitale in un periodo di tempo relativamente breve.

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Per fare ciò la fase conclusiva di disinvestimento è ovviamente fondamentale e molto delicata, visto che è con la vendita delle proprie azioni che i fondi vanno a determinare il

capital gain

e, di conseguenza, il rendimento dell’intera operazione.

E’ fondamentale che nel corso degli anni l’azienda acquisisca un elevato grado di attrattività per eventuali nuovi investitori esterni, così da poter rivendere le proprie quote ad un prezzo tale che consenta un rendimento adeguato ai rischi affrontati. Infatti una forte attrattività è condizione necessaria per la cessione delle proprie azioni, ed ovviamente solo dalla qualità del lavoro svolto può dipendere la possibilità di effettuare il disinvestimento, con la conseguenza che è praticamente impossibile prevedere all’inizio di un’operazione di LBO l’esatto timing di disinvestimento.

Al contrario è molto importante che vengano determinati fin da subito gli aspetti più generali di questa fase, definendo i principi, le modalità e la metodologia ed evidenziando e regolamentando questi aspetti con tutti gli altri soggetti presenti nell’operazione.

Un requisito essenziale da considerare, in quanto può permettere all’investitore istituzionale di effettuare il disinvestimento superando eventuali disaccordi con gli altri soggetti, è l’arco temporale superato il quale il fondo di

private

equity

ha la facoltà di uscire dall’operazione nel caso in cui lo ritenga vantaggioso. La forma di disinvestimento viene indicativamente definita fin dall’inizio ma, nel corso degli anni, essa può facilmente variare, questa decisione può dipendere da molti fattori legati alla tipologia dell’azienda

target

e alle sue dinamiche e ad eventuali mutuazioni nel corso del tempo.

Tecnicamente la dismissione da parte di un fondo di

private

equity

può avvenire in vari modi:

• Tramite la vendita nel mercato borsistico. Questa possibilità è utilizzata

nel caso in cui il fondo detenga una quota minoritaria e gli investitori di maggioranza non riescano o non vogliano acquisirla;

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• Tramite la cessione ad un investitore industriale. Generalmente si trova

un acquirente interessato al 100% del capitale e spinto da motivi strategici ed aziendali;

• Tramite la cessione ad un altro fondo di

private

equity

o

venture capital

. Lo scopo dell’acquirente è generalmente di natura finanziaria e si differenziano i casi in cui si procede alla vendita di una quota di minoranza (

replacement

) o all’intero pacchetto (

secondary buy-out

); • Tramite la cessione al socio originario (

buy-back

). Esso può essere

rimasto nella compagine sociale con quote di minoranza o maggioranza e riesce, dopo un periodo di tempo, a riacquisire le quote cedute all’inizio dell’operazione;

• Tramite la dismissione dall’operazione a seguito di fallimento o di una forte perdita di valore dell’azienda (

write-off

). Questa tipologia non rappresenta un vero e proprio canale di disinvestimento in quanto il fondo non rivende le quote detenute.

Per stabilire il canale di disinvestimento migliore per il fondo di

private

equity

è di fondamentale importanza analizzare a fondo sia il mercato borsistico sia il mercato più specifico dei

buy-out

, così da percepire le reali possibilità di dismissione delle quote. Infatti se in un determinato periodo il mercato borsistico è in difficoltà, o non è molto interessato a tali operazioni, converrà per il fondo ricercare un possibile acquirente tra altri investitori specializzati ed interessati da eventuali congiunture strategiche aziendali. Ovviamente può accadere anche il contrario, intorno agli anni 2000 il mercato borsistico americano era interessato alle aziende high-tech, visto che in quel periodo vi era un forte interesse da parte degli investitori verso le tecnologie legate ad internet. Questo interesse, unito alla grande quantità di capitali riversati in borsa in quegli anni, ha fatto si che tali aziende venissero quotate in borsa a prezzi elevatissimi dato che erano accompagnate da alte prospettive di crescita. Solo successivamente si è visto come tali prospettive fossero del tutto mal riposte e, con il verificarsi dei primi fallimenti di tali operazioni, si è registrato un completo

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allontanamento dagli investimenti ed il conseguente fallimento di moltissime imprese in questo settore (EVCA, 1992).

In Europa la maggior parte dei disinvestimento avviene con la vendita ad altri soggetti industriali (

trade sale

), infatti l’utilizzo del mercato borsistico è poco utilizzato anche a causa dei forti costi dovuti ad una regolamentazione molto stringente della borsa. Negli ultimi anni si è sempre più diffusa la possibilità, per i fondi di

private

equity,

di rivendere ad altri fondi visto che la crisi di liquidità ha reso sempre più difficile trovare investitori disponibili a subentrare. Si è già visto come la durata media di un’operazione si sia allungata di due-tre anni nell’ultimo periodo, passando dai 4-5 ai 7-8 anni, e come il mercato borsistico continui a rappresentare una forma di disinvestimento difficilmente perseguibile.

E’ importante evidenziare che tale forma di disinvestimento è per l’appunto dovuta a condizioni del mercato finanziario sfavorevoli, e come i soli fondi di

private

equity

riescano a mantenere vivo l’intero mercato del

buy-out

prendendo anche il ruolo di acquirenti, fino ad ora rappresentato dalle più grandi realtà industriali (Gervasoni A. e Sattin F., 2008).

Tale tecnica di disinvestimento si definisce

secondary

buy-out

, essa nasce dall’esigenza di un fondo di

private

equity

ad uscire da un investimento per monetizzare l’investimento effettuato e dalla contemporanea volontà di un altro fondo ad investire nella stessa azienda spinto dalla convinzione che essa possa ulteriormente migliorare i flussi di cassa, sopportando di conseguenza il nuovo debito. Solo con questi presupposti è possibile effettuare una seconda operazione di LBO con l’ingresso di nuovi fondi di

privateequity

e nuovi intermediari finanziari.

La crisi di liquidità ha provocato una diminuzione di valore rispetto a quello di qualche anno fa per molte aziende, questo aspetto rende molto difficile il disinvestimento legato ad una buona

performance

proprio perché risulta difficile vendere le quote detenute ad un prezzo superiore rispetto a quello di acquisizione. In alcuni casi è possibile che i fondi decidano di effettuare il

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way-out

nonostante la situazione negativa, riportando quindi delle perdite ed un rendimento negativo (Filippetti S. e Longo M., 2008)..

La difficoltà di oggi è, quindi, rappresentata dal riuscire a rivendere, anche solo allo stesso prezzo di acquisizione, le quote detenute della società

target

,

anche le operazioni di

secondary

buy-out

hanno visto una loro diminuzione

con la conseguenza, non preventivabile in sede di analisi dell’operazione, del protrarsi delle tempistiche di uscita (Festa C., 2009).

Va infine evidenziato come il timing del disinvestimento dipenda anche da fattori interni all’operazione di LBO visto che nella maggior parte dei casi esso può avvenire solo a finanziamenti rimborsati. Spesso infatti i

covenants

possono prevedere nei contratti di finanziamento delle clausole che impediscono ai fondi il disinvestimento se non a capitale rimborsato.

Questo può rappresentare un vincolo piuttosto stringente, infatti un finanziamento

senior

può durare anche 10 anni, il che rappresenta un periodo temporale mediamente più lungo rispetto a quello di un’operazione di LBO. Un fondo di

private

equity

può quindi essere costretto a restare più a lungo nell’operazione vedendo abbassarsi il tasso interno di rendimento (IRR). Infatti il timing del disinvestimento rappresenta un punto fondamentale per il calcolo dell’IRR visto che, a parità di valore attuale netto (o del prezzo di vendita) esso aumenta con il diminuire della durata dell’investimento e diminuisce gradualmente con il protrarsi dell’operazione. Un altro aspetto molto importante da considerare nel corso dell’attività di disinvestimento sta nel fatto che man mano che diminuisce il debito si affievolisce l’effetto positivo della leva finanziaria, specialmente se la diminuzione del rapporto D/E non coincide con un aumento del rendimento sul capitale investito. Si è visto infatti dalla formula per il calcolo del ROE che un minor utilizzo di debito abbassa la redditività sul capitale proprio quando il costo del debito è inferiore al ROI.

Per questa serie di motivi gli investitori istituzionali hanno sempre l’intenzione di abbassare al minimo la propria permanenza nelle operazioni di LBO così da massimizzare i propri rendimenti. Nel corso della vita

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dell’operazione possono intervenire altre cause che vanno a modificare il tasso interno di rendimento, come un aumento superiore al previsto del VAN dell’operazione, con la conseguenza che il fondo di

private

equity

può considerare conveniente prolungare la propria presenza nell’operazione, posticipando il momento del disinvestimento e la realizzazione del

capital

gain

.

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CAPITOLO

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CAPITOLO 4444