di private equity ;
2.3 Rapporti tra soggetti coinvolti nelle operazioni di LBO
Riprendendo l’analisi dei soggetti coinvolti nel
private
equity
e più specificamente nelle operazioni di LBO si pone evidenza sui modelli organizzativi adottati dagli operatori del mercato italiano. Si possono trovare tre principali modelli dalla combinazione dei quali possono anche risultare ulteriori forme miste:61
• Il primo modello è quello della SGR, prevalente nell’ambito della gestione
di fondi di medie dimensioni. Essa promuove la costituzione del fondo e provvede alla sua gestione;
• Il secondo modello è quello della management
company
organizzata sottoforma di
limited partnership
. E’ il modello più comune per i grandi fondi internazionali che operano in Italia, equivale ad una società inaccomandita semplice. I managers assumono la posizione di
general
partners
(soci accomandatari) mentre gli investitori quella dilimited
partners
(soci accomandati);• Il terzo modello è quello della
investment company
costituito sotto formadi società di capitali di diritto italiano. E’ del tutto simile ad una holding di partecipazioni, rappresenta la tipologia meno diffusa ma comunque presente nel mercato italiano (Pericu A., 2008, pag. 596-597).
Il modello organizzativo della SGR è stato introdotto nel nostro ordinamento dal TUF (Testo Unico della Finanza), il legislatore aveva infatti deciso di consentire agli operatori di dare vita ad una sorta di gestore polifunzionale dato che alla SGR è consentito svolgere sia servizi di gestione collettiva del risparmio, sia l’offerta di servizi di investimento quale è la gestione individuale di portafogli (Lener R., 1999, pag. 351 ss.).
Va comunque evidenziato come il ricorso alla SGR determina sostanziali restrizioni nell’accesso al mercato del risparmio gestito in quanto è necessario ottenere prima un permesso dell’autorità di vigilanza per l’esercizio del servizio di gestione collettiva e successivamente un permesso per la costituzione di ciascun fondo gestito. Una volta ottenute queste
autorizzazioni l’operatività della società è sottoposta ad una
regolamentazione molto stringente che ne va ad aumentare sensibilmente i costi di gestione, sia perché è costretta ad un controllo esterno da parte di una società di revisione dei rendiconti dei fondi chiusi, sia perché deve avere determinati uffici obbligatori solo per chi opera nel settore finanziario.
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E’ infatti obbligatorio per una SGR avere almeno tre uffici, con personale specializzato, in più rispetto ad una altra società comune dell’ordinamento italiano:
• L’ufficio di
compliance
, ha il duplice compito di mantenere i contatti con le autorità di vigilanza, inviando periodicamente i documenti necessari richiesti dalle autorità e recependo eventuali comunicazioni o modifiche normative;• L’ufficio
risk
management, ha il compito di controllare lo stato delle operazioni rilevando la presenza di eventuali rischi particolari nelle varie operazioni e, nel caso, deve avvertire immediatamente la dirigenza della società• L’ufficio legale;
Si può quindi affermare che il modello della SGR sia iper-regolamentato e sottoposto a controlli e restrizioni che possono sembrare eccessivi rispetto all’obiettivo di garantire l’accesso al mercato di operatori meritevoli. Per questi motivi e, come già accennato, nel mercato italiano sono presenti forme alternative alla SGR.
Nelle
limited partnership
è presente un organo consultivo che funziona come un consiglio d’amministrazione ed è formato per lo più dageneral
partners
e in minoranza dalimited partners
. Nelleadvisory board
si assumono le decisioni finali in materia di investimenti e riguardo la valutazione del portafoglio del fondo. In questo modello, quindi, l’investitore non è solo un sottoscrittore del fondo ma è anche socio del soggetto a cui compete la scelta e l’attuazione dell’investimento finanziario e, di conseguenza, è compartecipe della assunzione di determinate decisioni rilevanti in materia di politica gestionale.Il terzo modello visto è quello delle
investment companies
, in questo caso l’investimento finanziario si attua mediante la sottoscrizione di quote di capitale emesse dalla società, la quale poi effettua gli investimenti impiegando la propria dotazione finanziaria. Anche in questo caso gli investitori sono al tempo stesso i soci della società che gestisce i fondi, la63
differenza rispetto al modello precedente sta nel fatto che l’apporto finanziario entra a far parte del patrimonio della società, e non del fondo, che può quindi sembrare sovracapitalizzata rispetto alle esigenze di una singola operazione.
Volendo tralasciare, per il momento, l’aspetto normativo regolamentare della questione, che verrà ripreso successivamente in questo capitolo, qui di seguito si intende concentrarsi sui vari rapporti che intercorrono tra i soggetti interessati dal
privateequity
e in un’operazione di LBO.Dall’analisi degli operatori risulta evidente come i primi contrasti possono riguardare i rapporti e gli interessi tra quelli che sono i sottoscrittori delle quote del veicolo di investimento e i gestori dei fondi di investimento, in particolar modo si è visto che il modello della SGR è quello più facilmente soggetto ad eventuali contrasti, visto che negli altri modelli il sottoscrittore delle quote è parzialmente socio della società di gestione.
I principali problemi che caratterizzano la relazione tra managers e investitori nell’ambito della gestione di un fondo di
privateequity
sono di tre tipi: il problema della selezione ottimale dei managers da parte degli investitori; la minimizzazione dei costi di agenzia; la minimizzazione dei costi operativi che devono essere supportati nell’ambito della gestione di un fondo (Pericu A., 2008, pag. 591).Va evidenziato come gli investitori che aderiscono ad un fondo di
private
equity
esprimano la propensione ad intermediare il proprio investimento in capitale di rischio anziché effettuarlo direttamente. Di conseguenza in questo contesto l’intermediario agisce come agente degli investitori e, quindi, è necessario che i problemi e i costi che caratterizzano la relazione di agenzia siano minimizzati. Per questo motivo è di estrema importanza che gli investitori siano in grado di riconoscere e dividere i gestori in “buoni” e “cattivi” managers, per fare ciò gli investitori svolgono indagini didue
diligence
sul gestore, il quale a sua volta fornisce tutta una serie diinformazioni riguardo
performance
storiche e modalità di gestione del fondo64
deriva dalla fiducia nutrita nei confronti del gestore e nella sua capacità di replicare anche per il futuro i risultati positivi realizzati in passato.
Nel tempo si sono sedimentate delle
best practices
che costituiscono le clausole tipiche dei contratti tra i sottoscrittori e i gestori dei fondi e che rendono possibile l’allineamento degli interessi delle controparti sul piano della massimizzazione del rendimento finale delle risorse investite.I compensi della società di gestione possono essere sostanzialmente di due
tipi: una cosiddetta management
fee
annuale, determinata in valorepercentuale rispetto alle risorse finanziarie impegnate nel fondo, e il cosiddetto
carried interest
ovvero una commissione diperformance
che varia in funzione dei risultati realizzati dal gestore nell’attività di investimento. Si è visto come nella struttura complessiva della remunerazione il peso delcarried interest
sia nettamente superiore rispetto al managementfee
e ciò rappresenta un grande incentivo economico.Come si è visto il punto più importante riguarda quello di legare il
fee
del gestore allaperformance
del fondo gestito in maniera tale che il gestore sia spinto a massimizzare il rendimento dell’operazione. Può succedere, delle volte, che per responsabilizzare il gestore e allineare gli interessi delle due controparti essi debbano sottoscrivere una piccola parte del fondo, tra l’1% e il 5%. Questo può rassicurare i sottoscrittori sul fatto che il team che gestisce l’operazione creda nel proprio progetto impegnando capitale di rischio proprio senza limitarsi ad una gestione passiva che comunque porterebbe ad una remunerazione sulla commissione di gestione.Spostando il periodo di osservazione all’intera durata del fondo va precisato che l’equilibrio di interessi tra investitori e gestori deve essere mantenuto anche successivamente al momento di stipula del contratto. Durante la fase operativa della vita del fondo si è visto come gli investitori apprezzino una costante comunicazione sui risultati ottenuti, anche a costo di oneri di gestione più elevati. Una buona attività di comunicazione e di trasparenza,
unita ovviamente ad una buona
performance,
permette di mantenere la65
necessari per la costituzione di fondi successivi. La trasparenza è utile per gli stessi gestori del fondo, in quanto così facendo riescono da avere un continuo monitoraggio sull’andamento del fondo ed evitare possibili conflitti di interessi con gli investitori. Va infatti sottolineato come la trasparenza sia diventata in questi ultimi anni un fattore chiave per l’affidabilità e la credibilità dell’intera industria del
private
equity
all’interno del mercato finanziario (Bollazzi F., 2009, pag. 228-229).E’ altresì importante analizzare il rapporto tra i gestori di fondi di
private
equity
e le imprese che si trovano ad essere partecipate, successivamente ad una operazione di LBO. L’ingresso nella compagine azionaria dell’investitore istituzionale in capitale di rischio rende necessaria l’adozione di una serie di regole di governo dell’impresa che hanno l’obiettivo di regolare la vita sociale tra impresa e azionisti, nonché di fornire al nuovo socio investitore le informazioni e gli strumenti societari per contribuire allo sviluppo dell’impresa stessa. Questo flusso informativo rende l’impresa maggiormente preparata e permette di fornire al mercato ed al sistema bancario un flusso informativo di migliore qualità. Una buona comunicazione interna può meglio regolare il rapporto tra management e azionisti, permettendo ai primi di orientarsi verso un processo di creazione di valore, condividendo le scelte strategiche aziendali e rendendo l’impresa sempre più indipendente dai singoli soggetti, aumentando l’attrattività nei confronti del mercato dei capitali; e fornendo, ai secondi, tutte le informazioni necessarie per poter contribuire al governo dell’impresa.Focalizzando l’attenzione sulle imprese a carattere familiare è possibile asserire che la spinta verso una maggiore trasparenza della gestione tende ad attenuare i condizionamenti provenienti dalla sfera degli interessi personali e familiari.
Un importante fattore da considerare nel rapporto tra i fondi di
private
equity
e le impresetarget
si riscontra nel caso in cui il socio investitore individui carenze nella struttura manageriale della società, oppure verifichi che l’obiettivo di crescita prefissato dal partner industriale richieda66
l’inserimento di figure professionali diverse e più qualificate. Usualmente la possibilità di modificare il ruolo manageriale e/o direzionale si trova come clausola nel contratto di acquisizione, assumono quindi particolare rilievo, al riguardo, i sistemi di pianificazione e controllo e l’informativa, di norma trimestrale, circa l’andamento delle attività dell’azienda.
In sintesi si può affermare che adeguate regole di corporate governante possono facilitare il rapporto tra i gestori di fondi di
private
equity
e le imprese partecipate, tali regole si possono riassumere in pochi principi base: • Separazione tra interessi dell’azienda e interessi della famiglia diriferimento;
• Chiarezza e trasparenza, tramite la redazione di informative periodiche,
comportamenti etici e coerenti, certificazioni di bilancio;
• Apertura del Consiglio di Amministrazione a membri esterni, più
qualificati e con maggiore esperienza per fronteggiare il mercato (Bollazzi F., 2009, pag. 225).
Tali principi portano ad una elevata attenzione alla stabilità della compagine sociale ed all’incentivo del socio imprenditore e del management, al governo dell’impresa e all’informativa societaria, nonché al momento del disinvestimento ad opera del partner finanziario. Dunque, le regole di
corporate governance
rappresentano uno dei presupposti per il pieno successo dell’operazione di investimento, non soltanto per l’operatore diprivateequity
, ma anche per l’imprenditore e la società partecipata.Va infine considerato il ruolo che gli investitori di
private
equity
possono assumere facendo leva, nell’ambito delle strategie di crescita, in special modo delle PMI, sull’intera rete di relazioni e sulle competenze specifiche che il management del fondo apporta nel prestare la sua attività, con effetti positivi specialmente nel rapporto tra PMI e banche.E’ infatti importante sottolineare come il debito bancario rappresenti, per le imprese di piccole dimensioni, la quasi totalità dei debiti di esercizio, si può quindi affermare che l’esposizione verso l’intero sistema bancario sia inversamente correlata alla dimensione aziendale (Osservatorio sulle piccole
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e medie imprese, 2005, pag. 62). A sostegno di questa tesi si ha un’esigua apertura del capitale delle imprese minori italiane a soggetti esterni e ciò si lega fortemente, come appena evidenziato, a una scarsa diversificazione nella struttura delle fonti e negli strumenti di finanziamento a sostegno dell’attività.
Le ragioni di questa resistenza vanno ricondotte a un’obsoleta modalità di gestione del rapporto con il sistema bancario, legata a una logica relazionale di tipo personale, non più adeguata a sostenere la crescita delle aziende minori alla luce delle più complesse dinamiche competitive (Caselli S., 2003).
Va quindi evidenziato come la qualità della relazione delle PMI con il sistema bancario e finanziario assume oggi più di prima un ruolo centrale nella prospettiva di introduzione delle norme previste dal nuovo Accordo di Basilea. A partire dal 2008, il finanziamento delle PMI attraverso il canale creditizio è soggetto ad una più approfondita conoscenza da parte degli istituti di credito sugli andamenti gestionali dell’azienda. Questo elemento conoscitivo costituisce il presupposto necessario per garantire una migliore relazione tra le aziende e il sistema finanziario nel suo complesso. La scarsa capacità di comunicazione tra sistema finanziario-bancario e le PMI italiane può essere ricondotta a tre principali fattori:
• Vincoli comunicativi meno stringenti per le imprese minori rispetto a quelle di più grandi dimensioni. Tale agevolazione va vista nell’ottica di facilitare le aziende più piccole, dato che una più dettagliata informativa è stata ritenuta troppo onerosa rispetto al volume di attività;
• Una vera e propria mancanza di cultura d’impresa e un contenuto livello
di managerializzazione nella gestione dell’azienda, il che rende meno affidabili per le banche le iniziative e strategie delle imprese;
• Uno sbagliato approccio che gli istituti di credito hanno nei confronti delle aziende, a fronte delle difficoltà delle PMI nel comunicare le proprie strategie attraverso un piano industriale coerente, attendibile e realizzabile (Tutino M., 2008, pag. 67).
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Questi tre aspetti rendono spesso molto critici i rapporti tra imprese e sistema finanziario, ciò va a ripercuotersi, ovviamente, sulla possibilità di accedere al mercato del debito per attuare le proprie iniziative, specialmente per le PMI. Analizzando più nel dettaglio questi aspetti si può vedere come l’idea del legislatore di facilitare le aziende semplificando il sistema dell’informativa obbligatoria delle PMI abbia avuto riscontro con l’attuazione dell’articolo 2435-bis, il quale prevede uno schema di bilancio semplificato. Molte però sono le critiche a quest’articolo in quanto il mancato obbligo normativo non spinge il piccolo imprenditore a implementare il sistema informativo interno e a prendere coscienza degli effetti che una scarsa trasparenza nella comunicazione obbligatoria può produrre sul sistema di relazioni della specifica PMI, il tutto ovviamente va a discapito dell’impresa stessa e può rappresentare dei costi indiretti anche superiori agli oneri dovuti ad una maggiore informativa.
Tutti e tre gli aspetti sono molto legati tra loro, infatti una minor informativa rende le imprese meno credibili al sistema bancario, ma lo stesso sistema bancario in questi casi presenta una cautela eccessiva. Si può ritenere che, in un contesto come quello italiano caratterizzato da imprese di modeste dimensioni, la figura dell’istituzione creditizia abbia la possibilità di svolgere un ruolo molto proattivo nelle scelte di architettura, strumenti e modalità di finanziamento per le aziende nel lungo termine, potendosi tradurre in un reciproco rafforzamento della fiducia alla base della relazione banca-impresa.
Ciò detto, e restando nell’ambito di tale relazione, si può vedere, pertanto, come l’intervento degli investitori nel capitale di rischio delle aziende di minori dimensioni possa favorire un cambiamento nel tempo delle relazioni di questa con gli intermediari creditizi. In special modo, sul piano della struttura delle fonti di finanziamento e degli strumenti di supporto alla gestione del business l’intervento dei fondi può efficacemente contribuire a:
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• Migliorare la rischiosità implicita delle aziende, in particolare sul fronte dei rischi connessi all’andamento della gestione e del recupero degli investimenti effettuati;
• Contenere il costo complessivo del finanziamento ottenuto attraverso la scelta di una struttura finanziaria ottimale;
• Ridurre la richiesta di garanzie patrimoniali da parte degli istituti di credito e di altri intermediari finanziari;
• Migliorare la comunicazione esterna, sia in termini di contenuti sia di periodicità dei flussi, al fine di potenziare la trasparenza gestionale e permettere a coloro che intervengono nei processi di finanziamento di affiancare l’azienda di modeste dimensioni nella scelta delle modalità e degli strumenti a supporto del