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di private equity ;

2.4 Trend e prospettive in Italia di private equity e LBO

Grazie al database di AIFI si può analizzare il mercato del

private

equity

in Italia negli ultimi anni. Svolgendo un’ampia analisi, che parte dai primi anni Novanta, si può vedere come non vi sia stato un vero e proprio bum di operazioni di LBO ma di come la crescita sia avvenuta in maniera molto costante dal 1995 in poi. A conferma di ciò basti vedere la figura 2.4.1.

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Si può notare come il numero di associati AIFI sia aumentato solo leggermente nella prima metà Novanta e abbia poi visto una brusca accelerata nella seconda metà, con particolare riferimento agli anni 1997 e 1998.

Va evidenziato come tale incremento riguarda sia il numero sia il valore delle operazioni di

buy-out

, come si può vedere in figura 2.4.2 tale crescita subì una temporanea contrazione a cavallo tra il 2001 e 2002 per causa del difficile periodo finanziario, che ha seguito gli attentati terroristici avvenuti negli Stati Uniti, per poi riprendere già nel secondo semestre del 2002.

Figura 2.4.2 Trend storico buy-out 1998-2003 (AIFI, 2003).

Analizzando meglio la figura si può vedere come il calo in questione riguardi specialmente il numero di operazioni effettuate mentre vada ad intaccare marginalmente il valore totale investito, tant’è che si può vedere come l’ammontare del 2001, seppur inferiore rispetto a quello del 2000 e del 2002 sia rimasto comunque superiore rispetto a quello del 1999.

Già da questo grafico si nota un boom del mercato italiano a cavallo tra il 2002 e il 2003, esso può essere parzialmente riconducibile alla modifica normativa avvenuta proprio nel 2003 con l’inserimento dell’art. 2501 bis c.c.. Tale articolo, come si vedrà nel corso di questo capitolo, ha definitivamente

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legittimato e ha permesso agli operatori di affrontare le operazioni di MLBO sicuri della liceità delle loro azioni.

Proseguendo con questa analisi è importante sottolineare che il mercato del

buy-out

non si è stabilizzato nel 2003, come era facile aspettarsi vista la nuova normativa, ma, come si può vedere in figura 2.4.4, subì un brusco calo già nel 2004 che venne però subito superato e portò, nei tre anni seguent,i a quello che finora ha rappresentato l’apice delle operazione di

buy-out,

nel 2007, con 3,3 miliardi di euro investiti.

Figura 2.4.4Trend storico buy-out 2003-2007 (AIFI, 2007).

Dal dettaglio dell’ultima figura si può ricavare qualche utile informazione. Paragonando il 2006 con il 2007, si può vedere come da un lato aumenti sensibilmente l’ammontare totale delle operazioni (colonna verde) mentre dall’altro vadano a diminuire il numero totale di operazioni effettuate, da 100 del 2006 a 87 del 2007 (colonna rossa). E’ facile intuire come il motivo di tale correlazione negativa sia dovuto al fatto che in quell’anno gli operatori del mercato decisero di effettuare operazioni di più grosse dimensioni (megadeal) rispetto a quelle del 2006, attestandosi ad un valore medio della singola operazione di poco inferiore ai 38 milioni di euro.

Può essere di aiuto, per confermare il trend appena descritto e il bum avvenuto nel 2007 nel campo del

buy-out

, ma comunque più generalmente

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nel settore del

private

equity

, la figura 2.4.5 che mostra l’evoluzione dell’attività di disinvestimento.

Figura 2.4.5Evoluzione dell’attività di disinvestimento 2003-2007 (AIFI, 2007).

L’ammontare descritto in figura è stato calcolato al costo di acquisto delle partecipazioni e si può vedere come nel 2007 abbia raggiunto il livello record di oltre 2,5 miliardi di euro, registrando un incremento, come indicato, di poco inferiore al 50% rispetto al solo 2006. Va però evidenziato che i valori non rappresentano i disinvestimenti effettuati nel solo campo dei

buy-out

ma vanno ad includere tutti i campi in cui operano i

privateequity

quali; • il

replacement

(10% del totale);

• l’

early stage

(16%); • il

buy-out

(23%);

• l’

expansion

(51%) (AIFI, 2007, pag. 56).

I dati fin qui inquadrati mostrano un generale, e più o meno costante, trend di crescita fino al 2007, ad eccezione di due-tre anni, non consecutivi, quali il 2001 e il 2004 che hanno rappresentato un calo dovuto a casi eccezionali e non alla nascita di un nuovo trend negativo.

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Dopo anni di grande crescita, infatti, il mercato del

private

equity

italiano ha avuto nel 2008 dati contrastanti, con un considerevole aumento del valore dell’attività di investimento in tutti i settori interessati dai

private

equity,

da un lato, al quale fa da contraltare una contrazione del 25% delle risorse complessivamente raccolte dagli operatori presenti in Italia dall’altro. Quest’ultimo dato ha rappresentato il primo campanello d’allarme della crisi economica finanziaria internazionale, che ha determinato un forte rallentamento dell’attività di investimento nel capitale di rischio.

La maggior parte delle risorse è stata impiegata, per l’appunto, nel settore del

buy-out

, al secondo posto si posiziona il settore del replacement, se invece si va a guardare il numero di operazioni svolte si può notare come il

maggior numero di investimenti sia da attribuire al segmento dell’

expansion

seguito a sua volta dal settore del

buy-out

Anche il segmento del disinvestimento ha visto la negativa influenza dei mercati finanziari, infatti, rispetto alla figura 2.4.5, si può individuare un triplice calo rispetto al 2007 dal punto di vista di società direttamente interessate, del numero di operazioni e dell’ammontare di capitale disinvestito (calcolato al costo di acquisto di partecipazioni), le risorse e il numero di disinvestimenti hanno registrato un decremento rispettivamente pari al 55% e al 13% (AIFI, 2008, pag. 51).

Se nel 2008 il mercato del

privateequity

ha visto solo una flebile flessione in alcuni dati si può tranquillamente affermare che esso abbia rappresentato solo la punta dell’iceberg, infatti fin dal 2009 si è registrato un dimezzamento dell’ammontare di euro investiti e una contrazione del numero di operazioni rispetto al 2008. Come da figura 2.4.6, si evidenzia che la diminuzione del numero di operazioni ha riguardato tanto le operazioni di large e mega deal quanto quelle di small e medium deal, con un calo dell’ammontare complessivamente investito superiore al 50% per entrambi i mega settori.

74 Figura 2.4.6 Evoluzione dell’ammontare investito per dimensione dell’operazione 2005-2009 (AIFI, 2009).

Va detto come ovviamente tali criticità abbiano riguardato non solo l’Italia, ma si siano rilevati a livello internazionale in molti Paesi Europei ed extraeuropei. Sempre rimanendo a dati riguardanti il 2009 si registra anche in Francia, Germania e Regno Unito una importante contrazione dell’ammontare investito rispetto al 2008 rispettivamente del 60%, 70% e 65%. Con la crisi si è vista anche la diminuzione dell’ammontare medio di una operazione passando dai 15 milioni di euro nel 2008 ai 9 del 2009, riduzione che viene confermata anche se si escludono i large e mega deal dei rispettivi anni con un ammontare medio di 9 milioni nel 2008 e 7 nel 2009. Si può affermare che, già dal 2009, la scarsa disponibilità di debito ha indotto gli operatori di

private

equity

a puntare nuovamente verso i fondamentali dell’economia tramite la creazione del valore da un punto di vista aziendale, con la realizzazione dei propri obiettivi attraverso lo sviluppo industriale piuttosto che tramite un uso esagerato della leva finanziaria. Il tutto ha portato gli investitori a puntare su imprese di piccole e medie dimensioni, ma sane e leader nel proprio settore di nicchia,

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determinando quindi una contrazione delle operazioni più grandi (Bechi A. e Muzio A., 2010, pag. 59).

Figura 2.4.7 Distribuzione % del numero di buy-out per classe dimensionale 2008-2010 (AIFI, 2010).

La figura 2.4.7 è utile per capire quanto appena espresso, infatti analizzandola meglio si può notare come sia in continuo aumento il numero di operazioni effettuate con un ammontare inferiore ai 15 milioni di euro. Nel giro di due anni, dal 2008 al 2010, la percentuale è ampliata passando dal 62% al 73% a discapito delle operazioni di medie dimensioni, con un ammontare, quindi, compreso tra i 15 e i 150 milioni (35% nel 2008 e 22% nel 2010). I mega deal, infine, hanno rappresentato il 5% del numero di investimenti realizzati, dato leggermente in aumento sia rispetto al 2008 che al 2009.

Nel 2010 l’attività di raccolta ha avuto una discreta ripresa, a favorirla è stata la costituzione il 18 marzo 2010 del Fondo Italiano d’Investimento2,

2

http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/documentiHp/Presentazione_Fond o_Italiano_di_Investimento_-_SGR.pdf

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tale andamento si può trovare anche andando a guardare il numero di investimenti effettuati e l’attività di disinvestimento.

La costituzione di questa nuova SGR di natura pubblica, sottoscritta dai principali istituti bancari e dalla Cassa Depositi e Prestiti, e promosso dal Ministero dell’Economia (Bechi a. e Muzio a., 2010, pag. 64), ha permesso di rilanciare il mercato del

privateequity,

e indirettamente dei

buy-out,

grazie ad una dotazione di un miliardo di euro. Secondo le linee guida del Governo tale fondo si è impegnato verso aziende in fase di sviluppo con fatturati compresi tra i 10 e i 100 milioni di euro, con una rete di imprese potenzialmente interessate da tale manovra pari a 15 mila, di cui oltre 10 mila appartenenti al mercato manifatturiero. Nei primi anni di vita del FII si sono registrati svariati investimenti diretti in aziende manifatturiere ed indiretti indirizzati, quindi, verso altre SGR.

I soci del Fondo sono 7 paritetici, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la ABI (Associazione Bancaria Italiana), la MPS (Monte dei Paschi di Siena), la CDP (Cassa Depositi e Prestiti), la Confindustria, la Intesa Sanpaolo e la Unicredit Group, ognuno dei quali possiede il 14,3% ed ha versato, alla costituzione della società, capitale per 500 mila euro per un totale di 3,5 milioni di euro. La durata complessiva del fondo prevista è di 5 anni per la fase di investimento più 1 anno di estensione, mentre è di 7 anni per la fase di disinvestimento, più due anni di possibile estensione (Dipartimento del Tesoro, 2010).

A conferma della rilevanza degli istituti bancari, principali sottoscrittori del FII, per il rilancio del settore, avvenuto nel 2010, si può analizzare la figura 2.4.8, la quale evidenzia come essi abbiano rappresentato la principale fonte di capitale, con il 41% del totale rispetto al 5% del 2009, anno in cui occupavano l’ottava posizione.

77 Figura 2.4.8 Evoluzione dell’origine dei capitali raccolti sul mercato per tipologia di fonte 2009-2010 (AIFI, 2010).

Da contraltare invece vi è stato un calo del peso sia degli investitori individuali che delle società di

privateequity.

tra il 2009 e il 2010 si è infatti passati dall’11% al 4% per i primi e dall’11% a neanche l’1% per i secondi. Se si sposta l’analisi verso gli investimenti avvenuti nel 2010 a livello generale, si può notare come essi siano risultati ancora in calo rispetto al 2009, nonostante il numero di operazioni sia stato leggermente superiore. Questo ha comportato che il taglio medio dell’ammontare investito per singola operazione sia sceso ulteriormente, arrivando fino agli 8 milioni di euro. Il segmento del

buy-out

è stato il principale con il 67% dei capitali complessivamente investiti, ma ha tuttavia visto un’ulteriore contrazione sia per numero di operazioni che per ammontare investito, con un calo rispettivamente del 22% e 2% (AIFI, 2010).

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2.5 Situazione attuale e prospettive

Gli ultimi dati disponibili da AIFI utili per analizzare la situazione attuale riguardano l’anno 2011, e sono stati presentati al Convegno Annuale a Milano il 19 marzo 2012 dall’attuale Direttore Generale di AIFI Anna Gervasoni.

A fine 2011 il numero di operatori attivi nell’attività di

private

equity

e

venture capital

è stato di 171, leggermente in calo rispetto al 2010, di questi 123 erano associati AIFI, mentre i rimanenti 48 erano rappresentati da “alcuni investitori e istituzioni finanziarie italiane che non rientrano nella compagine associativa di AIFI, nonché gli operatori internazionali che, pur non avendo un

advisor

stabile sul territorio italiano, hanno realizzato operazioni in imprese del nostro Paese nel corso dell’anno” (AIFI, 2011, pag. 9).

Figura 2.5.1 Evoluzione degli operatori attivi nei diversi segmenti di mercato 2010-2011 (AIFI, 2011).

Dalla figura 2.5.1 si può notare come il segmento di investimento con il maggior numero di operatori attivi sia quello dell’

expansion

con 48

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operatori, mentre il

buy-out

è al secondo posto con 40 operatori. Va evidenziato però come tale segmento di mercato abbia visto un leggero incremento, visto che nel 2010 gli operatori attivi erano 35. Ritornando in ottica generale, è importante mettere in risalto che al 31.12.2011 il numero di investimenti attivi in Italia, e quindi non ancora disinvestiti, è di 1.304 e che il numero di società interessate sono 1.136, per un ammontare di valore totale di poco superiore ai 20 miliardi di euro, pari a più del 10% del PIL dell’Italia, mentre l’ammontare già disponibile e non ancora investito risultava pari a quasi 6 miliardi di euro (Figura 2.5.2).

Figura 2.5.2 Portafoglio degli operatori al 31 dicembre 2011 (AIFI, 2011).

Le risorse raccolte nel corso del 2011 sono state di molto inferiori rispetto al 2010, anno caratterizzato da una buona raccolta grazie all’avvio del già citato Fondo d’Investimenti Italiano, il quale ha permesso di reperire oltre 600 milioni di euro aggiuntivi posizionando l’asticella agli oltre 2 miliardi di euro raccolti.

Il calo nel 2011 è stato del 52% a conferma della grande incertezza degli operatori italiani ed internazionali e della incessante crisi di liquidità che ormai è una presenza fissa in tutti i settori dell’economia.

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Dalla figura 2.5.3 si può vedere come i capitali reperiti nel corso del 2011

dovrebbero essere impiegati principalmente per operazioni di

expansion

(65%) mentre il segmento del

buy-out

si posiziona al secondo posto con il 15%.

Se si analizza più dettagliatamente la figura in questione si può vedere come nel periodo messo in evidenza si possa trarre un trend preoccupante per le operazioni di

buy-out

. Infatti la percentuale di risorse raccolte nel corso degli ultimi 5 anni e destinate al settore dell’

expansion

sono passate da un 38% del totale nel 2007 al 65% dell’ultimo anno, al contrario le risorse

raccolte per essere impiegate nel

buy-out

erano molto più ingenti nel 2007,

con oltre il 50%, mentre nel 2011 solo il 15% di esse sono state destinate a questo genere di operazioni. Questo dato può essere un utile indicatore sul fatto che in futuro sempre meno risorse potrebbero essere destinate a tali operazioni.

Figura 2.5.3 Distribuzione della raccolta per tipologia di investimento target 2007-2011 (AIFI, 2011).

Se da un lato il 2011 ha visto un calo delle risorse complessivamente raccolte dagli operatori presenti in Italia, dall’altro ha registrato una

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crescita del 46% di nuove risorse impiegate nel mercato con quasi 2,5 miliardi di euro di valore. Una spiegazione a questa asimmetria può essere sicuramente rappresentata dal fatto che le risorse raccolte nel 2010 non siano state tutte effettivamente impiegate nel corso di quell’anno ma, anzi, per la grande maggioranza entrino a far parte degli investimenti attivati nel 2011.

Dalla figura 2.5.4 si può vedere come il settore principale verso il quale si muove la maggioranza del capitale sia quello del

buy-out

con oltre 2,2 miliardi di euro, si ha poi il settore dell’

expansion

con poco più di 600 milioni e infine quello del

replacement

a cui sono stati destinati 550 milioni di euro.

Figura 2.5.4 Distribuzione degli investimenti 2011 per tipologia (AIFI, 2011).

Da questa figura è possibile estrapolare un altro dato abbastanza rilevante, infatti si può notare che il numero di operazioni di

buy-out

non è particolarmente elevato ma, anzi, vi sono più operazioni sia nel settore dell’

expansion

che in quello dell’

early stage

, questo comporta che la

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dimensione media dei

buy-out

è sicuramente maggiore degli altri segmenti

dello stesso anno ed in aumento rispetto al numero registrato nel 2010. A tale proposito si segnalano tre operazioni di notevole valore avvenute nel primo semestre del 2011, e che hanno sicuramente influenzato i dati appena analizzati:

• Rete Rinnovabile (RTR) effettuata da Terra Firma CP per un

Enterprise

Value

pari a 641 milioni di euro;

• SNAI acquistata da Palladio e Investindustrial per 650 milioni;

• COIN Group acquisita da BC Partners per un valore di 1,3 miliardi di euro (Conca V., 2011, pag. 36).

Va evidenziato come quest’ultima operazione sia stata un

secondary

buy-

out

, le cui trattative sono iniziate a fine 2010 e hanno visto la loro conclusione solo nel giugno 2011, tale operazione rappresenta il

buy-out

di più grandi dimensioni degli ultimi due anni.

Anche per queste tre grosse operazioni si è registrato un calo degli investimenti realizzati con un impegno di risorse inferiore ai 15 milioni di euro del 6%, a questo calo ha fatto da contraltare un identico aumento del 6% del peso delle operazioni di ammontare compreso tra i 15 e i 150 milioni di euro. E’ infine rimasto invariato il peso delle operazioni aventi ad oggetto investimenti realizzati in operazioni di mega deal superiori, quindi, ai 150 milioni di euro.

Da quanto emerso in questo paragrafo risulta molto difficile esprimere un parere sul futuro del mercato del

private

equity,

e nello specifico sul segmento del

buy-out

, infatti si è già sottolineato come nel 2011 sia stato registrato, a livello generale, un calo di risorse raccolte dagli operatori e, contestualmente, un aumento del numero di operazioni e dell’ammontare impegnato in tali operazioni. A conferma di questo trend altalenante e della difficoltà di esprimere previsioni sul futuro basti guardare la figura 2.5.5 che rappresenta l’andamento scostante dei capitali raccolti negli ultimi quattro anni.

83 Figura 2.5.5 Evoluzione dei capitali raccolti Euro/Mln 2007-2011 (AIFI, 2011).

Se invece si prova ad esprimere un giudizio più specifico verso il segmento del

buy-out

si è già messo in evidenza, grazie alla figura 2.5.3, che le risorse raccolte negli ultimi anni sono destinate in maniera minore a operazioni di

buy-out

, a favore del segmento dell’

expansion

.

Si può quindi affermare che il mercato, seppur in forte difficoltà, lascia comunque intravedere vari campi e settori molto interessanti e di potenziale sviluppo. Essendo le aziende in questione di piccole dimensioni e molto specializzate nella produzione del loro prodotto va da se che, come già detto in precedenza, tali operazioni siano interessate ed effettuate principalmente da operatori nazionali. Infatti si ribadisce che essi hanno maggiormente la possibilità di cogliere quelle opportunità di business originate da operazioni di piccole dimensioni ma dalla forte possibilità di crescita con imprese nuove e che puntano tutto sull’innovazione.

Si può comunque osservare che in Italia la maggior parte dei LBO di successo possono essere riferiti a operazioni aventi ad oggetti imprese operanti in mercati già maturi, con bassa crescita, alta competitività e con linee di prodotti piuttosto semplici, così da poter effettuare buoni flussi di

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cassa. Si vedrà nel capitolo successivo che le società

target

ideali devono, solitamente, proporre una struttura patrimoniale solida con molte immobilizzazioni materiali ed immateriali e che presentino crediti commerciali facili da riscuotere, tale struttura deve essere accompagnata dalla capacità di generare flussi di cassa abbondanti e costanti. Questa situazione è tipica di quelle aziende già mature appena descritte e che possono, quindi, più interessare i fondi di

privateequity

, spesso stranieri, in grado di svolgere operazioni di grosse dimensioni (Gervasoni A. e Sattin F., 2008).

2.6 Suddivisione delle risorse e distribuzione geografica delle aziende