Felice Barnabei, che si era sempre dichiarato contrario al museo del Celio
160 V. Curzi, Per una storia dei musei di Roma: il dibattito sui musei archeologici e l'istituzione
e con la sua riconosciuta autorità all'interno della Direzione Generale delle Antichità e di di aveva fatto la sua parte per convincere il nuovo ministro a non supportare tale progetto con tutti gli svantaggi che avrebbe portato per la gestione statale dei beni archeologici, propose al Boselli di trovare una nuova sistemazione per il materiale archeologico ammassato nei magazzini della capitale adattando a museo le strutture delle Terme di Diocleziano, che da tempo già custodivano reperti antichi, nonostante la profonda trascuratezza nella quale versava il monumento161. Nel 1880 il Ministero della Guerra richiese i locali del Museo
Tiberino all'orto botanico della Lungara per instaurarvi un collegio militare e così gran parte della collezione là conservata fu spostata all'interno delle terme di Diocleziano, l'intero complesso era piuttosto trascurato fungeva da magazzino provvisorio per le antichità romane per una parte, mentre la restante era occupata dalla certosa fin dal sedicesimo secolo, le rimanenti parti del complesso quando non in stato di eccessivo degrado era stata sfruttata per allestire botteghe o depositi, con ovvie conseguenze negative sull'integrità del monumento.
Allestire un museo archeologico all'interno delle terme di Diocleziano, oltre al risolvere il problema della sistemazione dei reperti (che continuavano ad affluirvi in gran quantità trovandovi sistemazione provvisoria) avrebbe garantito la possibilità di effettuare restauri al fine di conservare l'intero complesso e renderlo fruibile da un punto di vista archeologico. Le voci più autorevoli nel campo dell'archeologia italiana, da Felice Barnabei a Pietro Rosa supportavano l'idea di un museo alle terme, il piano fu accolto con favore anche dal direttore generale delle antichità e belle arti Giuseppe Fiorelli, che affidò il progetto a Pietro e Salvatore Rosa162.
Secondo il progetto elaborato dai Rosa163, che comprendeva sia un
161 D. Bernini, Origini del sistema museale dello stato a Roma, in “Bollettino d'Arte”, allegato al numero 99, gennaio marzo 1997, p. 32.
162 V. Curzi, Per una storia dei musei di Roma: il dibattito sui musei archeologici e l'istituzione
del Museo Nazionale Romano, in “Ricerche di Storia dell'Arte” n. 66, 1998, p. 52.
163 P. Rosa, Progetto di adattamento a Museo dei locali dell'ex convento della Certosa e delle
Terme di Diocleziano, Roma 27 Agosto 1880 Archivio A.C.S. AA.BB.AA., II Versamento I serie, B. 234, f. 4005-4004. Sull'architetto Pietro Rosa si veda M. Barnabei, F. Delpino (a cura
recupero architettonico che un piano per l'allestimento museale, la struttura avrebbe dovuto ospitare opere d'arte sia antica che moderna. La parte antica sarebbe stata divisa in tre sezioni principali: greca, etrusca e romana divise a loro volta geograficamente e ordinate cronologicamente. Il frigidarium per le sue ampie dimensioni avrebbe ospitato la gipsoteca e una biblioteca archeologica. Il conflitto tra stato e comune riguardo la musealizzazione delle antichità romane purtroppo generò ancora una volta uno stallo, lo stato non riuscì ad acquisire i locali delle terme, il progetto dei Rosa fu abbandonato e solo sette anni dopo si giunse a un nuovo accordo.
Questa volta ad occuparsi della fu chiamato l'architetto del Vittoriano Giuseppe Sacconi. Intanto le terme avevano accolto ulteriori reperti, nel 1882 le raccolte del Museo del Palatino e tutti i reperti immessi nel Museo Kircheriano dopo il 1870, l'anno seguente vi fu conferita l'intera collezione del Museo Tiberino164.
Anche se a carattere provvisorio, dal 1884 il museo delle terme di Diocleziano veniva percepito come un museo e come tale figura nei documenti dell'epoca nella quale era diretto da Ettore De Ruggiero già direttore del Kircheriano, che infatti favoriva il trasferimento della parte archeologica delle collezioni della datata Wunderkammer, che andava ormai verso un inesorabile destino di smembramento, nella nuova sede. Una volta che a Felice Barnabei, nel 1895, fu affidata la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, questi lavorò alacremente per la realizzazione definitiva del Museo delle Terme di Diocleziano, quando nel 1888 il Genio Civile segnalò la Villa Giulia come possibile struttura per ospitare la galleria nazionale di arte moderna Felice Barnabei fece valere la sua autorità al ministero per utilizzare i locali della seicentesca villa di Giulio III per esporre i pezzi rinvenuti nelle recenti indagini archeologiche svolte nell'agro falisco in seguito alle ricognizioni effettuate per la realizzazione della Carta Archeologica d'Italia. In questo modo cominciò l'utilizzo della Villa Giulia come museo archeologico, che il 7 febbraio del 1889 verrà configurata dal Ministro
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Boselli come sezione del Museo Nazionale Romano per i reperti extraurbani. Dopo anni di sforzi condotti in primis da Felice Barnabei tramite il Regio Decreto del 7 febbraio 1889 n. 5958 fu istituito a Roma un Museo Nazionale165. Il
nuovo museo avrebbe esposto le collezioni già possedute dallo stato, così come quelle che si sarebbero venute a creare con scavi e acquisizioni, era prevista inoltre la sottrazione di pezzi dalle collezioni kirchneriane qualora questi avessero trovato maggiore compatibilità con i nuovi allestimenti, nella sezione locata nelle terme di Diocleziano sarebbero state ospitate le antichità urbane e in quella di Villa Giulia quelle extraurbane.
Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. Il chiostro grande nel 1899.
L'esigenza di due sedi distinte era dovuta al fatto che nessuna delle strutture preesistenti avrebbe avuto la capacità di contenere le collezioni complessive e la creazione di una struttura ex novo che pure era stata progettata dal punto di vista espositivo da Rodolfo Lanciani e che sarebbe stata ospitata dal contenitore
165 V. Curzi, Per una storia dei Musei di Roma,il dibattito sui musei archeologici e l'istituzione
progettato da Costantino Sneider era purtroppo irrealizzabile a causa delle ristrettezze finanziarie dello stato. Lo stato non fu dunque capace di creare una struttura apposita per l'esposizione delle collezioni che dovettero assumere ancora una volta una forma per così dire liquida in modo da adattarsi a contenitori preesistenti, era inoltre convinzione diffusa all'epoca che edifici di una certa antichità notevoli dal punto di vista artistico avessero una naturale vocazione museale, come fossero una sorta di museo nel museo.
Museo Nazionale di Villa Giulia. Giardino interno nel 1912.
La soluzione con la quale nel 1889 Felice Barnabei adibì le Terme di Diocleziano a museo aveva il pregio di recuperare un edificio nel quale si respirava intensamente l'aria dei secoli di Roma ed elevarlo a santuario della storia romana, ma tutto il complesso delle terme versava in condizioni compromesse dall'abbandono, dalla trascuratezza e da utilizzi inadeguati, solo nel 1907 si poterono cominciare gli sterri diretti da Rodolfo Lanciani con il fine di liberare dalla terra e dalle macerie le strutture conferendogli l'aspetto che sostanzialmente hanno attualmente. L'altra sezione del Museo Nazionale Romano, dedicata alle antichità provenienti dai dintorni dell'Urbe, aveva trovato posto nelle sale della
Villa Giulia, dove ebbe uno sviluppo separato fino a divenire un'entità praticamente autonoma che andava connotandosi sempre più specificatamente come etruscologica. Il museo di Villa Giulia inoltre nascendo da un'esposizione di reperti relativi a campagne di scavo pianificate in territori determinati ebbe la possibilità di essere proposto con caratteristiche espositive moderne, che mettevano in primo piano la coerenza tra i materiali esposti in base contesto di ritrovamento e la divisione per fasi cronologiche, valutando qualitativamente gli oggetti in base alle informazioni archeologiche veicolate da essi e non in base al prestigio guadagnato in fasi di riutilizzo museali o collezionistiche.
Entrambe le sezioni accrescevano la quantità dei pezzi a loro disposizione, grazie anche alle grandi acquisizioni da parte dello stato, che nel 1892 aveva chiuso la trattativa guidata dal Ministro Villari con la principessa Anna Maria Torlonia per l'acquisto della galleria della ricca famiglia romana, della quale il duca Giovanni Torlonia aveva stabilito con disposizioni testamentarie l'indivisiblità e il libero accesso da parte del pubblico affinché questa portasse lustro a Roma. Pochi anni dopo nel 1896 parte di un'altra grande collezione romana passò in mani statali, la Galleria Sciarra la quale si trovava sottoposta a vincolo fidecommissario affidato al principe Maffeo Barberini Colonna di Sciarra, il quale era stato più volte processato per traffico illegale di opere d'arte a scopo di lucro e anche condannato, ma sempre amnistiato. Fu raggiunto un accordo dal Ministro Gianturco che prevedeva la cessione allo stato di quindici opere scelte tra le più rappresentative della collezione (dieci dipinti e cinque sculture) mentre la restante parte sarebbe rimasta sotto la responsabilità del principe Colonna di Sciarra. L'accordo poté sembrare favorevole in un primo momento dato che non presentava alcun onere per lo stato, ma risultò nella completa dispersione della collezione, venduta dal suo proprietario. L'evento si risolse con l'impegno da parte dello stato di sciogliere i vincoli fidecommissari delle varie collezioni attraverso l'acquisto, nel 1901 fu acquisita la collezione Boncompagni-Ludovisi, pagata dallo stato ben 1.400.000 lire e ottenuta con l'obbligo dell'indivisibilità, ad eccezione del gruppo berniniano del Ratto di Proserpina che fu collocato insieme ad altre opere del Bernini nella galleria Borghese acquisita anch'essa lo stesso
anno al prezzo di 3.600.000 lire.
Per motivi di necessità materiale le due sezioni del museo si erano conformate come due entità museali separate e così sarebbero restate nonostante la loro sistemazione fosse stata pensata come provvisoria, il progetto di riunire in un solo grande complesso creato appositamente per ospitare tre musei nazionali volti a fornire una visione complessiva della città eterna, ovvero il museo archeologico, quello preistorico-etnografico e quello del Rinascimento, rimase un sogno incompiuto nella mente di chi aveva tanto lavorato per dotare Roma dei musei di cui era degna una capitale, in particolare Rodolfo Lanciani.
A partire dal 1898 gli scavi del Foro Romano condotti da Giacomo Boni produssero una gran quantità di reperti che vennero raccolti in un antiquarium nel chiostro dell'ex convento di Santa Francesca Romana, nella prima sala furono collocati i reperti funerari e nella sala successiva gli oggetti provenienti alcune tombe infantili relative al periodo dal VIII al VII secolo a.C.. La terza sala ospitava i materiali rinvenuti negli scavi del Tempio di Vesta, la quarta ed ultima sala raccoglieva invece frammenti ceramici provenienti dagli edifici relativi alle fasi più antiche del Foro. provenienti dai più antichi edifici del Foro.
Il Museo Kircheriano intanto, essendo mutate radicalmente le esigenze dello stato nell'ambito dei musei e della loro proposizione al pubblico cessava lentamente di esistere attraverso un logorante smembramento. Nell'edificio del Collegio Romano il Museo Kircheriano conviveva con il Museo preistorico inaugurato nel 1876, ma ben presto la convivenza dei due istituti non fu più possibile. I due musei si limitavano a vicenda e Luigi Pigorini, che lavorava egregiamente per l'ampliamento del museo da lui diretto, chiedeva che l'intero edificio fosse dedicato a una sola istituzione museale. Il Regio Decreto del 7 febbraio 1889 n, 5958 all'articolo 7 stabiliva la possibilità di prelevare reperti del Kircheriano per le collezioni del Museo Nazionale Romano e per il Museo Preistorico, mentre gli oggetti medievali finirono prima nel museo del Castel Sant'Angelo e inseguito nel museo di Palazzo Venezia.
Questi sono gli eventi relativi la creazione della rete museale per le antichità romane nella capitale, accanto a questa nello stesso cinquantennio
nacquero musei del rinascimento, gallerie e pinacoteche. I musei Romani, principalmente quelli archeologici assunsero la funzione di strumenti di autorappresentazione nazionale, in particolare per il loro rapporto di contatto tra la storia e la sua evidenza materiale, in particolare per quanto riguardante il problema delle origini, così simbolicamente rilevante per la nuova coscienza nazionale.
Ordinare, classificare e presentare al pubblico i reperti archeologici nei musei era un passo necessario per lo studio e la divulgazione dei tratti caratteristici dei diversi popoli e culture d'Italia delle quali si sarebbero dovuti identificare e valorizzare quei caratteri comuni che avrebbero cementato l'unità culturale della nazione. Il lungo arco di tempo impiegato per la creazione della rete museale romana è da imputarsi da un lato alle difficoltà economiche del governo, dall'altro alla sua incapacità nel mettere mano alle indispensabili politiche culturali, uno sforzo sostenuto da poche personalità di altissimo livello culturale che nell'impegno di dotare la Roma di un sistema museale adeguato ad una capitale europea purtroppo si dovettero scontrare con un sistema burocratico e legale vecchio e inadeguato per la città che più di tutte presentava un legame così intimo con l'archeologia. Tuttavia dopo un quarantennio di sforzi fu possibile dotare Roma di un complesso museale inteso non come spettacolo o esibizione, ma come strumento didattico e culturale capace di coprire l'intero arco storico della città e dell'Italia intera che si rivolgesse all'intera nazione come bandiera materialmente concreta di un'unità morale, intellettuale e materiale della quale i re sabaudi si proclamavano restauratori.