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Il progetto di Guido Baccelli per un parco archeologico nel cuore di Roma

Durante il suo secondo e terzo dicastero Baccelli realizzò il piano per un grande progetto di valorizzazione urbanistica che ponesse in luce i monumenti antichi di Roma, tra il 1882 e il 1884 il ministro aveva promosso un' importante campagna di scavi e di risistemazione dei fori nell'ambito del quale nel 1882 venne riportata alla luce da Rodolfo Lanciani la casa delle vestali. Verso la metà degli anni Ottanta si iniziò la realizzazione del progetto di Baccelli per un riassetto urbanistico che prediligesse la valorizzazione del patrimonio artistico e archeologico dell'area dal grande significato simbolico tra il Foro Romano, il Palatino e il Colosseo169. Le necessità pratiche della città che all'improvviso si era

169 P. Ciancio Rossetto, La passeggiata archeologica, in Archeologia in Roma capitale tra

trovata a sostenere il peso dell'essere la capitale di uno stato moderno avevano generato un periodo di edilizia selvaggia che minava pesantemente la salvaguardia di una delle aree più dense dal punto di vista archeologico del mondo.

Già dal 1881 era stata istituita una commissione ministeriale alla cui guida Baccelli aveva posto Giuseppe Fiorelli, dopo sei anni dalla sua istituzione la commissione presentò al ministro un “piano per la sistemazione della zona monumentale riservata di Roma”, il piano venne configurato come legge n.47030 del 14 luglio 1887. Nella relazione tenuta alla Camera dei Deputati il 20 giugno 1887 Baccelli illustrava le motivazioni per le quali si sosteneva tanto caldamente la realizzazione di un parco archeologico monumentale nel cuore di Roma, indicato come un progetto non solo storico e didattico ma anche volto alla salute di Roma e all'educazione ideologica del popolo Italiano170. Nel discorso del

ministro emerge con preponderanza il concetto per il quale la valorizzazione della città di Roma non fosse solo tema caro agli storici o agli archeologi e nemmeno ai soli abitanti della città, ma di tutti gli italiani, che venivano definiti, indipendentemente dal luogo di nascita, cittadini di Roma. Guido Baccelli teneva la sua orazione alla Camera descrivendo il valore morale dei monumenti romani, che sebbene muti parlavano “il linguaggio della virtù, del sacrificio, del bello,

della magnanimità”, per il ministro il recupero materiale della Roma antica era

anche dunque un recupero morale che sarebbe dovuto essere quantomai forte e celere anche per mettere a tacere le voci che da tutta Europa si levavano contro la

“distruzione di Roma”.

Vignetta dal numero del 21 novembre 1886 della rivista satirico-letteraria “Capitan Fracassa”. L'accordo tra Ruggero Bonghi e Guido Baccelli per la realizzazione dell'area monumentale nella capitale è suggellato con una rappresentazione dei due a bordo di una quadriga in un frammento epigrafico.

Il parco avrebbe dovuto includere al suo interno un'area vastissima comprendente il Foro Romano, il Colosseo, le Terme di Traiano, il Foro Boario, il Circo massimo, le terme di Caracalla e la via Appia fino alle mura Aureliane, lo strumento legale dell'esproprio ai fini di pubblica utilità avrebbe dovuto garantire sia al Comune di Roma che al Ministero della Pubblica Istruzione la possibilità di esercitare un diretto controllo sulle aree interessate dal parco. I lavori si sarebbero dovuti concludere nell'arco di un decennio sotto il controllo di una commissione presieduta ancora da Fiorelli e composta da esponenti sia del ministero, tra i quali lo stesso Guido Baccelli, Ruggiero Bonghi e Felice Barnabei, che del comune, tra i quali Rodolfo Lanciani e Giovanni Battista De Rossi. Alla morte di Fiorelli la Commissione venne presieduta da Giacomo Boni e dal 1910 da Rodolfo Lanciani.

anni, principalmente a causa della carenza di fondi. Il progetto della passeggiata archeologica era una compensazione rispetto alla distruzione di Roma dovuta alla grande opera edilizia di quegli anni, ma presentava diversi caratteri moderni, era una novità l'individuazione di un'area protetta in un ambito urbano nella quale il valore paesaggistico e storico era conferito dalla presenza di materiale archeologico tutelato in quanto tale.

Già al tempo della dominazione napoleonica di Roma era stato stilato un progetto simile ad opera del Tournon, denominato Jardin du Capitole. Larghi viali in stile parigino avrebbero cinto in giardino che dalla sponda del Tevere nei pressi della Bocca della Verità si sarebbe esteso comprendendo al suo interno i templi di Vesta e della Fortuna Virile e l'arco di Giano, per passare poi tra il Circo Massimo e il Palatino per cingere la Roma Quadrata inglobando poi il Colosseo e l'arco di Costantino e costeggiando gli scavi dei fori. Il clima culturale neoclassico nel quale l'Impero napoleonico fondava la sua stessa esistenza sulla tradizione romana, ispirato era ben favorevole alla valorizzazione delle vestigia antiche di quella che Napoleone stesso aveva dichiarato seconda città dell'impero e nel 1811 fu istituita una commissione che avrebbe dovuto occuparsi degli abbellimenti e dei restauri della capitale e tra l'altro della realizzazione de Jardin du Capitole, il progetto non fu mai realizzato a causa della fine del dominio francese nel 1814171.

L'opera che si desiderava realizzare alla fine degli anni 80 del secolo XIX era altrettanto ambiziosa: dal carcere Mamertino ai piedi del Campidoglio il parco si sarebbe protratto fino all'Esquilino tra i resti delle terme di Tito e della Domus Aurea, spingendosi quasi fino al Colosseo per poi dirigersi verso le mura nei pressi del Laterano e tornare indietro fino al Campidoglio tra i templi di Vesta e della Fortuna Virile. Nell'idea supportata con forza dal ministro Bonghi il parco si sarebbe dovuto estendere notevolmente per comprendere anche i Fori Imperiali fino alla Colonna Traiana.

Questa modifica al tracciato del parco sarebbe stata un'estensione di chiaro valore politico, dato che in quell'area in quegli anni si stava edificando il

Vittoriano, che come monumento all'unificazione della patria avrebbe concluso, con i suoi richiami neoclassici, esteticamente e ideologicamente una passeggiata in un giardino nel quale tra arbusti ornamentali e fontane si sarebbero potute ammirare in un ottica più romantica che scientifica le vestigia della Roma dei Cesari della quale Vittorio Emanuele II sarebbe stato l'ideale restauratore. Il monumento al Risorgimento sarebbe stato l'anello materiale che avrebbe congiunto i monumenti dell'antica Roma calpestata dai secoli alle fabbriche della nuova Roma capitale del Regno d'Italia. Il progetto ebbe un'eco positiva negli ambienti archeologici italiani, parole di puro entusiasmo furono spese da Gherardo Ghirardini nel suo discorso sull'archeologia nei primi cinquant'anni della nuova Italia letto il 14 ottobre del 1911 alla quinta riunione della Società italiana per il progresso delle scienze. Sul finire del discorso soffermandosi sulle recenti scoperte avvenute nell'urbe Ghirardini poneva l'accento di come l'antica Roma rivivesse in quella nuova di Vittorio Emanuele attraverso le stesse pietre e gli stessi marmi riportati alla luce, come documenti di una storia riportata in vita che ognuno potesse vedere coi propri occhi e toccare con la propria mano. Immaginando di sollevare lo sguardo dalle rovine del foro verso il campidoglio Ghiradini descrive la visione del Vittoriano che, sorgendo sull'augusta arce capitolina irta sulle le rovine della Roma dei cesari avrebbe perpetuato nei secoli futuri “il ricordo dell'auspicata resurrezione dell'Italia e del primo suo re

liberatore, […] testimonianza magnifica del felice risveglio che col ricomporsi della nazione ebbe il culto dell'arte classica”172 definendo la glorificazione e la

valorizzazione dell'antica Roma, nelle sue forme e nelle sue idee come il migliore auspicio per il primo cinquantennio dell'unità d'Italia.

I lavori per la passeggiata archeologica romana progettata dal Baccelli cominciarono solo Nel marzo 1909, ma prontamente si levò lo scontento. Il progetto originale era stato ridotto e snaturato, l'idea del grande parco visitabile nel quale osservare con occhio storico e anche un po' sentimentale il passato di Roma era sfumato in favore di un grande viale rettilineo dal quale si ramificavano

rami minori, distribuito geometricamente e intervallati da piazze.

Giacomo Boni si era dimesso dalla commissione a causa di divergenze riguardo la poco approfondita indagine archeologica che accompagnava la realizzazione della passeggiata, che infatti alla chiusura dei lavori nel 1917 si configurava più come un'opera che sì era volta alla valorizzazione del patrimonio urbano, ma più in un'ottica di rappresentazione nazionale che di ricerca storica. Già nel 1910 Alfonso Bartoli lamentava come venissero condotti i lavori con l'interesse volto a creare una immagine bella e idealizzata della capitale nel cuore di se stessa trascurando la conservazione e l'indagine delle memorie storiche invocando addirittura la sospensione dei lavori173. Alla chiusura dei lavori anche

Lanciani pur celebrando la realizzazione del progetto si lamentava dei limiti posti dal governo nelle diverse legislature a un' approfondita indagine archeologica e dei limiti angusti entro i quali si era stati costretti a racchiudere l'area del parco174.

Guido Baccelli e l'area archeologica del Foro Romano in una cartolina postale degli anni '80 del secolo XIX.

La realizzazione finale del parco assunse in definitiva un connotazione più ideologica che archeologica, con la presenza del Vittoriano che in quegli anni veniva edificato sulle pendici del Campidoglio che faceva sì che l'antichità Romana rediviva nel parco trovasse un punto di contatto con le architetture

173 A. Bartoli, La passeggiata archeologica, in “ Rassegna contemporanea”, 3.2, 1910 pp. 3-22. 174 R. Lanciani, La zona monumentale di Roma, 1916.

neoclassiche del monumento al Re. Il monumento a Vittorio Emanuele II era stato realizzato inoltre secondo un programma diverso dai diversi omaggi statuari o architettonici sorti in tutta Italia dopo la morte del sovrano, esso aveva infatti una vocazione “nazionale”, non era il monumento che Roma ergeva all'unificatore della patria, ma era il monumento che tutta l'Italia gli dedicava, non c'era dunque luogo più appropriato che l'area dove l'antica Roma con la sua carica simbolica era stata portata a dialogare con il Regno d'Italia. Le architetture non potevano che rifarsi a uno stile nazionale che, attraverso due concorsi partecipatissimi ancora una volta fu individuato nei temi architettonici dell'antica Roma del progetto di Sacconi175.

Quando nel novembre del 1921 nell'Altare della Patria fu tumulato il milite ignoto il processo di identificazione simbolica tra la Roma antica e quella sabauda era praticamente ultimato. Giulio Carlo Argan definiva il concetto di monumento come “unità plastica o architettonica che rappresenta l'autorità e i valori che è

chiamato a tradurre nella sua retorica”176 la trasmissione dei valori da parte del

monumento a Vittorio Emanuele II era pressoché totale, per estetica, per contesto, e per posizione. Il potere ideologico dell'arte ufficiale e del monumento, recitando una parte così importante nel simbolismo dell'immaginario che stava alla base dell'idea nazionale dei primi del secolo poneva un mattone fondamentale nel processo ideologico di formazione della nazione, accogliendo il cenotafio del milite ignoto. Tra le rovine di Roma antica l'anello di connessione materiale con la Roma vivente, che per metonimia rappresentava l'Italia intera, individuato nel monumento al re liberatore accoglieva le spoglie di un soldato senza nome, che aveva combattuto in quella che la cultura dell'epoca dipingeva come nella maggiore guerra del risorgimento. La sepoltura di un individuo che non poteva essere indicato con maggior precisione che come un milite italiano diveniva la tomba di un “parente” di tutti gli italiani, una figura legata in eguale misura a tutti i cittadini che non erano legati da altro tra loro177.

175 C. Brice, Il Vittoriano. Monumentalità pubblica e politica a Roma, Roma 2005. 176 G.C. Argan, L'europe des capitales, Ginevra 1964, p. 4.

CAPITOLO VI:

Patrimonio archeologico e identità