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Nelle regioni meridionali, dopo lo sbarco di Marsala del 1860, il Governo dittatoriale di Garibaldi nel tutelare il patrimonio artistico dell'ex stato borbonico non applicò bruschi capovolgimenti. La Commissione di Antichità e Belle Arti istituita nel 1827 era un organismo ormai rodato e discretamente efficiente, così il Governo dittatoriale Garibaldino su consiglio del segretario di stato per la Pubblica Istruzione Gregorio Ugdulena, orientalista siciliano di chiara fama che per le sue idee liberali fu confinato a Favignana dal governo borbonico, la rimise in funzione nominando nuovi membri91.

Grazie alla continuità e all'esperienza più che trentennale la commissione non ebbe problemi nel mettersi all'opera e si ramificò sul territorio siciliano con dodici sottocommissioni facenti capo a quella centrale palermitana

Tuttavia l'operato della commissione fu criticato aspramente dagli ambienti culturali siciliani, più per la composizione dei suoi membri che per la sua organizzazione. Nel Maggio del 1863 una riorganizzazione della commissione ne ridefinì i compiti sottolineandone quelli di natura prettamente archeologica e affidandole, oltre che il controllo su esportazione e restauro di oggetti d'arte e antichità, il controllo sugli scavi archeologici statali92.

La commissione veniva così riorganizzata: cinque membri di nomina regia sarebbero stati scelti tra studiosi di antichità e ed esperti d'arte locale, le direzioni della pinacoteca, del Museo di Palermo e delle Antichità sarebbero stati dipendenti dalla commissione. Per ramificare il controllo sul territorio regionale la

91 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, pp. 176-177.

92 R.D. Del 3 maggio 1863 n° 722 che approva il Regolamento della commissione di antichità e Belle Arti di Sicilia, vedi M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, pp. 177-179.

commissione si avvaleva di corrispondenti nominati dal ministero nei centri di maggiore interesse. Il compito dei corrispondenti non si limitava però ad assistere la Commissione palermitana nelle zone assegnateli, ma avrebbero dovuto fungere da veri e propri informatori addetti alla sorveglianza sul territorio, informando la Commissione in qualsiasi caso di cattiva conservazione o danneggiamento di monumenti e riguardo ogni scavo non autorizzato o esportazione di oggetti rilevanti. Qualora nell'esercizio dei loro compiti di tutela i Corrispondenti fossero incorsi in fatti tali da necessitare un intervento tempestivo avrebbero potuto rivolgersi direttamente ai prefetti della provincia senza attendere il parere della commissione. Al fine di ottenere un monitoraggio sistematico del patrimonio i Corrispondenti dovevano ispezionare almeno due volte all'anno i monumenti presenti nei territori di pertinenza e inviare una relazione alla Commissione nel capoluogo.

Il regolamento della Commissione del '63 si presentava come decisamente innovativo, in particolare per la parte riguardante l'organizzazione delle competenze territoriali per la formazione delle raccolte dei reperti rinvenuti nel corso degli scavi, non convogliando tutti i reperti dell'isola al museo di Palermo, ma ripartendoli in base al luogo di rinvenimento tra le istituzioni museali di Palermo, Catania, Messina, Siracusa,. Questo provvedimento si presenta di particolare interesse nel momento dell'unificazione quando il conflitto tra accentramento e decentramento in campo di ripartizione della cultura era un tema ancora non affrontato dal governo. Fu inoltre la prima commissione operante nel campo della salvaguardia storico-artistica di posizione periferica ad avvalersi di personale dipendente retribuito.

Dal 1864 la Commissione cominciò la pubblicazione di un proprio bollettino nel quale venivano pubblicate notizie e illustrazioni relative alle nuove scoperte archeologiche e la tutela dei monumenti storici siciliani. Come dichiarato nel primo numero del bollettino l'intento della pubblicazione era sia quello di divulgare notizie riguardo gli studi e le scoperte archeologiche in Sicilia che quello di rendere conto da parte da parte della commissione del proprio lavoro, ben inquadrato nella nuova ottica nazionale nella quale gli studi erano condotti in

nome “dell'interesse che risvegliano in tutti, Nazionali e Stranieri, i monumenti della nostra antica grandezza”. Di fatto i 15 anni di pubblicazioni del Bullettino

della Commissione di Belle Arti e Antichità in Sicilia sono una buona fonte per la

storia dell'archeologia siciliana negli anni successivi l'unificazione. Così come in Sicilia anche nei territori borbonici peninsulari il sistema di tutela fu rielaborato sulle strutture di quello preunitario. Luigi Carlo Farini in qualità di Luogotenente generale delle provincie napoletane tentò di semplificare l'apparato istituzionale borbonico eliminandone le ridondanze e i passi di difficile interpretazione che erano spesso causa di conflitti di competenze con conseguente inerzia. In virtù di ciò nel campo della tutela fu emanato un decreto luogotenenziale con il quale il 7 dicembre del 1870 si aboliva la Commissione di Antichità e Belle Arti istituita nel 1822 trasferendone tutte le funzioni al Consiglio di Soprintendenza degli scavi del

Museo Nazionale istituito sotto il governo napoleonico di Gioacchino Murat.

Questo organismo, potenziato diveniva il più importate strumento amministrativo nel campo dei beni culturali nel meridione, con compiti specificatamente archeologici relativi l'organizzazione degli scavi, valutazione dei reperti ed eventuali proposte di acquisizione da parte dei musei, concessioni per l'esportazione di oggetti d'arte o antichità, e la sorveglianza sullo stato di conservazione dei monumenti storici. Tuttavia tutte le leggi borboniche successive al 1822, spesso confuse e contraddittorie, furono riconfermate con tutti i problemi pratici che ne conseguirono, tanto che nella sua relazione al ministro della pubblica istruzione Michele Amari nel 1864 Giuseppe Fiorelli, in qualità di Sovrintendente Generale e Direttore del Museo di Napoli, lamentava la mancata revisione dell'apparato legislativo in materia di beni culturali attribuendo a questo le difficoltà operative della soprintendenza.

Nel 1863 in Calabria fu istituita su mozione del consiglio provinciale di Catanzaro una Commissione di Antichità e Belle Arti della Calabria ulteriore dipendente dall'Accademia di Scienze e Lettere, con compiti di salvaguardia e tutela all'interno della provincia, lavoro per il quale era tenuta a rendere una

relazione annuale93.

Negli anni successivi il periodo di transizione, con la fine dei governi provvisori e la graduale unità politica le competenze relative ai beni culturali che si trovavano disperse tra i vari ministeri furono progressivamente accentrate nel Ministero della Pubblica Istruzione, il processo fu naturale non solo per la logica attribuzione del campo della tutela e conservazione a quello dell'istruzione (e quindi anche della formazione delle figure professionali che se ne sarebbero dovute occupare) ma anche per il legame che si era formato un po' in tutta Italia, ma specialmente al nord, tra i meccanismi di tutela e gli istituti di istruzione superiore.

Tuttavia il controllo sui monumenti architettonici rimaneva ancora di competenza del Ministero degli Interni, il cui rapporto con il ministero della Pubblica istruzione fu molto variabile a seconda delle idee dei vari ministri che si succedettero. Nel 1863 fu nominato ministro della Pubblica Istruzione lo storico e orientalista palermitano Michele Amari il quale considerava la tutela dei monumenti antichi nella accezione più vasta come strettamente pertinente al suo ministero, la sua politica ottenne di trasferire il fondo di 109.000 lire destinato alla conservazione dei monumenti antichi dal bilancio del Ministero degli Interni a quello della Pubblica Istruzione con la denominazione di “spese diverse per le belle arti”94. La tendenza del Ministro Amari a riconoscere l'autorità del ministero

della Pubblica Istruzione sulla tutela delle antichità a livello nazionale risaltò ulteriormente quando in risposta alla legge Comunale e Provinciale del 20 marzo 1865 che all'art. 172 stabiliva che le provincie dovessero provvedere alla conservazione dei monumenti e degli archivi nel proprio territorio, inviò una lettera al Ministero degli Interni nella quale rivendicava la propria competenza sui monumenti antichi che per importanza esulavano dall'ambito territoriale e dunque dall'amministrazione provinciale. A causa dell'assenza di un apparato tecnico per la salvaguardia strutturale dei monumenti antichi il Ministero della Pubblica

93 Vedi Annuario della istruzione pubblica per l'anno 1865-1866, Firenze 1866, p.758 e M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, p. 129.

Istruzione si sarebbe comunque servito del supporto delle strutture periferiche del Ministero dei Lavori Pubblici e degli uffici provinciali del Genio Civile.