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Il Regno di Sardegna, lo stato che annettendo a se le altre entità territoriali della penisola dette luogo all'unità d'Italia, presentava un apparato legislativo assolutamente inadeguato alla gestione del proprio patrimonio artistico e archeologico che ovviamente non si sarebbe potuto adattare all'intera nazione, lo stato sabaudo era addirittura privo di una legislazione specifica riguardo le antichità. Il sistema di salvaguardia del patrimonio artistico e archeologico era gestito interamente dal Ministero dell'Interno, che si avvaleva delle accademie delle scienze e delle belle arti, ma le misure in materia, insieme al lavoro svolto dalle Giunte per le Antichità e Belle Arti che sorgevano talvolta a carattere localistico, si limitarono esclusivamente al servizio di catalogazione e inventariazione del patrimonio.

Nel 1832 a Torino Carlo Alberto di Savoia intraprese per la prima volta nello stato sabaudo delle misure volte a creare un organo di tutela, istituendo una Giunta di Antichità e Belle Arti che, dipendendo dalla Segreteria di Stato per gli Affari dell'Interno, si sarebbe dovuta occupare di ricerca archeologica, salvaguardia e promozione delle antichità e avrebbe visto la presidenza alternata del Presidente dell'accademia di Scienza e di quello dell'Accademia delle Belle

Arti49. La vita di questo istituto fu in realtà piuttosto breve e poco produttiva,

chiudendo definitivamente nel 1837 e avendo potuto svolgere ben pochi dei compiti che gli erano stati preposti a causa dell'assenza di finanziamenti50.

Sebbene insufficiente il Regio Brevetto con il quale venne istituita la giunta lascia trasparire il germe della consapevolezza che il valore dell'oggetto d'arte antica trascenda il proprio valore materiale intrinseco derivato dalla sua antichità e bellezza e possegga un valore culturale non economico in quanto testimonianza materiale diretta del passato: “Le reliquie degli antichi monumenti, e i capolavori

delle arti belle tramandateci dai nostri Maggiori non sono solamente nel privato dominio delle persone o dei Corpi che li posseggono, ma nel patrimonio ancora dello Stato, il quale e per la gloria che ne torna alla nazione, e per l'utilità sentitane dal paese, e pel soccorso che se ne trae negli studi della storia patria, e per l'esemplare di perfezione che nelle egregie opere dura perennemente a beneficio degli artisti, ha giusta ragione di desiderare, che ogni cura sia adoperata acciò non si perdano o si degradino sì preziosi oggetti”. Nel testo è

presente anche un accenno a un valore che esula dal campo della fruizione privata del proprietario, quello della limitazione alla fruizione della proprietà che sarebbe stato il principale ostacolo pratico per la realizzazione di una legge di tutela in Italia fino al primo decennio del secolo successivo.

Negli stessi anni nella capitale del Regno di Sardegna, dall'unione delle collezioni del Museo di Antichità (esistente dal 1723) e il Museo Egizio fondato nel 1824, nasceva il Museo Nazionale Egizio, dipendente dall'Università di Torino. Quello egizio dunque fu il primo museo dello stato sardo-piemontese, frutto della tradizione collezionistica evolutasi sull'onda della passione sabauda

49 La Giunta di Antichità e Belle Arti venne istituita con il Regio Brevetto del 24 novembre 1832, era composta originariamente da otto membri esponenti dell'Accademia Albertina di Belle Arti, dell'Accademia Reale delle Scienze, dell'Università di Torino e del Museo di Antichità, rimandendo dunque fortemente legata al mondo accademico. I membri originari erano: Cesare Salluzzo, Luigi Biondi, Giuseppe Manno, Costanzo Gazzerra, Roberto Tapparelli d'Azeglio, Giovanni Battista Biscara, Angelo Boucheron e Ignazio Barucchi. Il testo del decreto istitutivo è reperibile interamente in F. Mariotti, La legislazione pp. 307-308.

50 Le difficoltà economiche nelle quali si trovava ad operare la giunta si evincono da tre verbali relativi a tre diverse sedute della giunta, uno relativo alla seduta del 18 gennaio 1835 e gli altri di poco successivi ma non datati, conservati nell'Archivio Centrale dello Stato (A.C.S. I

per una cultura esotica come quella egizia sorta a seguito delle campagne napoleoniche, una raccolta dal sapore coloniale e dunque assolutamente svincolata dal territorio ospitante l'istituzione museale.

Commissioni locali di tutela dei beni artistici dipendenti dal ministero dell'interno sorsero ad Aosta nel 184651 e a Genova52 nel 1858. La Giunta

Provinciale d'Antichità aostana non ebbe grande fortuna, nonostante la nomina dei membri non operò mai direttamente sul territorio, ma nel 1859 con la riorganizzazione amministrativa del regno di Sardegna prevista dal decreto Rattazzi fu rinnovata e presieduta dall'Intendente per la provincia di Aosta operando anche in seguito all'unificazione, dietro la spinta principale del canonico della cattedrale aostana Edouard Berard alla guida della commissione dal 1867.

La Commissione Conservatrice genovese invece, presieduta dal sindaco, era articolata in una sezione artistica e una archeologica e si occupò principalmente di inventariare i monumenti notevoli “meritevoli più specialmente

della vigilanza governativa” nella città di Genova e nella sua provincia. Nel 1859

la commissione supplendo a una impellente lacuna legislativa dello stato sardo piemontese redasse un progetto per un Regolamento per la Conservazione dei

Monumenti Antichi in quaranta articoli53.

Nella parte insulare del Regno erano presenti consuetudini risalenti alla dominazione spagnola, mantenute dalla monarchia sabauda, che conferivano la proprietà di qualsiasi oggetto ritrovato nel sottosuolo al Regio Fisco e l'obbligo di richiedere una licenza al viceré per effettuare scavi. A Cagliari aveva sede un gabinetto archeologico che consisteva principalmente nella collezione di antichità sarde donata da Carlo Felice, il quale aveva delegato al direttore del museo l'autorità di concedere le autorizzazioni per eventuali scavi archeologici.

51 La commissione aostana venne istituita con il Regio Decreto del 17 marzo 1846, (A.C.S. I

Versamento, B. 364, f. 145,3). Il testo del decreto è reperibile interamente anche in Bencivenni

1992, volume I, p. 49.

52 La commissione genovese venne istituita con un Dispaccio del Ministero dell'Interno del 21 settembre 1858 n° 8654, (A.C.S. I Versamento, B. 466, f. 358 bis). I membri che la componevano al momento della sua istituzione erano: Pasquale Tola, Federigo Alizeri, Giuseppe Piaggio, Giuseppe Isola, Santo Varni e Giuseppe Gambaro.

53 Il regolamento della commissione, presentato il 7 luglio del 1859 è reperibile per intero in Bencivenni 1992, volume I, p. 50.

Le vecchie consuetudini ereditate dal governo aragonese della Sardegna non prevedevano però leggi volte a limitare l'esportazione di antichità, in assenza delle quali la depredazione del territorio ebbe floridissimo corso fino al 1801, quando un regio decreto di Carlo Felice vietò l'esportazione di qualsiasi oggetto d'arte dall'isola54. Carlo Alberto con alcune circolari regie del 18 maggio 1841

intraprese misure di salvaguardia di siti archeologici sardi che erano oggetto di pesanti saccheggi, quali le città punico-romane di Nora e Tharros e le vestigia della civiltà nuragica55.

Solo nel 1842 con una regia patente furono estese alla Sardegna le disposizioni relative gli oggetti antichi rinvenuti nel sottosuolo, contenute nell'articolo 685 del Codice Civile degli Stati di Terraferma56.