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La tutela del patrimonio archeologico tra istituzioni centrali ed enti periferici.

Dopo la breccia di Porta Pia la Giunta Provvisoria di Governo di Roma dichiarò con un decreto del 30 settembre 1870 la proprietà comunale dei Musei Capitolini e di tutti i monumenti artistici e archeologici della città. Si creò inoltre

una struttura di tutela specifica: la Soprintendenza per gli scavi di antichità e per

la custodia e conservazione dei monumenti nella Provincia di Roma100, che

facente capo al ministero della Pubblica Istruzione si configurava come un suo nuovo organo periferico designato al rilancio e all'incremento degli studi storici di antichità classica, alla definizione dei limiti da imporre al piano urbanistico affinché si mantenesse nel rispetto dei resti antichi e la tutela del patrimonio esistente sopra e sotto il suolo romano. Nonostante i buoni propositi la soprintendenza romana non riuscì mai a operare in maniera produttiva e anzi fu al centro di un aspro e paralizzante conflitto che vide opporsi gli intenti del governo centrale con le mire del Comune di Roma. La soprintendenza romana, sebbene peculiare, era stata creata in armonia con la tendenza esemplificata dalla Commissione Conservatrice di Firenze, ovvero come un organo periferico facente capo direttamente al ministero della Pubblica Istruzione, ma il Comune di Roma penetrato da tendenze papaline e sentendosi continuatore dell'amministrazione pontificia, in virtù della eccezionalità del patrimonio urbano rivendicava più autonomia nell'amministrazione dei beni artistici della città. Nel 1871 la Giunta Comunale nominò una Commissione archeologica101 ponendo Pietro Rosa tra gli

otto commissari come segnale di volontà di dialogo verso la soprintendenza, ma i due enti di tutela entrarono quasi immediatamente in conflitto, con problemi di attribuzione di competenze e sovrapposizioni che risultarono in reciproci boicottaggi paralizzanti per lo sviluppo dell'archeologia a Roma.

Tuttavia anche la Soprintendenza, sebbene necessaria e perfettamente in linea con l'azione di controllo centralizzata degli ultimi governi, era stata costituita in modo del tutto inadeguato, specialmente se paragonata ad altri istituti stranieri come quelli Prussiani che operavano a Roma con altissimo prestigio accademico. Nel 1872 interpellato dal Ministro Scialoja a riguardo Giuseppe Fiorelli intervenne nel dibattito sul conflitto tra gli organi di tutela romani, proponendo una soluzione simile a quella messa in atto a Napoli nel 1866, ovvero creando

100 Per il testo del decreto con il quale veniva istituita la Giunta si veda M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, p. 268.

101 Tutte le vicende della Commissione archeologica comunale sono reperibili nell'Archivio Centrale dello Stato alla collocazione A.C.S., I Versamento, B. 560, f. 589.

all'interno della soprintendenza due sezioni distinte affidando a una, presieduta da Pietro Rosa e composta da consiglieri scelti dal governo nazionale, i compiti tecnici riguardanti gli scavi e all'altra, composta da rappresentanti del comune, quelli di vigilanza e di conservazione dei monumenti.

Nonostante la sagace proposta del Fiorelli la conflittuale situazione romana rimase tale fino al 1874, quando Girolamo Cantelli nominato ministro della Pubblica Istruzione con un decreto emesso il 7 agosto assegnò la competenza sugli scavi nella capitale, a Ostia e a Villa Adriana a Tivoli alla soprintendenza e creò una apposita direzione per la sorveglianza sulle catacombe cristiane. Fu creata contemporaneamente una Commissione Conservatrice dei

monumenti e delle opere d'arte romane che presieduta direttamente dal Ministro

della Pubblica Istruzione si componeva di due consiglieri nominati dal governo, due dalla Provincia, dal sindaco di Roma, dal soprintendente agli scavi, dal direttore delle Catacombe Cristiane, dal direttore del Museo Kircheriano e dal direttore del Regio Istituto di Belle Arti. In questo modo venivano ripartite le competenze, mantenendo la soprintendenza come organo periferico con specifiche funzioni tecniche e creando una commissione per le esigenze di tutela più generali. Venivano così sostanzialmente accolti i suggerimenti avanzati dal Fiorelli nella lettera al Ministro Scaloja nel settembre del 1872.

L'anno seguente, con la nomina a Ministro dell'Istruzione del napoletano Ruggiero Bonghi cominciò un quinquennio di mutamenti nell'organizzazione della tutela, che nascendo da una riconsiderazione di fondo del rapporto tra stato e patrimonio animò un fruttuoso dibattito culminante con una stabilizzazione del settore.

Il tema del dibattito ruotava intorno a quali criteri si sarebbero dovuti tenere in conto perché un oggetto fosse reputato meritevole di tutela e per quale ragione lo stato avrebbe dovuto garantirne la conservazione. Non esistendo all'epoca criteri univoci per definire ciò che era da salvaguardare e ciò che non lo era, il destino di un manufatto dipendeva sostanzialmente dalle sue caratteristiche estetiche e dalla fortuna della quale aveva goduto nella critica dell'epoca coeva alla sua produzione o ai successivi reimpieghi. Il fine della conservazione era

considerato quello di fungere da esempio e supporto didattico, a questa concezione aderiva il pensiero di Giancarlo Conestabile della Staffa, che in un articolo sull'insegnamento dell'archeologia pubblicato sulla Rivista di Filologia e

Istruzione classica102 denunciava lo stato di profonda trascuratezza del patrimonio

archeologico italiano e auspicava una pronta organizzazione dei musei archeologici, principalmente in virtù della loro funzione nell'insegnamento universitario. Nella visione dell'etruscologo perugino negli insegnamenti di antichistica i musei avrebbero dovuto svolgere lo stesso compito dei laboratori sperimentali negli insegnamenti scientifici. Questo concetto, tra l'altro in linea con la formazione germanica di stampo filologico del Conestabile, considerava il museo come istituto volto principalmente all'insegnamento dell'arte classica e prevedeva la concezione di un rapporto tra scavo e museo nel quale la ricerca fosse volta principalmente all'arricchimento delle collezioni con lo scopo di comprendere e studiare il passato attraverso la sua concretizzazione nell'arte. Sebbene Conestabile auspicasse una attenta documentazione dello scavo la parte eloquente dell'archeologia era nella sua concezione non il contesto di ritrovamento, ma il reperto artistico. Lo stesso Ministro Bonghi, filologo di formazione, espresse sostanziale concordia con Conestabile in una lettera aperta indirizzatagli dalle pagine della rivista Nuova Antologia103 nella quale sottolineava

l'esigenza di una catalogazione precisa dei materiali custoditi nei musei italiani, con lo scopo di aggiungervi ciò di cui vi era carenza tramite acquisizioni e un fiscale controllo sugli scavi. L'importanza data dal Conestabile all'oggetto d'arte, e qui è palpabile tutta l'influenza della scuola germanica sulla sua formazione, era tutta da attribuirsi al beneficio che questo avrebbe potuto dare alla scienza e ai suoi cultori, tanto da fargli affermare che: “Se tutto quello che ha valore sarà riprodotto in disegno, in fotografia o in altro modo, lo sparpagliamento che potesse avvenire poi nei Musei esteri, si limiterà al solo danno della perdita di

102 G. Conestabile, Sull'insegnamento delle Scienze delle Antichità in Italia, in “Rivista di Filologia e di Istruzione Classica”, I Torino 1873 pp. 74 ss

103 R. Bonghi, Gli scavi e gli oggetti d'arte in Italia, in “Nuova Antologia”, XXVI 1874, pp. 322- 332.

possesso per l'Italia”104 il pensiero dell'archeologo perugino si poneva dunque in

armonia con la concezione di inviolabilità della proprietà privata tipica dell'ideologia italiana di quegli anni. Una linea quella del Conestabile che troverà un solido antagonista in Giuseppe Fiorelli il quale riteneva che l'arricchimento dei musei non potesse più essere condotto con i criteri che avevano dominato fino ad allora volti alle esercitazioni degli studenti o alle elucubrazioni di qualche accademico, l'archeologo napoletano riteneva infatti inaccettabile l'allontanamento dei reperti dall'area geografica di riferimento sostenendo la tesi per la quale le raccolte museali dovessero essere composte esclusivamente da materiali archeologici aventi un legame con il territorio e che la salvaguardia non potesse essere giustificata esclusivamente dalla funzione didattica delle collezioni105.

In ogni caso Bonghi ben sapeva che non si avrebbe potuto apportare alcun miglioramento allo studio delle antichità in Italia se non si fosse prima riusciti a reimpostare il rapporto del Ministero della Pubblica Istruzione con il sistema di tutela, quantomeno per evitare che enti locali agissero per propria iniziativa con metodi non adeguati alla ricerca archeologica. L'esempio più eloquente a riguardo era il modo in cui a Roma venivano gestiti gli scavi da parte della Commissione Archeologica municipale, con metodi improvvisati e documentazioni approssimative, visitando gli scavi presso la chiesa di S. Martino ai Monti il ministro Bonghi fu talmente impressionato dalla maniera primitiva nella quale veniva condotta l'indagine che si vide costretto a inviare una lettera di protesta al sindaco della capitale, che allora era il duca Leopoldo Torlonia, il quale per contro vietò l'ingresso agli scavi a persone estranee all'amministrazione comunale.

In termini pratici il punto della questione era dunque trovare un modo per porre il Ministero come autorità centrale alla direzione del mondo della tutela del patrimonio archeologico, ma non esisteva alcun organo ministeriale che interagisse direttamente con le antichità a livello nazionale, dunque era necessario progettarne uno ex novo.

104 G. Conestabile, Sull'insegnamento delle Scienze delle Antichità in Italia, in “Rivista di Filologia e di Istruzione Classica”, I Torino 1873 pp. 74 ss.

105 M.L. Catoni, Fra scuola e custodia: la nascita degli organismi di tutela artistica, in “Ricerche di Storia dell’Arte” L, 1993, pp. 41-49.

Con il Regio decreto del 28 marzo 1875 fu creata la Direzione Centrale

degli Scavi e Musei del Regno, tale provvedimento incontrò opposizioni come

quella del senatore Giuseppe Cencelli che si opponeva a ogni tendenza centralistica e specialmente in campo archeologico dove sosteneva che l'unità di concetto fosse ammissibile solo alle singole aree dove si svolgevano gli scavi, e vedeva in un controllo centrale un limite alla libertà intellettuale dei singoli operatori106. Altre critiche venivano mosse sostenendo che un controllo da parte

del governo centrale avrebbe leso gli interessi delle comunità locali. Il Ministro Bonghi sosteneva per contro che la priorità era quella di applicare un concetto complesso e nazionale uniforme a tutti i rami della Pubblica Istruzione, e sosteneva che un controllo centrale fosse essenziale affinché il governo sapesse cosa veniva fatto in ogni angolo della nazione e potesse comunicare agli enti locali e ai privati in che modo condurre scavi e ricerca.

Il programma del ministro aveva dietro di se il supporto teorico di Francesco Fiorelli che aveva sempre sostenuto la necessità di strutture statali che potessero uniformare gli studi e coordinare le iniziative locali. Alla direzione della

Direzione Centrale degli Scavi e Musei del Regno, si sarebbe dovuta porre una

figura la cui autorità fosse capace di reggere il confronto con gli archeologi del Vaticano e della Commissione archeologica municipale, le indiscusse capacità del Fiorelli erano evidenti a tutti e per la sua fama e la stima di cui godeva nel settore sembrava proprio l'uomo giusto per dirigere la Direzione, anche se per questo lo si dovette strappare ai suoi amati e proficui studi presso Napoli e Pompei. Il provvedimento con cui venne istituita la Direzione Generale prevedeva la divisione del territorio nazionale in tre grandi regioni archeologiche: Settentrionale, Centrale e Meridionale, più l'istituzione di due Commissariati

speciali per Sardegna e Sicilia, il settore archeologico cominciò dunque a dotarsi

di personale di ruolo, dipendente dal Ministero della Pubblica Istruzione. Le Soprintendenze di Roma e Napoli vennero abolite e vennero create due nuove

106 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, p. 277. ; Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Sessione 1874-1875, Discussioni, tornata dell'8 febbraio 1875.

sezioni della Scuola Archeologica di Pompei, che divenendo Scuola Italiana di Archeologia aggiunse così alla sua sede originale una sede a Roma e una ad Atene. La nuova scuola dipendente dalla direzione centrale degli scavi e musei era stata pensata dal Fiorelli per formare specialisticamente nuovi archeologi, che avrebbero potuto accedere per concorso dopo aver conseguito la laurea in lettere, in questo modo si sarebbe rimediato alla cronica carenza di personale competente da arruolare nel servizio di tutela.

Nel 1877 venne emanato con il Regio Decreto del 18 gennaio il

Regolamento pel servizio degli scavi di antichità, nel quale finalmente appariva

una separazione netta tra personale di custodia e personale tecnico che veniva assunto solo tramite concorso pubblico e dunque dotato di un più alto grado di specializzazione. Il regolamento del 1877 era frutto dell'esperienza pratica di Fiorelli conseguita principalmente negli scavi di Pompei: la parte consistente era dedicata allo scavo delle città, con regole riguardo lo scavo a strati orizzontali (ancora non stratigrafico) e l'accento posto sull'importanza di una adeguata rilevazione topografica, erano poi inserite istruzione su come mantenere la statica delle strutture architettoniche durante lo scavo, un problema ricorrente a Pompei. Un'altra grossa parte del regolamento era dedicata allo scavo delle sepolture con particolare interesse per i corredi funebri.

È possibile, attraverso la lettura del regolamento di Giuseppe Fiorelli avere un'idea della concezione delle priorità e dello stato della teoria archeologica nel pieno della seconda metà del XIX secolo: appare un interesse particolare per la registrazione dei dati durante lo scavo e dunque un particolare interesse per il contesto, nell'ambito di quella tecnica propugnata dal Fiorelli, non ancora stratigrafica, ma definita scavo dell'attenzione.

Verso la fine degli anni 70 del secolo XIX il progetto auspicato dal Fiorelli di dotare ogni provincia italiana di esperti in contatto con una amministrazione centrale fu finalmente realtà, ma quello che ancora mancava perché l'impianto della salvaguardia dei beni artistici e archeologici in Italia potesse considerarsi avviato era una legge fondamentale di tutela che omogeneizzasse le misure di tutela sul territorio nazionale superando definitivamente la condizione confusa e

disorganica ereditata dalla variegata concezione dell'antico nei diversi stati preunitari.

Affinché la macchina della tutela potesse essere resa operativa era necessario risolvere alcune questioni amministrative di non secondaria importanza, quali la formazione di personale scientificamente qualificato da porre alla testa delle strutture periferiche in modo da garantirne un'effettiva operatività sul territorio con competenze che permettessero di pianificare e gestire opere di restauro e scavo limitando al minimo l'improvvisazione dei responsabili locali.

Nel 1881 la Direzione generale, su proposta del suo presidente Fiorelli fu strutturata in quattro uffici distinti per aree di competenza separate, uno per le antichità classiche, uno per l'arte medievale e rinascimentale, uno per l'arte contemporanea e uno per i servizi amministrativi107. Questo tipo di divisione

mirava a una maggiore efficienza basata sulla specifica formazione degli appartenenti ai diversi settori operativi. Durante la direzione dell'istituto l'archeologo napoletano operò alacremente affinché fossero stabilite norme di riferimento generali alle quali far attenere gli organi periferici, un complesso di norme più che mai necessario visto l'ampliarsi di compiti che gravavano negli anni '80 sulla Direzione Generale, che passava da un primo ventennale lavoro di conoscimento, catalogazione e valutazione a una fase operativa di interventi volti a salvaguardare la parte del patrimonio nazionale più esposta alle minacce di rovina e decadimento, compiti che purtroppo dovettero essere affidati a personale del Genio Civile vista la scarsità di fondi e di personale della Direzione, che grazie alla fama e al rispetto di cui godeva il suo direttore riuscì a ottenere dal Governo un finanziamento annuale di 4.000 lire con il quale eseguire interventi di emergenza108. Il Ministero della Pubblica Istruzione il 21 luglio del 1882 emanò

un decreto ministeriale con circolare di accompagnamento redatta dal Fiorelli che stabiliva le norme alle quali attenersi per i restauri degli edifici monumentali.109

107 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, p. 274.

108 R.D. 13 aprile 1882 n. 811.

109 Decreto ministeriale 21 luglio 1882 e relativa circolare di accompagnamento n. 683 bis redatta da Giuseppe Fiorelli. Il testo della Circolare si trova in “Antichità e Belle Arti”, anno III (1979), ff. 3-4, pp. 1-3.

Gli unici precedenti in materia erano stati le istruzioni e il regolamento per gli scavi del 1865 e del 1875, e sebbene si trattasse di norme che già nell'idea di Fiorelli sarebbero dovute essere provvisorie si rivelarono estremamente all'avanguardia per i tempi.

Le disposizioni erano divise in tre sezioni, la prima era dedicata allo studio dei monumenti da restaurare, che doveva essere approfondito e non limitato ai soli fattori estetici, ma bensì a tutte le caratteristiche storiche dell'oggetto del restauro, con lo specifico intento di comprendere con quali mire era stato creato, senza trascurare le successive modifiche apportatevi nel corso del tempo, al fine di poterlo collocare in un contesto storico e avere chiara una idea di esso.

La seconda sezione era dedicata alla compilazione del progetto di restauro, che doveva essere correlata anche di disegni e preventivi.

Nell'ultima sezione ci si occupava invece dell'ordinamento del servizio per l'esecuzione del lavoro, stabilendo quali autorizzazioni e approvazioni fossero da richiedere e l'obbligo di agire in sintonia con il Genio Civile della provincia.

Nelle due relazioni che Fiorelli compilò nel 1883 e 1885 per il Ministero della Pubblica Istruzione110 veniva denunciato l'insufficiente lavoro delle

Commissioni Provinciali e della Giunta Centrale, le quali fino ad allora non erano state capaci di realizzare nient'altro che un parziale elenco di monumenti ai quali il governo avrebbe dovuto rivolgere le sue cure, veniva altresì messo in luce come la mancanza di tutela influisse negativamente sullo sviluppo degli studi e dell'insegnamento archeologico, si aborriva anche la pratica in uso per la quale veniva conferito il titolo di Ispettore degli Scavi in modo pressoché onorifico a individui scientificamente incompetenti e si esortava a nominare persone culturalmente affidabili affinché i resoconti fossero pubblicati sulla rivista Notizie degli Scavi. Fiorelli pianificava nella relazione un decentramento del servizio di tutela su base regionale, che avrebbe dovuto diramarsi secondo l'ordine delle antiche regioni augustee, nel quale le competenze su musei e scavi archeologici sarebbero state unificate in funzione di uno studio storico delle antichità diviso per

110 M.L. Catoni, Fra scuola e custodia: la nascita degli organismi di tutela artistica, in “Ricerche di Storia dell’Arte” L, 1993, p. 45.

contesti territoriali. Il problema con il quale si scontravano tutti i suggerimenti di Fiorelli era la mancanza di fondi e di personale qualificato, cagionata anche da un disinteresse del governo al campo della tutela archeologica che risultava sordo o indifferente agli appelli per una azione amministrativa con l'obiettivo di rafforzare l'aspetto scientifico e culturale della tutela. Nella seconda relazione veniva sottolineato ancora più fortemente il legame tra un efficiente servizio di tutela con un livello avanzato di didattica e ricerca e come lo sviluppo di misure adeguate dovesse essere onere imprescindibile per uno stato che non volesse offendere il decoro di un paese e dare lustro alla cultura nazionale favorendo il progresso della cultura universale.

Quattro anni dopo sarebbero state emanate ulteriori norme in tema di restauro, attraverso un regio decreto del 22 aprile 1886 stabilente un Regolamento

per i lavori a trattativa privata o in economia nei restauri ai monumenti nazionali e negli scavi di antichità, con le quali si regolamentavano i lavori pubblici che il

Ministero della Pubblica Istruzione aveva facoltà di affidare a imprese private, sancendo una sua ulteriore autonomia nei confronti di organi relativi ad altri ministeri.

A Roma nel 1884 fu soppresso definitivamente l'ufficio tecnico degli scavi di antichità fondato nel 1875111, che nonostante la sua ufficiale abolizione

avvenuta appena due anni dopo aveva continuato a esistere per provvedere alle incombenze della tutela del patrimonio monumentale di Roma, un compito che come organismo non fu in grado di assolvere efficientemente a causa delle carenze organizzative e di organico. In sua vece e in attesa di una riforma generale del servizio archeologico il ministero istituì un organismo le cui competenze abbracciassero sia l'archeologia dell'antichità classica, ma anche i monumenti delle altre epoche presenti a Roma, fondando con il decreto ministeriale del 20 agosto 1884 l'Ufficio speciale per le antichità classiche ed i monumenti medievali

e della rinascenza per la città di Roma e suburbio alle dirette dipendenze della

Direzione generale per le AA. e BB.AA. L'ufficio speciale era diviso in tre sezioni

111 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P. Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. II, p. 21.

ognuna dedicata a diverse aree territoriali di Roma e dei suoi dintorni.