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Più volte nella storia lo studio delle antichità è stato sottomesso a fattori ideologici o politici, l'archeologia per la sua caratteristica di essere fonte primaria e riscontro materiale della realtà spesso è stata anch'essa utilizzata come strumento politico. Tale procedimento non è affatto peculiare dell'epoca moderna, la storia è densa di casi simili, riscontrabili anche nella stessa antichità. Un esempio noto a chiunque abbia sfogliato un volume di storia greca è quello del 476/5 a.C. quando il condottiero ateniese Cimone scoprì nell'isola di Sciro, dove il mito collocava la morte di Teseo, una sepoltura dell'età del bronzo, nelle ossa ivi contenute, descritte di dimensioni eccezionali le grandi dimensioni il condottiero, volle riconoscere i resti mortali dell'eroe attico178. Le ossa vennero condotte

trionfalmente ad Atene e predisposte per il culto in un tempio chiamato appunto Theseion posto nell'agorà. Con la restituzione alla polis delle ossa del suo eroe Cimone aveva il chiaro intento di rappresentarsi davanti ad Atene e alla Grecia intera come un nuovo liberatore dell'Attica, difensore della libertà dei greci contro la minaccia persiana come lo era stato Teseo nei confronti del truce tributo di Minosse. L'episodio del V secolo a.C. è forse la prima attestazione storica di un uso politico dei resti materiali dell'antichità, ma episodi simili sono ricorrenti nella storia fino ai nostri giorni, gli stessi Medici si appassionarono alla ricerca etruscologica nella loro Toscana come giustificazione dell'autonomia e compattezza del territorio sotto il loro potere contrapposto alla romanità dei territori controllati dal Papato179. In epoca più recente la scoperta e la

178 Il ritrovamento miracoloso delle spoglie di Teseo da parte di Cimone è raccontato in Plutarco,

Vite parallele, Teseo, 36.2., Plutarco, Vite parallele 1, a cura di Antonio Traglia, Torino 1992, p.

139-141.

179 Gli studi di etruscologia ebbero origine durante il Rinascimento fiorentino quando gli Etruschi, considerati diretti discendenti di Noè in seguito alle ricerche storico mitiche del monaco Annio da Viterbo, vennero identificati come i progenitori dei Toscani, con lo scopo di creare un modello geopolitico storico di riferimento al Granducato voluto da Cosimo I de' Medici, che identificandosi come continuatore di tale entità storica si definva dux Etruriae. In questo periodo si collocano le prime forme di collezionismo etruscologico. Si veda G. Camporeale, Gli etruschi,Torino 2004, p 17.

valorizzazione delle tombe reali di Verghina, avvenuta negli anni '70 del XX secolo, ha giocato la sua parte nella rivendicazione della grecità della Macedonia storica in contrapposizione con la repubblica ex jugoslava di Macedonia180.

I meccanismi di identificazione e di invenzione della tradizione sono comuni a tutte le culture moderne, essi tono tanto diffusi che non è imprescindibile che una società sia erede di sangue di una cultura più antica per dichiararsene erede.

I beni culturali giocano nel sistema di autorappresentazione dei moderni stati nazionali un importante ruolo identitario talvolta anche in modo assolutamente pretestuoso. Un insieme di beni che costituisce un patrimonio culturale svolge, a livello ideologico, la doppia funzione di unire diverse componenti etniche o culturali di una nazione in nome di una cultura genitrice comune, e nel contempo stabilisce dei limiti culturali che differenziano una compagine culturale ad esso afferente dalle società vicine.

Durante la Rivoluzione francese i simboli antichi furono utilizzati con massima profusione, la Marianna, incarnazione della Rivoluzione stessa, è raffigurata con un berretto frigio (pileus), che nell'antica Roma era in origine il simbolo dei liberti e in seguito divenne simbolo della libertà stessa e della lotta contro i tiranni. Cassio Dione ci racconta "Bruto incise sulle monete che coniò la sua immagine e un pileo tra due pugnali, indicando con questi e con l'iscrizione

180 Gli scavi presso le tombe reali di Verghina portarono alla luce, tra le altre cose, uno scrigno dorato recante l'effigie di un sole a sedici raggi. Il simbolo, che ha precedenti sia nell'arte macedone che in quella attica, è stato interpretato da allora come un emblema reale della dinastia Argeade, e utilizzato come simbolo nazionale sia dalla Grecia che dalla repubblica di Macedonia (dopo la dissoluzione della Repubblica Socialista Federale Jugoslava, nel 1992) che lo incluse nella sua bandiera nazionale. Il contenzioso tra i due paesi per la paternità del simbolo si accese e nella prima metà degli anni novanta assunse toni decisamente aspri, talvolta così veementi da risultare incomprensibili. La bandiera nazionale Macedone fu bandita in diversi contesti internazionali (dalle Nazioni Unite alle olimpiadi), mentre in Grecia il sole di Verghina fu riprodotto su divise militari, nel vessillo della regione amministrativa della Macedonia, sulle monete da 10 dracme e su moltissimi oggetti di consumo fino a rasentare il kitsch. Dal 1995 la Repubblica di Macedonia ha cambiato il suo vessillo con una stella a otto punte ben diversa dal sole di Verghina. Sappiamo tutti che la storia greca copre uno spazio geografico immenso, la volontà della moderna nazione greca di assumerne la proprietà intellettuale esclusiva di tutti i simboli non è giustificata da altro che dalla condivisione di una parte (senza dubbio la più rappresentativa) dello spazio geografico dove vissero gli antichi greci, è un chiarissimo esempio del tentativo di un gruppo umano di rappresentarsi come una società del passato appropriandosi della sua eredità culturale e materiale. Per ulteriori informazioni sul conflitto di simboli greco-macedone si veda L.M. Danforth, The Macedonian

che lui e Cassio avevano liberato la patria"181. La rivoluzione borghese voleva

dunque autorappresentarsi in uno schema di continuità progressistica con forme di lotta del mondo antico, un tipo di lotta ovviamente differente ma idealmente assimilabile attraverso i simboli, specialmente calzante nel caso del tirannicidio. Il simbolo ha avuto grande fortuna venendo riproposto in più contesti in tutto il mondo, particolarmente nella simbologia ufficiale degli stati delle Americhe.

Denario di Bruto del 43 a.C., sul verso è rappresentato un pileo tra due daghe e la scritta eid[ibus] mar[tiis].

Molti altri simboli romani ricorrevano nel repertorio iconografico della Rivoluzione, dai fasci littori all'albero della libertà182.

181 Dione Cassio, Storia romana, XLVII.25.3

182 La tradizione simbolica dell'albero della libertà risale al cesaricidio, quando alcuni dei congiurati innalzarono un palo sormontato da un berretto frigio per celebrare la liberazione del popolo dal tiranno. Si veda A. Goldsworty, Caesar: Life of a Colossus, London 2007, pp. 596- 619.

La Marianna rappresentata come Atena con pileo sormontante una lancia capovolta (che assume qui la funzione dell'albero della libertà) e fascio di verghe in un dipinto di Antoine- Jean Gros al Musèe Fabre di Montpellier.

Il carattere emozionale della tradizione archeologica ha un forte ascendente per le giovani nazioni, le sue origini sono rintracciabili nel classicismo che nacque appunto quando il primo stato nazionale moderno, la Francia rivoluzionaria, cominciò ad autorappresentarsi con riti pubblici e un'iconografia politica facente capo al repertorio antico, romano in particolare talvolta mescolato in maniera confusa e indistinta con quello greco. Un passato verosimile, ma non vero perché costruito per rispondere a esigenze di rappresentazione particolari, i richiami alla Roma repubblicana o all'Atene di Pericle da parte dei rivoluzionari borghesi sono tutti un ribollire di nostalgia per una società perduta ideale e egualitaria che non è mai esistita nella storia. L'equilibrio delle società antiche si reggeva ben saldo sui pilastri della schiavitù e della subalternità sociale, “dettagli” opportunamente omessi nella propaganda rivoluzionaria.

Un' altra nazione nata dai fragori di una rivoluzione, gli Stati Uniti d'America, si è spesso voluta dipingere come erede dell'antichità e dei suoi supposti valori. Gli edifici di rappresentanza della capitale federale Washigton, nonché quelli di quasi tutte le capitali di stato presentano forme estetiche fortemente ispirate all'architettura della Roma imperiale. Anche nel simbolismo metaforico negli Stati Uniti fu fatto largo uso di tematiche classicheggianti, ad esempio nel 1840 per il centennale della nascita di George Washington fu commissionata una statua, realizzata da Horatio Greenough, che doveva ispirarsi alla statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia, il primo presidente degli Stati Uniti era rappresentato seduto, a torso nudo con la mano destra indicante il cielo e nella sinistra una spada inguainata con l'elsa rivolta verso l'osservatore, nel gesto che doveva rappresentare il conferimento del potere al popolo a conclusione della rivoluzione americana. La statua era stata commissionata per la rotonda del Campidoglio, ma al suo arrivo a Washington la posa eroicizzata del primo presidente degli Stati Uniti fu accolta con perplessità, la nudità veniva percepita più come un dettaglio

troppo forte e allo stesso tempo ridicolo che come un richiamo ai valori dell'antichità, così la statua fu trasferita in una posizione meno rilevante nei giardini del campidoglio, dopo qualche altro spostamento infine trovò una collocazione definitiva nel National Museum of American History, esposta solo ad occhi che ne ricercassero la visione.

Questo esempio ci fa capire come l'autorappresentazione delle classi dominanti americane dopo il raggiungimento l'indipendenza fosse legata all'attribuzione di integrità e forza morale che esse conferivano alla società dell'antichità classica, alla quale si riferivano come modello, ancora una volta selezionando alcuni tratti caratteristici e ignorandone altri.

In Italia i patrioti del Risorgimento si rifacevano ideologicamente all'antica civiltà romana e parlavano esplicitamente di un riallacciamento delle sorti della nazione alla via incominciata nell'antichità e interrotta in un momento non chiaro della storia, collocato negli anni finali dell'impero d'Occidente. Riunificare l'Italia significava allora porla un'altra volta in continuità con la sua storia più antica, lo stesso termine di Risorgimento si richiamava al Rinascimento e il rinascimento altro non era che un richiamo consapevole al passato.

Horatio Greenough, statua di George Washington rappresentato come Zeus, 1840.

Ovviamente questo tipo di rinascita, doveva avere un riflesso anche nella riscoperta dei resti materiali del passato e un riallacciamento anche formale nella produzione artistica e architettonica.

Alla costruzione di un'identità per l'Italia che fosse basata sulla consapevolezza di un comune passato di grandezza contribuirono in modo fondamentale anche

strutture di ricerca straniere, in particolare tedesche, come l'Istituto di Corrispondenza Archeologica, fondato a Roma da Eduard Gerhard nel 1829 che attraverso la pubblicazione di bollettini periodici dava notizia delle nuove scoperte effettuate in Italia e nel resto del mondo, inserendo il panorama archeologico italiano in un circuito internazionale di notizie culturali. L’istituto divenne in pochi anni il principale centro di ricerca archeologica a livello europeo, portando le antichità romane oggetto dei propri studi al centro dell'attenzione internazionale. All'Esposizione Internazionale di Parigi del 1867 l'Italia fu rappresentata anche da una mostra archeologica che contribuì a diffondere il tema delle antichità italiane nell'opinione pubblica europea.

Dal 1873 anche la Francia istituì un proprio istituto archeologico a Roma, e in generale la capitale fu sempre frequentata da studiosi e viaggiatori stranieri interessati alla sua antichità. L'immagine di un'Italia culturalmente uniforme nella storia nonostante secoli frazionamenti politici si formò dunque autonomamente nelle menti degli osservatori stranieri e in seguito ritornò in patria come parte dell'idea di nazione moderna.

La riscoperta e il consolidamento di una cultura avviene attraverso l'incontro con altre culture diverse, non è nel passato dunque che si deve cercare di definire una cultura ma dell'uso che questa fa del passato nel proprio costante divenire. Nel caso dell'Italia i dati storici e i resti materiali permettevano di individuare nella storia antica la giustificazione di un'Italia unita sotto la guida di Roma e rappresentare l'unificazione nazionale come la restaurazione di una forma nazionale dopo qualche secolo di sbando.

La funzione sociale dei musei in questo senso, intesi come strumento di didattica storica impartita dallo stato, è assolutamente evidente. Resta da capire a quali fasce della popolazione fossero rivolti gli istituti museali, quali soggetti secondo lo stato fosse necessario convincere di appartenere a un'unità culturale omogenea per cementare la nazione.

Qualche indicazione in questo senso emerge se si considera il prezzo del biglietto di accesso ai musei. Il biglietto di ingresso per i musei nazionali fu istituito da Ruggiero Bonghi con la legge del 17 aprile 1875 n. 2554 con carattere

provvisorio, allo scopo di permettere agli istituti museali, gallerie e scavi di autofinanziarsi attraverso una tassa di entrata. Per quanto un biglietto d'ingresso fosse una misura accettabile e comprensibile in un momento di difficoltà per lo stato nel reperire fondi, questa si conformava come elemento di una cultura a pagamento, quindi in linea di principio non aperta a tutti i cittadini. Il provvedimento prevedeva comunque alcune giornate ad ingresso gratuito e l'esenzione totale per alcune categorie di visitatori. Si suppone che le categorie aventi diritto all'esenzione della tassa d'ingresso fossero quelle alle quali lo stato fosse più ansioso di rivolgere la sua parola attraverso i musei, queste categorie erano: gli artigiani del disegno e artisti, che nei musei trovavano ovviamente la materia prima per il loro apprendimento, professori e studenti delle scuole superiori ed alunni di altri istituti educativi insieme ai loro docenti, e militari quali sottufficiali e truppe.

Rimanevano escluse le classi più basse della popolazione, che pur potendo accedere teoricamente alle istituzioni museali si trovavano dinnanzi la barriera del biglietto, spesso consistente in una spesa affrontabilissima ma comunque simbolo di una cultura a pagamento e limitante dell'avvicinamento spontaneo.

Il museo se correttamente utilizzato è uno strumento culturale di altissimo potenziale, al pari di una biblioteca o un archivio, appare quindi singolare il fatto che ai musei pubblici non fosse stato applicato lo stesso principio di fruizione gratuita che caratterizza le biblioteche pubbliche, derivante molto probabilmente da una vecchia concezione di museo inteso come luogo di intrattenimento e di diversione prima ancora che come tempio della cultura e centro di divulgazione. La classe agricola e operaia, quella che certamente meno percepiva il sentimento di unità nazionale derivante dall'omogeneità culturale, trovava dunque una barriera in più al proprio acculturamento spontaneo, ma questa forse era per l'epoca una faccenda secondaria, dato che nel 1871, in Italia, su una popolazione di 25 milioni di abitanti, gli aventi diritto al voto erano l'1,98%. Erano esclusi dal voto tutti i lavoratori giornalieri e quasi tutti i piccoli proprietari, mezzadri e fittavoli, e nelle città tutti gli operai, la maggioranza degli artigiani e lo strato inferiore delle classi intellettuali. Ancora nel 1876 il diritto di voto fu esteso ai

cittadini di almeno 21 anni o che avessero superato con buon esito i primi due anni della scuola elementare183. Rimasero quindi escluse dal voto porzioni

importanti della popolazione artigiana, operaia e contadina, ancora vittime di un analfabetismo endemico, lo stato aveva ancora ben poco interesse nell'acculturare un oceano di cittadini che rimanevano esclusi dalla politica istituzionale.

Tornando al concetto dell’uniformare o dividere le culture moderne in base ai resti delle culture del passato, possiamo osservare come questo sia in realtà una forzatura: le culture nascono e muoiono, lasciano in eredità alle culture successive un territorio e talvolta delle sopravvivenze culturali come ad esempio la lingua o il diritto. Per quanto le culture succedute possano ereditare i tratti dei loro antenati sono altre culture, simili o imparentate con quelle precedenti ma che mai potranno ereditare in blocco l'insieme dei tratti che definivano la cultura “genitrice”. La storia di una cultura, aldilà dei fatti evenemenziali, non è altro la storia della circolazione di caratteri o fatti sociali che possono essere mutuati da altre civiltà o generati da scoperte tecnologiche o mutamenti sociali.

Nel definire i caratteri di una società ciò che più influisce è il rifiuto di una mutuazione aliena, un rifiuto che può manifestarsi anche nella volontà di escludere una certa classe di reperti o una certa iconografia nel proprio patrimonio materiale. Uno dei più tristi e recenti esempi di questa ricerca di distinzione culturale forzata è individuabile nella devastazione operata dai talebani nei confronti delle statue dei Buddha di Bamyan, quando in nome del fanatismo religioso si volle annientare l'eredità materiale che una cultura più antica aveva lasciato sul proprio territorio. Siamo davanti a un doppio rifiuto: verso una religione percepita come idolatrica e verso l'occidente europeo, se si considera che le statue erano i più grandi esempi dell'arte scultorea del Gandhara, una delle tracce del sincretismo indo-greco conseguente alle conquiste di Alessandro184.

Di conseguenza, quando una cultura accetta un insieme di valori di un'altra cultura ne è erede volontaria e attiva per quel che concerne quei valori. Un

183 La fonte dei dati riportati è Sabbatucci Giovanni, Vidotto Vittorio (a cura di), Storia d’Italia, vol. III, Bari, 1997.

esempio banale ma chiaro è l'eredità del diritto romano, che è forse il retaggio culturale più intatto lasciato dalla società romana a quelle contemporanee, tuttavia non tutte le società che si reputano in qualche modo eredi di quella romana adottano un diritto derivante da questa, ma assumono forme giuridiche derivanti da altre società presenti nel loro “albero genealogico”. Lo studio di una cultura antica non può ovviamente essere considerato appannaggio esclusivo dell'entità nazionale che ne ha ereditato il territorio, lo stesso Quatremère de Quincy scriveva che le arti e le scienze formavano in Europa sorta una “repubblica” transnazionale, i cui cittadini erano i cultori del “bello e del vero” che tendevano a non isolarsi nelle rispettive patrie ma unirsi in uno studio volto a rinforzare la fraternità universale185.

Nonostante le rivendicazioni del governo Greco i marmi del Partenone portati al Museo Britannico da Lord Elgin ai primi dell'Ottocento difficilmente torneranno nella loro antica patria, innanzitutto per il prestigio che conferiscono alle collezioni del Museo Britannico che difficilmente potrebbe essere sostituito con delle copie, ma anche perché essi hanno ormai trovato un loro posto nella cultura nazionale britannica186, che si è voluta identificare come erede della

cultura ellenica non meno di quanto non lo sia la cultura della Grecia moderna e giustifichi i suoi nobili natali includendo nel proprio patrimonio nazionale pezzi materiali di una cultura della quale si vuole rappresentare come discendente. Ancora una volta la mancata “nobiltà” di sangue viene sostituita dalla nobiltà del patrimonio.

Un bene antico, del quale si richiede la restituzione sarà rappresentativo del passato del paese che lo rivendica tanto quanto l'incapacità di essere riusciti a mantenerlo entro i propri confini. Non intendendo, ovviamente, appoggiare i saccheggi che nel passato hanno afflitto paesi dall'immenso patrimonio artistico come quello Italiano è necessario riconoscere che una nazione non può

185 A.C. Quatremère de Quincy, Lettres sur le préjudice qu’occasionneroient aux Arts et à la

Science, le déplacement des monuments de l’art de l’Italie, le démembrement des ses Ecoles, et la spoliation des ses Collections, Galéries, Musées, Paris, 1796.

186 Su questo tema è molto eloquente S. Settis, Restituire i marmi Elgin?, in V. Farinella, S. Panichi, L'eco dei marmi: il Partenone a Londra, un nuovo canone della classicità, Roma 2003, pp. 17-26.

considerarsi unica detentrice autorizzata dei resti di una cultura del passato se la stessa cultura nazionale non li percepisce come parte di sé indipendentemente dal loro prestigio o valore economico. Paragonare il patrimonio artistico italiano a una fonte di materia prima sfruttabile per un immediato ritorno economico tramite il turismo equivale a relegare una parte del patrimonio in una vetrina, separandolo dalla vita stessa della nazione trattandolo come una splendida anticaglia da esibire in occasione di una visita e significa fare dell'istituzione museale una sorta di parco di divertimenti nel quale decade ogni intento culturale e didattico a fronte dell'intrattenimento.

Questo processo di feticizzazione delle antichità e degli oggetti d'arte trasforma il bene culturale in un oggetto ormai inerte, che vive in una decontestualizzazione nella quale non è altro che un feticcio risalente a un passato con il quale e destinato a perdersi ogni legame culturale. I moderni mezzi di comunicazione inoltre contribuiscono a diffondere un'immagine sensazionalistica