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Nel Regno delle Due Sicilie Carlo III di Borbone, consapevole dell'importanza del legame che il territorio del suo regno aveva con il passato che “nei tempi antichi era abitato da' Greci e da' Romani”, nel 1755 aveva tentato di arginare l'esportazione di oggetti d'arte dallo stato, stabilendo che i beni in uscita dovessero essere preventivamente esaminati da parte di tre funzionari appositamente istituiti, uno specializzato in pitture antiche, uno in sculture e un terzo in “medaglie, statue, tavole dove siano incisi caratteri, vasi instrumenti, e

qualunque altro monumento d'antichità”, il testo della legge proibiva anche gli

scavi intrapresi con lo scopo di portare alla luce oggetti antichi. I provvedimenti di Carlo III rimasero in vigore sino ai primi anni del XIX secolo.

Nel 1807, un anno dopo aver ottenuto il regno di Napoli, Giuseppe Bonaparte istituì l'Accademia reale di storia e di Antichità, nella quale operò Michele Arditi, il quale, nominato anche direttore del Museo di Napoli e soprintendente alle degli scavi di antichità, organizzò e pianificò per la prima volta gli scavi di Pompei77. Il governo napoleonico, nel breve regno del fratello

dell'imperatore prima e in quello di Gioacchino Murat dopo, si prodigò con leggi affinché fosse arginata la spoliazione sistematica delle vestigia antiche, così con un decreto furono sospesi tutti gli scavi del regno, pubblici e privati per consentire allo stato, tramite il Ministero dell'Interno, di inventariare i beni presenti sul territorio. Contemporaneamente si proibiva l'esportazione di manufatti antichi dal regno, con l'intento dichiarato di preservarli per i sudditi che volessero studiarli o per esporli al Museo Nazionale.

In questo caso, come per lo Stato della Chiesa, erano state studiate norme ferree, delle quali è però difficile valutare l'applicazione, essendo il sistema di controlli dell'epoca non difficilmente aggirabile.

Storia della formazione del Museo Civico Archeologico di Bologna, Bologna 1984 p.26

77 Michele Arditi (1746-1838) fu un antiquario salentino, divenne direttore del Museo di Napoli occupandosi degli scavi di Pompei ed Ercolano.

Tornato il Regno delle due Sicilie sotto la corona borbonica a seguito della Restaurazione, il re Ferdinando I si mantenne sulla stessa linea dei governi napoleonici emanando il 13 maggio 1822 un decreto in materia di scavi e conservazione di manufatti antichi78. Nello stesso decreto fu istituita una

Commissione di Antichità e Belle Arti, con a capo il direttore del Real Museo e due soci dell'Accademia ercolanese e altri due dell'Accademia delle belle arti, che sarebbero rimasti in carica per il tempo massimo di un anno, tale Commissione aveva il compito di giudicare e valutare le richieste di esportazione dai domini del regno di ogni oggetto di antichità, sia di proprietà pubblica che privata.

Nel 1827 fu istituita una Commissione di Antichità e Belle Arti anche a Palermo79, composta da quattro funzionari dei quali due con competenza

prettamente antiquaria e altri due che si sarebbero invece dedicati alle belle arti. In questo modo fu esteso anche alla Sicilia il sistema di tutela delle antichità di Ferdinando I, giacché nell'isola fino ad allora vigevano norme risalenti addirittura al 1552, quando il viceré Juan de Vega y Enriquez de Acuña istituì la figura del

Visitatore80, ovvero un ispettore con il compito si effettuare verifiche e

sopralluoghi con lo scopo di valutare lo stato di conservazione di edifici connotati da rilevanti caratteristiche storico artistiche, ma la prassi riguardava quasi esclusivamente edifici di culto. Ogni Visitatore emanava disposizioni durante il suo mandato che venivano riconfermate o modificate dal successore, fino a che gli atti emanati dal Monsignor de Ciocchis, Visitatore dall'anno 1741 non furono elevati al rango di legge nel 1743 per opera di Carlo III di Borbone. Così dal 1778 la Sicilia era divisa in due circoscrizioni archeologiche presiedute da un Regio

Custode ciascuna: una occidentale, Val di Mazara la cui cura fu affidata a

Lancellotto Castelli, Principe di Torremuzza; e una orientale comprendente la Val Demona e la Val di Noto, sotto la cura di Ignazio Paternò principe di Biscari. I funzionari si occuparono principalmente di organizzare un piano di tutela dei

78 A. Emiliani Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli

antichi stati italiani 1571-1860, Bologna 1978, pp. 243-247.

79 A. Emiliani Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli

antichi stati italiani 1571-1860, Bologna 1978, pp.248-250.

80 M. Bencivenni, R. Dalla Negra, P.Grifoni, Monumenti e istituzioni, Firenze 1992, Vol. I, p. 43.

monumenti antichi volto quasi esclusivamente alla conservazione delle strutture architettoniche, coadiuvati da Vice custodi dislocati nei principali centri dell'isola i quali a loro volta si avvalevano dell'ausilio di Antiquarj operanti alle loro dirette dipendenze.

L'ordinamento borbonico in materia di antichità nel regno delle Due Sicilie aveva tuttavia grossi problemi organizzativi derivanti principalmente dal conflitto di competenze tra gli enti che si occupavano della tutela e dell'amministrazione dei beni antichi, Museo di Napoli, Accademia Ercolanese, Accademia delle Belle Arti, Ispettori nominati dalla direzione del museo e autorità municipali operavano sovrapponendosi e senza coordinazione rendendo impossibile la messa in atto di programmi di tutela organici nell'Italia meridionale.

È evidente come la prima preoccupazione dei governi degli stati preunitari in materia di beni artistici e archeologici fosse quella di limitare l'esportazione, l'attenzione principale fu prestata alle statue e solo a Roma il Chirografo Fea arrivò a estendere la tutela a tutti i reperti antichi, anche per questa ragione l'editto del 1802 è considerabile come la vera pietra miliare nella storia del rapporto tra istituzioni di governo e antichità.

La seconda priorità degli amministratori fu certamente quella di controllare e regolamentare scavi e ritrovamenti, esigenza che ovviamente emerse con forza maggiore in quegli stati il cui sottosuolo era più ricco di vestigia antiche, ancora una volta fu infatti Roma ad avere il primato a riguardo, avendo intrapreso politiche in tal senso sin dal XVI secolo.

Sincronizzazione delle leggi preunitarie