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È prassi comune omettere nell’analisi dei libretti tutto ciò che si chiama paratesto, anche perché molti Argomenti, Avvertimenti o le Dramatis personæ non presentano che informazioni banali e prevedibili. Tuttavia, nel caso del Colombo di Romani, il Prœmio è fondamentale perché esplicita alcune scelte librettistiche e palesa costituenti poetici e culturali dell’epoca (CoR III-IX). In primo luogo, il poeta segnala che il libretto non gode più della stessa reputazione di alcuni anni prima e questo sebbene Romani avrà per molti anni una fama superiore rispetto ai compositori, come si può evincere dai frontespizi : una specie di captatio

benevolentiae e di excusatio non petita che costituiva un topos dell’epoca. In secondo luogo,

inizia a spiegare le proprie scelte e quindi il compito del libretto consisterebbe nel presentare l’eroe nel suo aspetto più degno, nella situazione più gloriosa e nel contempo più nota al pubblico, altrimenti si avrebbero le seguenti conseguenze :

L’Autore drammatico ha d’uopo d’un nodo che ravvicini tutti i personaggi, e di un’azione in cui campeggi l’amore, passione più d’ogni altra prediletta dalla musica [unità d’azione, azione principale di carattere amoroso]. E il mio primo Atto sarebbe passato in mare, il secondo a S. Salvatore, divisi sarebbero stati i personaggi, e due per così dire le azioni. Doveva io forse rappresentare l’eroe di ritorno in Castiglia, onorato dai Sovrani, cui fa dono d’un mondo ? Tutta l’azione si sarebbe ridotta in una splendida scena, il rimanente sarebbe stato languido, freddo e senza passione. Doveva io scegliere il momento in cui l’invidia e l’ingratitudine trionfano del merito e della fede, e il premio di Colombo sono oltraggi e catene ? Troppo nera sarebbe stata la tela che avrei tessuta, e troppo odiosi personaggi avrei dovuto porre in iscena. Oltre di ciò mi si parava d’innanzi l’istessa difficoltà di luogo, di tempo, d’interesse musicale. (CoR IV)

Romani esige implicitamente una sorta di unità di tempo, luogo e spazio, rivelando un approccio in fin dei conti barocco e neoclassicista. Egli ha dapprima bisogno, naturalmente, di una storia d’amore. Posto questo, a mo’ di un Metastasio, di uno Zeno e di tanti altri poeti precedenti, comincia a legittimare le proprie scelte. Ma se in precedenza l’intento consisteva nel convalidare i cambiamenti in funzione storica, cioè nell’eliminare le inverosimiglianze delle fonti, qui Romani deve giustificare l’introduzione di elementi fittizi, quali la comunicazione senza intoppi tra Spagnoli, Colombo e i selvaggi440. Si canta ovviamente in italiano, ma i conquistatori, sul posto da più di un anno, hanno senz’altro imparato la lingua dei selvaggi, i quali, invece, non sono in grado certamente di imparare un’altra lingua. Questa visione implicita si rivela in modo ancora più evidente in un altro punto importante del

Prœmio : per poter presentare « selvaggi » in scena, Romani deve anche accordar a questa

« sottospecie » umana una certa competenza minima per rendere « credibile » il dramma. Costoro sono naturalmente « superstiziosi », « feroci » e « crudeli », secondo il sapere convenzionale dell’epoca, il che è del tutto incomprensibile se si conoscono gli antefatti della trama di Romani. Il librettista stesso, infatti, menziona : « Io fingo, che presso il Cacico di Maïma, nelle cui terre è naufragato Colombo, siasi ricoverato Zamoro, un de’ Cacichi d’Aïti, il quale venga a raccontare a que’ di Giamaica le crudeltà esercitate dagli Europei nella natale sua terra, e che col racconto di tanti infortunj tragga gli ospiti suoi a congiurare contro Colombo per trucidarlo con tutti i Castigliani » (CoR VI). Soprattutto Romani si sente in obbligo di introdurre un minimo di tinte locali. Non si rifà al mito del « buon selvaggio », non

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Qui si nota probabilmente una frecciatina rivolta contro René-Charles Guilbert de Pixerécourt e il suo Christophe Colomb (1815) in cui gli indiani parlano un’improbabile lingua indigena. La critica coeva si era espressa varie volte in modo negativo su questo stratagemma pseudorealistico.

corrotto dalla società, altro topos di stampo settecentesco ; al contrario preferirebbe negare ai « selvaggi » una dimensione umana che introduce solo a malincuore, per ragioni drammatiche : senza vero « antagonista » non ci sarebbe dramma ma solo eccidio.

Tranne Zilia [giovane americana, figlia di Jarico, Cacico di Maïma, innamorata di Fernando], purificata, per così dire dall’amore, i selvaggi son quali esser devono : feroci, e senza alcun freno fuorchè quello della propria superstizione. Nulladimeno io diedi loro un certo qual senso d’onore, e vivissima la carità della patria ; affetti ch’io credo ingeniti nel cuore dell’uomo. Degli usi e dei riti loro, ne giudichi il lettore. Privi, come noi siamo, di monumenti e di tradizioni intorno ai costumi ed ai culti delle prime terre scoperte dagli spagnuoli, era a me lecito immaginarli come conveniva all’azione : tuttavia poco o nulla si scostano da quelli che trovati furono in regioni visitate più tardi. (CoR VIII-IX)

È però inutile essere troppo critici. Romani deve convincere il pubblico e a quanto pare si tratta di un pubblico che richiede un prœmio eccezionalmente lungo probabilmente perché il poeta prevede una certa incredulità da parte di esso. Se, da persona colta, il librettista conosce i vari Rousseau e il mito del buon selvaggio, non è forse così per un pubblico medio che non potrebbe capacitarsi di osservare selvaggi rivaleggiare con europei così come esige un libretto di quest’epoca. Fatto sta che nel libretto questo prœmio c’è, che Romani assume fino in fondo quello che enuncia e che i contenuti rispecchiano probabilmente il sapere convenzionale dell’epoca. La lunghezza del prœmio può essere spiegata da un altro elemento, poco evidente a una prima lettura. Non è stato possibile, in effetti, trovare una fonte diretta per la trama nonostante librettisti come Romani, Gazzaniga e più tardi Piave creassero libretti basandosi su drammi, su episodi di romanzi, o su romanzi interi, delegando facilmente una parte della responsabilità dei contenuti all’autore del testo adattato. Ma in questo caso non si vedono consonanze, anche minime, con i drammi su Colombo di Pixerécourt (1815) o di altri autori. Anche la lettura di biografie coeve non offre episodi che possono essere collegati con l’intreccio del dramma441. Romani termina il Prœmio così : « Se indegno del più grande fra i Genovesi è il serto ch’io gli ho tessuto con un Melodramma, è forse più colpa del genere, che mia. Allo scopritor dell’America vuolsi un’Epopea. Avvi chi l’ha meditata, ma Fortuna gl’impedisce di compierla » (CoR IX). Un’epopea ci voleva dunque, e non un libretto, necessariamente legato in quel periodo all’unità d’azione e alla successione di esposizione, intreccio e scioglimento.

Il libretto stesso è poco elaborato e interessante ai nostri occhi, caratterizzato da una trama tipica del primo Ottocento. A mo’ d’esempio basta leggere l’esposizione, del tutto convenzionale. Il testo apre con un coro : i selvaggi inorriditi da ciò che è successo a Cuba e a Haiti sono pronti a combattere eroicamente (« morrem da vili ?… Ah no ».). Si alleano con Zamoro, uno dei superstiti. Ma quest’ultimo, nel « tempo di mezzo », cambia soggetto e professa il proprio amore per Zilia, la figlia di Jarico, cacico di Maïma, così come già successo in Tancredi e nella maggioranza delle opere dell’epoca, dove gli alter ego funzionali non sono dei selvaggi feroci e crudeli, ma principi, re e altri europei altrettanto incapaci di distinguere la patria, i doveri, la politica dalle pulsazioni più passionali ed egoistiche. A differenza di quello che si nota in altri libretti dall’apparenza convenzionale, si pensi ai libretti di Piave, mancano le necessarie infrazioni alle regole che permettono nuove letture, una

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Cf. BOSSI,L., Vita di Cristoforo Colombo scritta e corredata di nuove osservazioni di note storico-critiche e di un’appendice di

documenti rari o inediti dal cavaliere Luigi Bossi, Milan, Tipografia di Vincenzo Ferrario, 1818. Nelle fonti si trovano alcuni

eventi, come ad esempio la previsione di un’eclissi lunare che Colombo sfrutterà ai propri fini, ma sono eventi che servono da connettori di veridicità e di storicità, mentre l’intreccio è del tutto nuovo.

strategia sfruttata da poeti come Rinuccini, Busenello, Metastasio, Da Ponte, Calzabigi, Piave o Boito.