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Il modello di sviluppo economico in America Latina : persistenza degli squilibri ?

I dati sugli scambi commerciali e sugli investimenti italiani in Sudamerica offrono spunti di riflessione sulla persistenza di divari più o meno profondi fra i modelli di specializzazione economica dei paesi « forti », come l’Italia, e i modelli di sviluppo (o presunti tali) delle aree emergenti, come quella latino-americana.

A proposito dell’Argentina, ad esempio, il nostro Ministero degli Esteri sostiene che « la composizione merceologica delle [sue] esportazioni conferma il [suo] ruolo sui mercati internazionali come fornitore di prodotti primari a basso valore aggiunto (la soia e i suoi derivati, il greggio e i cereali rappresentano infatti le prime voci delle esportazioni argentine) »115. In cambio, l’Argentina continua a importare soprattutto beni strumentali (come le macchine industriali), beni intermedi e prodotti manufatti. Nella fattispecie dell’interscambio bilaterale Italia-Argentina, « il nostro Paese, nel 2008, ha esportato principalmente macchinari industriali, prodotti chimici e manufatti metallici e ha importato prodotti alimentari, prodotti derivati di animali e pelli grezze o manufatti in pelle »116. Ciò sembrerebbe dunque confermare una certa vischiosità dello schema ben noto secondo il quale il paese emergente vende materie prime e commodities a basso costo ai paesi più ricchi, mentre da questi importa prodotti a valore aggiunto nettamente superiore e quindi più cari. Di fronte a tali persistenze, ci si può allora domandare se il paese «emergente» riuscirà un giorno a emergere definitivamente e se il suo modello di « sviluppo » possa davvero considerarsi tale117. L’interscambio commerciale dell’Italia con i paesi sudamericani pare inserirsi in questo schema, contribuendo a cristallizzarlo. Con riferimento specifico ai rapporti con il Cile, è peraltro significativo che il Ministero degli Esteri italiano vi scorga una relazione di « complementarietà » :

Data la complementarietà delle due economie (il Cile esporta quasi esclusivamente prodotti agricoli e materie prime, quali il rame […], e necessita di macchinari e tecnologie ; l’Italia importa commodities ed esporta prodotti industriali di eccellenza) […], risulta fondamentale approfondire e rafforzare l’effettiva comunicazione e lo scambio di informazioni fra i due Paesi118.

Resta da capire per quanto tempo ancora questa complementarietà, presentata come un rapporto equilibrato e paritario, sia destinata a durare e a quale dei due partner continui dunque a risultare più proficua.

115

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, «Argentina», aggiornamento al 2° semestre 2008, op. cit., p. 5.

116

Ibid., p. 11.

117

Anche il caso del Brasile, benché diverso da quello argentino sotto vari aspetti, richiama alla mente lo stesso schema. Le esportazioni brasiliane – soprattutto quelle verso Europa, USA e Cina – riguardano principalmente materie prime e commodities (zucchero, cellulosa, alcool, minerali di ferro e carni da macello), mentre le importazioni sono rappresentate da macchinari e beni capitali (si noti tuttavia che l’export brasiliano verso i paesi del Mercosur è costituito all’80% da beni manufatti). L’ICE stesso sottolinea la fragilità di tale modello : «Infatti, mentre l’export di manufatti determina una maggiore stabilità del sistema economico, dovuta al fatto che i contratti di consegna sono in genere più lunghi, l’export di prodotti di base, che è sostenuto più dal prezzo delle commodities che dalle quantità effettivamente esportate, è soggetto alle oscillazioni delle quotazioni e nel caso dei prodotti agricoli all’andamento dei raccolti » (MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, « Brasile », aggiornamento al 2° semestre 2008, in Rapporti Paese congiunti Ambasciate/Uffici ICE estero, <http://www.esteri.it/rapporti/pdf/brasile.pdf>, p. 3, consultato il 22/10/2009). Ancor più significativo è il caso del Cile, la cui economia, nonostante gli sforzi per diversificare le esportazioni e per sviluppare in particolar modo quelle delle piccole e medie imprese, ha il suo tallone d’Achille nella sua forte dipendenza dalle esportazioni delle commodities (soprattutto rame, ma anche molibdeno, legname e cellulosa).

118

Dal lato degli IDE, la situazione non cambia sostanzialmente, anzi. Ad eccezione di alcuni paesi emergenti, fra cui la Cina, Hong Kong, Singapore, la Russia, l’India e, per il Sudamerica, il Brasile e il Messico, i primi venti paesi beneficiari di IDE in entrata (valutati sia in termini di flussi che in termini di stock) sono gli USA, il Canada e i paesi dell’Ue. In quanto agli IDE in uscita, essi provengono esclusivamente dai paesi ricchi119. Dunque, malgrado la crescita tendenziale degli IDE realizzati dai paesi del Sud in altre regioni del Sud, i paesi del Nord rimangono per il momento i protagonisti principali degli investimenti esteri, sia come area di origine che come area di destinazione. Il caso degli investimenti italiani in America Latina non è forse altrettanto paradigmatico di quelli spagnoli o statunitensi, legati a evidenti strategie di sfruttamento economico in tale zona, ma si inserisce comunque nelle dinamiche che alimentano gli squilibri fra Nord e Sud120.

Consideriamo nuovamente il caso dell’Argentina. Nel 2007, ben il 63% degli investimenti destinati alla formazione di capitale e il 65% degli investimenti per fusioni e acquisizioni sono stati realizzati da imprese straniere121, fra cui quelle italiane svolgono un ruolo non del tutto secondario. Il capitale italiano in Argentina è infatti presente in vari settori : bancario (Banca Intesa), alimentare (Ferrero), agropecuario (Benetton), automobilistico (Gruppo Fiat) e assicurativo (Generali Assicurazioni). Ma oltre a tali settori, meritano un cenno particolare quelli del gas, dell’elettricità e dell’acqua. L’Italia fa parte infatti dei paesi che hanno tratto profitto dai processi di liberalizzazione e privatizzazione dei settori pubblici dell’energia e delle infrastrutture, svoltisi in Argentina a partire dagli anni 80. In seguito alla privatizzazione dell’ente pubblico Gas de Estado, avvenuta nel 1992, le società Camuzzi Gas Pampeana e Camuzzi Gas del Sur, appartenenti al gruppo italiano Camuzzi, sono divenute nel loro complesso il maggior distributore di gas naturale dell’Argentina122. Una situazione simile si è verificata nel settore dell’energia elettrica, dove l’Enel, attraverso la spagnola Endesa (di cui ha acquisito il controllo totale all’inizio del 2009), ha ormai un ampio raggio d’azione123. Benché indirettamente, il capitale italiano è presente anche nel settore della distribuzione dell’acqua : il gruppo italiano Impregilo detiene infatti il 43% di Aguas del Gran Buenos Aires, che dal 2000 è la società concessionaria del servizio pubblico dell’acqua potabile e degli scarichi fognari in varie municipalità della provincia di Buenos Aires124. La lista non è finita, in quanto si estende alle concessioni per lavori autostradali (di nuovo con Impregilo, che opera anche in Brasile e che in Argentina ha partecipato inoltre alla realizzazione dell’importante complesso idroelettrico di Yacyretá), alla telefonia (Telecom Italia detiene il 50% di Sofora Telecomunicaciones, che controlla a sua volta Telecom Argentina, la quale opera praticamente in regime di duopolio sul mercato telefonico argentino, contendendolo a Telefonica Argentina) e alle infrastrutture aeroportuali (la milanese SEA, società di gestione degli scali di Linate e di Malpensa, detiene il 36% del consorzio Aeropuertos Argentina 2000,

119

Cf. ISTITUTO NAZIONALE PER IL COMMERCIO ESTERO,Rapporto ICE 2008-2009, op. cit., p. 30. 120

Per un’analisi delle strategie espansionistiche delle multinazionali spagnole nei settori chiave dell’energia in America Centrale, e delle loro connessioni con le politiche di privatizzazione dei settori pubblici locali, cf. PAZ, M.J., GONZÁLEZ, S., SANABRIA,A.,

Centroamérica encendida. Transnacionales españolas y reformas en el sector eléctrico, Barcelone, Icaria, 2005. 121

Cf. MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, « Argentina », aggiornamento al 2° semestre 2008, op. cit., p. 7.

122

L’attività di distribuzione delle due società copre il 45% del paese, in due zone contigue (Pampa e Patagonia) comprendenti sette province. Cf. <http://www.camuzzigas.com/htm/companias/index.htm> (consultato il 23/10/2009).

123

Privatizzata progressivamente a partire dal 1988, la società Endesa è il principale produttore e distributore di elettricità in Spagna e in America Latina. L’Argentina è uno dei paesi in cui, negli anni ’90, Endesa ha avviato il suo processo di

internazionalizzazione acquistando partecipazioni di società locali. Cf.

<http://www.endesa.es/Portal/es/conozcanos/historia/default.htm> (consultato il 23/10/2009).

124

Cf. <http://www.agba.com.ar/index.html> (consultato il 23/10/2009). Si osservi che il 27% del capitale di Aguas del Gran Buenos Aires è detenuto da Dragados, un’altra grande impresa privata spagnola specializzata nelle infrastrutture e appartenente al gruppo ACS.

il quale ha in concessione la gestione di 33 aeroporti argentini)125. Data la consistenza degli investimenti italiani, il caso dell’Argentina è per noi particolarmente significativo, ma non è il solo. Sebbene con una minor estensione, il capitale italiano si è espanso ad esempio anche in Cile, dove è riuscito a penetrare in diversi settori dei servizi pubblici126.

Il controllo di tali servizi e delle infrastrutture da parte delle multinazionali straniere nelle aree emergenti, se non proprio universalmente accettato, è visto generalmente come un risultato « naturale » e « inevitabile » del processo di globalizzazione. A parte la nostra profonda convinzione che tale processo non ha assolutamente nulla di naturale e inevitabile, ciò che ci lascia fortemente perplessi è l’idea, anch’essa ampiamente diffusa, che gli investimenti stranieri in tali settori – e in generale gli IDE tout court – possano stimolare meccanismi autopropulsivi di sviluppo locale (donde la visione di una presunta « complementarietà » fra economie ricche e povere). Sugli effetti positivi di trickle down derivanti da detti investimenti esistono da tempo forti dubbi, per non dire prove concrete del loro carattere puramente illusorio127. Ma questa posizione critica ci sembra ancor più giustificata nel caso specifico degli investimenti esteri nei settori dei servizi pubblici, dato che teoricamente (teoricamente, cioè se non fossero liberalizzati e privatizzati) tali servizi avrebbero la funzione di smussare i privilegi dei ceti più abbienti nell’accesso alle risorse fondamentali (acqua, gas, elettricità) e quindi di ridurre i fenomeni di esclusione e ingiustizia sociale128.