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Il testo si struttura in modo del tutto diverso rispetto a quello di Romani : è di carattere romanzesco e presenta due parti (la scoperta e la conquista), ognuna suddivisa in due atti, seguite da un epilogo.

La scoperta

1. Il primo atto della prima parte narra la decisione negativa del concilio a Salamanca, Colombo che viene deriso dalla popolazione e la svolta decisiva grazie all’intervento della regina Isabella.

2. In alto mare. La ciurma della Santa Maria s’inquieta. Colombo comincia a disperarsi per esultare infine : si vede del fuoco, hanno scoperto l’America.

La conquista

3. Alzato il sipario si vede un locus amoenus. Un villaggio di indiani situato sulle rive di un lago, idoli, ecc. Ma l’idillio viene turbato. Soldati spagnoli inseguono un vecchio indiano e lo

447 Ibid. 448 Ibid. 449

Ad esempio : Istoria o brevissima relatione della distruttione dell’Indie occidentali: conforme al suo vero originale spagnuolo

già stampato in Siviglia / di Bartolomeo dalle Case, o Casaus ; tradotta in italiano dall. Eccell. Sig. Giacomo Castellani già sotto nome di Francesco Bersabita, Venise, Ginammi, 1643.

massacrano. Alla ricerca dell’oro ogni mezzo è giustificato e gli indigeni non vengono più considerati umani : gli indiani sono vittime. La loro regina Anacoana, invece di ribellarsi, è innamorata di uno spagnolo, uno di quelli che avevano schernito Colombo all’inizio e che usa sia il lessico sia i concetti di Jago e Mefistofele. Capiamo però subito che Anacoana finge. Consapevole della inferiorità delle proprie tribù tenta di vendicarsi con l’unico mezzo che le resta, l’inganno. Brevemente fa capolino una vera storia d’amore tra uno spagnuolo « buono » e la figlia della regina.

4. Arriva Colombo che vorrebbe punire i colpevoli. Da eroe positivo di metastasiana memoria è magnanimo e vuole esercitare clemenza (la clemenza e la bontà di Colombo sono un luogo comune nelle varie biografie coeve sul navigatore, ad esempio nella biografia del 1818 di Luigi Bossi, testé citata). Ma gli intrighi dei criminali (spagnoli, naturalmente) hanno avuto esito positivo: alcuni notabili arrivati su una caravella proveniente dalla Spagna lo destituiscono. I delitti potranno essere perpetrati senza conseguenze. I selvaggi non hanno potuto vendicarsi od ottenere giustizia : il loro martirio continuerà. L’eroe si conferma come tragico, inetto, senza potere.

Epilogo

5. Colombo si trova di nuovo in Spagna. Vorrebbe trovare Isabella che lo aveva protetto, ma la regina nel frattempo è morta. Colombo immagina un nuovo mondo, come all’inizio, e muore, prostrato, non dissimile in questo dal Faust nel Mefistofele.

Si rimane colpiti dall’inversione subdola di isotopie ed assiologizzazioni, di attese e sorprese. Il brano seguente, si tratta delle didascalie iniziali, sottolinea con insistenza alcuni elementi fondamentali nel seguito. Qui Illica crea ciò che in linguistica si chiamerebbe dato per poi introdurre il nuovo. Per ottenere l’effetto di dato, in termini griceiani viola con insistenza marcata le massime di conversazione, soprattutto quella di quantità :

– dà un contributo tanto informativo quanto è richiesto

– non dà un contributo più informativo di quanto è richiesto450.

In questa prima parte abbondano ripetizioni a ogni livello. Posto che Illica voglia comunicare e collabori dunque con il pubblico, queste ripetizioni sono espressione della volontà del poeta di indirizzare l’attenzione su una base di concetti, contenuti e valori che il seguito del testo potrà negare o confermare. Senza tale ripetizione insistita, il pubblico potrebbe selezionare o preferire altre chiavi interpretative. Che nella realtà comunicativa la strategia di Illica non abbia necessariamente successo, è un altro discorso. I dati da noi raccolti dimostrano invece il tentativo di manipolazione da parte del poeta.

Parte prima – La scoperta (Anno 1487) : Atto primo Vasto cortile nel Convento di Santo Stefano a Salamanca.

È separato dalla piazza da cancellate pesanti, vere saracinesche. A sinistra nel primo piano della scena una gradinata di mattoni di uno stile moresco, mette ad una piccola terrazza sulla quale viene a sboccare la Porta

450

Un’ottima introduzione a uno dei maggiori esponenti della pragmatica linguistica e delle scienze cognitive offre COSENZA,G., La pragmatica di Paul Grice. Intenzioni, significato, comunicazione, Milan, Bompiani, 2002.

Maggiore della sala scelta dal Concilio che deve esaminare le teorie di Colombo, confutarle, approvarle o respingerle. – Pure a sinistra, nel secondo piano della scena, nel fondo angolare, sotto un piccolo porticato sostenuto da due colonnette di mattoni dai bizzarri capitelli, la porta del Convento di Santo Stefano (vi appartengono frati dell’Ordine Domenicano). La porta è bassa, tozza, sormontata da croce. A destra i giardini che circondano il palazzo dei Re di Castiglia e di Leone : nascosto in mezzo a piante l’Oratorio reale. La piazza di Salamanca è nell’estremo fondo al di là della cancellata ; è vasta e l’occhio dello spettatore vi può vedere i portici laterali e le basi della Cattedrale di Salamanca. Le tinte oscure vi predominano, cosicché la scena dà un senso di tristezza. Le mura hanno e rendono prepotentemente il colore cupo del medio evo.

Scena I

La piazza è gremita di popolo che si affolla dietro le cancellate chiuse ed a stento difese dagli alabardieri del Santo Uffizio che le guardano. La porta della sala del Concilio è pure guardata da alcuni alabardieri sulla terrazza. – Nella scena, a’ piedi della scala, stanno aggruppati molti cavalieri. Uno sfolgorio vivace di armi e di

gioielli, un ondeggiare di piume, una varietà gaia di tessuti e di colori, e un bizzarro contrasto di costumi e di

foggie, una lotta di gusti cristiani e moreschi. – Un cavaliere si stacca su quel fondo splendido, pel suo strano disprezzo del vestiario, di color cupo e disadorno, pel suo viso olivastro, per sinistro sogguardare, per la sua barba incolta e per un certo atteggiamento beffardo e spavaldo ; costui è Messer Roldano Ximenes, l’uomo del

cardinale Talavera, confessore della Regina e gran baccalare di cose dotte e sante alla Corte di Re Ferdinando. –

Sta Messer Roldano, con fare di persona annoiata, appoggiato ad uno dei pilastri della gradinata ascoltando i discorsi che a lui rivolgono i circostanti cavalieri. – All’alzarsi della tela i ragionari dei cavalieri sono già vicinissimi, dal fondo acuto e lungo è il bisbiglio della folla impaziente451.

La prima didascalia insiste sull’assenza di colori, grazie a espressioni come « oscuro » o « cupo ». Il riferimento al bizzarro si tradurrà nella didascalia seguente nell’accozzaglia di stili ed etnie nonché nella ripetizione del lessema stesso. Altre due isotopie affiorano : quella religiosa e quella regale. L’oscurità, le tinte oscure vengono associate esplicitamente al pesante e al triste (« tozzo », « tristezza »), nonché all’esiguo : « piccolo », « colonnette ». La seconda didascalia inserisce prime opposizioni : al cupo si oppone lo sfolgorio vivace di armi e di gioielli, la gaiezza, la totalità anche sociale e religiosa. Il personaggio mefistofelico e jaghiano Roldano Ximenes, l’uomo del cardinale Talavera, dal vestiario cupo e disadorno introduce una nuova isotopia : l’opposizione tra popolo (l’eterna druda secondo Roldano, p. 13) da un lato, il clero e i nobili dall’altro.

Queste isotopie vengono confermate nel seguito ma, soprattutto, l’isotopia del cupo trova un concorrente che completa poi alla fine del primo atto la creazione del dato : l’isotopia dell’oro che assimila anche lo scintillio, la luce, il fulgore. In una mise en abyme rivelatrice questa isotopia si oppone al cupo, isotopia che in un certo senso è situata nell’utopico : tre romei cantano la leggenda di San Brandano che scopre l’isola dei beati dopo un viaggio impervio. Le isotopie del racconto nel racconto dei tre romei sono le stesse : i tre cantano dolci terre dei sogni e dei canti. La natura, gli uccelli, i fiori e i ruscelli sono d’oro sfolgorante. Cantano di bianche arcate, di angioli avvolti in nubi d’ambra e d’oro. All’oscurità del prima, cioè del reale e del luogo di partenza presentato in questo primo atto, si oppongono il bianco, l’albore, i lidi d’oro del poi fantastico. Spiagge di fiammeggianti gemme, fulgide divine luci, prati di smeraldo, fiori di color rubino, tutto ciò si trova nell’isola dei beati. Dopo questa mise en

abyme che ricorda il viaggio di Colombo e la sua scoperta, Roldano, lo Jago / Mefistofele di

turno, dice di voler avvelenare l’incanto : mescola il « gocciolo d’assenzio del vero » nel vino inebriante della leggenda. Narra cosa succederà ai navigatori : il mare canta tetri canti, attira nelle sue spire i battelli e i marinai. Ride come Jago e Mefistofele « alle fole ed alle fiabe e ai

451

ILLICA,L., Cristoforo Colombo, op. cit., p. 11. Nella riduzione per pianoforte, (op. cit., p. 1) la didascalia è stata accorciata di più o meno la metà. Il grassetto è nostro.

canti dei vaneggianti ». Di nuovo l’autore opta per l’isotopia del cupo, associata a un discorso

reale. Gli astanti sono superstiziosi e dalla gioia ed esultanza passano in poco tempo alla

paura e si beffano dunque di Colombo e delle sue idee.

Si sono, insomma, riconosciuti due sistemi isotopici importanti per il nostro discorso, valorizzati in modo contrastante :

– il cupo, l’oscuro, il buio è legato all’oscurantismo, alla noia, alla religione, alla superstizione, alla paura, al medievale, al passato

– Colombo invece è associato al bianco, al luminoso, alla scienza, alla speranza, al futuro, al fuoco.

Sennonché il racconto dei tre romei, una mise en abyme, e l’intervento di Roldano presentano una prima inversione dei valori. Il « luminoso » nel caso dei romei è abbinato al sacro (e dunque religioso) e al prezioso e raro (rubino, ori), soprattutto in senso metaforico, dato che serve a descrivere una vita migliore, il sacro, il futuro. Roldano, invece, che ride come Jago e Mefistofele, oppone alla speranza, all’ideale, non l’oscurantismo religioso, ma il vero, pessimista e ateo. Non solo : nel suo passaggio si ripete spesso « or », anche in parole come

terror. Si preannuncia un cambio drastico di assiologizzazione.

Colombo passa anche lui attraverso questa tensione. Dopo essere stato attaccato dalla folla che gli rimprovera di voler solo ottenere riconoscimenti sociali e far soldi, afferma che « lugúbre » (isotopia del cupo) è il suo cammino. E, come i nobili, afferma che

[…] la vil turba

aizzata han contro me ! Dell’odio umano questa è la lotta eterna contro all’uomo ! […]

Ah è vile la speranza umana !

Non ho più la fede !… Più non credo ! Dubito di Dio !… Tutto si sfascia

a me d’intorno !… Oh la infinita tenebra452 !

Si sente una voce di donna (dolcissima, la voce s’intende) che prega all’interno dell’oratorio : è la Regina Isabella. Colombo è stupito che ci sia ancora qualcuno che canti, preghi e creda. È il canto –– come quello dei romei in precedenza –– che fa rinascere la speranza. La preghiera di Isabella contiene di nuovo tutte le marche della positività del primo Colombo e dei Romei, il cielo promette amore, i cori esultano, si dimentica il mondo (oblio) :

Prego ! e profonda pace m’inonda ; splende ogni cosa divin fulgori ! Sui bianchi gradi il sol discende l’altare splende porpora ed or. 452 Ibid., p. 24.

Si ritrovano, quindi, il bianco, l’oro, il sole, il fulgore e il prezioso (porpora ed oro) abbinati all’oblio e alla positività ; ma nuovamente, come nel caso dei Romei, tale positività non è legata alla realtà, ma al fittizio, all’immaginario. Colombo però è distrutto, il veleno di Roldano, la frustrazione e la chiesa che si è rivolta contro di lui lo hanno reso consapevole :

Finì l’incanto, o Santa e pia Sovrana, de’ presagi gloriosi !

Là dove si schiudeva un orizzonte di luce sta la notte ;

là dove l’eco ripeteva un canto di vita echeggia l’inno della morte !

Colombo continua nel suo discorso : dove si schiudeva un orizzonte di luce sta la notte. L’altrove, il bianco, l’orizzonte è l’Ideal (altra parola boitiana, scapigliata). Come Boito sottolinea che sopra il capo gli pare (non lo presenta come « fatto ») posare un infinito cielo, sotto ai piedi un infinito mare. Anche Isabella, assorta nella soavissima visione vede : « Or d’una nave candida, / seguo il solco d’argento !… ». Le onde vengono appianate, le tenebre profonde del mar sono illuminate. Colombo si lascia di nuovo irretire dalla finzione e si riappropria delle isotopie e delle attribuzioni di valori rifiutate e rinnegate poc’anzi :

Ecco… è la spiaggia fulgida che m’ha additato Iddio : Sorgi o trïonfo mio per l’infinito ciel !

»Già unisco in un amplesso »due popoli fecondi !… »Ascolta !… Ascolta, il bacio »che avvince insiem due mondi !

Questa visione ricalca da vicino il passaggio finale del Mefistofele di Arrigo Boito, quando l’eroe, in un ultimo atto crea la visione di un popolo fecondo :

Giunto sul passo estremo Della più estrema età, In un sogno supremo si bea l’anima già : Re d’un placido mondo. D’una spiaggia infinita, A un popolo fecondo Voglio donar la vita. Sotto una savia legge Vo’ che surgano a mille A mille e genti e greggie E case e campi e ville. Voglio che questo sogno Sia la santa poesia, E l’ultimo bisogno Dell’esistenza mia.

Alcune espressioni e parole chiave (popolo fecondo, spiaggia – piaggia – nello stesso passaggio del Mefistofele si trovano ancora altri concetti e parole che rinviano al brano di Illica) ritornano in entrambi i passaggi, a confermare che l’idea di un nuovo mondo è solo un’utopia. È un passaggio che funge da prolessi, dato che il rinvio al Faust di Boito preannuncia lo scacco di Colombo. Anche Faust non riuscirà a creare un mondo nuovo, utopico, migliore, però almeno nell’immaginazione, nel momento della morte, Faust [s’]immagina un tale mondo, vede il suo popolo, e lo vede anche il pubblico, come esplicitano le didascalie453. A Colombo non sarà nemmeno permesso questo lieto fine fittizio: alla fine, morendo, sa che questo sogno non si avvererà più.

La regina Isabella gli consegna i soldi necessari per le navi : cioè il diadema, un oggetto che rinvia all’isotopia del prezioso e a quella del bianco e del luccicante. Qui termina il primo atto. Nel seguito del testo queste isotopie ricompaiono, ma col tempo si nota un’inversione progressiva dell’assiologizzazione : il prezioso-sacro-idealista, il metaforico abbinato al fulgore, al candido, all’oro e connotato positivamente, si trasforma nel suo contrario, e il prezioso-raro-ideale diventa un semplice discorso economico e brutalmente veterocapitalista. Il bianco, il lucente, l’oro ora sono segno di morte, di terreno, di pessimismo realistico, di maledizione. All’inizio del terzo atto vediamo soldati spagnoli rincorrere un anziano perché cercano oro. « Or » rimane anche in seguito uno dei suoni più ricorrenti sia in rima sia all’interno del libretto. Parole ambigue come pallore, all’inizio abbinati al bianco e al positivo, ora rinviano direttamente alla morte.

Anche gli indiani all’inizio sembrano rifarsi al complesso isotopico primario cui avevano aderito i Romei, Colombo e Isabella :

Alto – volanti aquile bianche fendono le grigie nubi e al ciel portano l’anima. Hanno il tuo corpo i gemiti e le nenie il desolato suol dà sangue e lacrime. UOMINI

Te fra azzurre – fulgenti fascie d’iridi d’oro-crinito Iddio del ciel t’accoglie. DONNE

Nera – possente inerte è la zagaglia l’arco lungo – piumato pende floscio. Crudel per te di vita fu il dì ultimo ma or odi eterno l’inno delle Glorie !

Ma, nel seguito, la sostituzione di ideale e sacro con vero e morte cambia tutto. Anancoana infatti sa che il luccichio è solo apparenza, è dunque menzognero :

»Ancor rivivo l’alba

»funesta ! Ancor veggo i navigli candidi »sorger dal mare, l’ali bianche al vento, »e odo il portento degli strani idiomi ! »Ecco !… Roldan ne scende come un nume »d’armi raggiante ! Caonabo si prostra ! 453

Cf. i capitoli sul Mefistofele in MAEDER,C., Il real fu dolore e l’ideal sogno : Arrigo Boito e i limiti dell’arte, Florence, F. Cesati, 2002.

»Io pure ! – E adoro questo iddio bugiardo ! »Parvero dii i cercatori d’oro !

»Per l’oro io piango sposo… patria… tutto ! »Ma da quel dì che morto fra le braccia »e insanguinato contemplai Caonabo… »ah, da quel dì la mia vendetta vidi454 !

Nel quarto atto, quando la tragedia finale si consuma (per rimanere in gergo melodrammatico), Anacoana dice :

Qui un popolo si spegne ; qui una patria s’immola al suo destin !

(additando l’ara nell’interno del tempio) Qui lance, e scudi ed archi !… Le zagaglie dian gli ultimi baglior !…

Tu pur… tu pur, l’ultimo raggio folgora o mio diadema d’or !

(mentre i cacichi sfilano muti gettando sulla catasta di aromi le armi, Anacoana si strappa il diadema e lo getta ultimo. Alla grandezza eroica subentra in Anacoana un profondo senso di mestizia)

O mio corpo, che i baci un dì cogliesti d’un Re forte e gentil

e ch’io donai agli abbracci funesti d’un uomo crudele e vil,

puro dal fuoco ora fa tu ritorno al tuo divin amor !

(dà fuoco al tempio)

(colle braccia al cielo in atto di suprema invocazione) O sole, irradia ! Piovi raggi, o giorno

sul popolo che muor ! INDIANI

(coll’impeto entusiasta del più gran fanatismo) O sole, irradia ! Piovi raggi, o giorno

sul popolo che muor !

« Spegnere la luce » è il concetto che percorre questo passaggio. Dare al fuoco che consuma tutto, gettare lance, scudi ed archi affinché « dian gli ultimi bagliori », rinunciare al diadema d’oro mostra che le illusioni, il futuro è finito. Il sole offre solo illusioni finali (« O sole irradia ! »), la storia, vera questa volta, dimostra che per gli indiani non c’era più speranza. Alla fine, tornati in Spagna, Guevara, l’intimo di Colombo, tenta di rasserenarlo :

Lieto presagio !… Ve’ l’aurora fa scintillar di gai riflessi l’alte finestre arcuate ed il funebre loco par palpitare ei pure nella luce che del Creato è vita ! Sorge il sole !

Ormai non si rinvia più a un futuro reale, a qualcosa da costruire, al movimento che si oppone alla stasi, ma si tratta solo di immaginazione che rinvia dunque al falso e al menzognero : la Regina Isabella è morta, Colombo non potrà più riscattarsi.

454

Roldano, alter ego di Jago, Mefistofele, ha avuto ragione : il vero è cupo, scuro. Si pensa al denaro, il vero è pessimismo e rispecchia la cattiveria intrinseca dell’uomo. Per riflesso anche la chiesa e l’oscurantismo sono veri, dunque non racconti ormai desueti, perché servono a sfruttare il mondo, a far leva su pregiudizi. Fola non è il cielo dello Jago boitiano, ma la scienza « positivista », che ci fa credere che si possa cambiare qualcosa, che il mondo migliori : il fatto che i conquistadores criminali vincano in nome dell’oro, dell’economia, della chiesa istituzionalizzata ha tolto l’ultima illusione a chi crede in una società migliore. L’America non è più il luogo del futuro, l’orizzonte di stampo hollywoodiano che sta per la speranza. Ma come invece si nota in gran parte della produzione italiana otto e novecentesca, l’orizzonte è ambiguo, si crede solo di poter raggiungerlo ; in realtà rimane sempre inaccessibile. E come in Pavese l’America è solo un miraggio, così lo è anche per gli emigranti che ora devono lasciar l’Italia, non più come conquistatori, per un mondo migliore, ma perché inseguono i soldi, per necessità, perché sognano l’orizzonte « economico », che certamente non li renderà migliori455.

Sarà un caso, ma solo alla fine si è confrontati con un brano musicale melodico, quasi « chiuso », e che rinvia un po’ alla tradizione : alla fine, quando non ha più senso, come elemento malinconico, che ricorda un tempo migliore, in cui si poteva ancora credere in un nuovo mondo.

Riassunto – Résumé

Il Carlo Felice di Genova, Cristoforo Colombo e due libretti ottocenteschi : il buon navigatore narrato da Felice Romani e Luigi Illica

Nel 1828, per l’inaugurazione del Carlo Felice a Genova, Felice Romani scrive un libretto su Cristoforo Colombo musicato da Francesco Morlacchi ; il libretto sarà poi ripreso da almeno altri sette compositori. Queste riprese multiple, inusuali per l’Ottocento, mostrano l’impatto del libretto di Romani, uno dei pochi librettisti di quell’epoca a godere di un tale riconoscimento. Sessantaquattro anni dopo, il giovane Luigi Illica partecipa a un concorso indetto dal Comune di Genova per le feste colombiane del 1892 e per l’inaugurazione del Carlo Felice ristrutturato per quell’evento : anch’egli presenta un libretto sul navigatore genovese. Per la musica è previsto Giuseppe Verdi ma questi rifiuta e propone, quale sostituto, Alberto Franchetti che accetta la sfida.

Le differenze fra i due libretti non potrebbero essere maggiori e riguardano la poetica,