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La fioritura dell’ars dictaminis in Italia nei secc XII XIV Breve storia del genere

I L T RACTATUS EPISTOLARUM

5.2 La fioritura dell’ars dictaminis in Italia nei secc XII XIV Breve storia del genere

Prima di tracciare una storia dell’ars dictaminis210 medievale, consideriamo nella sua individualità l’elemento oggetto della nuova disciplina: la lettera. Da sempre l’uomo ha avuto la consuetudine di riportare e diffondere, nel tempo e nello spazio, oralmente o per scritto, discorsi fatti da persone che non possono essere presenti. Almeno in forma orale, la lettera è sempre esistita. Tuttavia, nell’antichità greco-latina, essa non ha uno statuto indipendente e non è considerata un genere a sé stante211, pur essendo

numerosi gli esempi di missive che ci sono stati tramandati. Nella sua caratterizzazione essa è fortemente dipendente, a livello di abbellimenti retorici, da stilemi e colores sviluppati per la tecnica oratoria. Le lettere dell’antichità, infatti, hanno spesso l’apparenza di orazioni, anche quando partono da spunti intimi e personali, come molte delle epistole di Cicerone o di Seneca. In esse, infatti, vengono sviluppati concetti filosofici, che conferiscono loro il tono di trattati. Accanto a tali esempi, si trovano numerosi casi in cui la lettera è solo un veicolo di trasmissione di messaggi strettamente privati ed è quindi caratterizzata da forme e termini del

210 Occorre un’importante premessa sui termini che venivano di solito impiegati perché ci

troviamo infatti di fronte a una terminologia assai varia: generalmente, con il nome di ars

dictaminis o, meglio, summa dictaminis, si intendono le ampie compilazioni teoriche, come

quelle composte dai più famosi dictatores bolognesi del sec. XIII. Tali summae sono chiamate a volte dictamina, termine più ambiguo del primo perché usato per indicare sia gli scritti teorici sulla materia sia le raccolte di esempi. Ben presto, infatti, si sviluppò, parallelamente ai trattati teorici, un’ampia circolazione di raccolte di epistole: fra esse la maggior parte è costituita da lettere inventate, ma talvolta capita di imbattersi in missive scritte per uno scopo reale, e in altri tipi di documenti pubblici, che hanno anche il valore intrinseco di fonti di storia medievale. Un altro termine che capita spesso di incontrare è quello di ars dictandi o summa

dictandi che sarebbe il termine esatto per indicare i testi, mentre ars dictaminis nel senso

proprio dovrebbe essere ristretto al solo significato di “disciplina dello scrivere le lettere”, anche se nella pratica è il termine più frequentemente usato per indicare gli scritti in materia.

211 Giulio Vittore è l’unico scrittore dell’antichità ad occuparsi della stesura di epistole, che

tratta in appendice alla sua Ars Retorica, opera dedicata ad una breve presentazione della dottrina ciceroniana. Nell’appendice riservata alle epistole, Vittore distingue due tipi di lettere: quelle negotiales, di carattere ufficiale, finalizzate a comunicazioni pubbliche, che richiedono un utilizzo di abbellimenti retorici, e quelle familiares, di argomento privato, che al contrario necessitano di chiarezza e di un linguaggio semplice e quotidiano. Cfr. C. IULIUS VICTOR, Ars rhetorica, in Rhetores latini minores, a c. di C. HALM, Frankfurt 1964.

linguaggio quotidiano. In ogni caso, comunque, una regolamentazione tecnica della composizione epistolare non appartiene al mondo antico.

Nell’alto Medioevo qualche raro spunto per una fissazione di regole si lascia intravedere a più riprese in epoca carolingia e in territorio francese212, senza

che si giunga tuttavia ad una categorizzazione sistematica del genere213.

Il grande salto di qualità si compie in Italia verso la fine del secolo XI, quando un cambiamento sociale in atto in vari strati della popolazione determina il bisogno crescente di regolamentare la composizione di epistole che abbiano valore di documenti attestanti la volontà di autorità pubbliche. Una nuova classe di scribi delle cancellerie papali ed imperiali e, più tardi, comunali, ha necessità di essere istruita nella composizione di documenti ufficiali. Bisogna notare il carattere esclusivamente pubblico dell’epistolografia medievale, interamente orientata alla composizione di lettere ufficiali, ma converrà ricordare che la distinzione fra ambito pubblico e privato di una lettera, a quest’altezza cronologica, non c’è ancora stata. A Montecassino, verso la fine del sec. XI, si ebbe il primo, fruttuoso tentativo di dare un’articolazione coerente ad una pratica dai contorni ancora poco definiti. Il Breviarium de dictamine del monaco Alberico è comunque ancora un tipico testo di retorica, anche se contiene accenni alla composizione di epistole; tuttavia, questo lavoro vale ad Alberico il riconoscimento quasi unanime di “father of the medieval ars dictaminis”, per citare il titolo di un fortunato articolo di Murphy214, che rappresenta una pietra miliare nella

critica novecentesca. In realtà l’ars dictaminis intesa come studio della composizione epistolare nacque a Bologna, nell’ambito degli studia legati alla

212 Soprattutto con i cosiddetti “formulari”, raccolte di formule da usarsi in situazioni ufficiali.

La maggior parte di essi risale ai secc. VII-IX e sono tutti composti in diverse città del centro- nord della Francia: si tratta, perlopiù, di documenti che stabiliscono i rapporti fra sovrano e sudditi, come formule di investitura, concessioni di immunità ed altri tipi di rapporti contrattuali. Cfr. MURPHY, La retorica nel Medioevo, cit. pp. 229 e seguenti.

213 Tali formule ed altri tentativi di stesura di regole per la corrispondenza ufficiale risentono

del carattere fondamentalmente notarile dei documenti che dovevano essere redatti; bisogna tener conto, inoltre, del bassissimo livello culturale toccato dall’Europa a cavallo dell’anno 1000, periodo in cui si intravedono solo embrioni di università in Italia (come lo studium di Bologna, sorto poi ufficialmente nel 1122) ed ancora nessun tipo di organizzazioni simili nel nord Europa.

fertile scuola di diritto. In effetti, il legame strettissimo fra l’ars dictaminis e il diritto è il tratto più caratteristico della scuola dei dictatores italiani: infatti, la nuova disciplina aveva un carattere estremamente pratico ed orientato alla comunicazione ufficiale, cosa che la rendeva un sapere necessario per notai, giudici e per quanti avessero una precisa funzione nell’amministrazione pubblica.

Nel resto dell’Europa la tradizione è differente. Gli studi di ars dictaminis, di cui furono feconde le scuole di Tours e di Orlèans215 (per cui si parla anche di

stile aurelianensis, contrapposto a quello bononiensis), differiscono assai da quelli prodotti alla scuola bolognese. In Francia, nella seconda metà del sec. XII, il dictamen è insegnato da maestri di grammatica che privilegiano lo studio degli auctores latini. Grande spazio viene riservato all’ornamentazione retorica e soprattutto alla dottrina del cursus, che permea di sé la produzione dei dictamina d’oltralpe. La maggiore innovazione francese nell’ars è proprio l’aggiunta ai manuali di un capitolo sul cursus. Come mette giustamente in evidenza Camargo216, non è chiaro perché la dottrina del cursus, che era stata

osservata per secoli nella cancelleria papale, non sia entrata prima a far parte dei manuali di ars dictaminis e perché non in Italia. Lo studioso suggerisce che essa sia diventata parte integrante dei testi di ars dictaminis d’oltralpe perché nel corso del sec. XII molti francesi avevano trovato impiego nella cancelleria romana. Un’altra caratteristica dei testi francesi di dictamen è l’attenzione allo studio dei documenti pubblici ufficiali217, come la

discussione della dottrina dei privilegi. I Francesi si impegnarono anche nella composizione di raccolte di esempi di tali documenti, spesso poste in appendice a testi teorici, come nel caso della Summa dictaminis di Bernard de

215 Per una storia dello sviluppo delle dottrine di ars dictaminis di area francese cfr. CH.

VULLIEZ, Des écoles de l’Orléanais à l’université d’Orléans (Xe – début XIVe siècle), Paris 1994 e

L’ars dictaminis, survivances et déclin, dans la moitié nord de l’espace français dans le Moyen Age tardif (mil. XIIIe – mil. XVe siècles), « Rhetorica. A journal of the history of rhetoric », 19, 2

(2001), pp. 141-53.

216CAMARGO, Ars dictaminis, cit., p. 35.

217 Sull’interesse francese per la diplomatica cfr. CH. VULLIEZ, L’apprentissage de la rédaction des documents diplomatiques à travers l’ars dictaminis français (et spécialement ligérien) du XIIe siècle,

Meung, certo il più famoso dictator della scuola francese.218 Di contro

all’interesse d’oltralpe per i documenti pubblici, che fa dei Francesi i pionieri nello studio della diplomatica, gli Italiani si distinguono per l’interesse per gli aspetti più specificamente letterari dei testi, per cui le raccolte di esempi di dictamina italiani sono costituite genericamente da epistole.

L’influenza francese si fa sentire in Italia e anche in altri Paesi del Nord, soprattutto in Germania e in Inghilterra219. Per quanto riguarda i rapporti

con l’Italia, interessante è il nome di un magister Poncius o Sponcius (autore di una Summa dictaminis verso il 1250) che, di origine provenzale220, avrebbe

esercitato l’insegnamento nel nord della Francia e le cui teorie si fanno sentire ampiamente nel nostro Paese221, soprattutto per la grammatica e la

retorica; e la cui influenza sui dictatores dell’Italia centro-settentrionale sarebbe da analizzare più compiutamente.

Un momento di svolta nella storia dell’ars dictaminis si ebbe verso il 1200 e nuovamente a Bologna. Il dictamen italiano andò incontro ad un rapido e massiccio cambiamento, e l’autore principale di questo fu Boncompagno da Signa. Con lui si inaugura la stagione più fertile dell’ars dictaminis bolognese, che vedrà la partecipazione di altre grandi figure di maestri, quali Guido Faba e Bene da Firenze.

Boncompagno222, attivo nella prima metà del secolo e morto a Firenze dopo il

1240, fu autore di numerosi trattati di retorica e dictamen dai nomi suggestivi ed altisonanti: Palma, Oliva, Cedrus, Myrrha, Isagoge, Rota Veneris. La sua

218 Cfr. MURPHY, La retorica, cit. p. 260 e seguenti.

219 Il dictamen fu introdotto in Inghilterra intorno al 1187 da Pietro di Blois, autore di un De arte dictandi prosaice; l’autore più famoso è Thomas Merke, autore del De moderno dictamine (1405),

ma tranne questo ed altri pochi scritti, come le brevi note di Gervasio di Melkley, la produzione inglese di dictamen fu molto limitata.

220 Come dice lo stesso Sponcius nel proemio alla Summa de constructione: “[…] ego, Magister

Sponcius, Provincialis […]”. La Summa de dictamine e la Summa de constructione sono pubblicate in FIERVILLE, Une grammaire latine, cit., nelle appendici I e II, pp. 175-192 ; su di lui cfr. l’introduzione che Fierville premette all’opera; vedi, inoltre, VULLIEZ, L’ars dictaminis, cit., MURPHY, La retorica, cit., pp. 265-66, e H.G. LE SAULNIER DE SAINT-JOUAN, Pons le Provençal,

maître en dictamen (XIIIe siècle), tesi dattiloscritta dell’Ecole des Chartes, Paris 1957, pp. 87-92. 221 Dobbiamo ricordare che la Provenza, dal punto di vista culturale, in particolare letterario,

era molto affine alla tradizione italiana.

222 Su Boncompagno da Signa cfr. in particolare WITT, Boncompagno, cit.; vedi anche CAMARGO, Ars dictaminis, cit., pp. 29-41, MURPHY, La retorica, cit., pp. 289-91, ZACCAGNINI, La vita dei

opera maggiore circolò tuttavia sotto lo stesso nome dell’autore, Boncompagnus (1226), nota anche come Rhetorica antiqua per distinguerla dalla Rhetorica novissima, in 13 libri, scritta verso il 1235. Era uno spirito ambizioso e sprezzante, e ambiva a porsi come il nuovo Cicerone, da cui il titolo dell’ultima sua opera, Rhetorica novissima, che nel suo intento doveva rappresentare la nuova indiscussa autorità in campo retorico ed epistolare. La sua natura originale e polemica lo portò a scagliarsi contro la moda francese in fatto di dictamen, soprattutto contro la dottrina del cursus, che costituì il bersaglio preferito per gli strali del maestro bolognese. Critiche contro le teorie francesi riempiono già le pagine della Palma (1198), uno degli scritti più antichi, fitte di attacchi contro la scuola di Orléans, critiche riprese poi negli scritti posteriori, come nel Boncompagnus. Come si è già dato modo di vedere, la produzione di Boncompagno fu piuttosto estesa, ma, nonostante ciò, e nonostante il fatto che nei suoi scritti egli perseguisse come primo scopo l’ideale di chiarezza ed intelligibilità del testo, la fama delle opere non sopravvisse molto al di là della morte del loro autore, rimpiazzata da quella di opere che ottennero un più vasto e duraturo successo di pubblico, in primo luogo gli scritti di Guido Faba. Certo non giovò a Boncompagno lo spirito iroso e battagliero che gli attirò numerosi e forti contrasti. Il suo maggiore tentativo, nel campo dell’ars dictaminis, rimase quello di fissare un sistema di lettera diviso in tre parti223 invece che in

cinque, ma tale tentativo non ebbe seguito224.

Bene da Firenze225, chierico, morto nel 1239, insegnò anch’egli allo studio

bolognese e fu autore di una vastissima summa dall’allusivo nome di Candelabrum (1220-1227). Con quest’ampia opera, che contiene anche insegnamenti di retorica, l’autore persegue l’ambizioso scopo di porsi come luce per i principianti nello studio di ars dictaminis. Il Candelabrum è anche

223 Rifacendosi alla tradizione bolognese, che aveva già visto i dictatores del sec. XII elaborare

ripartizioni di lettere in tre parti. Cfr. ciò che si dice a proposito di Adalberto Samaritano in SCHMALE, Die Bologneser Schule, cit.

224 Nonostante un simile tentativo da parte di Guido Faba nei decenni successivi.

225 Sull’autore, oltre ai contributi critici già citati a proposito di Boncompagno, vedi

l’importante edizione critica del Candelabrum realizzataALESSIO, Bene Florentini, cit., corredata di un ampio apparato di note esplicative e da una vasta e dettagliata bibliografia.

l’opera che tiene in maggior conto il modo francese di intendere il dictamen, a cui è dedicata la parte sesta del manuale. Soprattutto per quanto riguarda il sistema delle clausole ritmiche, ampia è l’analisi del cursus gallicus contrapposto al cursus romanus, di cui pure offre una vasta trattazione. L’opera nel complesso è forse il testo di ars dictaminis più esteso ed approfondito fra quelli della scuola bolognese, e servì certamente da modello per opere successive, fra le quali potrebbe esser compreso anche il Tractatus di Buti. Buona parte del testo, circa la metà, si occupa di argomenti specificamente retorici, soprattutto della definizione di elegantia, compositio ed ornatus e dell’elencazione dei colores; soltanto la seconda parte tratta della lettera e delle regole della composizione epistolare. Lo schema del testo è seguito quasi pedissequamente da un altro dictator di scuola bolognese, poco più giovane di Bene, il maestro Bono da Lucca226, autore del Cedrus Libani che

può essere stato anch’esso preso a modello da Francesco da Buti.

Ma l’autore più importante della triade bolognese fu senza dubbio Guido Faba227 (ca. 1190- ca. 1240). Dopo aver completato intorno al 1210 lo studio

delle discipline del Trivium, continuò la sua istruzione nell’arte notarile fino a raggiungere la qualifica di notaio, professione che svolse almeno a partire dal 1219. Nel 1223 divenne professore di ars dictaminis nella cappella di S. Michele di Mercato di Mezzo a Bologna; in seguito, servì nella cancelleria del vescovo della città. Tornò poi a insegnare ars dictaminis all’università di Bologna dai primi anni ’20 fino agli anni ’40 del secolo. Fu un autore prolifico, dato che sotto il suo nome sono tramandate ben otto opere, fra le quali le più importanti vanno sotto il nome di Summa de vitiis et virtutibus, Gemma purpurea e Summa dictaminis, qui elencate in ordine cronologico. La Summa de vitiis è una collezione di exordia, con particolare riguardo alla considerazione dei vizi da evitare; la Summa dictaminis (ca. 1228-1229) è l’unico vero trattato teorico composto da Guido, che nelle altre opere

226 Per il quale cfr. VECCHI (a c. di), Cedrus Libani, cit. e BERTONI, Intorno alla vita, cit.

227 Su Guido Faba, oltre alla bibliografia già citata per Boncompagno da Signa e Bene da

Firenze, vedi l’edizione critica della Summa dictaminis, a c. di GAUDENZI, Guidonis Fabe Summa, cit. e l’interessante articolo di CH.B. FAULHABER, The Summa dictaminis of Guido Faba, in

presenta piuttosto raccolte di esempi. Nella Summa si comincia con una lista dei vizi da evitare e solo dopo si passa alle definizioni di base dell’epistolografia, caratteristica che differenzia l’opera di Faba dalla trattatistica coeva. Le parti della lettera, come già Boncompagno aveva cercato di stabilire, sono solo tre: exordium, narratio e petitio. Tuttavia, l’autore in opere precedenti aveva inserito la salutatio al posto dell’exordium, mentre nella Summa afferma che, sebbene la salutatio non faccia parte integrante della lettera, essa va trattata comunque prima delle altre parti, data la sua importanza per la fissazione dei rapporti fra mittente e destinatario. In essa infatti vengono definiti accuratamente criteri di saluto fissati in base al rango dei partecipanti allo scambio epistolare. Guido elabora metodi di convincimento del destinatario basati sulla suddivisione gerarchica degli individui nella società, che mittente e destinatario devono accettare. Egli è forse il dictator che insiste maggiormente sull’importanza di una ripartizione rigida delle classi sociali, senza la quale – afferma – qualunque tipo di documento, anche una semplice epistola privata, non potrebbe formularsi compiutamente, data l’impossibilità di comprendere correttamente la natura delle relazioni fra i partecipanti. Guido dedica molte pagine ai vari casi che possono verificarsi, ma non bisogna dimenticare l’insistenza sull’argomento pressoché da parte di tutti i dictatores dell’epoca di Faba, cosicché la fissazione dei ruoli degli individui nella società fa dei dictatores i custodi di essa, come non mancano di sottolineare alcuni critici228.

Dopo aver parlato delle parti di una lettera, Faba procede con la considerazione dello stile epistolare, che non deve essere esente da vezzi retorici, anche se deve perseguire in primo luogo la chiarezza; in seguito, viene affrontato il cursus (planus, tardus e velox). Segue un’elencazione di colores retorici e di proverbi attinti alla Bibbia. Proprio il proverbium è una seconda importante caratteristica dell’opera di Guido, cioè la tendenza ad inserire una frase sentenziosa dopo la salutatio, nel posto riservato

all’exordium. Questa sentenza dovrebbe fornire la chiave di lettura per la successiva narrazione dei fatti.

Alla fine dell’opera Faba parla dell’ars notaria229 e delle regole per stendere documenti legalmente validi, di cui fornisce esempi nella forma di privilegi ecclesiastici ed imperiali.

Una profonda alterazione nell’uditorio dei dictatores avvenne verso la metà del sec. XIII e costituì un momento di profondo cambiamento anche per i trattati di ars dictaminis. Nel sec. XII e nella prima metà del sec. XIII gli studenti di dictamen erano principalmente chierici destinati a diventare cancellieri a servizio dell’imperatore, del papa, di vescovi e feudatari. Nella seconda metà del sec. XIII l’uditorio figurava invece composto da futuri notai e giudici nei comuni dell’Italia centro-settentrionale. Interessante è anche ricordare come all’epoca si potesse veramente parlare di “uditori” e non soltanto di “lettori”, dato che quasi sempre le lezioni di questi primi dictatores erano tenute in una pubblica piazza. Si verificava quindi un cambiamento nell’estrazione sociale degli allievi, dato che nel loro numero figuravano ora esponenti della ricca borghesia mercantile, figli di notai e di banchieri. Tali figure si avviavano ad una professione che li avrebbe messi in contatto soprattutto con podestà ed altre autorità inserite nel governo del Comune: questo fatto richiedeva che essi fossero esperti nelle salutationes da rivolgere a tali persone. Nasce così una nuova categoria sociale, quella di “persone distinte da una qualità” (de adiectivatione personarum habitu precellentium); tale qualità non è innata, acquisita per diritto di nascita, ma conquistata per meriti e sforzi personali. Importante è notare che in tale categoria rientrano anche studiosi e maestri che vengono salutati con i

229 L’ars notaria si occupava della composizione di documenti legali; nacque anch’essa a

Bologna, e si diffuse in altre città del centro-nord. Da vari documenti d’archivio sappiamo che era insegnata anche a Pisa. Il suo esponente più famoso fu Rolandino Passeggeri, autore di una Summa artis notariae nel sec. XIII. Su di lui cfr. A. PALMIERI, Rolandino Passeggeri, Bologna 1933. Sull’ars notaria in generale cfr. M.A. VON BETHMANN-HOLLWEG, Der Civilprozess des

gemeinen Rechts in geschichtlicher Entwicklung, IV, Bonn 1874, pp. 148-159; cfr. anche P.O.