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Struttura delle Regule grammaticales

Nell'analisi delle fonti della grammatica di Guarino Veronese, Remigio Sabbadini81, nel 1896, offriva per la prima volta un quadro sintetico del

manuale di Francesco da Buti, che riteneva una delle fonti primarie di Guarino. In particolare, lo studioso riconosceva una divisione dell'opera in due sezioni: una generale (latinum minus), con regole basilari, ed una speciale (latinum mediacre), nella quale, oltre ad un approfondimento dei concetti già trattati, venivano introdotti nuovi argomenti.

Il manuale, in realtà, è diviso in tre sezioni: latinum minus, mediocre e maius, e la sua struttura riflette l’organizzazione della scuola secondaria di grammatica che si articolava in vari livelli. Robert Black ritiene che il manuale fosse rivolto solo a giovani scolari (rudes) come farebbe supporre quanto dichiarato dall'autore nella prefazione: Ne rudium turba scolarium vago deduceretur errore, sed recto tramite graderetur ad metam, ego Franciscus de Butti, pisanus civis, gramatice ac retorice professor indignus, regulas gramatice in hoc opuscolo prout valui ordetenus compilavi82, e che tutti gli argomenti trattati, compresi quelli dell'ultima sezione, fossero necessari per un'elementare composizione in prosa latina che richiedeva anche una conoscenza della sintassi dei participi, pronomi e congiunzioni. Per Paul Gehl83, invece, la terza

sezione, in cui le regole si moltiplicano e la dottrina diventa molto complessa, sarebbe uno strumento didattico riservato ad un corso di grammatica di livello universitario. Le Regule grammaticales trattano dei seguenti argomenti: Nomi: accidenti e concordanza

Verbi: costruzione

Nomi: irregolari ed eterocliti, derivati, aggettivi, comparativi, superlativi, partitivi, numerali, interrogativi, relativi, indefiniti, distributivi, verbali

Verbi: perfetti anomali, composti, difettivi

Participi: definizione, formazione, significato, reggenza, costruzione

81 SABBADINI, La scuola e gli studi, cit., pp. 40-41. 82 BLACK, Humanism, cit., p. 98, n. 211.

Pronomi: definizione, formazione, accidenti, costruzione Congiunzioni: definizione, classificazione,costruzione Figure: definizione, classificazione, costruzione

Gli argomenti vengono presentati in un ordine di progressiva difficoltà. Nella prima sezione, dopo una brevissima introduzione (nella quale l'autore, oltre a presentare se stesso, manifesta scopo e contenuto dell'opera), si entra nel vivo della spiegazione con l'enunciazione delle partes orationis, che da Prisciano in poi erano fisse al numero di otto: nomen, verbum, participium, pronomen, prepositio, adverbium, interiectio, coniunctio. Segue la trattazione del nomen, di cui si dà la seguente definizione: "p. o. declinabilis substantiam cum qualitate signifìcans". Il nome, dunque, è definito in base alla substantia che indica e si può dividere in substantivum e adiectivum. A sua volta, il n. substantivum si divide in proprium e appellativum, mentre il n. adiectivum richiede sempre un substantivum a cui associarsi, e con cui concordare in genere, numero e caso. Vengono poi definiti gli accidenti dei nomi, che sono cinque: speties, genus, numerus, figura, casus. Per ognuno di essi ci sono poi ulteriori suddivisioni. Segue il tractatus de verbis, scandito da una nuova rubrica. Dopo la definizione, "verbum est p. o. declinabilis actionem vel pationem distantem a substantia cum modis, formis et temporibus significans", vengono introdotti gli accidentia dei verbi che sono otto: genus, tempus, modus, speties, figura, coniugatio, persona, numerus.

Nell'analisi del genere, i verbi sono classificati come personali e impersonali. Tra i verbi personali Francesco individua tre categorie: sostantivi, vocativi e accidentali, e divide gli accidentali in sette tipi. La tradizione antica ne elencava cinque: attiva, passiva, neutra, communia, deponentia. Buti ne aggiunge altri due: i neutropassiva (corrispondenti agli odierni semideponenti) e i neutrapassiva (verbi di forma attiva, ma di significato passivo). La classificazione dei genera verbali, per le due ultime categorie elencate da Buti, non è per niente consolidata, a giudicare dalle grammatiche precedenti e contemporanee: mentre nella tradizione antica le due ultime categorie semplicemente mancavano (sebbene molti dei verbi ivi contenuti esistessero nel latino classico), la classe dei neutra passiva è già indicata nel Doctrinale di

Alessandro di Villadei (cap. VI, v. 976 e seg.), che in essa inserisce anche i verbi che Buti pone invece nell'altra (exulo, vapulo, veneo, fio). Una denominazione unica - e la stessa, quella dei neutro passiva - si trova anche nella Summa grammatice di Pietro da Isolella da Cremona, che nel cap. XVI tratta dei generi del verbo. Fra i contemporanei di Buti, invece, i generi elencati sono i cinque della tradizione antica, ma con il sottogenere dei neutrapassiva nel genere dei neutra. Giovanni da Soncino, invece, è l'unico altro grammatico del sec. XIV oltre a Buti a presentare la categoria dei neutro passiva, in cui inserisce alcuni verbi non presenti nelle Regule.

Analizzando la spiegazione dei generi verbali offerta da Buti, notiamo che egli si profonde in trattazioni dettagliate che riguardano la dipendenza dei casi, con dovizia di esempi. Questi ultimi comprendono elenchi di verbi accompagnati da traduzione in volgare: un metodo, questo, proprio dell'insegnamento del sec. XIV. Tale metodo sta ad indicare il processo ormai compiuto di differenziazione fra il latino ed i nascenti idiomi romanzi: le parlate locali, regionali, diventano un valido sussidio per l'insegnamento della lingua universale, che è ormai tutta letteraria, anche se non è mai stata veramente lingua del popolo.

La trattazione si snoda attraverso i vari generi del verbo fino a comprendere più sottosezioni. Infatti, dopo la trattazione del verbum neutrum, una rubrica ci informa dell'inizio delle "regule tertie bance", regole destinate, probabilmente, ai ragazzi seduti al terzo banco84. La scuola doveva infatti

essere organizzata per classi comprendenti ragazzi di diversa età e di diverso livello, ed essi dovevano verosimilmente differenziarsi per il posto occupato nella stanza. Si immagina quindi un'aula divisa in più file di banchi, con i ragazzi più piccoli seduti nei primi posti: gli studenti del terzo banco si occupavano del verbum deponens, neutrum passivum e neutro passivum. Finita la

84 Probabilmente, ragazzi di età diversa e di diverso livello scolastico erano riuniti insieme in

una stessa aula scolastica, come avveniva ancora in qualche scuola di paese negli anni '50 del sec. XX. Cfr. GEHL, A moral art, cit., p. 101, n. 34: "[...] some rules are first-bench rules, other second-, third-, or fourth-bench". Sull'insegnamento del latino nell'Italia medievale cfr. MANACORDA, Storia, cit.; RIZZO, Ricerche, cit.; Il latino nell'Umanesimo in Letteratura italiana, a c. di A. ASOR ROSA, V, Torino 1986, pp. 379-408; L'insegnamento del latino, cit.; BLACK, The

trattazione dei verbi personali, cominciavano poi ad occuparsi dell'altra macrocategoria dei verbi impersonali. Nella grammatica seguivano poi le regole destinate al quarto banco il cui oggetto di studio era un po' più dettagliato del precedente, visto che consisteva nella considerazione di tutti quei casi particolari che si possono trovare nel comportamento di singole categorie di verbi: attivi, passivi, deponenti.

Black85 scorge in Buti un forte intento didattico, perché da una presentazione

generale entra sempre più nello specifico degli argomenti; i verbi e i nomi, per esempio, già trattati nella sezione di latinum minus vengono poi ripresi in quella seguente di latinus mediocre.

Nella nuova sezione (latinum mediocre), largo spazio è dato a problemi di constructio, ma la morfologia e la sintassi non sono trattate separatamente, come nei manuali moderni: sono anzi così strettamente mescolate che è difficile operare una ripartizione anche solo mentale dei due ambiti86.

Con una breve introduzione, Buti, riallacciando le fila del discorso appena concluso nella sezione precedente, afferma di voler parlare di alcune "regule spetiales" del nome e del verbo, visto che finora ha parlato di quelle "generales". Enuncia così il piano operativo di tutta la sezione che comprenderà un'ampia trattazione della morfologia e della sintassi del nome e del verbo.

La sintassi del nome riguarda singole particolarità sintattiche e morfologiche: nomi irregolari ed eterocliti, derivativi e aggettivi. Caratteristico è l'uso di liste con traduzione volgare a fianco, e di versi mnemonici, tratti, spesso, dal Doctrinale o da altre grammatiche in versi. Una sezione simile a questa di Buti si trova al cap. XV di Isolella sui nomi, ma l'autorità indiscussa doveva essere Alessandro di Villadei che nel Doctrinale tratta a lungo di simili questioni. Segue un'altra sezione dedicata ai derivati dei nomi, che comincia con un lungo trattato de comparativis, in cui le regole di sintassi sono così complicate

85 BLACK, Humanism, cit., pp. 98 e seguenti.

86 Cfr. SABBADINI, La scuola e gli studi, cit., p. 40: "la morfologia e la sintassi sono trattate

da rasentare l'oscurità. Dopo la definizione di comparatio, Buti passa ad analizzare i gradi comparationis e gli avverbi che li introducono.

Un leggero accenno modista si trova al § 4, in cui si dice che il nomen comparativum è quello che significa una qualche forma participabile a più cose "sub modo adiacentis alteri", cioè grazie all'accostamento ad un altro nome. Si affronta poi l'argomento della derivazione del comparativo che si forma in quattro modi: 1) a partire da un aggettivo (da albus albior); 2) da un verbo (da detero deterior); 3) da un participio (da amans amantior); 4) da un avverbio (da ultra ulterior). La sezione successiva riguarda la formazione del comparativo: si va dai comparativi formati a partire da aggettivi della prima, seconda o terza declinazione, passando per i comparativi irregolari e i casi in cui essi si formano aggiungendo magis ad un aggettivo di grado positivo, fino ai comparativi creati a partire da preposizioni.

La constructio comparativorum abbraccia tutto il resto del trattato, dal § 9 al § 31. I primi §§ sono dedicati alla formazione di frasi comparative: in particolare si affrontano i casi in cui la frase non può terminare con quam + nominativo, ma necessariamente con l'ablativo semplice, e ciò in quattro casi: 1) in nomi senza nominativo (come tu es crudelior nece); 2) in frasi negative (nullo vestrum sum melior); 3) con i relativi che cominciano per c o per q (Petrus currit, quo tu es melior); 4) in frasi costruite con nisi o preterquam + abl. (ego sum fortior omnibus isti, nisi Petro). Allo stesso modo, il secondo termine di paragone non può consistere nell'ablativo semplice 1) quando non esiste l'ablativo del nome (come mea vina sunt meliora quam tua); 2) quando non esiste un secondo termine di paragone, ma la comparazione avviene fra due elementi del primo termine (sum magis albus quam niger); 3) quando si ha una comparazione fra due frasi diverse (ego magis amo quam tu legas); 4) quando, davanti a nisi o preterquam, si ha quam + nominativo (ego sum fortior quam omnes isti, nisi quam Petrus).

I §§ fra il 13 ed il 30 sono occupati da infinite disquisizioni su problemi di costruzione: si passa dai casi in cui si trova un solo termine di paragone a quelli in cui ve ne sono più di tre, e si analizzano frasi dalla sintassi estremamente complessa e aggrovigliata. Spesso, di tali frasi viene fornito il

corrispondente volgare, e si tratta anche delle preposizioni subordinanti volgari. Un esempio di costruzione sovrabbondante e complicata è la seguente, che serve bene da specchio di quei terribili monstra sintattici che il Medioevo produsse: io sono più forte di Piero che di Martino che di Giovanni; questa frase contiene ben sette comparazioni e viene resa in latino con le seguenti parole: ego sum fortior Petro magis quam Martino magis quam Johanne. L'esempio serve anche per mostrare la prassi di solito impiegata per spiegare tali comparazioni: si parte da un thema in volgare, diviso nelle singole componenti, e da ultimo se ne dà la traduzione in latino. Le creazioni di frasi contorte ed oscure sono innumerevoli, e mostrano che la sintassi nel Medioevo fu uno degli ambiti più soggetti alla fioritura di costruzioni e teorie assurde, complesse e discordanti dal nitore del latino classico.

Al § 31 si affronta l'argomento dell'abusio, concetto presente in molti altri autori, precedenti e contemporanei, fra cui Pietro da Isolella e Folchino de' Borfoni87. L'abusio indica tutte quelle costruzioni che in qualche modo

vengono meno alle regole di formazione delle frasi comparative; principalmente, essa avviene in quattro casi: 1) nella formazione stessa dei comparativi, quando siamo in presenza di comparativi irregolari; 2) nella costruzione, quando il comparativo regge un genitivo (come nell'esempio: maior harum est caritas); 3) per quanto riguarda l’officium comparativi, che dovrebbe "poni inter duo terminos participantes de re sua, sed uno magis participante quam altero" (dovrebbe, cioè, mettere in relazione due termini che partecipino entrambi, anche se a livelli diversi, della qualità riguardo alla quale vengono posti a confronto): se uno dei due non possiede tale qualità, allora siamo in presenza di un'abusio (come nella seguente frase Deus est melior diabolo); 4) nel significato, in tre modi: - se il comparativo vale tanto quanto il positivo (meus equus est albus pedes anteriores, idest ante os), - se vale meno del positivo (tristior et lacrimis oculos suffusa nitentes, idest parum tristis), - quando vale il contrario (mitius inveni quam te genus omne ferarum, idest

87 Pietro da Isolella ne tratta al cap. XIX: "nota quod quatuor modis fit abusio in comparativis,

minus crudele). Per quanto riguarda gli esempi, essi dovevano essere quelli canonici usati per questo argomento dalla tradizione grammaticale, visto che li ritroviamo anche nei capitoli corrispondenti di Isolella e di Folchino, talvolta con leggere differenze (come nel caso di Hellespontiacum mare est dulcius quam cetera maria in Pietro da Isolella, in Buti mare pisanum est dulcius quam cetera maria), dovute al fatto che spesso le citazioni dai classici erano fatte a memoria.

A chiusura dell'analisi dei comparativi, va sottolineata la grande estensione del trattato e la meticolosità e minuziosità con cui l'autore tratta l'argomento della constructio comparativorum: non possiamo infatti trascurare l'impostazione notevolmente didattica che spinge l'autore a spiegare e rispiegare regole e casi anomali, fin quasi al limite della pedanteria.

Dopo i comparativi, la sezione che segue naturalmente è quella dei superlativi, notevolmente più ridotta di quella precedente perché molte delle regole sono quelle già applicate ai comparativi. Del superlativo, oltre alla definizione, viene detto che può costruirsi respective e absolute e che deriva da tutte le partes orationis da cui deriva il comparativo, tranne il caso di alcuni avverbi ed aggettivi che hanno il comparativo, ma non il superlativo: ante, memor, iuvenis, citra, senex, adolescens, proximus, obmissus, longinquus, dives. La formazione dei superlativi contempla anche forme irregolari, che sono le corrispondenti di quelle già notate a proposito dei comparativi. Si considera poi la constructio con l'analisi della formazione del superlativo posto respective.

Il capitolo successivo è un breve trattato sui partitivi e il suo schema è quello già osservato a proposito di comparativi e superlativi: viene data prima la definizione di partitio (p. est extraxio partis de toto), si elencano aggettivi e pronomi partitivi e da ultimo si parla della loro constructio.

La lunga esposizione sul nomen continua con gli aggettivi e pronomi numerali, argomento che non compare in altri manuali, come in quelli di Isolella e di Folchino; Buti vi dedica invece un certo numero di pagine. Anche

IV, 1041 e ss.): "Abusio autem in comparativis fìt tripliciter, scilicet formatione, significatione et participatione".

questo capitolo è costruito secondo lo schema già visto per altri nomi: definizione, formazione e costruzione. I numerali sono distinti in cinque specie, di cui quattro nominali (cardinalis, ordinalis, bipartita e ponderalis) ed una avverbiale (adverbialis). Per ogni specie viene data la definizione, se ne spiega la formazione e si analizza il modo in cui viene costruita. Una considerazione particolare meritano i numerali ponderalia e i bipartita perché vi si trovano inserite forme strane, forse non presenti nel latino classico. Appare alquanto singolare che Buti abbia dedicato così tante pagine ad un argomento che aveva ricevuto nulla più che una scarsa considerazione da parte dei grammatici tardoantichi e dagli autori dei trattati in versi, ma colpisce maggiormente il fatto che testi molto più vicini alla struttura delle nostre Regule non menzionano mai i numerali.

Dopo lunghi trattati su pronomi e aggettivi comparativi, avverbi locali, relativi e indefiniti - che seguono tutti il medesimo schema dei comparativi e trattano di forme sconosciute all'età classica - l'attenzione di Buti si fecalizza nuovamente sulla sintassi dei verbi, in particolare sulla determinazione del caso del sostantivo a cui il verbo è accostato. Grande riguardo è riservato ai verbi difettivi, irregolari e composti. Questa sezione si occupa in modo molto più approfondito di argomenti già considerati nell'ambito del latinum minus: anche qui si trovano liste di voci verbali con traduzione a fianco, anche qui compare l'uso di versi mnemonici per rafforzare i concetti, ma la differenza sta nel fatto che adesso, accanto alla morfologia verbale, è trattata anche la sintassi, ambito grammaticale assente dal latinum minus, ma ben considerato nel latinum mediocre e soprattutto nel maius. Le regole sintattiche vengono illustrate grazie ad esercizi di traduzione latino-volgari e viceversa: sono i cosiddetti themata, frasi completamente inventate che verosimilmente i ragazzi dovevano tradurre in classe e che qui sono portate ad esempio del funzionamento delle regole.

Le ultime sezioni dovrebbero esser dedicate alle partes orationis indeclinabilies, ma meraviglia il fatto che Buti si limiti a considerarne soltanto due: participi e congiunzioni, inframmezzando, fra l'altro, all'esposizione un trattato generale sui pronomi, che avrebbe dovuto essere anticipato alla sezione del nome.

Manca invece un qualunque accenno, anche minimo, alle preposizioni e alle interiezioni, e questo è strano almeno per due motivi: 1) Buti - seguendo l'ordine di Prisciano - aveva anticipato gli argomenti che avrebbe trattato, proprio in apertura di opera, in un luogo importante perché tradizionalmente dedicato all'illustrazione della materia del libro; 2) grammatici contemporanei e molto vicini per impostazione a Buti (p. es. Folchino de'Borfoni), trattano con attenzione tutte le partes orationes. Non si comprende, perciò, come un grammatico attento e pedante come Buti abbia potuto omettere il trattamento di argomenti anche importanti senza darne spiegazione.

Il latinum maius si apre con il lungo trattato de coniunctionibus. Esso è particolarmente dettagliato e quasi oscuro: i periodi sono lunghi, aggrovigliati, e l'esposizione sembra perdersi in inutili disquisizioni. Questo motivo, rafforzato dalla maggiore - se possibile - oscurità del trattato sulle figure, è uno dei più forti punti a sostegno della tesi secondo cui le Regule erano un manuale destinato a gradi diversi dell'istruzione e caratterizzato da una crescente difficoltà. E' pienamente giustificata allora la coloritura leggermente modista dei due trattati - in particolare del secondo - con cui l'autore voleva probabilmente fare un esercizio di perfetto stile grammaticale secondo la moderna consuetudine d'oltralpe, ma alla cui teoria sottesa certamente non credeva: il suo è puro sfoggio, e non perfetta convinzione, come invece sembrerebbe essere il caso di Folchino de' Borfoni che ripetutamente fa affermazioni modiste nel corso dell'opera.

Il trattato sulle congiunzioni si apre con la definizione e l'etimologia della parola; si passa poi alla considerazione delle varie specie, che contemplano molte forme, anche se due sono quelle maggiori: copulativa e disiunctiva.

Il trattato sulle figure segue Donato, ma ancora una volta attraverso la tradizione italiana dei secoli immediatamente precedenti: il Barbarismus (come anche il Doctrinale ed il Graecismus) si occupa infatti di tutte le figure, sia constructionis sia locutionis (tropi), mentre Pietro da Isolella (seguendo Sponcius) tratta solo di quelle constructionis (che afferma essere cinque: prolemsis, silemsis, zeuma, sintosis, antitosis).

Tuttavia, mentre Isolella si limita ad elencare brevemente le figure adducendo scarne definizioni e pochi esempi, Buti prende le mosse più da lontano, introducendo tutto l'ampio tema delle figure che si dividono in tre parti, metaplasmus (che avviene circa vocem, da cui le figure dictionis), tropus (circa signifìcatum, da cui le figure locutionis), scema e aleotheta (circa modum significandi da cui le figure constructionis). Nel far questo, Buti riprende la distinzione stabilita dal Barbarismus e consacrata dalle grammatiche in versi, ma, scegliendo di trattare delle sole figure sintattiche, segue la recente tradizione italiana che assegnava alla grammatica le figure constructionis, come argomento conclusivo della sintassi, e lasciava alla retorica il trattamento delle restanti figure.

Dopo una lunga introduzione, in cui procede come sempre dal generale al particolare, con definizioni di metaplasmus, tropus e scema/aleotheta, Buti afferma che l'ultima categoria riguarda molte figure, "sed alio respectu [...] quinque, scilicet prolensis, silensis, çeuma, simptosis et antitosis" (XVII, 5).

Per ogni figura il procedimento di descrizione è ancora una volta quello impiegato dall'autore in tutto il manuale: definizione, etimologia del termine, ed infine impiego e particolarità. Con gli esempi - che utilizzano nomi di persona comuni a quel tempo, come Petrus e Berta - Buti segue il sentiero battuto da Isolella e Sponcius, che adducono non esempi letterali, ma -come