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Terminologia modista nelle Regule

2.4 Fra grammatica normativa e speculativa: tracce della teoria dei modi significandi nelle Regule grammaticales

2.4.2 Terminologia modista nelle Regule

Alcuni autori hanno più volte rilevato una certa impronta modista nelle Regule. Alessio93 parla di "grammatica ibrida", distinguendola dalle

grammatiche strettamente modiste che ebbero scarsa fortuna in Italia; Fioravanti94, nel capitolo dedicato alla filosofia nella Storia dell'università di

Pisa, dopo aver notato, a proposito di un sermone di Simone da Cascina scritto come prolusione ad un corso accademico, l'accostamento a famosi maestri speculativi (Radulphus Brito e Boezio di Dacia) di nomi di maestri locali, fra cui Francesco da Buti, avanza la questione della reale influenza dei modisti sul nostro autore, che, in ogni caso, era a conoscenza delle loro teorie, come dimostra il commento alla Commedia95.

Un altro accenno ad una probabile penetrazione di teorie modiste in Francesco da Buti è ventilato, ancora una volta sottoforma di domanda, da Bursill-Hall96, che in un excursus di storia della grammatica speculativa in

Europa si chiede se per l'Italia i nomi di Gentile da Cingoli (secc. XIII-XIV) e Giovanni da Soncino (sec. XIV) siano davvero gli unici nomi di autori effettivamente modisti, o se non vi sia stata una diffusione maggiore di tali teorie. Ancora una volta si sottolinea la necessità di un'indagine più approfondita.

93 ALESSIO, La grammatica speculativa, cit., p. 69, n. 1.

94 G. FIORAVANTI, La filosofia e la medicina (1343-1543), in Storia dell'università di Pisa, I, Pisa

2000, p. 266.

95 C. GIANNINI (a c. di), Commento di Francesco da Buti sopra la Divina Commedia di Dante Allighieri, Pisa 1858, v. 1, p. 63.

Infatti, soprattutto per Francesco da Buti, si avverte la necessità di verifìcare esattamente l'impatto delle teorie modiste sul suo manuale, perché l'opera in alcuni codici si trova esemplata insieme a testi modisti, cosa che lascerebbe supporre una percezione dell'opera come modista agli occhi di maestri e copisti dell'epoca. Uno dei codici in cui il Buti è accostato a nomi modisti è il ms. B 1, 1500 della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, già ricordato da Pinborg97 che lo descrive come "eine Reihe grammatischer disputationes aus

der Universität Bologna". In esso compaiono le seguenti opere: Giovanni da Soncino, Questiones grammaticales, Bartolino, Questiones adverbiorum, Francesco da Buti, Tractatus fìgurarum, Pietro da Forlì, Questiones de figuris, Giovanni da Soncino, Questiones de coniunctione et interiectione, Bono da Lucca, Summa grammatice. Pinborg nota che, tranne il testo di Bono da Lucca, che qualcuno annovera tuttavia come "premodista", "ist der modistische Charakter der Texte nicht zu leugnen". Ne sono infatti una spia i titoli dei trattati, quasi tutti detti Questiones: sottoforma di dispute si presentavano infatti molti trattati modisti, organizzati come commentari di testi precedenti. Possiamo fare anche un'altra significativa inferenza, riguardante l'argomento. Il testo di Buti che è copiato nel codice non corrisponde all'intero manuale, ma soltanto alla porzione finale delle Regule grammaticales, dedicata alle figure constructionis. Di figure tratta anche il testo di Pietro da Forlì. Ora questo era l'ambito di studio preferito dai Modisti, che della sintassi, ed in particolare di quel settore specifico che sono le figure constructionis, avevano sviluppato teorie importanti. E, come verrà detto più avanti, anche per Buti, se si può parlare di tratti modistici nell'opera, questo sarà nelle sezioni dedicate alle figure e in quella in cui si tratta della coniunctio. Anche la congiunzione era un tema privilegiato nello studio della sintassi dei Modisti, come si può notare anche dal manoscritto di cui sopra: le Questiones di Bartolino e un trattato di Giovanni da Soncino riguardano infatti avverbi, congiunzioni ed interiezioni. Il testo di grammatica di Buti si trova associato ad opere di maestri modisti in almeno altri due casi. Il primo riguarda il ms. Lat., Classe

XIII, 13 (4308) della Biblioteca Nazionale Marciana, in cui, oltre al testo del nostro autore, sono contenuti i Notabilia grammaticalia di Giovanni da Soncino e le Regule grammaticales di Rolando da Piacenza, altro autore annoverato come modista, nel panorama assai scarso dei Modisti italiani. Le opere contenute in questo codice sono quasi certamente di carattere non modista - come già si nota dai titoli, che sono quelli tipici della tradizione normativa italiana, e non le classiche questiones modiste -, ma ciò che interessa è l'accostamento di Buti ad autori riconosciuti come modisti nell'ambiente grammaticale tre-quattrocentesco.

Il secondo codice che ci interessa è il ms. V C. 13 della Biblioteca Nazionale di Napoli. In esso, il testo grammaticale di Buti è copiato insieme ad un'opera del famoso grammatico danese Boezio di Dacia, appartenente alla fase centrale dello sviluppo della grammatica speculativa (ca. 1285), e già ricordato in questa sede come uno dei due grammatici il cui nome figura nel sermone di Simone da Cascina.

L'evidenza di ciò porterebbe a supporre ben più di una lontana conoscenza delle teorie modiste in Buti: anzi, una vera e propria ripresa di tali dottrine. Quindi, come già nota Carla Desantis nell'edizione critica della Cremonina di Folchino de' Borfoni98, la grammatica speculativa sarebbe una delle fonti certe

delle regole di Buti. Tuttavia, mentre nel caso di Folchino, ciò può essere fermamente confermato dai passi in cui l'autore esprime teorie grammaticali perfettamente in linea con la dottrina speculativa, nel caso di Buti non si constata nulla più che una patina modista superficiale, consistente in tratti quasi esclusivamente lessicali.

Analizziamo alcuni passi in cui si trovano termini e locuzioni che rimandano a un tessuto lessicale modista, cominciando dal trattato de coniunctionibus. Innanzitutto, bisogna fare una premessa significativa: la sezione del testo che comincia ora è quella del latinum maius, l'ultima nell'ordine di esposizione e anche nel grado di difficoltà. Infatti, poiché la grammatica di Buti era

98 Cfr. DESANTIS, Cremonina, cit., p. 65: "Francesco does incorporate modistic terminology in his

concepita per ordini diversi di studenti, dai bambini che avevano ricevuto una prima infarinatura con la Ianua ed il Psalterium, agli studenti dell'università (forse futuri notai, come lascerebbe supporre l'esistenza del Tractatus epistolarum al termine dell'intera opera), il latinum maius, riservato agli studenti più esperti, richiedeva un grado di elaborazione maggiore, con un'articolazione ricercata della struttura ed un lessico al limite dell'oscurità. Forse per nobilitare questa sezione, oppure per dare prova della conoscenza delle teorie modiste (che nel commentario alla Commedia dice non adatte ad un semplice pubblico cittadino), il Buti ha fatto ricorso alla terminologia e, solo in parte, anche a concetti modisti.

In apertura, la coniunctio è descritta come quella parte del discorso che "significat per modum coniungendi"; anche in seguito viene usata la locuzione per modum + gerundivo, caratteristica della grammatica dei modi significandi: troviamo, per esempio, per modum exceptandi al §. 12. La locuzione "per modum coniungendi" si trova molte volte. Questi tratti restano però dei meri tratti linguistici.

Una leggera coloritura sintattica modista si ha invece nel Tractatus figurarum che offre uno schema delle figure constructionis leggermente diverso da quello degli antichi (in primo luogo Donato e Prisciano) e che si ritrova invece pressoché identico nei grammatici contemporanei, come Folchino de' Borfoni o Giovanni da Soncino. Pinborg ne dà lo schema generale99.

L'infrazione di una regola grammaticale, che trova giustificazione in poesia o in una prosa retoricamente elaborata, può avvenire in tre modi: "circa vocem, circa signifìcatum, circa modus significandi". Le figure constructionis nascono dunque in base al modus significandi. Da notare, oltre al ripetuto impiego dell'interrogativa indiretta queritur utrum, tipica dei Modisti che spesso costruivano i trattati come sequenza di questiones, l'impiego di termini ed espressioni tipici dei modisti, come la parola constructibile, che indica la singola parte della frase che viene messa in relazione con le altre. Per esempio, parlando della prolensis, Buti dice che, quando è scema, essa consiste

in una deordinatio e disproportio modorum significandi essentialium, e che, quando invece è aleotheta, allora presenta deordinatio e disproportio anche nei modi significandi accidentalium. La distinzione fra modi essentiales e accidentales è presente in tutti gli autori modisti, nei quali si pone la differenziazione fra ciò che indica l'essenza stessa della pars orationis e ciò che invece ne costituisce singole caratteristiche (accidentes). Possiamo riportare la definizione data da Martino di Dacia che descrive il modo essenziale relativo al nome come quello che "per modum habitum et quietis [...] est qui facit nomen esse nomen" (II, A, cap. VI, 16)100 e gli accidentali come "principia

constructionis sive construendi. [...] omnibus accidentibus variatis ut genere, numero, casu et cetera" (cap. XXII, 66)101.

Per ogni figura, Buti dà una definizione che è pressappoco simile per tutte, ed è la seguente: "prolensis est quidam modus spetialis exprimendi mentis conceptum", ed è simile a quella che si trova in Folchino de' Borfoni: "omnia uitia excusantur necessitate exprimendi conceptum mentis et conuenentia reali".

Al §.8, si trova un altro punto chiaramente influenzato da concetti modisti. Si parla della prolessi, e, a proposito della frase "isti legunt: aliqui bene et aliqui male", si dice che essa è uno scema, perché "consistit in deordinatione totius ad partes", e, ugualmente, "in dispositione modorum essentialium" e, subito dopo, si parla di "terminatio depedentie", cioè, come meglio dopo al §. 45 a proposito dell'antitesi, vengono introdotti i concetti di constructibile dependens, constructibile terminans e consequens intellectus, tutti molto cari agli autori dei modi significandi. Nei modisti più tardi, come in Tommaso di Erfurt, la sintassi viene concepita come un processo che richiede tre stadi: la constructio, la congruitas e la perfectio. La relazione fra un constructibile dependens (che lascia aperta una dipendenza sintattica) ed un constructibile terminans (che chiude la dipendenza aperta dal primo) fa parte dello stadio della congruitas, della ricerca di condizioni appropriate applicabili a singole constructiones. Al §. 45 si afferma che, per l'antitesis, si richiedono tre cose: il constructibile dependens,

100 Cfr. ROOS (a c. di), Martini de Dacia, cit., p. 10. 101 Cfr. ibid., p. 32.

detto anche proprietas, il constructibile terminans, altrimenti detto dictio causalis, ed il consequens intellectus. Quest'ultimo è un concetto che si trova anche nella Cremonina di Folchino, e per la stessa figura (IV, 392), Folchino porta più frasi esplicative, laddove Buti ne impiega una sola: è una frase tratta dal Vangelo, "Sermonem quem audistìs non est meus". Con tutta probabilità, questa era una frase entrata a far parte del repertorio grammaticale, come tante che, da Prisciano o dal Doctrinale in poi, circolavano nelle grammatiche medievali. Ciò che qui interessa è l'applicazione che Buti fa dei concetti modisti sopra elencati: Sermonem sarebbe il constructibile terminans, quem il constructibile dependens, quem sermonem il consequens intellectus.

Al § 36, 1'appositio è definita "unio constructibilium ad se invicem dependentium non realiter, sed modaliter". In Tommaso di Erfurt troviamo l'utilizzo del termine realiter, ma non sono stati trovati casi di utilizzo di modaliter. Forse realiter rimanda alla capacità dei modi significandi di rappresentare la realtà, ma qui non è chiaro in quale rapporto stiano i due termini con la figura di cui si parla.

CAPITOLO 3

F

RANCESCO DA

B

UTI

:

INQUADRAMENTO STORICO NEL

PANORAMA DELLA GRAMMATICA NORMATIVA DEL

T

RECENTO

3.1 L’insegnamento della grammatica nel Medioevo

102 Durante l’epoca comunale, accanto alle scuole vescovili e cenobiali, erano sorte le prime scuole laiche, con maestri stipendiati dal Comune. L’insegnamento era distinto in vari gradi o classi: la prima classe era composta dai bambini che imparavano a leggere e scrivere, i pueri de tabula; la seconda e la terza (alle quali accedeva soltanto chi proseguiva gli studi del latino) rispettivamente dai donatisti, che apprendevano la morfologia latina, e dai latinantes, introdotti allo studio della sintassi e della retorica.

I pueri de tabula imparavano a leggere e scrivere sulla base della tabula, un foglio incollato su una tavoletta e recante l’alfabeto.

I donatisti dovevano il loro nome al fatto che imparavano le varie parti del discorso servendosi di una delle molte grammatiche che andavano sotto il nome di Donato, in Italia la Ianua. C’erano due modi di leggerla, uno successivo all’altro: dapprima, le frasi venivano scandite e memorizzate

102 Sull’insegnamento del latino durante il Medioevo e l’Umanesimo esistono molti studi, fra i

quali: MANACORDA, Storia della scuola, cit., pp. 180-183; PERCIVAL, The grammatical tradition, cit; ID., Grammar and Rhetoric in the Renaissance, in Studies in Renaissance Grammar, a c. di K. PERCIVAL, Aldershot 2004, pp. 303-330; G.L. BURSILL-HALL, The Middle Ages, in Current trends in

linguistics, vol. XIII, Paris 1975, pp. 179-230; ID., Teaching grammars, cit.; gli utili scritti di C. FROVA, Istruzione e educazione nel Medioevo, Torino 1973, EAD., La scuola nella città tardomedievale.

Un impegno pedagogico e organizzativo, in La città in Italia e in Germania nel Medioevo, a c. di R.

ELZE – G. FASOLI, Bologna 1979, pp. 119-143; EAD., Le scuole municipali all’epoca delle Università, in Vocabulaire des écoles et des méthodes d’enseignement au moyen age, Turnhout 1992, pp. 177- 190; G.C. ALESSIO, Le istituzioni scolastiche e l’insegnamento, in Aspetti della letteratura latina nel

sec. XIII, a c. di C. LEONARDI-G. ORLANDI, Perugia-Firenze 1986, pp. 3-28; LAW, Panorama, cit.; RIZZO, Il Latino, cit.; EAD., L’insegnamento del latino, cit, EAD., Ricerche, cit; GRENDLER, Schooling, cit.; P. RICHE, Les écoles en Italie avant les universités, in Luoghi e metodi d’insegnamento nell’Italia

medievale (sec. XII-XIV), a c. di L. GARGAN-O. LIMONE, Galatina 1989, pp. 1-17; G.L. BURSILL- HALL - S. EBBESEN - K. KOERNER, De ortu grammaticae, Amsterdam-Philadelphia 1990; P.F. GEHL, Latin readers in fourteenth-century Florence, “Scrittura e civiltà”, 13 (1989), pp. 387-440, ID., A moral art, cit.; BLACK, The curriculum, cit., ID., The vernacular, cit.; ID., Ianua, cit., ID.,

Humanism, cit.; Vocabulary of teaching and research between Middle Ages and Renaissance, a c. di O.

WEIJERS, Turnhout 1995, pp. 29-44; S. REYNOLDS, Medieval reading: grammar, rhetoric and the

(testualiter); poi si studiava il contenuto vero e proprio (sensualiter). Questa pratica, che può risultare a prima vista alquanto singolare, era finalizzata a consolidare nello studente la capacità di memorizzare e concepire il linguaggio in termini formali. Parallelamente allo studio della teoria grammaticale, i fanciulli entravano in contatto anche con testi letterari, per lo più con i Disticha Catonis103 e con il Salterio104, anche se talvolta quest’ultimo

veniva usato come libro di lettura già nella classe precedente. La Ianua offriva ai ragazzi soltanto regole molto elementari; così, quando veniva intrapresa la lettura di un nuovo testo, la struttura di ogni frase doveva essere analizzata sotto i minimi aspetti. L’acquisizione della conoscenza di molte nozioni avveniva in tal modo proprio a questo livello, con l’applicazione pratica di regole in precedenza apprese dal manuale.105

Lo studio della sintassi cominciava soltanto al livello superiore: i manuali utilizzati in questo corso si occupavano prevalentemente della constructio e non si soffermavano che fuggevolmente su declinazioni e coniugazioni, la cui conoscenza era considerata un dato ormai acquisito. La dottrina sintattica era basata sugli scritti dei cosiddetti auctores maiores, rappresentati dai maggiori poeti latini (Virgilio, Ovidio, Terenzio, Lucano, Stazio, Seneca tragico) e da qualche autore di prosa, fra i quali Sallustio e Cicerone.

Un’innovazione rilevante nell’insegnamento della grammatica è rappresentata dall’introduzione del volgare come sussidio nell’insegnamento del latino. Si afferma, infatti, con le Regule di Goro e il vocabolario del suo allievo Domenico, la pratica di proporre liste di parole latine con la traduzione in volgare. Queste liste contenevano esempi di quanto era stato detto nella parte teorica ed erano accompagnate da versi mnemonici, per lo più creazione propria dell’autore, ma spesso anche citazioni precise dal Doctrinale o dal Graecismus; e la formula di introduzione era sempre la stessa: unde versus. Il volgare entrava nella pratica scolastica

103 I Disticha Catonis erano un piccolo manuale di saggezza proverbiale, composto fra il II e il

IV secolo, la cui paternità era stata attribuita a un nome autorevole per saggezza: Catone il Censore (Marco Porcio Catone, 234-149 a. C.) .

anche nell’esercizio dei themata, frasi in volgare da tradurre in latino, assegnate agli studenti con il semplice fine di rafforzarne la conoscenza delle regole e di abituarli ad istituire confronti fra il costrutto latino e i costrutti volgari. Poiché mancano esempi di raccolte di esercizi di questo genere, tale pratica è testimoniata soltanto da grammatiche come quella del Buti, che fa ampiamente ricorso a tale espediente, facendo ogni volta precedere i themata dalla formula introduttiva: si detur (o si datur) thema.