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La retorica in età tardo-antica e medievale

L E R EGULE RHETORICE

4.2 La retorica in età tardo-antica e medievale

Due soli sono i testi antichi che tramandano le dottrine retoriche nel Medioevo: il De inventione di Cicerone e la pseudo-ciceroniana Rhetorica ad Herennium (attribuita al grande retore latino fino a tutta la prima metà del sec. XV). Dell’oratoria latina non si sa nient’ altro: non si conoscono i lavori della maturità di Cicerone -l’Orator ed il Brutus- mentre Quintiliano circola in una versione piuttosto mutila; dei lavori dei retori greci, la Rhetorica di

163 Cfr. e G.C. ALESSIO, Beni Florentini Candelabrum, ed. crit., Padova 1983eKRISTELLER, Un’ “Ars dictaminis”, cit., Kristeller è anche autore di articoli più generali, v., ad es., Rhetoric in Medieval and Renaissance Culture, in MURPHY, Renaissance eloquence, cit., pp. 1-19. Un altro autore importante per lo studio delle connessioni fra grammatica e retorica è PERCIVAL,

Grammar and rhetoric, cit.

164 E. FARAL, Les arts poétiques du XII e XIII siècle, « Bibliothèque de l’école des hautes études »,

238 (1924).

165 MURPHY, Rhetoric, cit., pp. 310-55.

166 T.M., O.P. CHARLAND, Artes Praedicandi: contribution à l’histoire de la Rhétorique au moyen âge,

« Publications de l’institut d’études médiévales d’Ottawa », 7 (1936).

167 H. CAPLAN, Mediaeval Artes Praedicandi: a hand-list e Medieval Artes Praedicandi: a supplementary hand-list, “Cornell studies in classical philology”, 24 e 25 (1934; 1936).

Aristotele, sconosciuta per la maggior parte del Medioevo, anche dopo la scoperta, avvenuta nel sec. XIII, e le traduzioni in latino e in volgare, esercita un’influenza molto limitata e quasi interamente circoscritta alle università del Nord Europa; infine, i lavori della seconda Sofistica, nonostante che Charles S. Baldwin169 ascriva ad essi la determinazione della struttura del

pensiero retorico medievale, sono generalmente ritenuti ininfluenti.

Così Cicerone nel Medioevo è quasi sinonimo di “retorica”. Accanto al De inventione e alla Ad Herennium un altro autore frequentemente seguito e citato è Manlio Severino Boezio, De topicis differentiis, il cui libro IV è interamente dedicato alla retorica. Tutti questi lavori erano copiati, glossati, tradotti ed utilizzati ampiamente in tutte le università medievali come fonti di massima autorità. Essi ricoprivano in ambito retorico lo stesso posto che occupavano Donato e Prisciano nel campo delle teorie grammaticali. Accanto ai tre celebri testi, ebbero un’importanza frequentemente riconosciuta anche le opere dei primi enciclopedisti, in particolare il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella e le celebri Origines sive Etymologiae di Isidoro di Siviglia.

Nessun distacco dalle loro dottrine si nota, perciò, negli autori che si occupino di retorica almeno fino all’inizio dell’Umanesimo, quando la scoperta di testi basilari dell’antichità, come la Rhetorica aristotelica o le opere della maturità di Cicerone segnarono una svolta nella direzione di una rinascita della funzione pubblica che la retorica aveva avuto nell’antichità. Nei primi secoli dell’alto Medioevo, il De inventione era l’autorità assoluta; mentre la Rhetorica ad Herennium si aggiunse come testo standard soltanto a partire dal periodo carolingio. Nonostante che il prestigio di cui godevano fosse pressoché equivalente, e che entrambi fossero adottati come manuali nelle università, una profonda differenza intercorre fra i due testi, e serve a giustificare l’influenza parzialmente differente che essi esercitarono sulle opere retoriche medievali. Il De inventione, per la sua struttura dialogica, strutturalmente poco adatta ad essere usata come manuale precettistico,

serviva come fonte principalmente per lo studio delle famose cinque sezioni della retorica, che Cicerone deputava alla costruzione di una perfetta orazione. Nel libro I, VII si trova l’enunciazione di queste cinque parti, con relativi esempi e definizioni. Fra tutte, la parte maggiore spetta all’inventio, da Cicerone considerata “princeps omnium partium”170. Dei tre famosi

generi retorici dell’antichità (epidittico, deliberativo e giudiziario o forense), l’ultimo è quello su cui si sofferma principalmente la dottrina ciceroniana, tanto che il De inventione è quasi un testo di oratoria forense: i suoi contenuti sono quasi del tutto connessi con i dibattiti politici e giudiziari delle corti romane. Nel passaggio al Medioevo, con la riduzione della vivacità dell’ars retorica classica a puro artificio retorico (a cominciare dalla vuota ridondanza verbale delle declamationes e delle suasoriae del sec. I d. C.) molto della teoria tramandata dal De inventione non si comprende più, ma ciò non impedisce che il testo diventi il manuale di retorica per eccellenza per quasi un millennio. Naturalmente non si comprende più ciò che riguarda la pronuntiatio o anche la memoria, ma esso è la maggiore autorità per quanto riguarda l’inventio.

La Rhetorica ad Herennium, invece, ha un impianto molto più didascalico che la rende particolarmente adatta a svolgere la funzione di libro di testo. Essa supplisce il De inventione per molto di ciò che concerne l’elocutio, di cui contiene una lunga esposizione nel libro IV. La divisione dello stile in tre livelli (gravis, mediocris e humilis) e la trattazione delle figure di parola e di pensiero costituiscono la fonte indiscutibile di tutti i successivi testi di retorica. Il lungo elenco delle exornationes (45 figure di parola- di cui 10 tropi- e 19 figure di pensiero) stabilisce la successione standardizzata in cui viene tramandato l’insegnamento delle figure nei secoli successivi. L a sua importanza per lo studio delle figure è molto più grande di quella di altri fonti, perché l’opera viene percepita come testo genuinamente di retorica, mentre l’ultimo libro dell’Ars maior di Donato, che gode di un’ampia fortuna separatamente come Barbarismus, nonostante tratti di argomenti oggi

classificati come pertinenti alla retorica, viene nel Medioevo sentita come fonte propriamente grammaticale. In effetti, metaplasmi, tropi e schemi costituiscono spesso il capitolo conclusivo di molti testi grammaticali, com’è il caso delle Regule di Buti.

Nel corso del Medioevo la retorica subisce inoltre seri attacchi dalle altre discipline del Trivio: considerata di volta in volta come provincia degli studi grammaticali o come disciplina ancillare della dialettica, è in ogni caso in posizione subalterna rispetto alle discipline “sorelle” e non gode di vaste compilazioni teoriche come le altre due scienze, ma viene affrontata in testi di respiro più breve e di tipo quasi essenzialmente precettistico. Gli “attacchi” della grammatica si notano dalla riduzione a mera appendice degli studi grammaticali (nella fattispecie sintattici) di ciò che propriamente sarebbe materia di retorica, le cosiddette figure constructionis, quindi nella mancata attribuzione alla retorica di alcune figure, quali la sineddoche. Ma è soprattutto la dialettica a fare la parte del leone nei confronti della retorica, la quale, già a partire dal De topicis differentiis di Boezio, le è più spesso subordinata. Il testo di Boezio è quello che definisce la relazione fra le due discipline: esse vengono distinte in base all’uso, al metodo e agli scopi. La retorica è legata al mondo dell’ipotesi, mentre la dialettica si occupa della tesi e di questioni generali; per quanto riguarda il metodo, la dialettica impiega un sistema di domanda e risposta, mentre la retorica si basa su un discorso continuato; infine, lo scopo della dialettica è confutare l’avversario, mentre quello della retorica è persuadere una terza persona, estranea al rapporto parlante-oppositore. In generale, l’esposizione di Boezio va nel senso di un’affermazione della maggiore ampiezza del campo di applicazione della dialettica, la quale si occupa di qualunque questione generale, mentre la retorica può trattare soltanto questioni specifiche. In breve, “dialectic subsumes rhetoric as the general subsumes the particular”.171

Le conseguenze che risaltano dopo una breve analisi di questo tipo sono sostanzialmente due, ma sono due facce di quello stesso processo che Brian Vickers ha significativamente chiamato “fragmentation of rhetoric”172: la

perdita di gran parte di ciò che aveva costituito l’anima e lo scopo della disciplina nell’età antica e la posizione in ombra e subordinata ad altre scienze173. Essa, pur essendo formalmente una scienza autonoma, si

caratterizza nel Medioevo per l’identificazione con tre diverse artes o technai174 eminentemente pratiche: le artes poetriae, dictaminis e predicandi. Il valore altamente precettistico della retorica delle figure viene avvertito con forza preponderante nell’ambito della teoria della versificazione. Cominciando con la prima (in ordine di composizione) delle artes poetriae, l’Ars versificatoria di Matteo di Vendôme (anteriore al 1175), i trattati sull’arte dello scrivere in versi fanno ampiamente ricorso alla dottrina del linguaggio figurato così come tramandata dall’Ad Herennium, ma in essi si avverte anche tutta l’importanza che rivestono i lavori grammaticali dedicati alle figure constructionis, come il trattato di Beda il Venerabile, De schematibus et tropiis (composto intorno al 700), uno dei primi testi medievali che tratta le figure appartenenti alla tradizione grammaticale. Gli autori delle artes poetriae erano prima grammatici che retori ed erano consapevoli di offrire un prontuario di regole grammaticali per la versificazione piuttosto che un’esposizione sul linguaggio figurato. L’appartenenza delle artes poetriae agli studi grammaticali piuttosto che retorici si nota già nel più celebre testo grammaticale che il Medioevo ci abbia lasciato, il Doctrinale di Alessandro di Villa-Dei (1199), la cui esposizione sulle figure sintattiche copre ben oltre 300 versi; e trova giustificazione nel fatto che la capacità di scrivere in versi era una delle competenze richieste agli studenti nel curriculum di studi grammaticali delle università. Fra le poche artes potriae che ci restano la più

172 Cfr.VICKERS, In defence, cit., p. 214.

173 Che non sono soltanto le due rivali del Trivio, ma molte altre discipline: dalla teologia alla

filosofia morale per arrivare agli studi di diritto, molti sono i campi in cui la retorica svolge una funzione sussidiaria.

174 “This “dismembrament” of rhetoric into three mutually exclusive artes gave the treatises in

each ars a specialist, technical nature, where the part came to be regarded as more important than the whole”, cfr. VICKERS, In defence, cit., p. 236.

popolare è senza dubbio la Poetria nova di Goffredo di Vinsauf, composta in esametri all’inizio del sec. XIII (influenze della quale sono state rintracciate anche nel Commento di Buti alla Commedia), seguita dalla Poetria Parisina di Giovanni di Garlandia (1220 ca.), entrambi autori molto celebri nel Nord Europa.

Mentre per l’ars poetriae possiamo notare il valore della retorica come insieme di regole per il bello scrivere, quindi la funzione altamente rivolta alla composizione scritta, una nuova disciplina che sorge in Italia alla fine del sec. XI, sembra portare nuovamente alla luce l’antica funzione della retorica come arte del ben parlare in occasioni cruciali della vita pubblica di una cittadinanza. L’importanza dell’ars dictaminis come disciplina volta ad istruire giudici, notai, funzionari delle corti o dei comuni fa sì che si insista sulla carica comunicativa che le regole di retorica possono conferire a discorsi tenuti pubblicamente. Non si tratta però di una rinascita della retorica ciceroniana: ben diverso è infatti il clima politico e sociale delle municipalità e delle corti medievali da quello dei processi e dei dibattimenti giudiziari della curia romana. L’enfasi retorica è utilizzata non per orazioni, ma per lettere e documenti, scritti prima che pronunciati, e sebbene molto della struttura delle antiche orazioni (come l’exordium, la conclusio) venga trasferito nella costruzione del perfetto dictamen –cioè della perfetta epistola-, il carattere di composizione scritta del documento non può che marcare una profonda ed incolmabile differenza. Non si può, perciò, parlare di rinascita della funzione oratoria della retorica nell’Italia dei secc. XII-XIV.

La terza ars in cui prende forma la dottrina retorica medievale è l’arte della predicazione o ars predicandi, che si manifesta in una produzione veramente cospicua di sermoni e discorsi a carattere religioso, pronunciati pubblicamente in occasione di circostanze importanti. Nonostante la composizione del sermone abbia molto in comune con quella della lettera (consistendo nella successione altamente strutturata di diverse sezioni), non si incontra una grande variabilità nella composizione di trattati de arte predicandi (come invece si nota nel campo delle artes dictaminis), tanto è vero che, nonostante che ci siano giunti più di trecento diversi trattati, la

produzione dell’arte della predicazione può essere considerata come un corpo unico. Per citare un nome, possiamo ricordare la prima ars predicandi che ci sia rimasta, il De modo predicandi di Alessandro di Ashby (composto intorno al 1200), ricordando che la produzione abbraccia soltanto il sec. XIII (con qualche strascico nel secolo successivo), diversificandosi molto dalla retorica cristiana dei secoli precedenti. Quest’ultima, seguendo i precetti esposti da Sant’Agostino nel De doctrina christiana, che prevedono l’utilizzo della retorica pagana come mezzo per penetrare l’oscuro linguaggio biblico e per diffondere le verità di fede, non si estrinseca ancora nella produzione di manuali altamente tecnici come le duecentesche artes predicandi. L’opera che più si avvicina a queste ultime è il De institutione clericorum di Rabano Mauro (inizio del sec. IX), in cui grande enfasi viene posta sulle ampie possibilità offerte al predicatore dalla retorica (libro III).