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Un probabile modello per il Tractatus di Buti: l’Ars dictaminis di Filippo da Pistoia Analisi e confronti

I L T RACTATUS EPISTOLARUM

5.4 Un probabile modello per il Tractatus di Buti: l’Ars dictaminis di Filippo da Pistoia Analisi e confronti

L’unico riferimento che Buti fornisce253 per il Tractatus epistolarum è il nome

di un certo magister Filippo da Pistoia, di cui si sa molto poco. I documenti che ne attestano la presenza come notaio e maestro di retorica in Toscana

252 Considerando i quattro autori importanti il cui dettato abbiamo a più riprese confrontato

con quello di Buti, vediamo che la petitio è definita in ognuno in modo leggermente differente dagli altri; per facilitare il confronto, riportiamo brevi stralci del testo di ognuno di essi. Guido Faba: “Petitio est oratio per quam petimus quod iustum sit, utile, necessarium et honestum” (Summa, LXXIV); G. di Bonandrea: “Petitio est per quam quid fieri petimus vel omitti. […] continetur monitio, ortatio et mandatum, […] supplicatio […] et deprecatio” (Brevis

introductio, 50) ; Bene da Firenze : « Petitio est persone mittentis expressio qua quid fieri vel

non fieri velit convenienti affectione demostrat », segue un elenco di verbi utilizzati nella

petitio (Candelabrum, l. IV, 35-36); Bono da Lucca: (definizione quasi identica a quella del Candelabrum), “Species […] sunt octo, scilicet: precativa, preceptiva, hortatoria, suasoria,

sono pochi ed imprecisi, e la sua opera appare tramandata da un unico codice, sempre che l’attribuzione all’autore toscano di una Summa rethoricorum contenuta in un codice dell’Escorial254 sia esatta. In realtà, il

codice spagnolo non sembra l’unico a contenere l’opera di Filippo, ma un riferimento allo stesso autore è presente anche in pochi fogli di un codice miscellaneo conservato a Norimberga (Stadtbibliothek, Cent. V App. 11) e citato da Kristeller nell’Iter Italicum sotto la voce Philippus de Pistorio255. Citazioni moderne del maestro toscano si trovano in un autore del Settecento, Fabbrucci256, che si limita a citarne brevemente il nome, e nella

Storia dell’Università di Pisa257, che lo ricorda fra i maestri di retorica e diritto dei primi anni dello Studio pisano. Esistono dei documenti d’archivio258 che

annoverano Filippo da Pistoia fra i maestri pisani della prima metà del sec. XIV: egli dovette svolgere il suo insegnamento poco prima di Francesco da Buti, che molto probabilmente lo conobbe e forse lo prese a modello per il suo insegnamento di epistolografia. Peccato che ciò che ci resta sia così poco da non permettere di capire se e quanto ci fu un’influenza del maestro pistoiese sul nostro autore.

Le notizie più ampie possiamo ricavarle proprio dall’opera contenuta nel manoscritto escorialense, per l’attribuzione della quale a Filippo restano tuttavia numerose incertezze259. Prima di tentare un confronto fra

quest’opera e il testo di Buti, ne diamo lo schema della struttura, in modo da poterne apprezzare meglio l’organizzazione.

253 Cfr. Regule – Tractatus epistolarum, 3: “secundum praticam magistri Philippi de Pistorio,

quem in hiis exemplis, ut michi laborem demerem, sum secutus”.

254 Ms. T III 25 della Real Biblioteca de San Lorenzo del Escorial.

255 In questo caso si tratta però unicamente di un brevissimo stralcio, visto che la sezione che

interessa comprende solo le cc. 34v-35r. Il titolo dell’opera sarebbe il seguente: “Viridarium super nova rethrica Tulliana editum et constructum a magistro Philippo de Pistorio notarialis facultatis et rethorice professore ac iurista”(Inc. “Amenissimo in viridario dudum residens”; des. “operis factione”).

256 S.M. FABBRUCCI, De nonnullis quae constitutae recens Pisanae Universitatis sinistra contigerunt vel incommoda, inALESSIO, “Hec Franciscus, cit.

257 Cfr.TANGHERONI, L’età della Repubblica, cit. p. 25: “Filippo da Pistoia, “doctor scientiarum

notarie et retorice”.

258 ASPi, Com. A, reg. 119, f. 18 e f. 20.

Inc.: “Incipit summa gloriosi stili Rethoricorum novellis ordinatoribus multum bona”

Definizione di retorica: “R. est bene dicendi scientia in civilibus questionibus…” Distinzione fra lo stile romano e lo stile gallico per quanto concerne l’epistola “quomodo stilus romanus non ponit salutem”.

Elenco delle parti della lettera:

exordium (“E. est principium orationis per quod … audire iis vel … constituita vel

…”)

narratio („N. est rerum gestarum aut proinde ut gestarum exposisio“)

divisio (“D. est vis animi per quam ………..conveniat ……..sit per unam exponimus

quibus de rebus sumus ditturi”)

confirmatio (“C. est anteriarum ? ……”)

conclusio (“C. est artificiosus terminus orationis”)

salutatio (“S. est limen epistole debita ordinatione cum nomina premerita

personarum cum mittentis ….. declarans et fit in tercia persona in metro, in prosa vero in qualibet persona fit”)

petitio (“P. est persone mittentis expressio affecionis?”)

Si ricomincia dalla trattazione dell’exordium con la definizione di proverbium: “P. est sermo generalis comprehendens ….. in generali ut quecumque velit ad sententiarum ….? ostenderit? …. ut aliquibus subsidiis subleverit?”)

Sequitur de narratione

Sequitur de divisione

Sequitur de confirmatione et confutatione

Elenco di qualche vitium

Definizione di epistola: “E. … que …dittamini sic dipfinitur – E. est ….. literale mittentis intencionem ”

Definizione di dittamen: “D. est ad unamquamque rem dictio et congrua dicit…” Vari tipi di dittamen

Sequitur de conclusione

Definizioni di vari colores, da ultimo la comparatio

“…per magistrum Philippum de Epistrorio (sic) notharialis facultatis et oratorie professorem ac iuristam ad … rey memoria[m] et doctrinam.”

Poi, forse, esempi di salutationes

Esempi di epistole in volgare (spagnolo, come sembra) accompagnati da traduzioni in latino (responsive)

Compositio (“quondam epistolam non est ….”) Definizione di cursus (“Super habundanti letitia”) Vari esempi di cursus

Come si vede dallo schema, l’opera riportata in questo manoscritto260 non

sembra ben strutturata, ma piuttosto formata da una congerie di argomenti non ben coesi fra loro, visto che non segue l’usuale ripartizione dei testi di dictamen, che di solito nella prima parte offrivano nozioni generali di retorica e nella seconda trattavano dell’epistolografia; essa è costituita piuttosto da singole sezioni che sembrano unite senza una ragione d’insieme. Proprio per questo motivo, la prima idea che se ne ricava è quella di una pluralità di microtesti accostati insieme frettolosamente e negligentemente. Tale giudizio è rafforzato dalla mancanza di un incipit che fornisca titolo, autore e scopo dell’opera e dalla presenza dell’unico nome a cui si possa ascrivere la paternità del testo non all’inizio dell’opera, come si converrebbe, ma a metà circa, ed in una posizione assolutamente irrilevante (dopo l’elenco dei colores verborum e prima degli esempi di salutationes).

Certamente, almeno nella rosa dei testi di dictamen che abbiamo consultato per questo studio, l’opera di Filippo da Pistoia non sembra né la più semplice né la più razionale. Essa non ha né un impianto funzionale dal punto di vista didattico, né uno sviluppo che permetta di essere seguito agevolmente. Inoltre, per molti aspetti si differenzia dagli altri trattati. Innanzitutto, la caratteristica più immediatamente visibile è un’elencazione delle parti dell’epistola parzialmente differente e, nella successione, incoerente. Alle cinque parti, o alle tre preferite dalla tradizione più antica, si sostituisce qui un elenco di ben sette sezioni, senza che dell’appartenenza di

260 Miscellaneo, perché comprende oltre al testo di Filippo un anonimo Colores verborum; la Summa dictaminis di Ugo (da Bologna?); Practica dictaminis ancora di Ugo; un anonimo Forma epistolae; un anonimo Summa rhetorice.

esse all’epistola venga data – come sembra – alcuna motivazione. In un ordine diverso da quello consueto, ed inframezzate da sezioni che la tradizione annoverava piuttosto fra i colores, appaiono le tradizionali cinque parti, accompagnate da definizioni che talora mostrano anche richiami alla dottrina dell’ars dictaminis (nel caso delle definizioni di narratio, identica a quella della tradizione, e di salutatio, che ricalca parzialmente definizioni di altri dictatores); ma tale elenco appare introdotto in modo molto particolare: si trova, infatti, inserito in una scansione per punti di affermazioni di retorica generale. Probabilmente, quest’elencazione risente anche di quella delle parti dell’orazione ciceroniana261, di cui – ad esempio – la confirmatio era parte

integrante. Inoltre, a tale elencazione non segue una ben definita introduzione delle sezioni epistolarum, e solo quattro di esse vengono commentate; degno di nota è altresì il fatto che l’exordium sia identificato con il proverbium tout-court (cosa che lascerebbe pensare alla ripresa più o meno diretta di teorie dei dictatores duecenteschi). Soltanto verso la fine della prima sezione (che potremmo far arrivare, grosso modo, al momento in cui l’autore introduce se stesso, rivelando il proprio nome) sono date inoltre le definizioni di epistola e di dittamen, che costituivano di solito i cardini dell’impianto di un manuale di epistolografia; mentre la seconda parte (dopo la presentazione dell’autore) potrebbe essere costruita in modo più tradizionale: essa, infatti, tranne un elenco abbastanza cospicuo di figure retoriche, avrebbe tutto l’aspetto di una raccolta di epistole a scopo esemplificativo. Di questa sezione sono particolarmente degni di nota l’articolazione (vi sono vari esempi di lettere in volgare, ognuna accompagnata da traduzione latina, e non viceversa, com’era più frequente) ed il tipo di volgare (spagnolo, come si nota benissimo in più casi), che farebbe pensare ad un’ipotesi di ampia diffusione del dettato di Filippo da Pistoia (se veramente si tratta del maestro toscano e soprattutto se questa sezione costituisce il seguito dell’opera che nel manoscritto si trova prima della presentazione dell’autore), addirittura fino alla penisola iberica, e

quindi in un contesto e in una tradizione epistolografia simile, ma pur sempre differente da quella italiana. L’ipotesi non dovrebbe stupire più di tanto, data la grande circolazione nel Medioevo di maestri e dottrine retorico-grammaticali e dato lo sviluppo importante che anche in Spagna raggiunse l’ars dictaminis262. Ad ogni modo, a causa della difficoltà di decifrazione della scrittura del testo e della scarsa documentazione che possediamo, un’ipotesi di tal genere resta tutta da verificare.

La cosa più importante che rimane ancora da notare è la sezione notevolmente ridotta che Filippo assegna alla dottrina della salutatio, a cui sembrano dedicate poco meno di due pagine, certo molto ridotta rispetto alla trattazione che ne fa Francesco da Buti: pare dunque scarsamente verosimile che sia questa l’opera alla quale Buti afferma di rifarsi per gli esempi di salutatio. Anche a questo proposito si potrebbero formulare più congetture: o il testo che ci è tramandato da quest’unico codice è solo il compendio di un’opera di Filippo più ampia, andata perduta, o il testo di cui siamo in presenza non è di Filippo oppure non è quello che Buti dice di aver avuto presente, l’opera di Filippo che egli avrebbe seguito è un’altra che non possediamo, mentre questa è soltanto un altro testo dello stesso autore pistoiese. Naturalmente, siamo nel regno delle ipotesi; di certo si avverte solo l’esigenza di uno studio più approfondito su quest’opera, di uno studio che potrebbe portare alla ribalta un altro testo di dictamen del sec. XIV, ed eventualmente gettare anche una nuova luce sulle teorie dell’ars dictaminis del Trecento, oggi annoverato come il secolo della crisi della disciplina.

262 Come ben si vede dagli studi di CH.B. FAULHABER, Retòricas clàsicas y medievales en bibliotecas castellanas, “Abaco”, 4 (1973), pp. 151-300 e Las retòricas clàsicas hispanolatinas medievales siglos XII-XV, “Repertorio de historia de las ciencias eclesiàsticas en España”, 7 (1979), pp. 11-64.

CAPITOLO 6

NOTA AL TESTO