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Le Regule di Buti: testo di grammatica e retorica per lo Studio pisano

L’attività professionale di Francesco da Buti è indissolubilmente legata alle vicende dello Studio pisano, e per capire e valutare al meglio la posizione rivestita dalla sua opera nel panorama grammaticale del secolo bisognerebbe avere ben chiare le consuetudini e le esigenze didattiche del nascente studio cittadino. Purtroppo le fonti non ci aiutano molto in tal senso, dato che per la

149Cfr. C

OLUCCIA – GRECO – SCARPINO, L’ “Interrogatorio”, cit., p. 379.

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storia dei primi anni dell’università di Pisa esse sono piuttosto esigue, soprattutto se confrontate con quelle di altri Studia. Ricordiamo cosa scriveva a tal proposito Marco Tangheroni nella Storia dell’Università di Pisa: “[...] la ricchezza della documentazione relativa a grandi centri universitari come Bologna e Padova dipende anche dalla loro incomparabile superiorità nei confronti di Studi come quello pisano. Ma pure centri non troppo distanti dal nostro, come quelli di Siena, di Firenze o di Perugia, hanno conservato una documentazione nettamente più ricca di quella pisana [...] assai bassa è la percentuale di registri di cancelleria giunti sino a noi [...], mentre quasi inesistente è la documentazione comunale di altra natura [...] niente essi ci dicono [...] circa le modalità didattiche [...]”.151

In ogni caso, dalle notizie che abbiamo sull’organizzazione scolastica e poi universitaria del tardo Medioevo, sappiamo che vi erano vari livelli a cui corrispondevano libri di testo di difficoltà crescente, ovviamente calibrati sulle capacità e sulle esigenze degli studenti. Mentre nell’Europa del Nord il libro di testo in quasi tutte le università era il celeberrimo Doctrinale, in Italia il panorama era ben più variegato, anche nel sec. XIII: ne è un esempio la Summa di Pietro da Isolella – che fu forse il più diffuso nel secolo - a cui si possono affiancare altri testi come le Regule di Tebaldo, la grammatica annessa al Catholicon di Giovanni Balbi, il Novum Doctrinale di Syon da Vercelli, la Summa gramatice di Bene da Firenze.152 Nel secolo XIV – come si

nota dalla lista di maestri riportata poco sopra - il numero di grammatiche intermedie si accresce notevolmente. La grammatica di Buti appare come uno dei tanti testi scritti nel secolo, forse un po’ più curato di altri, ma certamente identico al gruppo nella terminologia e negli esempi. Ma la fortuna enorme di cui potè godere – e soprattutto la diffusione in tutta l’Italia – non si spiegano solo per una migliore presentazione della materia. Il testo doveva avere forse uno scopo ulteriore che quello di servire come manuale intermedio di grammatica. Infatti, esso non si limita alla sola grammatica, ma si compone anche di una sezione di retorica, “nell’intento dell’autore

151 TANGHERONI, L’età della Repubblica, cit., p. 18.

inscindibile”153, e costituisce così anche il libro di testo per gli studenti di

dictamen – all’ultimo gradino degli studi universitari. Quindi siamo in presenza di un unico manuale che accompagna gli studenti passo passo in tutto il curriculum, prima scolastico (post-principianti), universitario e di alta formazione poi, scritto da un docente che non è solo un grammatico, ma anche un retore. In questo modo, infatti, Buti si presenta nell’incipit dell’opera: “Ego, Franciscus de Buiti [...] gramatice ac retorice professor indignus” (I, 1, 1). Che le due sezioni costituiscano un unico testo lo afferma lo stesso autore, sempre in apertura dell’opera: “[...] regulas gramatice in hoc opuscolo [...] compilavi [...] etiam introductoria quedam artis retorice hiis subiunxi” (I, 1, 1-2).

Francesco da Buti ha perciò inteso creare un testo dedicato a due discipline diverse, che non erano neppure insegnate dallo stesso docente. Non vi sono molti altri esempi di un simile accorpamento in uno stesso docente di interessi rivolti ad entrambe le discipline. Nel secolo di Buti – per quanto ne sappiamo a livello attuale – non compare nessun nome, mentre nel sec. XIII abbiamo l’illustre precedente del maestro Bene da Firenze, uno dei più celebri docenti di grammatica, retorica (e dictamen) allo Studio bolognese. Bene è autore del famosissimo Candelabrum, l’opera di retorica forse più completa che sia mai stata scritta nel Medioevo – in cui compaiono anche precetti di ars dictaminis – e di una Summa gramatice, edita solo in parte da Concetto Marchesi nel Bullettino della Società filologica romana nel 1910154.

Inoltre, dobbiamo considerare che la disciplina dell’ars dictaminis – di cui le Regule retorice contengono un trattato – era insegnata ancora nel sec. XIV, ma da tempo non godeva più di manuali scritti appositamente sull’argomento155. Inoltre, tale disciplina era strettamente legata agli studi di

diritto – e agli studenti di tale facoltà era rivolta, soprattutto a Bologna, ma verosimilmente anche a Pisa – e chi la insegnava era spesso un retore che era anche docente di diritto. Tale era per esempio Filippo da Pistoia, che risulta

153 ALESSIO, “Hec Franciscus, cit. p. 86.

aver insegnato a Pisa verso il 1353 e che è chiamato nei documenti d’archivio “doctor scientiarum notarie et retorice”156. A questo docente è attribuito un

testo di ars dictaminis, conservato nel ms. T III 25 della Real Biblioteca di San Lorenzo del Escorial, che è una delle poche opere di dictamen scritte nel sec. XIV157. Il secolo, infatti, è visto come un periodo di grave crisi della

disciplina, che continua ad essere insegnata, ma che non è più produttiva. Poichè il maestro Filippo insegnò a Pisa, è probabile che Buti lo abbia conosciuto bene, e forse potrebbe anche averne seguito le lezioni; in ogni caso Filippo è l’unico autore a cui Buti dice di rifarsi per una sezione del suo dictamen. Filippo risulta essere solo un retore, non un grammatico, quindi tanto più singolare appare la figura di Buti che racchiude in sè le due diverse funzioni. Se avessimo qualche documento in più sull’organizzazione dell’università in quel periodo, saremmo forse in grado di capire quella che a prima vista appare come un’eccezione; in ogni caso, sarà bene considerare che Buti era autore rinomato per i suoi commenti ai classici e soprattutto per quello alla Commedia, cosa che presupponeva una solida preparazione retorica; chi meglio di lui per insegnare retorica nello Studio cittadino? Di sicuro dalle numerose lezioni che tenne nella scuola e nello Studio ricavò l’idea di realizzare un’opera esaustiva come le Regule, e forse, proprio per il fatto che lui stesso era docente sia di grammatica che di retorica, aveva capito quale utilità potesse portare ai maestri e agli studenti un libro di testo che racchiudesse in sè il sapere di entrambe le discipline, senza che ad un libro di grammatica dovesse essere affiancato un manuale di retorica e dictamen composto da un autore diverso.

155 C’era, infatti, la famosa Brevis introductio ad dictamen di Giovanni di Bonandrea che era

divenuta il libro di testo pressochè assoluto.

156 Cfr. ASPi, Com. A, reg. 119, cc. 18 e 20, citato in nota da TANGHERONI, L’età della Repubblica,

cit., p. 25.

CAPITOLO 4