Trade Center, presentata come il più alto edificio dell’emisfero occidentale, o del già citato Burj Khalifa di Dubai, il più alto del mondo.
A conferma di quanto il valore simbolico sia sempre stato importante nello sviluppo in altezza della città, chi contribuì in gran parte alla formazione dello skyline furono le società legate ai media e alla comunicazione25. La
New York di fine ottocento fu il teatro di una strenua competizione tra gior- nali e riviste in concorrenza fra loro, in un momento di crescita e diversifi- cazione dei lettori. I media non solo utilizzarono gli edifici per distinguersi, ma portarono avanti - attraverso le pubblicazioni, la pubblicità, la nascita della critica architettonica - una politica di educazione del pubblico a leg- gere la città in accordo con le finalità dei media stessi, in cui l’architettura giocava un ruolo importante. Abbiamo visto le prime rappresentazioni del- lo skyline apparire sui giornali popolari, i quali cominciarono a presentarsi al pubblico come istituzioni autorevoli attraverso grandi edifici dall’estetica innovativa, e costruendo un nuovo modo di concepire la modernità. Fu infatti un quotidiano, il New York Tribune, il primo a realizzare un edifi- cio più alto della guglia della Trinity Church, che fino allora aveva fisica- mente e simbolicamente mantenuto il primato in altezza, inaugurando con le testate concorrenti una gara di elevazione e di distinzione sul territorio. Inizialmente i giornali erano concentrati a Park Row (chiamato appunto “Printing House Square”) per la necessità di essere prossimi al distretto finanziario, al municipio, al tribunale, all’ufficio postale, ma in seguito allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni cominciarono a spostarsi verso midtown inaugurando nuove zone di sviluppo e dando il nome alle piazze che occupavano, in cui il pubblico si radunava per leggere le notizie affisse tra un’edizione e l’altra dei giornali. Il primo fu l’Herald nel 1895, con un edificio di due piani che richiama la Loggia del Consiglio di Verona, realiz- zato da McKim, Mead and White in quella che divenne appunto Herald Square, con il quale la testata rivendicava la propria missione culturale; poi fu la volta di Times Square quando il Times nel 1903 costruì una nuova sede di venticinque piani sulla 42a strada. Gli edifici riflettevano l’orientamento
e lo stile editoriale delle testate, portando avanti la costruzione della città sia fisicamente sia attraverso l’immaginario del suo pubblico: se l’Herald rifiutava la forma commerciale del grattacielo, il Times esprimeva nell’archi- tettura l’autorevolezza delle proprie colonne, così come il Daily News, che per primo utilizzò il formato tabloid e le fotografie a piena pagina, rifletté la modernità del proprio modo di comunicare nell’edificio di Raymond Hood (1930). Anche in anni più recenti, dopo l’abbattimento delle torri gemelle, le media corporation - non solo carta stampata ma anche cinema, televisio-
25. A. Wallace, Media Capital. Architecture and Communications in New York City (Urbana, Chicago and Springfield, University of Illinois Press, 2012).
ne e internet - hanno segnato il territorio e l’immaginario di Manhattan con alcuni importanti edifici. Il New York Times di Renzo Piano, la Hearst Corporation di Norman Foster, il Times Warner Center di SOM, e il futuro 2WTC di BIG voluto da 21st Century Fox e News Corp, confermano la sinergia esistente tra la tipologia del grattacielo e il sistema dei media nell’e- voluzione dell’estetica urbana, e riaffermano con chiarezza la forma dello skyline come simbolo di progresso.
Nel 2007 il Financial Times ha lanciato una campagna pubblicitaria basata sul payoff “We live in Financial Times”, e che utilizzava alcune immagini fortemente eidetiche. Una di esse in particolare è un rendering che rappre- senta un immaginario paesaggio urbano modellato sull’immagine archeti- pica di downtown Manhattan vista dal mare, ed è composto di un gruppo di edifici che nella realtà si trovano nelle principali capitali economiche e finanziarie globali, e nell’immagine sono ricollocati nelle vicinanze di Wall Street simulando uno skyline ideale. Si tratta di edifici non solo lontani ge- ograficamente, ma anche appartenenti a epoche diverse della modernità, e che simbolizzano chiaramente l’evoluzione dell’economia e della finanza dell’ultimo secolo, e in particolare l’allargamento a oriente avvenuto negli ultimi decenni. Accanto ad alcuni edifici celebri come la Borsa di New York (1903), il Rockfeller Center (1939) e La Grande Arche della Défense (1989), l’immagine è composta principalmente di torri e grattacieli che mantengono o hanno mantenuto per un certo tempo un primato di altezza. Un’icona classica del grande capitale come il Chrysler Building di New York (1930), traslocato qui da midtown con una mossa surreale, si trova vicino alla Tran- sAmerica Pyramid di San Francisco (1972), alla Landmark Tower di Yoko- hama (1993), o alla Commerzbank Tower di Francoforte (1997), ma anche accostata agli edifici simbolo di una fase più recente dell’economia globale, come One Canada Square (1999) e il celebre “Gherkin” di Londra (2003), la Oriental Pearl Tower (1994) e la Jin Mao Tower di Shanghai (1999), il Two International Financial Center di Hong Kong (2003) e Taipei 101 di Taiwan (2004). Al centro dell’immagine si osserva infine un particolare caso di sostituzione: al posto delle Twin Towers abbattute nel 2001 compare la silhouette orientaleggiante delle Petronas Towers di Kuala Lumpur (1997) che, oltre ad incorporare alcuni aspetti formali dell’architettura tradizionale asiatica, richiamano il brillante rivestimento in acciaio del Chrysler Buil- ding e riprendono la duplicità delle perdute torri gemelle26. L’immagine ha
26. Questa immagine è particolarmente significativa perché tocca alcuni dei più importanti temi relativi alla diffusione di architetture iconiche nelle città globali. Una prima analisi e interpretazione, infatti, è stata sviluppata per il seminario STARCHITECTURE: Scenes, Actors and Spectacles in Contemporary Cities, che ho tenuto con Davide Ponzini all’Architectural Association di Londra il 28 febbraio 2014. Devo il ritrovamento di questa immagine a
Una cartolina di Lower Manhattan vista da Staten Island, 1988 (fotografia di John Calabrese) Financial Times Cityscape, 2007 (Agenzia DDB London, campagna pubblicitaria per il Financial Times) Financial Times Cityscape, 2013 (banner pubblicitario per il Financial Times dal sito https://next.ft.com/ content/6fce6e6e-711c-11e2-9d5c-00144feab49a)
avuto grande successo, e ricorre tuttora nelle comunicazioni del Financial Times aggiornata con gli edifici più nuovi e rilevanti (a conferma della nuo- va geografia economica, due dei cinque edifici aggiunti di recente si trova- no rispettivamente a New York e a Londra, gli altri a Pechino, Shanghai e Dubai). Volendo superare gli aspetti pubblicitari e l’apparente ingenuità di questo collage di edifici27, è utile soffermarsi a riflettere su alcune premesse
implicite dell’immagine. Essa ribadisce l’immaginario di Manhattan come archetipo dello skyline, e lo skyline come simbolo primario di modernità e benessere economico, che in questo caso coincide con i luoghi della finanza globale e con le grandi concentrazioni di capitale. Questa città ideale di chi, occupandosi di business, concepisce il mondo come un unico luogo (“World business. In one Place”), introduce però anche un’idea caratte- ristica di molte città moderne e post moderne, e cioè che gli edifici - e il grattacielo in particolare - siano oggetti a sé stanti e dunque intercambiabili all’interno di un dato paesaggio urbano, poiché il valore ad essi attribuito non deriva dalla complessa relazione che gli edifici instaurano con la città realmente esistente, con ciò che succede a livello del suolo o anche con altri grattacieli, ma dipende sostanzialmente dalla loro presenza come icone nel- lo skyline di una città che per il resto è generica e indifferenziata.
L’emergere della “città in piedi”28 non fu recepito dagli architetti e dagli
urbanisti, che rifiutavano l’idea di verticalità in quanto espressione di una cultura esclusivamente commerciale. Anti prospettico e bidimensionale, lo skyline si presentò sotto forma di fotografie, immagini giornalistiche e let- terarie, per essere in seguito celebrato dal cinema e dalla televisione come emblema popolare della città moderna. Esso è infatti più vicino alla dissolu-
Transnational Issues (London: Routlege, in corso).
27. Si tratta in realtà di un’immagine molto vicina alle tavole comparative ottocentesche, diffuse soprattutto in ambito inglese, in cui architetti visionari come John Soane, Joseph Michael Gandy, Charles Robert Cockerell rappresentavano in un’unica immagine un grande repertorio di edifici di diverse epoche e provenienze. Due di queste immagini, particolarmente note sono A Selection of Parts of Buildings, Public and Private, Erected from the Designs of John Soane, Esq, R.A. in the Metropolis and Other Places in the United Kingdom Between the Years 1780 and 1815 (1816), in cui Gandy riproduce una serie di progetti di Soane (l’immagine è descritta più approfonditamente nel capitolo 2, dedicato al rendering), e The Professor’s Dream di Cockerell (1848), che ambiva a rappresentare l’intera storia dell’architettura in un’unica tavola.
28. L.-F. Celine, Voyage au bout de la nuit, (Paris: Denoël et Steele, 1932). Ed. italiana Viaggio al termine della notte (Milano: Corbaccio, 1992).