Charles Sheeler, Skyline, 1950
zione della forma messo in pratica da una certa pittura, o alla grafica e alla stilizzazione di un linguaggio come il fumetto, che alla rappresentazione tradizionale dell’architettura. In questo senso è utile citare una figura come quella del pittore Charles Sheeler, che sin dall’inizio della propria carriera fu interprete della rappresentazione del paesaggio di New York sia attraverso la pittura sia la fotografia, ed è significativo che il noto cortometraggio Man-
hatta29 che realizzò con il fotografo e cineasta Paul Strand nel 1921 cominci
proprio con l’immagine di uno skyline stilizzato ma perfettamente ricono- scibile, forse dipinto dallo stesso Sheeler, e con una citazione da Mannahatta di Walt Whitman “High growths of iron, slender, strong, splendidly upri- sing toward clear skies”. In seguito Sheeler ritornò esplicitamente su questo soggetto con il quadro Skyline (1950), in cui l’applicazione del colore a tinte piatte e l’uso delle ombre come elemento primario della composizione pro- vocano una riduzione bidimensionale degli edifici e dello sfondo.
Sono molti gli autori letterari che hanno raccontato per immagini il profilo di New York, dalla “città insulare contornata da banchine come le isole in- diane dalle barriere coralline, che il commercio circonda con la sua spuma30”
di Herman Melville, a Henry James che in The American Scene tratteggia un “grande promontorio arruffato”, con “quei grattacieli onnipresenti che, per chi guarda dal mare, si ergono bene in vista, come fantastici spilli conficcati in un cuscinetto già troppo pieno”, “trionfali erogatori di dividendi”31, a
Francis Scott Fitzgerald che racconta “la città che si ergeva dall’altra parte del fiume in mucchi bianchi e zollette di zucchero, tutte costruite con dena- ro senza odore. La città vista dal Queensboro Bridge è sempre la città come la si vede la prima volta, con la sua prima folle promessa di tutto il mistero e tutta la bellezza del mondo”.32 In queste immagini il paesaggio non è mai
descritto in termini solamente estetici, ma è anche l’espressione della cultu-
29. È incerta l’attribuizione dei titoli e delle citazioni di Walt Whitman ai due autori, o al Rialto Theater a Broadway in cui il film fu inizialmente proiettato nel luglio del 1921, così come la paternità del titolo. Cfr. C. Brock, Charles Sheeler: Across Media. (Berkeley, Los Angeles, London: National Gallery of Art & University of California, 2006), 42-52. Catalogo della mostra tenutasi a Washington, Chicago e San Francisco, 2006-2007.
30. Herman Melville, Moby-Dick ovvero la Balena, (Milano: Mondadori, 2004). Ed. originale Moby-Dick; or, The Whale (London: Bentley, 1851). “There now is your insular city of the Manhattoes, belted round by wharves as Indian isles by coral reefs - commerce surrounds it with her surf.”
31. Henry James, La scena americana (Milano: Mondadori, 2001). Ed. originale The American Scene, (London: Chapman and Hall, 1907). “[...] the vast bristling promontory”, “[...] the multitudinous sky-scrapers standing up to the view, from the water, like extravagant pins in a cushion already overplanted”, “triumphant payers of dividends”)
32. F. Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby (Milano: Mondadori, 1993). Ed. originale The Great Gatsby (New York: Scribner’s, 1925). “[...] the city rising up across the river in white heaps and sugar lumps all built with a wish out of non-olfactory money. The city seen from the Queensboro Bridge is always the city seen for the first time, in its first wild promise of all the mistery and the beauty in the world.”
Berenice Abbott, Manhattan Skyline, Manhattan, 1937
ra commerciale e del denaro che lo ha prodotto, segno di un radicale muta- mento delle categorie estetiche secondo cui la città era pensata.
In questo processo, i ponti di accesso a Manhattan assunsero un ruolo fon- damentale, non solo perché divennero a loro volta un soggetto monumen- tale all’interno del paesaggio, ma perché da essi lo skyline poteva essere osservato da tutti coloro che entravano a New York, e soprattutto fotogra- fato per fissarne il rapido mutare. Per molto tempo le infrastrutture ebbero quest’importante ruolo visivo, oltre che funzionale, almeno fino a quando si modificò radicalmente il punto di vista con la diffusione popolare del tra- sporto aereo, e New York divenne un panorama da vedere dall’alto33.
Sebbene sia stato da subito un soggetto fotografico, la natura iper prospet- tica della fotografia ha reso lo skyline un tema mai interamente risolto per i fotografi: sono pochi gli autori che lo interpretarono, ed è difficile ricor- dare uno scatto veramente celebre che lo rappresenti. Negli anni trenta, per esempio, una figura importante come Berenice Abbott lo affrontò solo incidentalmente: nel suo celebre Changing New York (1939)34 lo skyline ri-
corre prevalentemente come sfondo di altri soggetti - una nave, una scena di strada, ecc - e anche in uno scatto dichiaratamente dedicato allo skyline come Fulton Street Dock, Manhattan skyline, Manhattan (1935) il primo piano è occupato dalle figure del porto e dagli alberi di una nave a vela, che interagiscono con la linea dei grattacieli sullo sfondo quasi a riproporre, ancora una volta, il legame tra la forma peculiare di New York e la cultura mercantile. Un’altra fotografia di Changing New York, intitolata appunto
Manhattan Skyline (1937), mostra il fronte ovest di Midtown Manhattan
visto dal New Jersey. Qui la Abbott sembra rifarsi all’immagine “classica” dei primi skyline sull’acqua - visti da lontano, con gli edifici, il mare solcato dalle navi - ma il formato verticale e il taglio della fotografia sembrano en- fatizzare l’altezza dell’RCA Building, piuttosto che l’imponenza dell’intero skyline dell’isola. Quest’immagine è particolarmente interessante per il suo surreale tono antiprospettico, dato che l’obbiettivo “lungo” provoca uno schiacciamento su un unico piano dei diversi elementi che la compongono. Si tratta di un tema tipicamente fotografico che qui è solo accennato, ma che pochi anni dopo verrà ampiamente sfruttato da Andreas Feininger - che ne- gli anni ‘40 realizzò decine di immagini dello skyline con un teleobbiettivo appositamente costruito35 - per divenire in seguito un vero e proprio cliché.
Anche Margaret Bourke-White fotografò lo skyline, ma solo saltuariamente
33. W. R. Taylor, In pursuit of Gotham cit., 49.
34. B. Abbott, E. McCausland, Changing New York (New York: Dutton & Company, 1939). 35. Cfr. Andreas Feininger, New York in the Forties (New York: Dover, 1978); T. Buchsteiner, O. Letze (a cura di), Andreas Feininger. That’s Photography (Ostfildern-Kemnat: Hatje Cantz, 2012).
Andreas Feininger, Midtown Manhattan Seen from Weehawken, New Jersey, 1942 Andreas Feininger, Manhattan Skyline Seen from Bendix, New Jersey, 1944
come ad esempio in New York Skyline (1934), un immagine in cui il profilo di Lower Manhattan visto da un alto edificio di midtown è contrapposto a un cielo nuvoloso che occupa i quattro quinti del negativo.
Fu invece un fotografo più commerciale e meno noto come Samuel Gottscho, che era conosciuto soprattutto per il lavoro commissionato dagli architetti, a realizzare durante gli anni della grande depressione una serie di vedute in cui lo skyline è rappresentato nei tre modi divenuti poi un classico nel loro genere: lo skyline di giorno, con gli edifici bene illuminati che risplendono al sole; lo skyline controluce, in cui il profilo degli edifici forma una silhouette nera; e soprattutto lo skyline di notte, in cui le innu- merevoli finestre della città sono illuminate e la linea degli edifici si staglia su un cielo tenuamente illuminato (i primi due dei quali erano stati già descritti e teorizzati da Ruskin!). Tra il 1904 e il 1906 Gottscho aveva foto- grafato il celebre Luna Park di Coney Island, realizzando fotografie nottur- ne che ritraggono le torri e i minareti del parco dei divertimenti illuminati da 250.000 lampadine. Alla metà degli anni ‘20, con una serie di immagini notturne del Radiator Building di Raymond Hood, Gottscho fu il primo a proiettare la magnificenza della visione notturna dalla città del divertimen- to alla città reale: le vedute di New York di notte divennero un suo marchio di fabbrica e lo fecero entrare nel numero ristretto dei fotografi-artisti, pur mantenendo il proprio stile diretto e realista e senza cedere all’astrazione della straight photography36.
La ragione di questa assenza dello skyline nell’opera degli “autori”, può essere forse imputata a un senso di avversione per la natura sublime, e per l’inevitabile aspetto celebrativo che contraddistingue questo tipo di imma- gine, in un momento in cui la fotografia affermava con forza regole e un’e- stetica propria. Tratti che infatti ricorrono molto più avanti, nell’opera di un fotografo come Joel Meyerowitz, che fu pioniere della fotografia fine art a colori. Nella serie di panorami dedicati alle Twin Towers, scattati sistemati- camente tra gli anni ottanta e novanta dalla terrazza dello studio dell’autore, lo skyline di Lower Manhattan occupa sempre una porzione limitata dell’in- quadratura (similmente al citato scatto della Bourque-White), lasciando spazio allo spettacolo del cielo e all’osservazione dei fenomeni atmosferici con risultati non lontani dagli insegnamenti di Turner e di Ruskin. Queste immagini sono divenuti importanti quando Meyerowitz divenne il fotografo ufficiale di Ground Zero, contribuendo alla costruzione del mito delle torri
36. Cfr. D. Albrecht, The Mithic City: Photographs of New York by Samuel H. Gottscho, 1925- 1940 (New York: Museum of the City of New York and Princeton Architectural Press, 2005). Il volume si apre e si chiude con una serie di magnifiche vedute urbane e di skyline, e mostra, tra le altre cose, che la silhouette dello skyline su un cielo notturno appariva anche sul biglietto da visita dello studio di Gottscho.
Samuel Gottscho, Luna Park at Coney Island, Brooklyn, 1906 Samuel Gottscho, American Radiator Building (Raymond Hood), 1926
Samuel Gottscho, View Looking Southeast from Rockefeller Center, 1934 Samuel Gottscho, Financial District from St.George Hotel, Brooklyn, 1933