analizzarne brevemente tre a titolo esemplificativo, confrontandoli con altre fonti iconografiche, per mettere in luce come questi aspetti corrispondano ad altrettante tendenze dell’architettura contemporanea.
Una prima caratteristica evidente è la presenza di specifiche condizioni meteorologiche e di luce: nebbia, neve, foschia, cieli nuvolosi o dall’aspetto minaccioso, che contribuiscono alla creazione di un “mood” molto marcato del progetto, ispirato alle caratteristiche climatiche e ambientali del luogo in cui si trova. Si tratta di un elemento distintivo del rendering rispetto alla fotografia professionale di architettura (di cui queste immagini, come si è visto, riprendono una serie di convenzioni), in cui si tende, al contrario, a normalizzare le condizioni meteorologiche preferendo una luce molto limpida e atmosfere soleggiate65. I riferimenti di alcuni di questi rendering
di architettura vanno rintracciati piuttosto nella pittura di paesaggio del settecento, che spesso era eseguita en plein air proprio da artisti che, venuti in Italia per dipingere le rovine e educarsi al Classico e alla pittura di storia, rimanevano colpiti dalla bellezza della natura e dagli effetti della metereologia. Altre immagini si rifanno più o meno apertamente alle visioni nebulose della pittura romantica, contribuendo alla costruzione di un immaginario in cui l’architettura appare marcatamente in relazione ai luoghi in cui si trova, naturalizzata. L’aspetto artificiale di molte di queste immagini, inoltre, sembra unire a una visione paesaggistica anche agli effetti della cinematografia di fantascienza, rispecchiando, nell’insieme, quel tipo di visione “green”, tra ecologia e high-tech che nell’ultimo decennio è una delle principali retoriche dell’architettura contemporanea66.
Il secondo aspetto ricorrente è rappresentato dal punto di vista sopraelevato, o da “veduta in prospettiva” (ripresa da un punto di vista reale, con angolazione tra 60° e 90°) e a “volo d’uccello” (realizzata da un punto di vista immaginario posto in alto nel cielo)67. Anche in questo caso le CGI si
distaccano dagli standard della fotografia di architettura, poiché sarebbe impossibile scattare molte di queste vedute a meno di trovarsi su un edificio immaginario o su un elicottero, per ricollegarsi piuttosto alla vedutistica, ambito in cui gli elementi descrittivi e indicali sono tradizionalmente
65. L’idealizzazione del paesaggio attraverso la reiterazione di un’eterna primavera, infatti, è tipico degli studi di visualizzazione allineati alle richieste del marketing. Cfr. le interviste con Kilograph (“The weather is important, we can’t do an image without the blue sky. We do most of our work here, and we have a reputation of creating a certain kind of images, we have a sense of light which is very optimistic, and a saturation that is very exciting to people”) e Visualhouse (“They want happy images. Blue skies, sunny days”).
66. Crf. F. Repishti,“Green Architecture. Oltre la metafora. Le avventure della metafora verdolatrica” in Lotus 135 (2008), 34-41, e il numero 140 di Lotus, “Sustainability?”(2009). 67. Queste tipologie dell’iconografia urbana sono delineate in C. de Seta, Ritratti di città cit., 30-31.
BLOOMIMAGES, rendering di 56 Leonard Street, New York, (Herzog & de Meuron), 2008 ATCHAIN, rendering di Guiyang Cultural Plaza Tower, Guiyang, Cina (SOM), 2012
VISUALHOUSE, rendering di 15 Hudson Yards, New York (Diller Scofidio + Renfro with Rockwell Group), 2012 HERZOG & DE MEURON, Rendering della Tour Triangle, Parigi, 2015
mescolati all’astrazione, all’invenzione e alla rappresentazione simbolica68.
Anche in questo caso il rendering fa un salto indietro nel tempo di almeno due secoli, poiché è vicino alla tradizione iconografica che ha preceduto e integrato la nascita della moderna topografia, un catalogo che comprende una produzione vasta e diversificata: le rappresentazioni dei grandi masterplan sembrano oggi rifarsi alle vedute urbane a volo d’uccello con cui furono raffigurate molte città italiane, da quelle di Francesco Rosselli degli ultimi decenni del Quattrocento, alla veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (1500), dalle seicentesche vedute allucinate di Didier Barra fino alle piante di Roma di Giovanni Battista Nolli (1748) e di Napoli di Giovanni Carafa (1775) di matrice topografica ma ancora integrate con vedute scenografiche delle città. Molti rendering fotorealistici di edifici inseriti in un minuzioso contesto urbano sono vicini alle convenzioni delle vedute settecentesche delle città per topoi, da Gaspar Van Wittel ai cosmopoliti Canaletto e Bellotto, a Giovanni Battista Lusieri, che quasi sempre erano prese da un punto di vista rialzato. Le rappresentazioni di progetti “stravaganti” in luoghi esotici, a cui i blog e le riviste di architettura ci hanno abituato negli ultimi anni, non possono che richiamare alla mente il genere del “capriccio” architettonico, consolidatosi in seguito alla diffusione per il gusto archeologico e alla nascita del souvenir nell’ambito del Grand Tour. Anche le prefigurazioni dei grandi compound contemporanei in cui sono accostate le opere di diversi “archistar” - quali ad esempio City Center a Las Vegas a Saadiyat Island a Abu Dhabi - rispecchiano quel gusto per il capriccio storicista e per la collezione portato all’estremo da artisti-architetti come Piranesi, Joseph Michael Gandy e Charles Robert Cockerell, in cui la filologia e l’invenzione sono intrecciate indissolubilmente.
La veduta aerea si configura nei rendering come una scelta quasi obbligata perché è spesso l’unica che permette di mostrare gli edifici nella loro interezza. Molte delle cosiddette “hero views” di un edificio, così chiamate perché enfatizzano gli aspetti plastici del progetto, e ricorrenti soprattutto in tema di torri e grattacieli, sono realizzate collocando la camera in un punto di vista irrealistico, che enfatizza la scultoreità dei progetti, ma non sarà apprezzato da chi utilizzerà l’edificio o lo percepirà dalla strada. La ripetizione di questo tipo di veduta nel raffigurare i progetti contribuisce inevitabilmente a quei fenomeni, oggi tanto diffusi e criticati, di reificazione degli edifici - già costitutivamente presente nel Moderno, in cui l’edificio era
68. Cfr. C. de Seta, Ritratti di città cit. Dello stesso autore vedi anche C. de Seta, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento (Torino: Bollati Boringhieri, 1999); C. de Seta, Roma. Cinque secoli di vedute (Napoli: Electa Napoli, 2006), 29-51; 60-62, e C. de Seta, L’Italia del Grand Tour. Da Montaigne a Goethe (Napoli: Electa Napoli, 1996). Vedi inoltre A. Gady e J. Pérouse de Montclos (a cura di), De l’esprit des villes: Nancy et l’Europe urbaine au siècle des Lumière,1720-1770 (Versailles: Artlys, 2005), catalogo della mostra (Nancy, 2005).
concepito in discontinuità con la città tradizionale - e di spettacolarizzazione della città - avviato dagli architetti postmoderni verso la fine degli anni settanta e che ha oggi raggiunto un apice imprevisto.
Una variazione sul tema della veduta dall’alto è la cosiddetta “flying camera”, una sorta di visione ravvicinata di un edificio alto e trasparente, i cui interni sono visibili e abitati, con il paesaggio urbano che rimane sullo sfondo. Queste immagini, tanto spettacolari quanto inverosimili nel punto di vista, ricordano sia le fotografie della serie transparent city di Michael Wolf,69 sia i voli in elicottero
sugli skyline americani che animano i titoli di testa di molti film e serie televisive, un’ulteriore conferma di quanto la rappresentazione dell’architettura sia oggi debitrice all’immaginario fotografico e, soprattutto, dei media più diffusi. Un terzo tema iconografico, legato al precedente, è quello del vetro e della trasparenza, cui è persistentemente associata un’idea di modernità70. In molti
casi gli edifici appaiono come solidi leggeri e trasparenti, smaterializzati ben oltre un principio di realtà, anche perché le leggi dell’ottica fanno si che in fotografia - ed è noto che gli stessi principi sono replicati dai software di renderizzazione - i vetri degli edifici di giorno appaiano scuri, o addirittura neri. Molti rendering rappresentano i progetti all’alba o al tramonto, quando l’interno di un edificio è visibile dall’esterno, ma le facciate e il paesaggio
69. M. Wolf, The Transparent City (New York: Aperture, 2008).
70. Già nel 1914 Paul Scheerbart con il suo Glasarchitektur profetizzava una società rivoluzionata dall’impiego dell’uso del vetro in architettura, non tanto non tanto per la il suo potenziale funzionale, ma per gli aspetti espressivi di questo materiale, capace di emancipare l’uomo dalle abitudini di vita tradizionali. Hugh Ferriss dedicò alcune pagine di Metropolis of Tomorrow al vetro, e anche Giuseppe Terragni, nella tavola polemica “La rivoluzione del vetro” (in Quadrante 35-36, 1936, numero interamente dedicato alla Casa del Fascio di Como) sosteneva l’architettura di vetro in funzione rivoluzionaria e antiborghese. Tuttavia il vero dibattito sulla trasparenza in architettura è rappresentato dalle posizioni polemiche di Colin Rowe e Robert Slutsky, che con l’articolo “Transparency: Literal and Phenomenal” criticarono l’idea di trasparenza derivata dal cubismo sostenuta da Sigfried Giedion in Space, Time and Architecture, sviluppando una distinzione tra trasparenza “letterale”, una qualità inerente a una sostanza, e trasparenza “fenomenologica”, una qualità più sottile legata a un criterio organizzativo degli spazi. L’articolo è interessante da citare qui perché, anche in questo caso, le argomentazioni si basano integralmente su un confronto tra coppie di opere di pittori cubisti e post-cubisti - Picasso e Braque, Delaunay e Gris, Moholy-Nagy e Leger - e l’architettura di Gropius e di Le Corbusier. L’articolo chiama in causa anche la celebre fotografia di Lucia Moholy dell’ala dei laboratori del Bauhaus di Dessau, pubblicata a piena pagina nel volume di Giedion, sostenendo che la visione diagonale fosse derivata dalla concezione dell’edificio stesso e dalla trasparenza degli angoli vetrati. Cfr. S. Giedion, Spazio, tempo ed architettura. Lo sviluppo di una nuova tradizione. Milano, Ulrico Hoepli editore, 1954. 484-487); C. Rowe, Colin, R. Slutzky, “Transparency: Literal and Phenomenal.” Perspecta 8 (1963): 45-54. Vedi anche il seguito dell’articolo “Transparency: Literal and Phenomenal. Part II”: Perspecta 13/14 (1971), 287-301, in cui sono citati numerosi edifici storici come esempi di trasparenza fenomenologica, segno di una rilettura fortemente critica del moderno e della sua pretesa cesura con il passato. Vedi anche Repishti, Francesco. “Colin Rowe and Transparencies” Lotus 125 (2005): 118-125.
KILOGRAPH, rendering di Metropolis LA, Los Angeles (IDS Real Estate, CBRE), 2012 GEHRY PARTNERS, rendering del Guggenheim Museum Abu Dhabi, Abu Dhabi, UAE, 2007 VA, rendering di 600 Collins Street, Melbourne (Zaha Hadid Architects), 2016
MIR, rendering dia APM, Le Brassus, Switzerland (BIG), 2014
FOSTER+PARTNERS, rendering di ICD Brookfield Place, Dubai, UAE, 2015 GENSLER, rendering della Shanghai Tower, Shanghai, Cina, 2008
circostante sono ancora ben riconoscibili. Questa scelta iconografica ricorrente dipende solo in parte dalle ragioni tecniche appena esposte, poiché le immagini, essendo prodotte da software, potrebbero essere modificate a piacimento illuminando gli interni anche in pieno giorno, una prassi praticata anche dai fotografi di architettura. Mi pare invece che questo tipo di raffigurazione ricorrente risponda piuttosto a una convenzione di tipo culturale che tende a replicare quel tipo di rappresentazione spettacolare e “d’effetto” dell’architettura, più che analitica o descrittiva, che risale al modernismo americano e in particolare dall’opera di Julius Schulman in California71. La trasparenza “letterale”, dunque, è ossessivamente
ricorrente nei rendering, non solo perché permette di vedere più cose in una sola immagine, ma soprattutto perché provoca un effetto spettacolare già ampiamente sperimentato nell’iconografia del movimento moderno. La ripetizione sistematica degli specifici momenti della giornata che enfatizzano gli effetti drammatici della trasparenza concorre a un processo di dematerializzazione che contraddistingue molta architettura contemporanea, già enunciato da Giedion a commento dell’opera di Gropius, ripreso da Rowe e Sluzky nel 1955, e che oggi si dispiega in una varietà di esiti: se da un lato il curtain wall vetrato è utilizzato nella maggior parte degli edifici recenti in modo “letterale”, per non dire banale, gli esiti più interessanti in termini di trasparenza superano le posizioni enunciate in quel dibattito perché sono il frutto di un’idea di architettura il cui principio generatore è uno specifico “atto iconico”72 basato non sull’idea di trasparenza, ma su un’immagine
ottica che include anche riflessioni e rifrazioni. Alcuni progetti recenti, infatti, hanno esplorato programmaticamente le qualità ottiche del vetro, come ad esempio la Fondation Cartier a Parigi, in cui Jean Nouvel non solo realizza un edificio completamente vetrato, ma opera una duplicazione del courtain wall arretrando l’edificio e allineando al fronte strada una nuova parete trasparente. Il risultato è una moltiplicazione caleidoscopica dello sguardo in cui gli elementi reali e quelli riflessi si sovrappongono come layer visivi, un’immagine perseguita dall’architetto73, che ricorda le strutture ottiche
71. E. Ford, Edward. “The Inconvenient Friend”cit. Vedi anche P. Serraino, “Framing Icons”, in K. Rettenbury, This is not Architecture, cit. La forza iconica della celebre immagine della Case Study House n°22 è tale da avere generato un progetto tanto diverso come quello della riabilitazione dei grands ensembles francesi portato avanti da Druot, Lacaton & Vassal. Vedi: F. Druot, A. Lacaton & Jean-Philippe Vassal, PLUS - Les grands ensembles de logements - Territoires d’exception (Barcelona: Gustavo Gili, 2007). Questo caso è discusso in A. Luzarraga Iturrioz, “Proyectar desde la imagen: la fotografia como instrumento creador de atmósferas construidas en la obra de Druot, Lacaton y Vassal”, in R.A. Alcolea, J. Tárrago-Mingo (a cura di), atti del convegno Inter - Photography and Architecture 2016 cit., 186-196.
72. Cfr. H. Bredekamp. Immagini che ci guardano. Teoria dell’atto iconico. Raffaello Cortina Editore, 2015.
METHANOIA, rendering di Dubai Creek Harbour e Dubai Creek Tower, Dubai, UAE (Santiago Calatrava), 2016 LUXIGON, rendering della Equator Tower, Kuala Lumpur (REX), 2012
di Dan Graham a cavallo tra minimalismo, arte concettuale e esperienza fenomenologica. Anche la recente sede satellite del Louvre a Lens, degli architetti Kazuyo Sejima e Ruye Nishizawa, è un progetto che persegue un’immagine di totale smaterializzazione dell’edificio nel paesaggio, sia grazie all’uso estensivo del vetro curvo, che provoca un effetto di sublimazione dei volumi e di distorsione ottica già sperimentati dello studio giapponese, sia grazie all’impiego di un rivestimento in alluminio anodizzato che restituisce una trasparenza simulata, una riflessione leggermente sfumata dell’ambiente circostante all’esterno, e del contesto espositivo all’interno, che determina una completa sparizione dell’immagine dell’architettura74.
Vorrei infine proporre quattro brevi riflessioni critiche sul tipo di realtà descritta dai rendering, poiché come si è visto si tratta di un’idea strategica del reale che rispecchia e contribuisce a formare alcuni importanti temi dell’architettura contemporanea.
La prima riflessione riguarda l’influenza dei rendering sulla spettacolarizzazione dell’architettura e del paesaggio urbano, un fenomeno che riguarda il rapporto tra progetto e visualizzazione, ed è dovuta sia agli aspetti tecnologici delle CGI che ai meccanismi della loro circolazione sui media. Gli architetti intervistati hanno affermato che esiste una corrispondenza tra la diffusione dei software di progettazione tridimensionale e la spettacolarizzazione dell’architettura e delle città avvenuta negli ultimi decenni. Sia la modellazione 3D che la visualizzazione fotorealistica tendono per loro natura a privilegiare gli aspetti più formali degli edifici, e questo è valido sia per chi progetta sia per chi utilizza le immagini finali: chi vuole distinguersi attraverso un grande gesto architettonico, molto probabilmente preferirà un design adatto a generare rendering spettacolari così da ottenere la massima visibilità sui media. Il risultato di questo stretto rapporto tra realtà e visualizzazione è un flusso incessante di immagini e forme spettacolari, reali e virtuali, a discapito di pratiche progettuali che pongono al centro altri aspetti dell’architettura e dell’urbanistica75.
74. Vedi la pubblicazione del progetto su Lotus con il testo di Jacques Leenhardt “Elogio della trasparenza. Una visita al Louvre-Lens, nella regione mineraria a nord della Francia”. Lotus 154 (2014), 88-113, 90-97.
75. La recente esplosione di forme architettoniche esuberanti e stravaganti diffuse su scala globale per mezzo delle CGI può essere in un certo senso paragonata a quelle esperienze del Seicento e Settecento in cui l’evoluzione delle tecniche prospettiche contribuì a uno scardinamento dello spazio statico rinascimentale. A questo proposito voglio citare ancora una volta l’intervista a Colin Koop di SOM, che riporta un chiaro esempio della correlazione tra