fotografia - Louis Arago presentò la fotografia ponendola in stretta relazione con lo studio dei monumenti storici. Grazie all’inedita capacità di registrare la realtà in modo straordinariamente fedele, rapido ed economico, la nuova tecnica prometteva di essere molto utile all’avanzamento delle arti e della ricerca scientifica. Il primo esempio portato da Arago, allora di grande attua- lità, fu quello dei risultati che si sarebbero potuti ottenere con la fotografia durante la spedizione d’Egitto, da poco conclusa, i cui ritrovamenti furono pubblicati dal 1809 al 1822 in dieci volumi di testi e tredici di stampe, frutto del lavoro sul campo di circa 2000 persone, tra cui 400 incisori:
Per copiare i milioni e milioni di geroglifici che coprono, anche all’e- sterno, i grandi monumenti di Tebe, di Memphis, di Karnak, ecc., ci vorrebbe- ro decine di anni e legioni di disegnatori. Con il Dagherrotipo, un solo uomo potrebbe portare a buon fine questo immenso lavoro. Munite l’istituto d’Egit- to di due o tre apparecchi di M. Daguerre, e in molte lastre di questa celebre opera, frutto della nostra immortale spedizione, vaste distese di geroglifici reali rimpiazzeranno i geroglifici fittizi e puramente convenzionali; e i disegni sa- ranno ovunque superiori per fedeltà, nel colore locale, alle opere dei più abili pittori; e le immagini fotografiche, essendo sottomesse nella loro formazione alle regole della geometria, permetteranno, con l’aiuto di un piccolo numero di dati, di risalire alle dimensioni esatte delle parti più elevate, le più inaccessibili degli edifici1.
Pur presentandola limitatamente a un ruolo di servizio e di documenta- zione, il discorso di Arago pone l’invenzione della fotografia in rapporto a un soggetto privilegiato: il monumento. Inoltre introduce indirettamente altri temi fondamentali per la fotografia, vale a dire il viaggio, la scoperta e l’appropriazione dei luoghi, il souvenir e la memoria. Prendendo le mosse dalla grande opera della spedizione francese in Egitto, Arago immagina re- trospettivamente - nel presentare la fotografia a un pubblico di studiosi - un legame tra l’Egitto e la fotografia stessa, destinato non solo ad avverarsi e a durare nel tempo, ma a costituire ciò che si è progressivamente con-
1. F. Arago, Rapport de M. Arago sur le daguerréotype, lu à la séance de la Chambre des Députés, le 3 juillet 1839, et à l’Académie de Sciences le 19 août (Paris: Bachelier, 1839), 28-31. “Pour copier les millions et millions de hiéroglyphes qui couvrent, même à l’extérieur, les grands monuments de Thèbes, de Memphis, de Karnak, etc., il faudrait des vingtaines d’années et des légions de dessinateurs. Avec le Daguerréotype, un seul homme pourrait mener à bonne fin cet immense travail. Munissez l’institut d’Égypte de deux ou trois appareils de M. Daguerre, et sur plusieurs des grandes planches de l’ouvrage célèbre, fruit de notre immortelle expédition, de vastes étendues de hiéroglyphes réels iront remplacer des hiéroglyphes fictifs et de pure convention ; et les dessins surpasseront partout en fidélité, en couleur locale, les œuvres des plus habiles peintres; et les images photographiques étant soumises dans leur formation aux règles de la géométrie, permettront, à l’aide d’un petit nombre de données, de remonter aux dimensions exactes des parties les plus élevées, le plus inaccessibles des édifices.”
figurato come uno dei più celebri topoi fotografici, vale a dire quello del- le piramidi. Come testimonia Alain D’Ooghe nel grande volume Les Trois
Grandes Egyptiennes2, il primo ritratto fotografico delle piramidi di Gizeh
- più precisamente della grande piramide di Cheope - risale già al novembre del 1839, cioè soltanto pochi mesi dopo il discorso di Arago. La fotografia, scattata dal pittore Frédéric Goupil-Fresquet, fu utilizzata come modello per un’incisione, pubblicata nel 1841 in un volume il cui titolo, Excursions
daguerriennes. Vues et monuments les plus remarquables du globe, è già un’e-
loquente indicazione di quanto la pratica fotografica si fosse costituita da subito come attività autonoma, e di quanto i monumenti fossero un soggetto naturalmente abbracciato dai fotografi.
Arago, dunque, nel portare dal recente passato l’esempio della spedizione d’Egitto, lega più in generale il procedimento fotografico alla rappresenta- zione dei monumenti, anticipando il cambiamento radicale che l’immagine fotografica avrebbe portato nell’ambito dello studio e della storia dell’ar- chitettura e dell’arte, in cui la fotografia sarà usata come documento e come strumento di confronto tra opere.
Questi souvenir in cui gli studiosi, in cui gli artisti, accompagnatori dell’armata d’Oriente tanto zelanti e celebri, non potranno, senza essere strana- mente fraintesi, trovare l’ombra di un rimprovero, rinvieranno senza dubbio il pensiero ai lavori che si eseguono oggi nel nostro stesso paese, sotto il controllo della Commissione dei monumenti storici. A colpo d’occhio, ognuno percepi- rà l’immenso ruolo che i procedimenti fotografici sono destinati a giocare in questa grande impresa nazionale; ognuno comprenderà anche che i nuovi pro- cedimenti si distingueranno per l’economia, un tipo di merito che, per dirlo en
passant, nelle arti va raramente di pari passo con la perfezione dei risultati3.
Basti pensare a come questa profezia prenderà forma nell’atlante Mne-
mosyne a cui Warburg lavorò dal 1924 al 1929, o all’esperienza del Musée Imaginaire di André Malraux. Ma già nel 1894 Émile Mâle scriveva:
2. A. D’Hooghe, “Les Pyramides de Gizeh et la photographie: petite historie d’une grande complicité”, in A. D’Hooghe (a cura di), Les Trois Grandes Egyptiennes. Les Pyramides de Gizeh a travers l’histoire de la photographie (Paris, Marval 1996), 16.
3. F. Arago, Rapport de M. Arago sur le daguerréotype cit. 32. “Ces souvenirs où les savants, où les artistes, si zélés et si célèbres attachés a l’armée d’Orient, ne pourraient, sans se méprendre étrangement, trouver l’ombre d’un blâme, reporteront sans doute les pensées vers les travaux qui s’exécutent aujourd’hui dans notre propre pays, sous le contrôle de la Commission des monuments historiques. D’un coup d’oeil, chacun apercevra alors l’immense rôle que les procédés photographiques sont destinés à jouer dans cette grande entreprise nationale; chacun comprendera aussi que le nouveaux procédés se distingueront par l’économie, genre de mérite qui, pour le dire en passant, marche rarement dans les arts avec la perfection des produits.”
Si può dire che la storia dell’arte, che sino a poc’anzi era soltanto la passione di qualche curioso, sia divenuta una scienza vera e propria solo con la scoperta e la diffusione della fotografia ... La fotografia ha liberato in parte l’opera d’arte dalle fatalità che pesano su di essa, dalla distanza, dall’immo- bilità. La fotografia ha permesso di comparare, cioè di fare una scienza: la creazione di una biblioteca di fotografie, ma di fotografie fatte da archeologi, non da dilettanti, diventerà probabilmente, in un breve volger di tempo, ne- cessaria agli eruditi4.
E Walter Benjamin, nel celebre L’opera d’arte nell’epoca della sua riprodu-
cibilità tecnica, allargava il concetto scrivendo che “la cattedrale abbando-
na la propria ubicazione per trovare accoglienza nello studio di un ama- tore d’arte”5.
Un primo esempio di questo processo, infatti, ebbe luogo pochi anni dopo, nel 1851, con la “Mission Héliographique”6, la prima campagna
fotografica commissionata dalla Commission des Monument Historiques del governo francese a cinque fotografi, i quali appartenevano al primo “fotoclub” della storia, chiamato appunto “Société Héliographique”. Lo scopo della campagna era di documentare lo stato dei monumenti nazio- nali in previsione di lavori di lavori di restauro e conservazione dei mo- numenti storici, e che rimarrà il precedente di ogni successiva campagna fotografica promossa da uno Stato.
Ma il testo di Arago contiene molto di più: egli non poteva certamente immaginare l’intera portata storica dell’invenzione della fotografia, ma nel formulare quello che fu il primo discorso pubblico su di essa espresse già una domanda fondamentale:
Ci si domanderà, infine, se l’arte, considerata in se stessa, debba aspet- tarsi qualche progresso dall’esame, dallo studio di queste immagini disegnate da ciò che la natura offre di più sottile, di più agile, dai raggi del sole?7.
Seppure formulata su una conoscenza ancora embrionale del mezzo, e con l’intento di indagare potenzialità ancora limitatissime rispetto a quelle che in seguito la fotografia ha mostrato, il destino dell’arte e l’invenzione della
4. É. Mâle, “L’einsegnement de l’histoire de l’art dans l’université”, Revue universitaire, III-I (1894), 19. Citato in G. Didi-Huberman. L’immagine insepolta cit., 419-420.
5. W. Benjamin. L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Torino: Einaudi, 2011, 8. L’edizione originale Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit è del 1936.
6. Cfr. A. de Mondenard, La mission heliographique: cinq photographes parcourent la France en 1851. (Paris: Monum - Éditions du patrimoine, 2002).
7. F. Arago, Rapport de M. Arago sur le daguerréotype cit. 32.. “Se demande-t-on, enfin, si l’art, envisagé en lui-même,doit attendre quelques progrès de l’examen, de l’étude de ces images dessinées par ce que la nature offre de plus subtil, de plus délié par des rayons lumineux?”.