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A me vai bene tu che hai la testa sulle spalle e sei in linea con il sindacato e magari hai la tessera del PCI in tasca. Però mi va bene anche che accanto a te ci sia uno che ti stimoli, che faccia qualcosa di più254

«La fabbrica più "calda" della cintura milanese», un «laboratorio per l'Autonomia», la roccaforte della «guardia rossa operaia»255; anche questo è stato lo stabilimento della Magneti Marelli di Crescenzago

negli anni '70. In effetti, se sono esistiti contesti in cui il progetto rivoluzionario (o eversivo che dir si voglia) del gruppo di Senza tregua si è avvicinato a concretizzarsi, questa fabbrica milanese ne ha fatto sicuramente parte. Per i suoi militanti il comitato operaio che operava all'interno dello stabilimento "N" della Magneti Marelli rappresentava la «stella polare di questo nostro processo d'organizzazione»256. Nell'hinterland nord di Milano, dall'universo in espansione dei gruppi estremisti

emerge a lungo andare il ruolo primario per un verso di Lc e dall'altro del Circolo Lenin, piccola formazione a carattere locale257, di cui diversi aderenti aderiranno a Senza tregua. Durante il 1973 il

Circolo Lenin confluisce dentro Lc che a Sesto S.Giovanni, riferimento geografico e politico per le avanguardie della Marelli, sta rafforzandosi e radicalizzandosi.

253 Comitato Comunista Marelli, L'unica giustizia è quella proletaria, 10 ottobre 1975 in ABP, Fondo Magneti Marelli, f. "Volantini vari".

254 M. Cavallini (cura), Il terrorismo in fabbrica cit., p. 196.

255 Il primo giudizio è in un articolo del “Corriere della sera” citato in Speciale Senza tregua: Gli operai e la

giustizia, 14 luglio 1976, p. 3. Lo stesso sunto dell'articolo, che comprende un'intervista a Egeo Mantovani,

operaio della Marelli ed esponente di spicco della Flm e del Pci, è nel numero unico Cronaca di un processo, febbraio 1980, p. 8 in ACDL, Fondo numeri unici. Gli altri due sono rispettivamente in M. Cavallini (cura),

Il terrorismo in fabbrica cit., p. 162 e nel numero unico curato dal Comitato operaio Magneti Operai e stato,

s.d. [1977], p. 2 in ABNB, Fondo volantini. Per uno sguardo complessivo sulla storia politica dell'estremismo alla Magneti Marelli si veda il molto dettagliato e documentato E. Mentasti, La guardia rossa racconta cit. 256 L'espressione a effetto è di Oreste Scalzone in N. Balestrini – P. Moroni, L'orda d'oro cit., p. 554. Parole

simili, «fabbrica faro», sono in Rosso appello, p. 713.

257 Per un'idea sulle sue parole d'ordine si cfr. il ciclostilato a firma del Circolo Lenin e di altri piccoli gruppi operai attivi sul territorio politicamente vicini (circolo operaio "Karl Marx" Crescenzago, "Nucleo operaio piccole fabbriche" di Viale Monza, "Nucleo operai-impiegati Telettra" di Vimercate), Circolo Lenin.

Meccanici: tutta la piattaforma! Unità tra piccole e grandi fabbriche, libertà di contrattazione articolata! Ritirare – subito – i licenziamenti, pagare al 100% le ore di sospensione, marzo 1973 in AFISEC, Fondo

Mantovani, b. 13, f. 68A. Alla Telettra lavora Costa, altro esponente del Circolo Lenin confluito poi in Senza tregua e, dopo alterne vicende, anche in Pl. Per il suo esemplare percorso cfr. L. Guicciardi, Il tempo del

Restituire sinteticamente lo spaccato della conflittualità operaia negli anni '70 alla Marelli aiuta a comprendere gli intenti – così di frequente enunciati sulle pagine di "Senza tregua" – che i comitati autonomi di fabbrica si ponevano, l'orizzonte di confronto (e di scontro) con le forze della sinistra tradizionale e serve anche per individuare alcuni snodi fondamentali a carattere più generale. Difatti, come vedremo, a un certo punto l'azione dei comitati autonomi, raggiunto il culmine e forte di un relativo consenso fra la massa degli operai, tende ad avvitarsi su stessa, a concentrarsi sul tema della repressione e del "potere in fabbrica" e così facendo a porre le basi del successivo riflusso. Tutto ciò rimanda alle effettive prospettive della conflittualità operaia e a precise opzioni strategiche; queste, attraverso percorsi non lineari, porteranno più tardi alla scelta della lotta armata. Come ha affermato un esponente di Senza tregua, alla metà del 1976

il comitato operaio della Magneti Marelli sconta di essere sceso al punto più basso della legalità nei rapporti con l'azienda, il consiglio di fabbrica, i sindacati e i partiti politici, che nello stabilimento di Sesto San Giovanni significava solo e unicamente Cgil e Pci. E al contempo di aver raggiunto il punto più alto della sua capacità di penetrazione e di mobilitazione dei lavoratori. Baglioni [leader del comitato autonomo], per usare un noto eufemismo, era in mezzo al guado: o si strutturava all'interno di una cornice di rappresentanza effettiva e di mediazione con la controparte, rinnegando gli atti violenti e le forme di complicità e di benevolenza, se non di autentico fiancheggiamento goduti tra i lavoratori di alcuni reparti, o saltava il fosso della legalità compiutamente. In qualunque caso, oltre c'era il declino258.

Ma cos'era la Magneti Marelli di Crescenzago? Uno stabilimento dove alla metà degli anni '70 lavoravano circa 4500 operai, di cui poco meno della metà erano donne, scarsamente integrate nell'organigramma sindacale, ma non per questo meno attive nelle lotte, in particolar modo in quelle spontanee259. Produceva componentistica elettrica per il settore automobilistico e faceva parte di un

gruppo industriale più esteso che lavorava soprattutto nell'indotto Fiat, azienda in cui verrà inglobata alla seconda metà del decennio260. Le sue medio-grandi dimensioni, confrontate al gigantismo degli

stabilimenti torinesi, la rendevano un esempio di fabbrica milanese, nelle specifiche caratteristiche individuate da un ciclostilato di Lc:

la fabbrica caratteristica di Milano è quella media sopra i mille operai: [...] è questa che scandisce i tempi 258 Testimonianza di Costa in M. Ruggero, Pronto, qui Prima Linea, cit., p. 61.

259 Su questo punto insiste molto Baglioni: «la Magneti Marelli è una fabbrica particolare perché ci sono duemila uomini e duemila donne, il clima è molto poco di repressione, c'è un incontrarsi, un parlare, una vita interna alla fabbrica che non è la miseria [di una fabbrica di] soli uomini, in cui davvero si parla solo di calcio o di figa», in R. Catanzaro e L. Manconi (cura), Storie di lotta armata, cit., p. 49. Per una sua testimonianza più recente si dispone ora anche di una breve, ma efficace, intervista video dal titolo Magneti anni '70: un

racconto di Enrico Baglioni, all'interno del più generale progetto multimediale "Storie operaie", consultabile

in rete all'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=fZbHuFYUE6Q. Su un altro piano, rispetto al rapporto fra irrompere del femminismo e mondo sindacale cfr. Fiamma Lussana, Il femminismo sindacale

degli anni Settanta, “Studi storici”, LIII [2012], n. 1.

260 Per questi dati, e in generale per un inquadramento sulla Magneti Marelli, cfr. Luigi Dolci – Emilio Reyneri,

Magneti Marelli e Ercole Marelli in Alessandro Pizzorno (cura), Lotte operaie e sindacato in Italia (1968- 1972), 6 voll., Il Mulino, Bologna 1974, . Il saggio sulla Magneti Marelli è opera di Emilio Reyneri.

della lotta operaia, che dà la misura dello spessore del movimento generale. [...] La caratteristica specifica del tessuto industriale milanese, cioè la fabbrica medio grande, determina, come abbiamo visto, la presenza di molteplici poli di classe, la multipolarità dei riferimenti che si aggancia in modo preciso al rapporto che le fabbriche hanno con il territorio circostante. Il rapporto tra le fabbriche e il territorio non può essere ricercato nel rapporto tra le fabbriche e la piccola Milano, ma nel rapporto che intercorre fra queste fabbriche e un'area vastissima di comuni della provincia, lungo le direttrici dei vecchi e nuovi spostamenti operai261.

Conviene tenere ferma una data, quella del 1975, corrispondente all'apogeo della forza dei collettivi autonomi operai, e andare ora in avanti ora indietro nel tempo per rintracciare sia le sue precondizioni che gli esiti ultimi. Tornare per un attimo al 1968 è necessario soprattutto per contestualizzare il tasso di violenza che caratterizzerà il complesso delle lotte di fabbrica a partire dall'autunno caldo e su cui i gruppi extraparlamentari costruiranno una vera e propria mitologia. Alla vigilia dell'autunno caldo, la militarizzazione del lavoro consolidatasi degli anni della ricostruzione e del miracolo entra in contrasto con i nuovi bisogni operai, specie quelli dei più giovani262, e crea una miscela esplosiva. E' in

questo contesto che gli «stridori drammatici di una società»263 generano forme di rabbia spontanea.

E' da questa matrice che si originano i modelli d'azione dei comitati autonomi operai della metà degli anni '70. In altre parole, essi non inventano niente a livello di utilizzo della forza all'interno degli stabilimenti, ma si limitano semplicemente a perpetuare e a codificare quell'insieme di pratiche (cortei interni, intimidazione delle gerarchie aziendali, trattativa diretta, scioperi selvaggi264) che avevano

rappresentato una delle specificità dell'autunno caldo e con cui lo stesso sindacato aveva costituito un rapporto ambivalente. A riconoscerlo sono gli stessi esponenti del Pci:

iniziarono gli scioperi ed i nuovi assunti portarono nella lotta una carica che coglieva di sorpresa anche il vecchio quadro sindacale. Era una forza prorompente, difficilmente controllabile, che si scagliava contro tutto ciò che, in qualche modo, rappresentasse l'azienda. Si spaccavano tavoli e vetri, si passava all'interno degli uffici a spazzare i crumiri senza guardare troppo per il sottile. La rabbia era tanta, e non sempre si manteneva entro i limiti del galateo.

le nostre manifestazioni non erano passeggiate. Quando i cortei arrivavano da Crescenzago agli uffici della direzione centrale di Sesto, qualche segno lo lasciavano. Si facevano cose anche pesanti: sedie e 261 Commissione Operaia Lc Milano, Elementi sulla struttura produttiva milanese e sulla composizione della

classe operaia, s.d. (1974?), p. 1-2 in AFF, Fondo Nuova sinistra, b. 20, f. 1.

262 Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, Milano 1971; più in generale cfr. Andrea Sangiovanni, Tute blu.

La parabola operaia nell'Italia repubblicana, Donzelli, Roma 2006, p. 165 ss.

263 Sergio Turone, Storia del sindacato in Italia, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 349. Per una convenzionale data d'avvio dell'Autunno caldo che chiarisce bene anche l'accettazione dello scontro di piazza, indipendente dall'intervento attivo delle organizzazioni politiche cfr. Diego Giachetti, Il giorno più lungo. La rivolta di

Corso Traiano, Torino 3 luglio 1969, BFS Edizioni, Pisa 1997.

264 Gabriele Polo, I tamburi di Mirafiori. Testimonianze operaie attorno all'autunno caldo della FIAT, Cric, Torino 1989 e Giuseppe Berta, Mobilitazione operaia e politiche manageriali alla FIAT, 1969-1979, in Stefano Musso (cura), Tra fabbrica e società. Mondi operai nell'Italia del Novecento, "Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli", XXXIII, 1997.

scrivanie che volavano265.

Lo stesso discorso vale per la prassi della trattativa diretta con dirigenti e capi-reparto, non priva di elementi di aperta intimidazione, come affermano gli stessi sindacalisti:

togliere l'autoritarismo ai capi, ridimensionarli: in questo compito ci siamo riusciti pienamente, con tutti i sistemi anche bruschi. Questa gente è proprio scesa dal piedistallo sul quale i lavoratori li avevano messi. [...] Alla 2° o 3° sezione, quando arrivava una lettera di contestazione a un attivista, in 50-60 persone si andava su all'ufficio personale: o ritirava la lettera o erano fatti suoi. C'era una reazione di forza immediata266.

Quelle appena citate sono testimonianze di parte comunista, in riferimento al biennio 1968-70 e non agli anni successivi, ma che, nella sostanza, riflettono il ribaltamento di accuse espresso da Baglioni,

leader del comitato autonomo, per cui

paradossalmente, alla Magneti Marelli c'è stata violenza, però – rileggendo un attimo – credo sia stata molto meno: il problema è che aveva una rappresentanza politica ufficiale, questa violenza, e quindi è diventata più conosciuta perché il sindacato e il partito comunista hanno dovuto rispondere su un terreno politico ufficiale e quindi è stata pompata. [...] Non risultano capi picchiati oppure che ricevono la biglia in testa [...]. Il più delle volte poi i soggetti più violenti sono alcuni militanti del Partito comunista che, di volta in volta, devono esprimere un loro antagonismo che è compresso. Cioè il singolo militante autonomo lì, che ha un potere grosso, difficilmente gli scappa la mano su un capo o su impiegato; il militante compresso da anni, che non capisce bene qual'è la linea del partito comunista, in alcuni momenti caldi come, per dire, il discorso della cassa integrazione come anticipazione dei licenziamenti, perde un po' la testa267.

Gli anni che seguono il biennio '68-69 sono anche quelli in cui si consolida all'interno della fabbrica, pur nell'alternanza delle fortune e nella transitorietà delle formule organizzative, la presenza di gruppi eretici rispetto al sindacato, vicini alle varie esperienze della sinistra extraparlamentare e immersi quantomeno in una retorica rivoluzionaria. Anche in questo caso, come rispetto alle forme di lotta appena ricordate, esiste un filo rosso che ci conduce fino alle esperienze autonome della metà del decennio.

Le dure lotte dell'autunno caldo portano dunque a un ininterrotto miglioramento delle condizioni lavorative e contrattuali della classe operaia, la cui agibilità politica all'interno degli stabilimenti conosce un progressivo allargamento268. Tali spinte vengono in parte recuperate e incanalate

265 M. Cavallini (cura), Il terrorismo in fabbrica cit. p. 169-70.

266 L. Dolci – E. Reyneri, Magneti cit. p. 55. Per la Fiat cfr. il recente studio di Lorenzo Avellino, La gerarchia

contestata: i capi Fiat dal dopoguerra alla marcia dei Quarantamila, "Studi storici", 2016, n. 2.

267 R. Catanzaro e L. Manconi (cura), Storie di lotta armata cit., pp. 53-54.

268 Alessandro Pizzorno (cura), Lotte operaie e sindacato: il ciclo 1968-1972 in Italia, Il Mulino, Bologna 1978.

dall'azione del sindacato, capace di "cavalcare la tigre", ma nelle sue pieghe si inserisce il costante lavorio dei nuclei estremisti. La politica delle due parti, che sarebbe prematuro considerare come contrapposte, si dispiega non senza reciproche contraddizioni. Infatti, il sindacato riesce a tenere saldo il timone sulle lotte operaie a costo di una rinegoziazione delle sue parole d'ordine e di una costante tensione fra il relativo moderatismo dei vertici, particolarmente forte nella dirigenza milanese, e le pulsioni che provengono dalla base e dai reparti più combattivi. Ne è un esempio lampante l'ottenimento di aumenti salariali uguali per tutte le categorie che alla Marelli viene imposto dalle assemblee dei lavoratori nel 1971 nonostante il parere contrario dei delegati sindacali vicini alla Cgil e al Pci269. Ma lo stesso discorso potrebbe essere fatto per altre battaglie che caratterizzano gli anni a

cavallo dell'attuazione dello Statuto dei lavoratori (il rifiuto della delega e la trattativa diretta, il superamento del sistema del cottimo, l'alleggerimento dei carichi di lavoro e l'allargamento delle tutele sindacali): battaglie che, pure, il sindacato non si astiene dal fare270, sebbene le ritenga spesso

indigeste.

Le contraddizioni di questa dinamica traspaiono chiaramente se si legge la preziosa testimonianza, resa nel 1985 alla rivista "Primo Maggio", al termine della parabola operaia dello stabilimento di Crescenzago, da Egeo Mantovani, storico leader della Fiom:

facciamo un accordo, un accordo che non era tanto come soldi, ma avevamo rotto un incantesimo che da molto tempo non si rompeva [...]. Da quel momento abbiamo fissato dei tempi che erano molto ma molto inferiori da quelli che erano prima, tanto è vero che la gente lavorava tranquillamente. [...] Io dicevo: fatelo bene il lavoro, fatelo con calma, cercate di non andare a casa con la schiena rotta come prima, lavorate le otto ore continuative senza andare a casa con la schiena rotta. E questo l'avrò ripetuto in mensa, nelle assemblee, cinquantamila volte. Mica mi hanno dato retta! Sai cosa hanno fatto? [...] Gli operai, e le operaie anche, aumentavano il ritmo non dico come prima ma quasi come prima per poi fermarsi un'ora, un'ora e mezzo prima la sera. E io dicevo: questo è sbagliato. E poi si mettevano a far la calza. E lì ho detto: “se cambia il vento la pagherete. E difatti sta cambiando il vento e la pagano". Gli anni Settanta è stato tutto un'azione di rivendicazione fino al Settantacinque: categorie, ambiente di lavoro, tutto quello che c'era dentro alla fabbrica. Erano momenti che si andava avanti, non si tornava indietro perché ogni giorno facevamo un accordo. Ma l'accordo non soddisfava mai, c'era sempre il gruppo che lo contestava, tanto è vero che nelle votazioni molte volte accordi che noi facevamo rimanevamo in minoranza, molte volte siamo rimasti in minoranza. [...] Facevano in fretta per poi andare 269 L. Dolci e E. Reyneri, Magneti cit. pp. 68-69.

270 Lo riconosce, a distanza di anni, anche un avversario di allora, come Rosso: «abbiamo fatto una lunga e secondo me preziosa intervista a Pizzinato [segretario della Fiom di Milano]. Bene, i risultati sono in un certo senso sorprendenti: io allora ero segretario della sezione di Lotta Continua di Sesto e quelli erano l'oggetto della nostra contestazione. Ma a riguardare le cose oggi scopri che invece ingaggiavano conflitti durissimi e avevano portato le lotte operaie a un livello straordinario», in Andrea Colombo, Il conflitto dal principio, "Il Manifesto", 11 giugno 2014. Per il punto di vista del dirigente Cgil cfr. Antonio Pizzinato, Viaggio al centro

del lavoro, Ediesse, Roma 2012. Per un punto di vista molto critico rispetto all'azione del sindacato negli anni

a seguire l'Autunno caldo cfr. Giuseppe Berta, L'Italia delle fabbriche, Il Mulino, Bologna 2013, pp. 219- 227; per una recente ricostruzione globale Lorenzo Bertucelli, La gestione della crisi e la grande

trasformazione (1973-1985) in Lorenzo Bertucelli – Adolfo Pepe – Maria Luisa Righi, Il sindacato nella società industriale, Ediesse, Bologna 2008.

in giro a giocare a carte! Si giocava a carte negli spogliatoi! E questo è un grande difetto, noi come persone che abbiamo dato tutta la nostra vita per la classe operaia non possiamo permettere che questo sia frutto della classe operaia. Questa è una deformazione della classe operaia, perché la classe operaia deve essere sana, deve rivendicare, deve lavorare, pretendere i suoi diritti e fare il suo dovere"271.

L'etica del lavoro, l'orgoglio per la "professionalità", che trasuda da queste affermazioni è proprio ciò che distingue la sinistra istituzionale dalla galassia di gruppi che si muove alla sua sinistra.

I nuclei estremisti, se riescono a pungolare la sinistra storica, falliscono però nei tentativi di sperimentare forme di lotta compiutamente autonome rispetto a quelle della maggioranza sindacale, dimostrando, per usare una metafora, che possono vincere alcune battaglie singole, ma mai la guerra. Inoltre, il saldo controllo sindacale sulle vertenze costringe spesso le realtà critiche non soltanto a impegnarsi in un quotidiano, e fruttuoso, attivismo all'interno dei reparti, ma anche a soffiare sul fuoco del particolarismo di alcune rivendicazioni. L'impressione è che la massa degli operai non voglia né le riforme né la rivoluzione, ma che, più semplicemente, ambisca a migliorare le proprie condizioni di lavoro e di vita e che in funzione di ciò segua ora gli uni ora gli altri.

Il fatto che l'estrema sinistra non sfondi non significa però che sia una realtà marginale nella vita politica della fabbrica. Di che numeri dispone dentro lo stabilimento di Crescenzago? I militanti in senso stretto non sono moltissimi, ma di questi diversi vengono eletti delegati nel consiglio di fabbrica tanto da far dire a un sindacalista comunista che

sarebbe sbagliato valutare il grado di influenza che avevano all'interno della fabbrica in base a semplici calcoli numerici. Sei delegati su sessanta sono il dieci per cento, ma la "capacità di disturbo" che erano in grado di esibire durante le assemblee era certamente superiore a questa percentuale272.

La fabbrica diviene dunque in breve tempo un laboratorio per il confronto fra sindacato e comitati autonomi: tracce di questo processo si possono trovare in un documento interno a Lc, laddove si definisce il sindacato di Sesto S. Giovanni

un'organizzazione sindacale forte e capillare, di antica tradizione, completamente dominata dall'apparato 271 Pierre Dalla Vigna – Giorgio Pauletta – Domenico Potenzoni – Riccarda Rebecchi, Il caso Magneti Marelli.

Storia, analisi, interviste, "Primo Maggio", n. 23/24, estate 1985, p. 16. Rispetto all'esperienza della rivista

“Primo Maggio”, esempio di storia militante, ma anche strumento di autoformazione per gli esponenti dell'estrema sinistra cfr. Cesare Bermani (cura), La rivista Primo Maggio (1973-1989), DeriveApprodi, Roma 2010.

272 M. Cavallini, Il terrorismo in fabbrica cit. p. 175. Per i militanti si va dalla quindicina attestati nella pubblicazione di parte comunista, cfr. M. Cavallini, ivi. p. 175 ai trentacinque iscritti di Lc (dopo la confluenza del Circolo Lenin), di cui parla Baglioni in R. Catanzaro e L. Manconi, Storie di lotta armata cit. p. 51. Altri dati parlano di una quarantina di copie del giornale vendute al giorno e di una certa capacità di finanziamento del partito, cfr Milano: i compagni della Magneti Marelli sul finanziamento, "Lotta Continua", 22 febbraio 1974. Per i delegati le stesse fonti parlano di percentuali che oscillano fra il 10 e il 20%. Reyneri,