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Capitolo primo Si allontanarono alla spicciolata 68 : dai gruppi della sinistra extraparlamentare a Senza tregua (1974-76)

1) Parole chiave

La sigla "Prima linea" compare per la prima volta in contemporanea a Milano e a Torino nell'autunno del 1976 mentre il congresso fondativo che ne fissa la spina dorsale a livello organizzativo e politico si svolge nell'aprile dell'anno successivo a coronamento di diversi appuntamenti preparatori. Tutto ciò, pur essendo formalmente esatto, non toglie che la storia del gruppo affondi le sue radici in un periodo precedente al 1976/77 e che per coglierne a pieno il significato sia necessario fare alcuni passi indietro. Due fonti ben diverse, da più parti ma superficialmente ritenute inconciliabili, come la memorialistica e le ricostruzioni della magistratura, concordano nel datare al 1974 il primo abbozzo di quella che diventerà l'organizzazione Pl69. Più in dettaglio una solida convenzione indica nell'uscita da

Lc di un gruppo di militanti attivi nella cittadina industriale milanese di Sesto S. Giovanni l'avvio di un percorso di cui una delle conclusioni (non la sola, si badi bene) sarà l'effettiva fondazione di Pl. Nel biennio abbondante che intercorre fra le due date non si assiste in verità a un processo univoco, scandito da coerenti salti di qualità nell'utilizzo strategico della violenza politica o caratterizzato da un continuo trend di crescita quantitativa e qualitativa. Al contrario, si tratta di un percorso a tappe nient'affatto lineare, composto da stratificazioni organizzative, scissioni e fusioni fra diverse esperienze territoriali, frutto tanto di pregiudiziali ideologiche quanto di personalismi spiccioli e dell'aggregazione instabile di cordate di militanti legate più a una tradizione di rapporti consolidati che non a precise scelte politiche. Va letta in questo quadro l'autorappresentazione di Pl come «aggregazione di gruppi guerriglieri che hanno finora operato sotto sigle diverse»70, senza dare per

scontato la spontaneità e la pluralità dei processi di armamento rispetto a quelle che furono precise scelte soggettive.

L'incubazione di Pl si inserisce a pieno titolo nella più vasta "area dell'autonomia": un multiforme schieramento di collettivi e gruppi locali, che si pongono a sinistra dei gruppi extraparlamentari della cui crisi tendono ad avvantaggiarsi. Portatori di un radicale antagonismo nei confronti delle istituzioni, tentano effimeri tentativi di coordinamento nazionale. In varia misura riconducibile al pensiero operaista71, questa variopinta compagine, un po' movimento puro un po' avanguardia politica, costruirà

68 Adriano Sofri – Luca Sofri, Si allontanarono alla spicciolata. Le carte riservate si polizia su Lotta continua, Sellerio, Palermo 1996. Se in questo volume l'espressione è tratta dai mattinali della polizia per indicare il deflusso dei militanti di Lc da manifestazioni o assemblee, io la utilizzo come metafora della diaspora di personale politico dei gruppi della sinistra extraparlamentare in direzione anche delle prime formazioni di lotta armata.

69 S. Segio, Una vita in Prima linea cit., p. 83 ss; tesi sostenuta pure da Armando Spataro, pubblico ministero nei processi milanesi, in Requisitoria Spataro, p. 119 ss.

70 Creare, organizzare potere proletario armato Prima Linea [rivendicazione irruzione ai danni dell'associazione dirigenti Fiat di Torino], 29 novembre 1976 in ATT, Atti processo Pl Torino, b. 2, f. 2E. 71 Rispetto a questa cultura politica cfr. Steve Wright, L'assalto al cielo: per una storia dell'operaismo, Edizioni

attorno a parole d'ordine come quella del "rifiuto del lavoro" una vera e propria piattaforma politica:

sul rifiuto del lavoro, emerso spontaneamente dalle lotte degli anni precedenti, si imbastisce l'organizzazione e l'omogeneizzazione dello scontro sui bisogni della classe operaia; a ciò si aggiunge la

riappropriazione come momento di attacco collettivo all'erosione salariale e al restringimento dei bisogni

operai, la centralizzazione come collegamento "dal basso" delle esperienze operaie di base quale prefigurazione del progetto rivoluzionario (e della sua direzione) e quale antitesi al "centralismo elitario" presente nei gruppi della sinistra extraparlamentare, il rifiuto della delega come capacità operaia di agire autonomamente senza strettoie burocratiche o contrattazioni separate dalla classe, la lotta sul salario come scollamento di un rapporto politico-economico subordinato alla macchina del capitale, la lotta per

il potere quale indicazione strategica del movimento complessivo72.

Sull'autonomia, e sulla sua identità politica, è stato scritto molto, non sempre a proposito, ma ad oggi ne manca una sintesi storiografica matura, capace di sfuggire tanto alle secche delle narrazioni di comodo, contemporanee ma soprattutto postume, quanto alle letture giudiziarie che la vedono come una realtà univoca, livello di massa di un ipotetico "partito armato"73 di cui farebbero parte anche le

Brigate rosse.

Tornare al 1974 studiando la gestazione di Pl non significa soltanto immergersi nel caleidoscopio dell'autonomia, ma anche individuare le coordinate fondamentali del periodo che dal 1973 arriva fino al movimento del Settantasette per un verso e al sequestro Moro per l'altro. Può valere la pena tenersi stretta questa ipotesi di periodizzazione e individuare nella categoria di "crisi"74 la chiave di lettura

comune, pur nella sua parzialità, del quinquennio 1972-76. Diverse e sovrapposte fino a divenire contraddittorie sono le manifestazioni di un simile concetto; sarà proprio dal loro intreccio che scaturirà, all'interno dell'estremismo di sinistra, un'idea di violenza, nella sua accezione non morale ma di strumento politico, con caratteristiche proprie rispetto al prima e al dopo. Crisi, innanzitutto, nella

Alegre, Roma 2002; Guido Borio – Francesca Pozzi – Gigi Roggero, Noi operaisti: autobiografie di cattivi

maestri, DeriveApprodi, Roma 2005; Giovanni Trotta e Fabio Milana (cura), L'operaismo degli anni Sessanta, DeriveApprodi, Roma 2008. Per i testi fondamentali dei suoi due principali teorici cfr. Mario

Tronti, Operai e capitale, Einaudi, Torino 1966 e Raniero Panzieri, Spontaneità e organizzazione: gli anni

dei “Quaderni rossi”, 1959-1964, BFS Edizioni, Pisa 1994. Per uscire dall'ottica celebrativa e per

sottolineare i canali di comunicazione fra prima e dopo il '68 e l'incubazione di alcuni contenuti già fin dagli anni Sessanta cfr. Marco Scavino, Renato Panzieri, i “Quaderni rossi” e gli “eredi” in Francesca Chiarotto (cura), Aspettando il Sessantotto. Continuità e fratture nelle culture politiche italiane dal 1956 al 1968, Academia University Press, Torino 2017; Carmelo Adagio – Rocco Cerrato – Simona Urso, Il lungo

decennio. L'Italia prima del 68, Cierre Edizioni, Verona 1999 e, con una diversa sensibilità storiografica,

Danilo Breschi, Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del '68, Mauro Pagliai, Firenze 2008.

72 Gabriele Martignoni e Sergio Morandini, Il diritto all'odio: dentro, fuori, ai bordi dell'area dell'Autonomia, Bertani, Verona 1977, p. 193.

73 Per una lettura storiografica vicina a questa impostazione cfr. P. Calogero – C. Fumian – M. Sartori, Terrore

rosso cit.

74 Il concetto trova applicazione più generale rispetto all'intera fase degli anni Settanta in Franco De Felice,

Nazione e crisi: le linee di frattura in F. Barbagallo (cura), Storia dell'Italia repubblicana, vol. III, tomo I,

Einaudi, Torino 1996. Per un più recente inquadramento cfr. Luca Baldissara, I lunghi anni Settanta in A.M. Vinci e G. Battelli, Parole e violenza politica cit. La categoria di “crisi” rispetto alla tenuta degli equilibri politico-sociali del paese venne individuata già dai contemporanei, come dimostra Luigi Graziano – Sidney Tarrow (cura), La crisi italiana, 2 voll, Einaudi, Torino 1979.

sua forma più grave, quella economica, talmente grave da rappresentare cesura secolare75 e ancora più

deflagrante nel contesto italiano, laddove il vertiginoso aumento dei prezzi delle materie prime ne moltiplica l'eco depressivo. Se si pensa che a tutt'oggi la riflessione sulla natura e sulle cause della frattura del '73 rimane ancora aperta76, non ci si sorprenda che molti contemporanei abbiano scambiato

"il tramonto per l'alba"77, abbiano confuso il collasso del paradigma produttivo fordista e del suo

sistema di conflitto sociale con il segno della debolezza dell'ordine capitalista. La gestazione di Pl è profondamente debitrice a un simile tipo di analisi: di fronte all'avanzare della crisi economica, all'assottigliarsi degli spazi di manovra in fabbrica e a una confusa sensazione di arretramento delle proprie posizioni, l'unico rilancio possibile è quello di approfondire il solco del conflitto, di generalizzarlo e spostarlo dal piano della produzione a quello del potere. Così recita un documento collettivo dei detenuti di Pl della metà degli anni '80:

noi scambiavamo gli ultimi fuochi dell'operaio-massa, ridimensionato dalla ristrutturazione produttiva e attaccato proprio nel suo potere in fabbrica, come l'apertura di una nuova fase. Anche quando prendevamo in esame la modificazione dei rapporti di forza interpretavamo l'arretramento del potere operaio come evidente manifestazione del logoramento e della consumazione degli spazi di lotta legale, ormai ritenuta incapace di "pagare" proprio per il passaggio del conflitto sul piano generale dei rapporti di forza e di potere78.

La crisi, in una simile lettura, non è il risultato di una oggettività delle leggi economiche, ma la reazione padronale all'assottigliamento crescente dei margini di profitto a seguito delle rivendicazioni operaie; non è un dato, ma una tattica della controparte che, nel suo innalzare le tensioni sociali, rappresenta di per sé un viatico a incerte prospettive rivoluzionarie. Col senno di poi si tratta di un progetto tanto azzardato quanto perdente, inquinato da crescenti dosi di autoreferenzialità e in cui al mutare dei rapporti di forza a proprio svantaggio corrisponde la «costante disponibilità

75 Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano 1996.

76 Senza entrare nello specifico cfr. Marco Revelli, Economia e modello sociale nel passaggio tra fordismo e

toyotismo in Pietro Ingrao e Rossana Rossanda (cura), Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma

1995, in cui le cause economiche della crisi appaiono endogene alla logica dello sviluppo economico e invece Riccardo Bellofiore, Dopo il fordismo, cosa? In Id. (cura), Il lavoro di domani, BFS Edizioni, Pisa 1998, dove la crisi è ricondotta alla strategia del capitale.

77 «A noi quelli della FIAT [l'occupazione di Mirafiori dellla primavera del '73] non parevano gli ultimi fuochi, ma le luci dell'alba», testimonianza di Enrico Galmozzi in Aldo Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la

rivoluzione, 1968-1978: storia di Lotta Continua, Sperling & Kupfer, Milano, 2008 [1998], p. 244. La

metafora accomuna molti ex militanti, «l'abbaglio dei movimenti e di una consistente parte della sinistra, che scambiarono il tramonto con l'alba, vale a dire la resistenza alla ristrutturazione con una nuova e rivoluzionaria coscienza operaia», in S. Segio, Una vita in Prima linea cit. p. 30. Su un altro piano, si pensi anche all'insistenza con cui il principale teorico dell'operaismo, Tronti, utilizza l'immagine del «tramonto epocale», come ben illustrato nella biografia intellettuale e politica di Franco Milanesi, Nel Novecento.

Storia, teoria, politica nel pensiero di Mario Tronti, Mimesis, Udine 2014, p. 201.

78 Nicola Solimano (e altri), Contributo per una ricerca su “Riformismo, sovversione e lotta armata negli anni

70” – Un intervento sulla storia di “Prima linea", 15 marzo 1985, p. 11 in AFB, Sezione VI "Corrispondenza

carcerati", cc. 3-21. Cfr. Monica Galfré, Balducci, la dissociazione dal terrorismo e il carcere in Bruna Bocchini – Monica Galfré – Nicoletta Silvestri, Percorsi d'archivio. L'archivio di Ernesto Balducci, Regione Toscana, Firenze 2000, pp. 181-88.

all'enfatizzazione minoritaria»79. Siamo di fronte a uno dei capisaldi dell'autonomia, al primato

assoluto riconosciuto alla rottura soggettiva, alla ricerca estenuante del conflitto come unica misura dell'azione politica. In sembianze differenti, però, influisce pure il retaggio della più generale esperienza dell'estremismo italiano: infatti, è uno dei fondatori di Lc, a riconoscere quanto la storia del gruppo sia attraversata dalla naturale tendenza a privilegiare i «momenti alti» del conflitto sociale e a rimuovere le «situazioni arretrate»80.

A questo punto, può sorgere la tentazione di liquidare tutto ciò come una mera ipotesi allucinatoria, assolutizzazione astorica del paradigma rivoluzionario novecentesco, scissa da ogni legame con la materialità sociale, e derubricarla a pura estetica del conflitto. Così però si rimuoverebbe la contraddittorietà degli stimoli e delle suggestioni da cui erano bersagliati i contemporanei. Il percorso della storia appare lineare solo a distanza e spesso a tutto beneficio di chi guidò o seppe avvantaggiarsi di quelle grandi trasformazioni sociali ed economiche, di chi ha saputo introdurre una nuova gerarchia di valori e parole, maledicendone alcune e diffondendone altre. Nessuno all'epoca poteva prevedere l'esito della crisi economica, il dispiegarsi delle politiche di ristrutturazione produttiva, l'ascesa egemonica del pensiero neoliberista81. Nel concreto delle relazioni industriali gli anni immediatamente

successivi alla crisi del '73 non furono contraddistinti univocamente dall'arretramento operaio. Alla Fiat, ad esempio, dopo le dure lotte contrattuali del 1973, che sembravano corrispondere a certe previsioni dei gruppi rivoluzionari, si aprì un quinquennio di «tregua»82 in cui all'approntamento da

parte della dirigenza d'impresa della svolta del 1979/80 non si abbinò un esplicito attacco alle condizioni di lavoro delle maestranze.

Altri riscontri, per chi intende mantenere alto il livello della conflittualità, sembrano arrivare anche nel 1974. Con le stragi di Brescia e dell'Italicus tende ad esaurirsi la strategia della tensione83, che pure

aveva contribuito a minare la legittimità delle istituzioni in ampi settori della società italiana. È la riprova di una sostanziale accettazione da parte anche di alcuni dei settori più reazionari dello Stato di un lento spostamento a sinistra degli equilibri politici. All'indebolirsi dell'eversione di destra, privata delle solide entrature istituzionali, si abbina il salto di qualità operato dalle Br col sequestro Sossi il cui esito incruento le porta in dote un successo di immagine e un rinnovato respiro della sua strategia. La crisi del sistema politico assume peraltro le vesti della fine della centralità della Dc, dipendente anche dal mutare degli equilibri internazionali, manifestatasi chiaramente proprio nel 1974 con gli esiti del referendum sul divorzio84, prova lampante dello scollamento fra società e sistema dei partiti. Alle

79 L. Castellano (cura), Aut. Op. La storia e i documenti cit. p. 18. 80 L. Bobbio, Storia di Lotta Continua cit., p. 71.

81 Cfr. Alain Bihr, Dall'assalto al cielo all'alternativa: oltre la crisi del movimento operaio europeo, BFS Edizioni, Pisa 1998 [1991] e Pierre Dardot e Christian Laval, La nuova ragione del mondo: critica della

razionalità liberista, DeriveApprodi, Roma 2013 [2009].

82 Marco Revelli, Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1988.

83 Mirco Dondi, L'eco del boato: storia della strategia della tensione (1965-74), Laterza, Roma-Bari 2016. 84 Cfr. Giambattista Scirè, Il divorzio in Italia: partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum (1965-

1974), Bruno Mondadori, Milano 2007 e Fiamma Lussana, L'Italia del divorzio. La battaglia fra Stato, Chiesa e gente comune (1946-1974), Carocci, Roma 2014.

effettive difficoltà del principale partito di maggioranza corrisponde l'atteggiamento "morbido" della massima forza di opposizione, il Pci, che, attraverso la strategia del compromesso storico, rischia di apparire agli occhi di molti la stampella di un potere usurato, rinchiuso nel "Palazzo", il cui grado di corruzione inizia ad emergere in un susseguirsi di scandali e inchieste giudiziarie85.

A livello sociale altri segnali paiono confermare una recrudescenza dei conflitti e l'aprirsi di nuove, ancorché confuse, prospettive di lotta rivoluzionaria. Se la crisi economica nel lungo periodo avrebbe tarpato le ali alla progettualità dell'estrema sinistra, nell'immediato pare avere effetti opposti. Di fronte all'aumento delle tariffe, lo stesso sindacato confederale si impegna nelle politiche di autoriduzione, a cavallo di quell'incerto confine fra legalità e legittimità che alimenta le retoriche dei gruppi rivoluzionari, pronti a dare a quelle politiche una lettura e una pratica più radicale86. La cosiddetta

"appropriazione" del capitale sociale, concetto basilare per capire la galassia autonoma, trova nella lotta per la casa un altro terreno fondante, un'altra mitologia fondativa. Nel settembre '74, durante uno sgombero di alloggi occupati nella borgata periferica romana di San Basilio87, i durissimi scontri fra

polizia e comitati di appoggio agli occupanti lasciano sul terreno un morto fra i manifestanti e un utilizzo generalizzato da ambo le parti delle armi da fuoco. Il fatto rappresenta un precedente non di poco conto, così come lo era stato l'omicidio del commissario Calabresi nel 1972 e così come lo saranno "le giornate di aprile" del 1975. Nell'intreccio di violenza reattiva e offensiva, giovandosi anche della palestra dell'antifascismo militante88, il rapporto con l'uso della forza viene da parte

dell'estrema sinistra costantemente rinegoziato, rielaborato, metabolizzato89. In quel pugno di anni

l'estrema sinistra si assuefa a un utilizzo della violenza (graduato e distinto nelle sue diverse tipologie, armi da fuoco comprese), che il Sessantotto aveva legittimato ma praticato in modo episodico e che vivrà negli ultimi anni del decennio la sua generalizzazione. Il meccanismo di accettazione delle armi si compone di ingranaggi molteplici e tutt'altro che automatici, lubrificati da più fattori: la forza delle

85 G. Crainz, Il paese mancato cit., pp. 489-498. Un profilo d'insieme del Pci nelle varie fasi dell'Italia repubblicana è Roberto Gualtieri (cura), Il Pci nell'Italia repubblicana 1943-1991, Carocci, Roma 2001. 86 Per il territorio milanese cfr. il ciclostilato Basta con la rapina al salario, con gli aumenti alle tariffe, con il

caro vita. Avanti con l'autoriduzione, s.d., a cura del Comitato di lotta contro il carovita di Milano in

AFISEC, Fondo L'Unità, b. 6, f. 24. Cfr. anche Autoriduzione, una risposta delle masse alla crisi, Edizioni cultura operaia, Napoli 1975 e Comitati autonomi operai di Roma (cura), Autonomia operaia cit., pp. 191- 251.

87 Rispetto alla lotta per la casa cfr. Andreina Daolio (cura), Le lotte per la casa in Italia, Feltrinelli, Milano 1974. Sullo specifico delle giornata di San Basilio cfr. Luciano Villani, "Neanche le 8 lire": lotte territoriali

a Roma (1972-1975), "Zapruder", 2013, n. 32. Se per chi imboccò la strada della lotta armata San Basilio

rappresentò una delle prove dell'attualità in Italia di uno scontro aperto con le istituzioni, molto più cauto fu l'atteggiamento dei gruppi extraparlamentari. In un documento dei responsabili del servizio d'ordine di Lc a Milano si legge che «vedere i segni della possibilità che quello scontro con l'apparato statale aprisse una fase in cui i proletari riconoscono nello scontro frontale e violento in ogni occasione la possibilità di avvicinare i tempi e di favorire le condizioni della propria dittatura, pensare che l'autonomia operaia sia "strategica" in quanto raccoglie e fissa – forzandoli – questi livelli di organizzazione è un atteggiamento che a noi appare profondamente minoritario», in Proposta di discussione, s.d., p. 3 in APM, scatola 6.

88 Cfr. l'ottica locale in William Gambetta, “Almirante non parlerà!”. Radici e caratteri dell'antifascismo

militante parmense in Margherita Becchetti e altri, Parma dentro la rivolta. Tradizione e radicalità nelle lotte sociali e politiche di una città dell'Emilia “rossa” 1968-1969, Edizioni Punto rosso, Milano 2000.

89 In merito cfr. il documento dell'esponente di Lc Cesare Moreno presentato al secondo (e ultimo) congresso nazionale del gruppo, da cui emerge la sedimentazione di questo tema nel dibattito dell'ultrasinistra, E'

possibile una linea di massa nella costruzione della forza?, 29 ottobre 1976 in AINSMLI, Fondo Bolis, b. 1,

parole più che delle ideologie, la tradizione resistenziale e anticoloniale, la delegittimazione delle istituzioni, lo scontro quotidiano con l'estrema destra.

L'ultimo elemento di crisi che contraddistingue il periodo è forse il più specifico, ma anche il più direttamente connesso alla nascita di Pl, da rintracciarsi nelle pieghe di un simile discorso. Il rapporto con la violenza è convitato di pietra della sostanziale crisi dei gruppi extraparlamentari che assume forme ed esiti diversi: lo scioglimento nel caso di Potop, il ricorrere di abbandoni e scissioni in quello di Lc, il settarismo ideologico e l'astrattezza dottrinaria nelle formazioni marxiste leniniste, la lenta deriva "codista" rispetto al Pci o il rifugiarsi in rendite di posizione in organizzazioni come Ao, Manifesto e Mls. Forme cangianti per un risultato simile: le diverse strutture organizzate nate a seguito del biennio 1968/6990 in breve tempo vedono atrofizzarsi la propria vitalità politica e si trovano di

fronte a vicoli ciechi. L'espressione "crisi della militanza"91, di effimera fortuna durante il movimento

del Settantasette, riassume dentro di sé un coacervo di contraddizioni: la riscoperta delle tematiche del personale, la pervasiva opera di decostruzione politica portata avanti dal femminismo92, il declino della

centralità operaia e degli schemi analitici da essa dipendenti, la conseguente sconfitta delle istanze di conflitto sociale.

L'espressione con cui si è aperto questo capitolo, "si allontanarono alla spicciolata", può servire infatti per descrivere un processo che attraversa la galassia extraparlamentare a partire dai primi anni '70 per accelerare nel biennio 1976/77: la lenta emorragia di personale dei gruppi concorre ad alimentare i flussi di militanti e strutture consolidate, via via sempre più consistenti, in direzione delle formazioni armate. Vale la pena ricordare quanto questi flussi siano assolutamente minoritari rispetto al totale di chi muta o abbandona la propria militanza nei gruppi: minoritari, ma nondimeno significativi delle