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Le ragioni della crisi di Senza tregua

3) Il "golpe dei sergenti"

Le sentenze della magistratura hanno riassunto il già ricordato processo di dissoluzione di Senza tregua e di nascita di Pl. Come ha scritto il Pm di Milano Spataro:

nell'autunno '76, per una serie di dissidi politici e per il formarsi di fazioni interne, si realizzano una 385 Editoriale, "Senza tregua", s.d. [inverno '76], p. 8.

386 Traggo la citazione da un ciclostilato che ritengo con una certa convinzione provenire dall'interno delle Br. Il dattiloscritto, dalla semplice intestazione "Milano", in ACTS, Subfondo 7 "Eversione di destra", XI-XIII legislatura, 4.2.14.6 bis. Il documento proviene dall'immenso e caotico archivio della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle stragi, conservato fra le carte versate dalla questura di Reggio Emilia alla commissione. Un'altra copia del documento è presente anche nel versamento effettuato da quella di Pavia e fa parte probabilmente di materiale sequestrato in qualche "covo" (al suo interno sono presenti documenti delle Br, ma anche dell'autonomia o di incerta attribuzione) girato poi in copia a diverse questure italiane.

trasformazione politica dell'Organizzazione da un lato ed una scissione dall'altro. La parte più cospicua dell'Organizzazione, infatti, accentuando la propria tendenza militarista, dà vita alla sigla "Prima linea" (che esordisce nel novembre '76 a Torino e nel dicembre dello stesso anno a Milano) ed al conseguente progetto politico che prevede la creazione di una fitta rete di "Squadre armate" (poi "Ronde") irradiate nel tessuto sociale.

Più avanti si specifica che

la frazione maggioritaria, dopo una maxi riunione avvenuta a Salò, si dà una nuova e specifica denominazione (Prima Linea) [...] nonché una nuova struttura e si creano: un comando nazionale, cui spetta la direzione politico-militare dell'organizzazione; un comando di sede, con analoghe funzioni nelle più ristrette situazioni geografiche dove l'organizzazione opera; i gruppi di fuoco, quali strutture operative di sede di più altro livello (a Milano se ne costituiscono inizialmente due); le squadre armate operaie, poste a livello operativo inferiore e con compiti grosso modo analoghi a quelli già descritti delle squadre della vecchia organizzazione; un organismo di coordinamento tra i diversi "gruppi di fuoco", con compiti strettamente operativi, denominato coordinamento "A" (Attacco); vengono compiute nel novembre '76 a Torino e nel dicembre successivo a Monza e Milano le prime azioni "militari" rivendicate dall'organizzazione con la nuova sigla [...]; nella primavera del '77 si tiene a Firenze il primo congresso di organizzazione, già programmato dall'autunno precedente, con la partecipazione dei rappresentanti delle varie sedi (Milano, Torino, Napoli, Firenze) [...]; si sancisce l'unità formale di tutte le sedi e viene eletta una direzione nazionale, secondo un criterio politico e non rappresentativo di sede387.

Parallelamente a questo percorso, di cui conviene sviscerare caratteri e tempistiche, il gruppo porta a termine più operazioni armate, secondo tipologie che però non si discostano molto da quelle del periodo precedente. Ad azioni dimostrative (irruzioni, attentati dinamitardi), non di rado effettuate ai margini di cortei e manifestazioni pubbliche, si affiancano episodi più gravi, come il ferimento di un capo reparto a Torino e l'omicidio, sempre a Torino, di un agente di pubblica sicurezza, Giuseppe Ciotta388. Quest'ultimo episodio ricalca fedelmente il caso di Pedenovi, inclusa la mancanza di una

rivendicazione direttamente riconducibile a Pl, ed è a pieno titolo inserito nella fase più calda del movimento del '77.

È lo stesso Galmozzi, fra i più lucidi nel varo della nuova organizzazione, a datare al settembre '76389

l'avvio concreto del processo di chiarificazione interna. La metamorfosi di Senza tregua in Pl, peraltro, al netto di vari abbandoni e piccole scissioni, avviene in modo relativamente indolore come se l'esperienza precedente fosse già arrivata al capolinea. Il passaggio più delicato, cioè l'emarginazione di Scalzone e Del Giudice dalla redazione del giornale, incontra in verità moderate resistenze, a parte il progetto, mai decollato, di Scalzone di pubblicare un "Senza tregua" alternativo390. Più che con

387 Requisitoria Spataro, pp. 117 e 131-32.

388 Carlo Marletti (cura), Il Piemonte e Torino alla prova del terrorismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004. 389 Galmozzi “appello”, p. 240.

aperti contrasti, il progetto deve fare i conti con i dubbi delle altre anime del gruppo, dai comitati operai, che tendono inizialmente a rinchiudersi in se stessi titubanti di fronte a una precisa scelta di campo, ai componenti delle preesistenti strutture militari, che difatti in parte varano una propria organizzazione (le Ucc) e in parte si disperdono.

È proprio il contesto milanese, da cui tutto è partito, a scontare le principali contraddizioni, mentre si fa sentire sempre di più la spinta propulsiva che proviene da Torino dove Galmozzi, dopo l'omicidio Pedenovi, si è trasferito trovando un clima e un personale politico particolarmente fecondo. Nel frattempo si intensificano i rapporti politici con analoghi gruppi a Napoli e Firenze. Più che un'organizzazione stabile, i sergenti ambiscono a fondare un catalizzatore transitorio, che possa attrarre e ricomporre una pluralità di esperienze autonome nel quadro di «nuovi livelli d'organizzazione e di centralizzazione tra le forze dell'area generale»391.

La prima riunione del gruppo avviene nella località lombarda di Marchirolo, fra 16 e 17 ottobre, e raccoglie una sessantina di militanti provenienti da Torino e Milano392. Serve più che altro, come

ricorda un suo partecipante, a

ratifica[re] l'espulsione [di Scalzone e Del Giudice], stabilisce contro cosa siamo, ma non stabilisce ancora cosa siamo, dove vogliamo andare, quale tipo di programma. Stabilisce appunto che le differenze che abbiamo ereditato vanno superate. Cosa abbiamo ereditato? Abbiamo ereditato un'assoluta disparità; cioè, c'è gente che parla di pratica militare, ma non ha mai usato o smontato una pistola; cominciamo con cose banali, in sostanza. La riunione del quadro combattente di Marchirolo si lascia con una cosa sostanziale, con la necessità di prendere in mano il giornale, [...] la necessità di confrontarsi con gli operai393.

391 Editoriale, "Senza tregua", s.d. [inverno '76], p. 1.

392 Per i numeri e le date dell'incontro si rimanda alla testimonianza di Galmozzi riportata in M. Ruggiero,

Pronto, qui Prima Linea cit., p. 68. Rispetto agli appuntamenti preparatori alla fondazione vera e propria di

Pl, nonostante che non siano un mistero, vige, nelle diverse testimonianze, processuali e non, una confusione completa rispetto a date, partecipanti e ordine del giorno degli incontri. Nella mia ricostruzione mi sono attenuto a uno schema minimale a cui alla riunione di Marchirolo, dove si riuniscono gli organizzatori del golpe dei sergenti di Milano e Torino, segue quella di Salò, incontro prettamente operaio e milanese, e poi un ultimo appuntamento in Svizzera per la stesura del nuovo giornale "Senza tregua". Mi rimane il dubbio che esista un'altra riunione tenutasi dopo quella di Marchirolo e in contemporanea a quella di Salò e che molte delle testimonianze la confondano con quest'ultima. Si spiegherebbe così come molti ex militanti si ricordino di una riunione, presente anche Galmozzi e una delegazione torinese composta da Scavino e Solimano, che avrebbe deciso la realizzazione della duplice azione con cui inaugurare la sigla "Prima Linea". Appare difficile che questo possa essere accaduto a Salò (dove si incontra la rete operaia) e dove Galmozzi chiarisce che non è presente, «a Salò io non c'ero. Quella fu una riunione di tipo operaio»; cfr Confronto Baglioni- Donat Cattin (con interventi di altri imputati), p. 7. Altrettanto complicato è pensare che la discussione vada retrodata a Marchirolo. In alcuni interrogatori si accenna a una riunione non meglio specificata sul lago Maggiore e in effetti sempre Galmozzi nell'occasione appena ricordata abbina Marchirolo al lago Maggiore (in realtà Marchirolo è sul lago di Lugano). Per avere un'idea di questo in parte surreale dibattito, esemplare delle incertezze della memoria dei militanti, si veda l'interrogatorio dibattimentale per il processo a Torino rispetto ai fatti specifici di Libardi e gli interventi di Baglioni e Galmozzi. Alla fine Libardi si arrende all'indeterminatezza e afferma «a me risulta difficile ricordare riunioni avvenute sette anni fa ... nell'autunno- inverno '76 ci furono una o più riunioni dove si parlò di strutture, di azioni militari, comandi di sede e cose del genere», in interrogatorio dibattimentale Massimo Libardi processo Pl Torino fatti specifici, s.d., carte 959-60 in ACG FGS.

Siamo di fronte a un avvio ancora incerto che però, per l'appunto, individua, senza scioglierli completamente, due nodi centrali. Per un verso deve essere superato definitivamente il doppio livello dell'organizzazione e su questo si gioca il dissidio con Scalzone e Del Giudice (nella cui creazione successiva, i Cocori, ci sarà ancora il doppio livello). Dall'altro le azioni militari devono essere per così dire immanenti alla lotta politica di massa – vedremo come – e quindi si sgombra il campo dall'ipotesi di un'organizzazione armata più o meno rigidamente clandestina (non a caso chi propende per quest'ultima ipotesi fonda le Ucc). Al centro del progetto si colloca un equilibrio fra la base e il vertice dell'organizzazione tutto da ricercare: la centralità riservata alle "squadre", agili nuclei militari interni ai collettivi legali, non rischia di nascondere una loro subalternità alla necessaria opera di coordinamento, logistico e non solo, della struttura superiore394?

L'interrogativo viene in parte rimosso, coltivando la fiducia che i momenti più aspri del conflitto sociale maturino spontaneamente azioni di avanguardia e che queste, lungi dal forzare il movimento, lo accompagnino nel suo sviluppo. É quello che afferma il documento di apertura del congresso di Firenze, summa del dibattito in corso, che, in aperta polemica con il modello brigatista, sostiene:

noi ci poniamo come compito [...] la costruzione all'interno di ogni comitato o coordinamento di avanguardie di squadre operaie e proletarie armate, squadre di combattimento come elemento organizzato esterno all'organizzazione, per così dire "di movimento", ma in grado di prefigurare (oggi, subito) il futuro esercito rosso. Costruire, armare, far operare, far crescere e sperimentare nella pratica queste strutture che non sono regolari di organizzazione, è per noi un terreno fondamentale di verifica del rapporto partito/classe395.

Già a Marchirolo aleggia in altre parole un'ambiguità di fondo, mai sciolta fino al lento declino del movimento del 77 e a una maggiore propensione centralizzatrice e clandestina. Come ha affermato un futuro dirigente, Pl

è ancora quella strana cosa [...] siamo un aggregato di gruppi, di iniziative, di cose, dove la prima definizione di Pl assomiglia molto di più a quello che poi successivamente chiameremo "combattimento proletario", che non un'organizzazione. Il connotato di organizzazione è assolutamente una cosa ambigua, e rimane sostanzialmente ambigua – questo lo affermo assolutamente con certezza – anche all'interno di questa cosa di Firenze396.

ampiamente citato in E. Mentasti, Senza Tregua cit., pp. 264-67, che riassume le critiche all'assetto precedente e le linee di tendenza del progetto politico dei "sergenti". Non avendo recuperato l'originale, che dovrebbe essere allegato agli atti del processo milanese a Pl, mi limito a segnalarne l'esistenza.

394 Si vedano le considerazioni contenute nelle dichiarazioni alla magistratura di Barbieri, chiare nel delineare il dualismo "squadre-organizzazione", ma dense di inesattezze; cfr. Barbieri 14 ottobre 1980, pp. 10-11. 395 Aprendo formalmente cit., p. 6.

Pl, in sostanza, vuol essere una «struttura di servizio per gli spezzoni del movimento organizzati e no»397 o al contrario un'organizzazione a tutti gli effetti, dotata di una sua progettualità politica, che

trascende le lotte sociali? Un dubbio non di poco conto, e di non semplice soluzione, che allude ad ulteriori scelte fondanti: il rapporto con le altre esperienze di lotta armata (soprattutto le Br che rimangono il modello da cui distinguersi), il giudizio che si dà dello scontro sociale in atto, le diverse letture dei rapporti fra i vari livelli dell'organizzazione. Sono tutti elementi di programma che, lungi dall'essere sviscerati a pieno, rimangono come sospesi in aria. Il rischio, in parte avveratosi, è che ciascuno, secondo la propria specifica inclinazione, privilegi una sfumatura del discorso perdendone il senso complessivo: un pericolo, quello della navigazione a vista, accresciuto dalla convinzione di poter attrarre nella propria orbita altre componenti della sinistra rivoluzionaria.

Rifiuto della clandestinità e pregiudiziale della partecipazione alle azione illegali per tutti i militanti sono le due rette che delimitano il campo della nascente organizzazione: le responsabilità della politica e delle armi devono viaggiare di pari passo e soprattutto nelle stesse mani. Se è vero che è Milano (dove oltre a Scalzone e Del Giudice si era fatto già da parte anche Andrea Leoni) il centro del confronto fra questa linea e quelle alternative, ciò nonostante anche negli altri centri interessati dal dibattito interno a Senza Tregua si realizzano dinamiche simili398. È evidente che il discrimine fra

progettualità diverse e inconciliabili sia frutto non di sole scelte soggettive, ma anche di un naturale sviluppo dell'azione politica, di cui sono corollari il tendenziale azzeramento dei vertici e degli organigrammi, l'ascesa a posizioni di responsabilità di militanti più giovani, quadri intermedi più che

leaders a tutti gli effetti.

Ci si limiti a pochi accenni. A Torino – ci ritorneremo fra poco – «quella che era stata la testa politica [Dalmaviva] in realtà, non spinge, anzi è quella che è contraria a questo discorso dell'armamento»399:

le resistenze di Dalmaviva sono in questo caso silenziose e la sua uscita priva di strascichi. Compaiono tracce di questo processo anche a Firenze e in duplice forma: ci sono dirigenti di lungo corso (chi ha militato in Potop nella facoltà di architettura, da cui proverrà la Pl fiorentina) che non troviamo negli sviluppi successivi, secondo una dinamica simile a quella di Dalmaviva, e ci sono esperienze di lotta

397 Interrogatorio istruttorio Marco Donat Cattin (d'ora in poi Donat Cattin), 9 aprile 1981 in CM, vol. XCIII, p. 460.

398 Un panorama generale degli schieramenti a livello nazionale lo tratteggia Donat Cattin per cui «questo scontro milanese [il golpe dei sergenti] condizionò tutta la situazione nazionale: a Milano i compagni di alcune fabbriche come la Marelli e la Falck si schieravano con l'area dei Comitati Comunisti per il potere operaio [la verbalizzazione è alquanto imprecisa e con area dei Comitati si intende quella che origina Pl] e lo stesso fecero i compagni della zona di Porta Romana. Invece i compagni della Carlo Erba e della Telettra si schierarono a favore delle posizioni di Scalzone e di Del giudice da cui nacquero i comitati comunisti rivoluzionari. A Bologna si ebbe un congelamento della situazione protrattosi sino al convegno del '77 contro la repressione: una parte (la Ducati, Klun) si schierarono con noi; un'altra (mi pare operai che stampavano un giornale dal titolo Corrispondenza operaia o simile) si schierarono a favore dei Co.co.ri. Nel Veneto lo schieramento fu tutto a favore dei Cocori. A Torino al contrario lo schieramento fu tutto per i comitati comunisti per il potere operaio (a parte le uscite individuali tipo Barsi [e] Dalmaviva) così come avvenne anche a Napoli e a Firenze (ad eccezione per questa città del Caponnetto e qualcun altro legato a lui che presero posizione dei Cocori). Per quanto riguarda Roma, non vi erano più presenze già da prima dei Comitati comunisti per il potere operaio», ibidem.

armata, collegate alle Ucc, che anticipano la comparsa di Pl nel capoluogo toscano400. A Firenze

esistono anche delle scorie: proprio chi mette a disposizione la colonica di Scandicci in cui si tiene il congresso fondativo di Pl e che ha seguito fino ad allora l'avvicinamento del gruppo fiorentino alla nascente organizzazione, Carlo Talini, si defila quasi subito, facendo rotta sulle Ucc401. Analoga

dinamica anche a Napoli, anche questa a scoppio leggermente ritardato: i militanti di vertice, tali "Bruno" e "Francesca", provenienti in questo caso da Lc e dal classico intervento operaio fuori dai cancelli delle grandi fabbriche partenopee, nei primi mesi del '77 «si allontanarono [...] perché non volevano operare militarmente»402.

Messa nero su bianco la rottura, per i sergenti le priorità sono prendere in mano il giornale e verificare il rapporto con i comitati operai. I due appuntamenti successivi serviranno proprio a questo e lasceranno in sospeso la struttura vera e propria dell'organizzazione che sarà al centro del congresso fondativo di Firenze. In precedenza, a Salò ai primi di novembre, si erano incontrate tutte le esperienze operaie milanesi finora vicine a Senza Tregua (il comitato della Marelli, ma anche quello della Falck e della Telettra) per verificare i margini di convergenza e collaborazione con la proposta politica dei sergenti. L'adesione dei comitati operai è infatti posta come condizione necessaria al varo della nuova organizzazione.

L'esito dell'incontro, almeno a parole, è positivo, perché molte delle realtà si dichiarano disponibili a sposare il progetto dei sergenti. Chi invece si tira da parte (il comitato della Telettra fra tutti) lo fa per ragioni che rimandano o alle rivalità interne ai comitati di fabbrica o al carisma che ancora Del Giudice mantiene nelle fabbriche del milanese403. A garanzia della condivisione di certi capisaldi, i

comitati operai programmano la costituzione di squadre al loro interno. Lo faranno però con andamento altalenante – «la componente operaia non fu mai attiva in quanto tale (ad es[empio]. come squadra della Magneti Marelli), ma solo in quanto singoli»404 – e risultati deludenti. Almeno fino

all'arresto già ricordato degli operai della Marelli di ritorno da un'esercitazione con le armi sulle montagne di Verbania, il dibattito fra operai e sergenti mantiene profondi aspetti di diffidenza e non acquisisce un respiro unitario. La saldatura fra le varie componenti non sarà mai completa e lascerà nell'incertezza l'intervento politico a Milano. Come ha ricordato uno dei fondatori di Pl:

la rete operaia [...] si dà tempi suoi, non vuole assolutamente stringere. Perché non vuole stringere? Sostanzialmente c'è un vuoto di programma, si registra una grande determinazione, ma non si capisce bene intorno a quale programma di lunga portata. Gli operai si danno tempi loro, continuano questa loro strutturazione legale; useranno la forza nei cortei interni, ma non passano decisamente all'armamento, 400 Tribunale di Firenze, sentenza procedimento n. 5/78 registro generale, 22 novembre 1978.

401 Donat Cattin, 30 marzo 1981 in CM, vol. XCIII, p. 525.

402 Libardi, 20 ottobre 1980, p. 21. Lo conferma anche la testimonianza resa all'autore da Rosario Carpentieri. 403 Per avere un quadro completo delle posizioni cfr. Costa, pp. 182-83. Costa è fra quelli che non aderiscono al

progetto di Pl. Cfr inoltre Baglioni, pp. 15-16. Baglioni, invece, è fra gli operai che instaurano un dialogo con la nascente Pl.

come era nei nostri desideri. In questo tipo di confusione c'è un modo di procedere all'interno del gruppo dei compagni che sono d'accordo sulla fondazione di Pl, ci sono valutazioni diverse sui tempi405.

La stampa di una nuova serie di "Senza Tregua" è al centro, invece, di una riunione ristretta (a cui partecipano delegazioni di Milano, Torino e Napoli), tenutasi nella Svizzera italiana a cavallo della fine dell'anno, in cui si lavora alla stesura dell'editoriale che dovrebbe riflettere la discussione in corso406. In verità il numero del giornale a una prima lettura non si discosta in modo netto dal solco

della prima serie; anche gli stessi richiami all'uso delle armi sono condensati nello slogan di apertura, «se lo stato riorganizza in funzione della guerra aperta il suo esercito è ora che la classe operaia cominci a pensare al proprio!», e in un articolo intitolato La questione della forza407. Dal titolo e da

alcuni passaggi del documento (ad esempio il rifiuto di una concezione difensiva della violenza) è evidente l'influenza del dibattito sulla “forza” che aveva attraversato l'esperienza di Lc408.

Esplicita nell'articolo è la critica al modello brigatista di lotta armata così come alle ambiguità dei "gruppi", fermi alla trincea dell'antifascismo, della paura del golpe e di una non meglio specificata violenza di massa. Esplicita è anche la riproposizione della fabbrica e della classe operaia come motori dello scontro sociale: «i termini della questione militare si definiscono all'interno del rapporto con la forza della classe operaia». Più implicita, per ovvie ragioni di sicurezza e per l'intrinseca verbosità del lessico, è l'indicazione della via da percorrere, riflesso di quella contraddizione fra "struttura di servizio" dei punti più alti della conflittualità operaia e organizzazione vera e propria a cui si è già accennato:

il problema ci pare sia quello di operare una centralizzazione "all'origine" dei fenomeni e di mantenerli legati ai passaggi politici che li determinano; per semplificare parliamo dell'organizzazione delle funzioni

di avanguardia all'interno della ronda operaia [corsivo nel testo] che permette da un lato di mantenere

unito l'affermazione di potere di controllo operaio sul territorio con gli aspetti "militanti" e dall'altro appunto di rappresentarsi come allusione strategica al problema della costituzione della milizia, di gettare alcune basi teoriche e pratiche sulla stessa questione dell'esercito proletario"409.

La struttura del giornale non è casuale: gli articoli sull'attualità politica di Torino e Napoli certifica l'adesione di queste sedi al progetto nazionale così come la declinazione operaia di quello su Milano