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I proiettili che la mattina del 29 aprile 1976 colpiscono il consigliere del Msi alla provincia di Milano Enrico Pedenovi non mirano soltanto a ucciderlo, ma anche a stravolgere gli equilibri interni all'area politica da cui provengono gli attentatori, quella del giornale “Senza tregua”. Abbiamo appena visto come i primi mesi del '76 rappresentino l'apice della forza politica di questo polo dell'autonomia, ma al tempo stesso lascino intravedere i primi segni di involuzione interna. L'omicidio Pedenovi si può intendere quindi come un catalizzatore – non il solo, ovviamente - di un processo disgregativo da cui prenderanno il via nei mesi successivi ben tre diverse formazioni attive nella lotta armata: Pl, ma anche le Ucc e i Cocori.

Ci torneremo in seguito, ma sicuramente la crisi dell'aggregato di Senza tregua ha radici che trascendono il nodo dell'omicidio politico e la volontà di una parte del gruppo di operare una scelta militare più coerente. Ciò nonostante l'omicidio Pedenovi può rappresentare la lente privilegiata attraverso cui studiare questo travaglio e inaugura un metodo, quello della “forzatura” (concetto allusivo, ma efficace), che diventerà passaggio obbligato in molti momenti della storia di Pl. Infatti, ogni volta che la linea dell'organizzazione si troverà di fronte a scelte di fondo o a difficoltà e tensioni impreviste si deciderà di imboccare la scorciatoia di porre i propri interlocutori, siano interni o esterni, di fronte al “fatto compiuto”.

Si tratta di un corollario del rapporto irrisolto fra azione di avanguardia e sua proiezione nel vivo delle lotte politiche e sociali:

da subito è chiaro che il ns. modus operandi è quello dell'empirismo, della forzatura e questa sarà una tara che ci porteremo per tutta la storia dell'O., ovvero non è a partire dalla definizione di un programma che si fanno discendere le operazioni, ma è dalle operazioni che si tenta l'aggregazione e quindi un programma. […] La forzatura è il concetto legato al ruolo dell'avanguardia. Ovvero, noi […] ci si trova di fronte a situazioni d'impasse, a indecisioni, a dubbi. La forzatura supera tutto questo. C'è un modo di procedere che è una forzatura lacerante, che spacca senza ricomporre. La forzatura è il concetto adeguato 318 Interrogatorio dibattimentale Enrico Galmozzi processo appello Pl/Cocori Milano, 21 novembre 1985 [d'ora

[…] alla pratica dell'avanguardia, o al malinteso senso dell'avanguardia. Noi 14 pensiamo di fare un'O., ma l'unica possibilità che ha una minoranza così ristretta è di forzare la situazione, di decantare […], di porre elementi di superamento”319.

Quando in seguito lo strumento della forzatura incontrerà i caratteri tipici della clandestinità – in particolare la rarefazione dell'interscambio con l'esterno e la difficoltà a maturare riscontri concreti alla propria azione politica – porterà a nuovi e più gravi cortocircuiti e a un tendenziale avvitamento su se stessi. La propria autopercezione, soggettiva e di gruppo, deformerà progressivamente l'immagine del contesto politico e sociale in una sorta di piano inclinato difficile da arrestare.

Senza sottovalutare gli elementi degenerativi e parossistici dell'ultima fase di Pl bisogna però fare attenzione a non indulgere in una sorta di mito delle origini volto a scindere esordi e conclusioni della sua storia. Lo stesso Galmozzi, dirigente del gruppo che, visto il suo prematuro arresto nei primi mesi del 1977, avrebbe tutto l'interesse a sostenere una simile visione, afferma chiaramente che «gli esiti erano abbondantemente impliciti, contenuti nelle premesse»320. Sicuramente una delle premesse più

gravide di conseguenze fu proprio la tendenza a far coincidere sviluppo dell'organizzazione e sviluppo delle azioni armate, senza peraltro valutarne l'effettiva riuscita. Se uccidere Pedenovi aveva il duplice fine di forzare gli equilibri interni al gruppo di Senza tregua e di legittimare all'interno del movimento l'omicidio politico si può ritenere che il secondo obiettivo fosse tutt'altro che raggiunto. È uno degli stessi esecutori ad ammettere che

gli effetti sono contrastanti immediatamente. Il 29 aprile, al mattino, noi compiamo questo omicidio; al pomeriggio doveva esserci una grandissima manifestazione dell'Autonomia, dentro la quale noi pensavamo che questo tipo di operazione avrebbe dato più fiato. In realtà le reazioni sono assolutamente contrastanti. Interi spezzoni di corteo vengono rimandati a casa321.

Il caso Pedenovi acquista rilievo se si tiene conto che la vicenda rappresenta un vero e proprio prius nella storia del “terrorismo” di sinistra italiano. Difatti, se si eccettua il caso sui generis dell'omicidio Calabresi, con cui pure l'episodio condivide più di un aspetto322, siamo di fronte al primo omicidio

deliberato e pianificato riconducibile chiaramente al campo dell'estrema sinistra. Le stesse Br, che pure hanno alle spalle ormai diversi anni di azioni armate, non hanno mai “alzato il tiro” fino a questo punto e lo faranno per la prima volta a Genova qualche mese dopo uccidendo il procuratore della repubblica Coco323.

319 Laronga, pp. 485-88. 320 Galmozzi, p. 854. 321 Laronga, p. 485.

322 Lo segnala la cronaca de l'Unità, Assassinato a Milano consigliere del MSI. Sdegno contro chi vuole l'Italia

nel caos, “l'Unità”, 30 aprile 1976.

323 Contrariamente a una parte della storiografia sono convinto che il duplice omicidio commesso dalle Br a Padova nel giugno del '74 (anche in questo caso ai danni di due militanti del Msi) non sia stata una scelta pianificata, ma la risultante della piega presa dall'operazione, un'irruzione in una sede del partito di estrema destra. Per la ricostruzione dell'episodio si veda M. Clementi, Storia delle Brigate Rosse cit., p. 99; per una lettura che invece sposa la tesi dell'esecuzione G. Galli, Piombo rosso cit., pp. 60-61. Su questo episodio è

L'attentato a Pedenovi si origina, almeno a prima vista, in rappresaglia nei confronti dei neofascisti a seguito dell'aggressione mortale subita sempre a Milano, nei giorni precedenti, da un militante di sinistra, Gaetano Amoroso. La dinamica di quest'ultimo episodio ricalca un certo modus operandi dell'estrema destra: il lancio di bottiglie molotov contro una sede missina è il pretesto per una spedizione punitiva che colpisce alla cieca ragazzi dall'apparente aspetto di sinistra con la sola colpa di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Macabro è anche il rituale riportato dai quotidiani324:

lo stesso coltello viene utilizzato a turno dai vari aggressori, una decina di giovani capeggiati da Gilberto Cavallini che, dopo l'evasione dal carcere, aderirà ai nascenti Nar. A rendere ancora più incandescente il clima, in quei giorni di aprile a Milano, contribuisce l'avvicinarsi dell'anniversario della morte di Sergio Ramelli, militante di destra morto dopo una lunga agonia a causa di un'aggressione a colpi di chiave inglese da parte di coetanei vicini ad Ao. Coincidenze di tempo e di spazio che richiamano il contesto dell'epoca, in cui lo scontro fra opposte fazioni politiche sedimenta una pratica quotidiana della violenza325, su cui le nascenti organizzazioni armate non vantano certo né

primogenitura né monopolio.

La scelta di Pedenovi per chi la compie non è lasciata al caso326 e si basa su quell'intenso lavoro di

schedatura e di studio dell'ambiente neofascista – contraddistinto da labili confini fra destra parlamentare ed eversiva – che attraversa tutti gli anni '70. Il nome del dirigente missino compare in un opuscolo ad ampia diffusione pubblicato da Lc nel 1975327, così come in stampati sequestrati dalla

polizia nelle case di militanti di sinistra, le cui finalità sono chiaramente espresse:

le schede che pubblichiamo vogliono proporre ai compagni una riflessione sugli elementi ricorrenti della loro [dei neofascisti] attività: l'agire pubblicamente o clandestinamente in commandos che riproducono affinità ideologiche, i rapporti tra le diverse organizzazioni squadristiche, il ruolo che assumono vecchi e noti personaggi nella formazione delle bande di quartiere […], la tendenza alla riorganizzazione militare. Ai compagni delle diverse situazioni il compito di approfondire questo tipo di analisi; la pubblicazione di questo materiale va in questa direzione328.

utile anche la memoria delle vittime, Silvia Giralucci, L'inferno sono gli altri, Mondadori, Milano 2011. 324 R. Lugli, E' morto uno dei tre giovani colpito dai fascisti a Milano, “La Stampa”, 1 maggio 1976.

325 Una nota informativa per il prefetto a cura del “Comitato permanente antifascista per la difesa dell'ordine repubblicano” (composto da tutti i partiti dell'arco costituzionale) del gennaio 1976 censisce solo per il 1974 58 violenze, 43 aggressioni, 30 attentati, in ACS MI GAB, 1976-80, b. 31, f. 11001/49.

326 Ricorda Galmozzi che «noi pensavamo che l'avv. Pedenovi avesse una qualche responsabilità in merito ad una struttura del M.S.I. analoga a quelle che potevamo avere noi, cioè di controinformazione sulla sinistra » sebbene «questa cosa fu presa, allora, con beneficio di inventario e noi non la verificammo particolarmente», in Galmozzi, p. 858.

327 Il ciclostilato è citato in Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer, Milano 2006, pp. 387-418. Un'altra ricostruzione della vicenda Pedenovi, proveniente dallo schieramento di destra, é Benito Bollati, Il delitto

Pedenovi, Lasergrafica Polver, Milano 2001. Bollati era un dirigente del Msi e seguirà le successive vicende

processuali in veste di avvocato di parte civile.

328 La giustizia proletaria: bollettino di controinformazione, n. 1, giugno 1975, pp. 13-46. Il ciclostilato, nella disponibilità di un militante dell'autonomia, è sequestrato durante una perquisizione domiciliare in seguito al ferimento del dirigente d'azienda Bruno Rucano, avvenuto il 18 aprile 1977. Fra la documentazione rinvenuta, esemplare per avere un'idea dei percorsi di avvicinamento alla pratica della lotta armata, anche scritti di Carlos Marighella (autore di un'opera fondamentale sulla guerriglia sudamericana, il Piccolo

manuale di guerriglia urbana) e un Manuale di sopravvivenza, in realtà un vademecum alla fabbricazione e

I lunghi elenchi di nomi e indirizzi non sono il frutto solo della quotidiana opera di osservazione degli avversari, peraltro ampiamente ricambiata, ma anche, in un secondo momento, delle irruzioni armate in sedi del Msi e di organizzazioni collaterali.

La controinformazione, contraddittorio strumento di verità di fronte alle trame nere ma anche elemento di militarizzazione dell'immagine del nemico329, porta a un fiorire di iniziative negli ambienti

di movimento, volte a individuare organigrammi, catene di comando dell'estrema destra e suoi rapporti con ambienti criminali (lo spaccio di eroina in primo luogo). L'antifascismo, anche nella sua declinazione “militante”, rappresenta una prassi condivisa e accettata in larghi settori della cultura di sinistra:

è importante capire che allora, in qualsiasi quartiere, il primo approccio da parte di singoli individui, o di gruppi di collettivi con qualcosa che lontanamente alludesse all'illegalità, ma che di fatto ancora non lo era, era l'approccio alla problematica della controinformazione. In qualunque quartiere dove c'era un comitato, una situazione associativa di giovani di sinistra extraparlamentare più o meno organizzata, tra le cose che facevamo era attaccare ai muri un manifesto con i nomi e gli indirizzi dei fascisti. Questa cosa cominciava a funzionare come allusione, perché mettere i nomi significava che erano conosciuti, snidati, che il loro ruolo era noto, che avrebbe potuto accadergli qualcosa330.

Di questo clima i gruppi armati, sebbene ritengano l'antifascismo un tema di retroguardia, se ne avvantaggiano sicuramente, soprattutto sul versante della legittimazione dell'uso della violenza; non è un caso dunque che la prima azione dei fuoriusciti da Lc di Sesto S. Giovanni nel 1974 si ponga come obbiettivo la locale sede della Cisnal così come che il primo omicidio sia quello di un dirigente missino come Pedenovi. Milano, in questo, rappresenta una delle trincee più avanzate di uno scontro, quello fra destra e sinistra, che in forme diverse attraversa tutta l'Italia331: a pesare non è soltanto la

quotidianità della violenza ma anche la memoria molto fresca delle stragi, piazza Fontana in testa, dei rapporti non sempre limpidi fra apparati istituzionali e estremismo neofascista, della “paura del golpe”332. Si consolida un “comune sentire”, diffuso ben oltre le minoranze più politicizzate, per cui

maggio 1977 in ASM, Processo “Rosso-Tobagi”, b. 15, f. 7.

329 L'esempio più conosciuto di controinformazione è quello volto a smascherare mandanti ed esecutori della strage di piazza Fontana: Eduardo M. Di Giovanni – Marco Ligini – Edgardo Pellegrini, La strage di stato:

controinchiesta, Samonà e Savelli, Roma 1971. Per un testo coevo di uno dei maggiori studiosi ed esperti di

controinformazione si veda Pio Baldelli, Informazione e controinformazione, Mazzotta, Milano 1972. Passando a lavori di ricostruzione storica cfr. Massimo Veneziani, Controinformazione: stampa alternativa e

giornalismo d'inchiesta dagli anni Sessanta a oggi, Castelvecchi, Roma 2006 e Aldo Giannuli, Bombe a inchiostro, Rizzoli, Milano 2008. L'altro volto della controinformazione è ben illustrato in Guido Panvini, Schedare il nemico. La militarizzazione della lotta politica nell'estrema sinistra (1969-1975), in S. Neri

Serneri, Verso la lotta armata cit., 2012.

330 Galmozzi, p. 857. Per il contesto di Sesto S. Giovanni, cfr. Lc, Liquidare i fascisti. Rapporto sullo

squadrismo a Sesto San Giovanni, s.d. in AFISEC, Fondo Rancilio, b. 8, f. 31.

331 Una ricostruzione romanzata è in Marco Philopat, La Banda Bellini, Shake Edizioni, Milano 2002.

332 Su questo cfr. l'interrogatorio istruttorio di Massimo Crippa nelle cui poche pagine viene tratteggiato, non senza elementi di ingenuità, il percorso politico tipico di un giovane militante della sinistra extraparlamentare che approderà a Pl (l'adesione a Lc, i conflitti adolescenziali con la famiglia, l'attività di quartiere e il tema

«la vita di un fascista qualunque non valeva nulla»333. L'esecutore materiale dell'omicidio di Pedenovi

ha ricordato che

non bisogna dimenticare […] di cosa era Milano e di cos'è stata la storia di Milano, a partire dal '69 con Piazza Fontana; come si è qualificata in questa città, una guerra civile particolare, che è stata quella degli scontri, della violenza tra fascisti e antifascisti, che in questa città hanno coinvolto tutti; nessuno ha le mani pulite, non solo nella sinistra extra-parlamentare […]. Le parole d'ordine […] come “morte al fascio” era una parola gridata un po' da tutti. Esisteva questo tipo di domanda politica che per altro noi abbiamo interpretato. […] Il fatto che trentamila persone lo gridassero non risolve il fatto che io e altri siamo andati a farlo. […] Un giudizio, che a Milano era anche generale, sul fatto che fosse maturo, fosse possibile, che i fasci andassero ammazzati, perché la gente lo diceva per le strade e tentava di farlo, anche chi non aveva le pistole, tentava di ammazzarli con le chiavi inglesi334.

Quella che può sembrare un'indebita chiamata a correo da parte di Galmozzi in realtà deve essere letta come la descrizione del rapporto ambiguo che si viene a creare fra gli ambienti dell'eversione di sinistra e lo strumento dell'omicidio politico. Le testimonianze in merito appaiono lenti opache, laddove più delle parole sono i silenzi335 a poter rompere il muro di incomunicabilità.

L'impressione è che la sinistra rivoluzionaria per un verso accetti in linea di principio l'omicidio politico come una nemmeno troppo tragica fatalità, come una «logica conseguenza»336 della scelta

della lotta armata. In questo è agevolata dal fatto che, come insegna il caso di Pedenovi, per uccidere una persona non bisogna mettere in campo particolari competenze o energie: l'azione è ideata e portata a termine da sole tre persone prive di specifica esperienza, senza un diretto coinvolgimento delle strutture logistiche dell'organizzazione e, probabilmente, all'insaputa degli stessi vertici337.

delle droghe: al suo interno si legge «si comincia a discutere di lotta armata prettamente in chiave antifascista ed anti-golpe […]. Si decide di prepararsi per il golpe previsto per il novembre '74, nell'anniversario della festa delle Forze Armate. Tognini, Coda, Ferrandi [tutti nomi che tornano a vario titolo negli avvenimenti degli anni successivi] ed io, ed altri che non ricordo […] abbiamo una P38 finta ed una pistola a tamburo di proprietà di Tognini. C'erano anche delle ronde alla RAI ed all'esterno delle caserme dei CC e ci si era preparati nella eventualità del golpe e delle manifestazioni improvvise nei quartieri della città. Si diceva che c'era anche disponibilità di una mitragliatrice, anche se nulla di preciso sapevo e so in merito», in interrogatorio istruttorio Massimo Crippa, 9 novembre 1981, pp. 6-7 in ASM, Processo “Rosso-Tobagi”, b. 8, f. 27.

333 Galmozzi “appello”, p. 233. 334 Galmozzi, p. 838.

335 Cfr. ad esempio la trascrizione dell'intervista televisiva di Sergio Zavoli a Rosso in merito al ben più tardo omicidio di William Waccher in S. Zavoli, La notte della repubblica cit., p. 388.

336 Costa, p. 181. Per l'approccio politologico cfr. Luigi Manconi, Il nemico assoluto. Antifascismo e

contropotere nella fase aurorale del terrorismo di sinistra in Raimondo Catanzaro (cura), La politica della violenza, Il Mulino, Bologna 1990.

337 La questione se l'omicidio di Pedenovi fosse stato preparato e realizzato dal gruppo di Galmozzi alla totale insaputa dei vertici dell'organizzazione non è del tutto chiarita, sebbene la stessa magistratura in sede di giudizio abbia optato per l'assoluzione nei confronti di Del Giudice, accusato dal Pm di essere il “mandante morale” dell'omicidio in quanto dirigente del gruppo di Senza tregua. Cfr. Requisitoria Spataro pp. 366-68 e 834-36, che si basa essenzialmente sulle dichiarazioni di Libardi secondo cui «non so se l'omicidio Pedenovi fosse ideato direttamente da “Cucciolo”, Laronga e Galmozzi, ovvero dalla direzione; quest'ultima, comunque, data l'importanza dell'azione, sicuramente fu preavvisata e diede il proprio avallo all'omicidio», in Libardi, 21 ottobre 1980, p. 32. Analoghe dichiarazioni sono rese anche da Umberto Mazzola e Mario Ferrandi, che, però, si badi bene, parlano per sentito dire; cfr. Mazzola, 16 dicembre 1980, p. 5 e

Dall'altro, esiste un evidente deficit di legittimità dell'omicidio politico che viene inizialmente colmato dalla logica, tutta emotiva, della rappresaglia, dal carattere “giustizialista” dell'azione. In questo senso anche il secondo assassinio riconducibile a Pl, quello del poliziotto torinese Giuseppe Ciotta, avvenuto il giorno successivo all'uccisione dello studente bolognese Francesco Lorusso da parte dei carabinieri, ricalca il modello già sperimentato con Pedenovi. Entrambi gli episodi non vengono rivendicati con una sigla riconoscibile (quello di Pedenovi non viene rivendicato affatto), a ulteriore riprova della difficoltà dell'estrema sinistra a maneggiare con disinvoltura lo strumento dell'omicidio politico. Vale la pena, a questo proposito, dare un'occhiata alle reazioni dei maggiori gruppi extraparlamentari, che pure non erano estranei agli aspetti anche più discutibili dell'antifascismo militante. Lc, attraverso il suo quotidiano, definisce l'episodio, in modo sibillino, «attentato anonimo»338, lasciando intendere

ciò che invece Ao afferma chiaramente: l'omicidio si inquadra all'interno di una vera e propria «strategia della tensione», e rappresenta «un salto deciso nella pratica della provocazione delle centrali nazionali e internazionali della reazione e degli strateghi del golpismo». La chiave di lettura, a dir poco abusata, della «provocazione»339, in presenza di una matrice dell'episodio su cui è difficile

dubitare, rappresenta una sorta di “foglia di fico” per non affrontare fino in fondo il tema dell'omicidio politico.

A sciogliere alcune remore ci pensa non soltanto un presente costellato di scontri e morti nelle piazze, ma anche l'eredità storica dell'antifascismo e della guerra di liberazione340. Dal punto di vista

interpretativo è questo un terreno particolarmente scivoloso perché evoca più aspetti riferiti all'immaginario che non contesti concreti; si corre il rischio di scoperchiare un “vaso di Pandora” di anacronismi, usi pubblici della storia ed ipocrisie. E' innegabile però che il fresco ricordo della Resistenza, tangibile spesso a livello familiare, abbia attraversato i percorsi di formazione politica dei giovani militanti dell'ultrasinistra341 e abbia in parte agevolato l'allentamento dei naturali freni inibitori

di fronte alla pratica della violenza politica. La stessa testata del giornale “Senza tregua” è un palese tributo al libro di memorie di Giovanni Pesce, esponente milanese dei Gruppi di azione patriottica (Gap)342 durante la guerra di Liberazione. Al tempo stesso è altrettanto innegabile che non siano esistiti

interrogatorio istruttorio Mario Ferrandi [d'ora in poi Ferrandi], 11 novembre 1982, pp. 30-31 in ASM, Processo “Pac”, b. 24 [vecchia numerazione b. 1, f. 4]. A negare ogni ruolo di Del Giudice sono stati invece proprio gli esecutori dell'omicidio che, fin dal dibattimento del primo grado, hanno sottolineato «la reale effettiva estraneità di Del Giudice alla questione», in Galmozzi, p. 853. Basti questa specifica circostanza, e le diverse versioni date dai vari testimoni, a suggerire cautela nell'approcciarsi alle dichiarazioni dei pentiti, ma analogo discorso potrebbe essere fatto sui rei confessi dissociati, come fonte unica e prioritaria di ricostruzione storiografica.

338 La vigilanza di massa di operai e studenti tiene Milano, “Lotta continua”, 30 aprile 1976.

339 Partito d'unità proletaria e Avanguardia operaia, Respingiamo con la mobilitazione la strategia della

tensione, 29 aprile 1976 in AFISEC, Fondo Fernaroli, b. 1, f. 1, sf. B. Ao, a testimonianza del sostanziale

riallineamento moderato del gruppo, utilizza le stesse parole della federazione milanese del Pci. Cfr. Ferma