• Non ci sono risultati.

In concreto qual'era il modello organizzativo che presiedeva dell'azione di Pl? Possedeva una sua specificità, soprattutto in relazione alla struttura delle Br472? A norma di statuto è la cellula ad essere

definita «organismo di base»473, secondo una terminologia che a dire il vero non si discosta dalla

falsariga brigatista. In concreto le somiglianze si fermano a questo, non soltanto perché il termine “cellula” nel contesto di Pl ha un significato abbastanza aleatorio, dato che si sovrappone a quello più

467 Libardi, 20 ottobre 1980, pp. 21-22. Si noti che sulla composizione del primo comando nazionale di Pl vige nella produzione editoriale esistente una notevole confusione. Ad esempio si legga: «sempre a maggio [aprile] si costituisce a Firenze il “comando nazionale” di Prima Linea tra i quali troviamo Sergio Segio, Marco Donat Cattin, Roberto Sandalo e Roberto Rosso», in Davide Steccanella, Gli anni della lotta armata.

Cronologia di una rivoluzione mancata, Bietti, Milano 2013.

468 Statuto, s.d. e Regole di comportamento e di disciplina; regole logistiche di sicurezza, s.d. in ATT, Atti processo Pl Torino, b. 2, f. 2E.

469 Testimonianza di Laronga in M. Ruggiero, Pronto, qui Prima linea cit., p. 136.

470 Statuto cit. p. 3 [articolo 27]. Testimonianza di Galmozzi in M. Ruggiero, Pronto, qui Prima linea cit., p. 137.

471 Laronga, p. 490. A voler essere precisi si può concedere alle dichiarazioni di Laronga il beneficio del dubbio, visto che potrebbero essere influenzate dalla volontà di alleggerire l'accusa di banda armata. Il fatto però che l'interrogatorio avvenga nel pieno del periodo della dissociazione e in un processo di appello in cui le accuse erano tutte sostanzialmente provate, porta a ritenere le sue affermazioni sincere. A distanza di trent'anni lo stesso ha precisato che «la verità sta nel mezzo: quello statuto è una cosa semiseria», in testimonianza di Laronga in M. Ruggiero, Pronto, qui Prima linea cit., pp. 135-36.

472 Gian Carlo Caselli – Donatella della Porta, La storia delle Brigate rosse: strutture organizzative e strategie

di azione in Donatella della Porta (cura), Terrorismi in Italia, Il Mulino, Bologna 1984 e Stefano Quirico, Il modello organizzativo delle Brigate rosse in una prospettiva comparata, “Quaderno di storia

contemporanea”, 2008, n. 44.

473 Statuto, s.d. p. 1. La lettura dello statuto, come prova regina dell'esistenza di una banda armata, è alla base delle ricostruzioni complessive di polizia e magistratura. Cfr. l'estratto della sentenza/ordinanza istruttoria n° 321/80 del 7 gennaio 1981 allegato alla relazione della questura di Torino, Il terrorismo in Piemonte cit. in CM, vol. XII, pp. 627 ss.

specifico di “squadre”, ma soprattutto perché i due gruppi presentano filosofie opposte. All'interno delle Br si assiste a una concreta spinta centralizzatrice e allo sviluppo verticale dell'organizzazione, mentre Pl ricerca una struttura ramificata e orizzontale. Per lungo tempo non è il centro a imprimere

input alle strutture di base, ma piuttosto il contrario. Come ha affermato un dirigente

dell'organizzazione:

il comando in quel periodo ratifica quello che viene dal basso, più che essere in grado di dare delle direttive dall'alto verso il basso. Questa situazione rovesciata è un po' la caratteristica di Pl, che la distingue, per esempio, dalle Br, dove a campagna c'è risposta sul piano nazionale. […] In Pl non riuscirà mai, per il tipo di caratteristica, per questo tipo di tara iniziale. Infatti Pl viene definita una confederazione di sedi, viene definita in mille modi, non riesce mai ad essere per modello e per idea un'O[rganizzazione] che dall'alto riesce a comandare le sue strutture locali e periferiche474.

Si tratta di un'ambiguità di fondo che aleggia sulla genesi di Pl, recalcitrante a varcare l'incerto confine fra “struttura di servizio” del movimento e organizzazione armata a tutti gli effetti, almeno finché non sarà la rarefazione delle lotte di massa a imprimere una direzione obbligata. È sempre il documento di apertura al congresso di Scandicci a chiarire come

vanno definitivamente battute tutte le concezioni “federalistiche” dell'organizzazione; non siamo una libera associazione di unità autonome ed autosufficienti, ma un organismo coeso e centralizzato, disposto al massimo di disciplina e di unità. Ogni struttura non vive di vita propria, coltivandosi il proprio orticello, ma partecipa ad una vita complessiva di organizzazione, e a quella prima di tutto deve contribuire, facendo riferimento alle strutture di direzione locali e nazionali, che devono a loro volta garantire il massimo centralismo democratico475.

Ne derivano logiche conseguenze sia direttamente rispetto al grado di coerenza delle “campagne” lanciate, sia indirettamente nel senso della minore compartimentazione di Pl, della maggiore apertura nei confronti dell'esterno che la rende riconoscibile agli ambienti di movimento. Non vige il mimetismo proprio dei militanti delle Br476, ma l'assidua colonizzazione, a cavallo di confini sfuggenti,

degli interstizi fra lotte legali e organizzazione clandestina. Raramente ci troviamo di fronte ad adesioni a carattere individuale, come quella magistralmente narrata dal brigatista genovese Enrico Fenzi477, ma piuttosto all'ingresso di interi gruppi di militanti, mediato non dall'indottrinamento

ideologico quanto da una comune esperienza politica, spesso latamente esistenziale478. È da qui che

474 Laronga, p. 491.

475 Aprendo formalmente cit., pp. 10-11.

476 Quando gli arresti scompagineranno la struttura compartimentata e clandestina delle Br sarà motivo di sorpresa per molti appurarne sia l'effettivo radicamento in alcune fabbriche del Nord Italia sia l'estrema accortezza dimostrata nel celare la loro appartenenza politica.

477 Enrico Fenzi, Armi e bagagli, Costa & Nolan, Genova 1987.

478 Claudio Novaro, Reti di solidarietà e lotta armata in Raimondo Catanzaro, Ideologie, movimenti,

terrorismi, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 113-151. Nel saggio viene ricostruito puntualmente il processo di

nasce la mitologia di Pl «come “branco”, come grande famiglia sovversiva»479.

Dall'assise di Scandicci esce un'architettura che teoricamente dovrebbe vedere come organo supremo la Conferenza d'organizzazione, a cui partecipano i rappresentanti delle varie sedi, da tenersi una volta l'anno, «sempre che le circostanze lo permettano». L'ultima annotazione è d'obbligo visto che in realtà per avere la seconda assise del gruppo a Bordighera bisognerà aspettare più di due anni, cioè l'estate 1979, e la prima parziale chiusura di un ciclo politico. Compare qui uno dei grandi temi della storia di Pl, vale a dire la tendenza a subire gli eventi, più che a dirigerli. Da notare che, anche rispetto alla Conferenza d'organizzazione, lo statuto prevede, almeno a parole, una notevole orizzontalità e democraticità delle procedure interne: infatti, «può essere convocata a richiesta da un terzo delle cellule», in parallelo al sancito diritto «a presentare critiche e iniziative per iscritto che verranno fatte circolare per tutta l'O[rganizzazione]»480.

La Conferenza d'organizzazione dovrebbe eleggere il Comando (o direzione) nazionale che tiene le redini del gruppo negli intervalli fra le conferenze. Quello scelto a Firenze è il primo e anche l'ultimo, fino all'assise di Bordighera, a essere formalizzato; infatti gli arresti successivi decapitano l'organizzazione e rendono le successive direzioni frutto di processi cooptativi informali. È chiaro quindi che la teoria di Pl subirà, nella sua realizzazione, notevoli aggiustamenti di fronte agli imperativi della contingenza e che quindi anche gli schemi organizzativi devono essere letti con una certa flessibilità. Ricorda Libardi come

la direzione tenne una sola riunione preliminare a Milano, perché in seguito Galmozzi e Scavino furono arrestati e Solimano, colpito da mandato di cattura, si rese latitante recandosi a Firenze. Poiché, inoltre, gli arresti e i mandati di cattura si susseguirono, colpendo sempre più esponenti di Prima linea, di fatto la direzione assunse esclusivamente funzioni di coordinamento e ne vennero a far parte di volta in volta quelli che erano disponibili, tra cui per un certo periodo di tempo anch'io; in pratica era un coordinamento tra i comandi di sede481.

amicali, affettive e familiari che non a chiare scelte politico-ideologiche.

479 Giorgio Bocca, Noi terroristi cit., p. 190. Sempre Bocca raccoglie la testimonianza di Galmozzi (che non si è mai tirato indietro nell'avallare questa immagine un po' picaresca di Pl) per cui «arrivavamo alla lotta armata da percorsi collettivi, intere compagnie di amici, famiglie. Quasi tutti gli avventori del Boschetto, un bar che c'era una volta a Sesto in piazza Trento, hanno avuto a che fare con la lotta armata. Eravamo una banda pittoresca di uomini, donne e bambini, ispirata alla banda di Muro Sfondato, protagonista del film Mucchio

selvaggio di Sam Peckinpah»; in ivi, pp. 192-93.

480 Statuto, s.d., pp. 2-3. Sul punto, che rimase anch'esso lettera morta, si sentiva il peso di uno dei temi più discussi nei mesi precedenti la fondazione di Pl, cioè «che l'organizzazione doveva essere improntata ad una maggiore democrazia delle strutture, anche a scapito della rigida compartimentazione che in precedenza aveva di fatto impedito ogni forma di dibattito tra gli aderenti, con l'eliminazione dei dirigenti come figure separate», in Libardi, 20 ottobre 1980, p. 18.

481 Ibidem. Una conferma importante alle parole di Libardi viene anche dalle prime dichiarazioni di Donat Cattin che puntualizza come «sovente si parli di un Comando nazionale di Pl indicandolo come una realtà nitida. Invero è sempre stato un organismo fluttuante che non nasceva da elezioni, ma da o cooptazioni o autoinserimenti di militanti nel Comando stesso. In buona sostanza, il Comando nazionale era composto dalle persone che potevano considerarsi le più rappresentative delle varie situazioni. Per situazioni intendo dire le realtà locali, cioè le città nelle quali Pl era presente», in Donat Cattin, 27 febbraio 1982 in CM, vol. XCIII, p. 297.

Si perde presto dunque l'univocità dei processi decisionali a tutto vantaggio dell'autonomia dei contesti locali che declinano ognuno a proprio modo una linea politica frutto congiunto della discussione centrale e di stimoli provenienti dal territorio; da non sottovalutare che esponenti di spicco del gruppo per ragioni di sicurezza si spostano spesso da una città all'altra, rappresentando un fisiologico vettore di omogeneizzazione fra le varie situazioni.

Per Pl convivere con le proprie contraddizioni (fra centro e periferia, fra democraticità ed efficienza) inizialmente consente uno sviluppo e una vitalità insperata, ma al tempo stesso sedimenta divaricazioni strategiche e squilibri organizzativi il cui peso progressivamente diverrà insostenibile. Ciò avverrà in non casuale coincidenza con l'esaurimento progressivo di un panorama di lotte sociali, anche molto dure, ma legali e di massa, che rappresenta il necessario controcanto al progetto militare di Pl.

Il Comando nazionale in teoria avrebbe dovuto disporre di una struttura militare centralizzata, chiamata coordinamento “A” o “attacco nazionale”, da utilizzarsi per azioni armate di particolare difficoltà. Nella pratica questo istituto non sembrò mai conoscere una reale, e formale, attuazione, confondendosi con i locali gruppi di fuoco, di cui andremo a parlare fra poco, talora implementati con personale più esperto, prestato da altre sedi. Anche la progettazione di una simile struttura riflette le già ricordate contraddizioni del gruppo, in questo caso fra centralizzazione e autonomia delle sedi locali, così come la sua mancata realizzazione allude alla consolidata preoccupazione di non rompere l'univocità politico-miliare dell'organizzazione e di non creare, magari in modo surrettizio, doppi livelli482. La consapevolezza di percorrere un crinale sottile è manifestata dal documento preparatorio

del congresso di Scandicci dove si scrive:

abbiamo sciolto i vecchi settori (A[ttacco], I[nformazione], T[ecnico]L[ogistico]) proprio per consentire il superamento di una immagine di organizzazione come pura macchina militare distinta dalle strutture di fabbrica o territorio. Ma questo non può risolversi in una perdita paurosa di efficienza tecnico militare di tutta l'organizzazione; è dovere preciso di ogni cellula e di ogni G[ruppo]. di F[uoco]. sviluppare il massimo di informazione, tecnica, logistica, attacco nel proprio settore specifico.

Al contempo, più avanti si precisa che

482 Donat Cattin, 24 marzo 1981 in CM, vol XCIII, p. 414. Ne parla anche Massimo Libardi, dalle cui parole traspare la preoccupazione appena ricordata:«analogo coordinamento venne successivamente stabilito dal Galmozzi tra i comandanti dei gruppi di fuoco delle varie sedi, e cioè in concreto Milano, Torino e poi Napoli e Firenze, e fu denominato coordinamento “A” (attacco); tale coordinamento aveva funzioni di impulso in ordine alla strategia puramente militare che doveva essere decisa a livello di comando, nonché di determinazione degli obiettivi concreti da individuare nell'ambito della campagna decisa politicamente; infine, compito esclusivo del coordinamento fu quello del reperimento di finanziamento per l'organizzazione. Di fatto, e contrariamente al principio teorico deciso nell'assemblea e sopra ricordato, si tornò ad una netta distinzione tra funzioni squisitamente politiche, di pertinenza del comando, e funzioni politico-operative, di pertinenza del coordinamento “A”, in Libardi, 20 ottobre 1980, p. 19. L'esistenza di questa struttura è recepita dalle ricostruzioni giudiziarie, basti vedere Requisitoria Spataro, p. 131.

non si può tollerare dunque nessuna concezione dei G. di F. come realtà separate, superiori, come “nuclei d'acciaio” che si preparano alla guerra. In altre parole non vogliamo assolutamente riprodurre con la distinzione tra cellule e gruppi di fuoco nessuna discriminante di tipo militare combattente483.

Per tutto il 1977, ma il discorso vale anche per il 1978, le strutture centrali dell'organizzazione soffrono di una precarietà continua – in conseguenza dei primi arresti, della coabitazione di progettualità differenti, della priorità riservata ad assecondare il conflitto sociale – che ne inficia il funzionamento. Non a caso le stesse operazioni firmate dall'organizzazione sono isole in una mare di “combattimento proletario”, cioè di piccole e grandi azioni compiute dalle strutture di base.

Più concreti sono i legami e le funzioni organizzative all'opera su scala territoriale, secondo un processo di stabilizzazione che impegna i mesi successivi alla riunione di Scandicci. In ogni città dove è presente Pl agisce un Comando di sede, animato dai militanti più esperti, in raccordo con il livello nazionale. Anch'esso è un istituto mai formalizzato in toto e molto fluido, ma che al contempo rappresenta il vero centro di gravità attorno a cui ruota la vita dell'organizzazione. Lo caratterizza un

turn over frequente e spesso una quantomeno sommaria divisione dei ruoli fra i suoi componenti484.

Al Comando di sede fanno riferimento i due ambiti che meglio incarnano lo spirito “bipolare”

483 Aprendo formalmente cit., pp. 10-11. Vale la pena comparare queste affermazioni con un documento interno successivo di qualche mese, dopo i primi scricchiolii della struttura varata a Firenze. Il nodo dolente viene non a caso localizzato nel dilemma centralizzazione-informalità, nella «tensione, sempre presente e mai risolta, tra tendenze “apparatistiche”, costruzione del “superclan” e autonomizzazione delle strutture operai, informalità, penetrazione dello stile di lavoro del movimento dentro l'organizzazione». Rispetto a pochi mesi prima si decide, almeno sulla carta, un radicale cambiamento di rotta, laddove si afferma «si è deciso che tutte le decisioni riguardanti l'operatività di Pl siano prese dal Comando nazionale. Il Comando si fa anche carico diretto della costruzione dei settori verticali dell'organizzazione (A[ttacco], T[ecnico]. L[ogistico]., I[nformazione]., Carceri) non come settori separati, ma come sviluppo di funzioni. […] La costruzione dell'apparato dell'organizzazione si scontra continuamente con i problemi creati dall'informalità di molti rapporti interni e di molte sedi decisionali e dall'atteggiamento di diversi compagni – soprattutto dei compagni latitanti», in Stato dell'organizzazione, s.d. [ottobre 1977], p. 2 in ATT, Atti processo Pl Torino, b. 2, f. 2E.

484 Per farsene un'idea bastino le affermazioni di Libardi che ricorda come il Comando «a Milano era composto da me, dal Villa, dal Baglioni, dal Laronga e da Stefan; successivamente vi furono delle modifiche, nel senso che il Villa fu sostituito da Max Barbieri che venne a rappresentare la squadra di Cormano di cui era comandante; lo Stefan dal “Sirio” [Segio] ed al Baglioni – perché arrestato – subentrò R. Rosso quando questi, dopo il congresso aderì alla nuova organizzazione. Infine, Laronga fu trasferito a Torino a comandare il gruppo di fuoco al posto di Galmozzi, arrestato, ed al suo posto subentrò “Paolo” e cioè Franco Coda. […] Nell'ambito del Comando noi ci suddividemmo alquanto i compiti: Baglioni aveva anche funzione pubblica in quanto interveniva alle assemblee per i Comitati comunisti, e comunque si dedicò particolarmente agli operai della Magneti e della Falck di Sesto; io mi dedicai ai rapporti politici in senso ampio con i collettivi operai-studenti, a livello eventualmente anche operativo, nonché mi dedicati agli operai della Siemens e squadra relativa; R. Rosso svolse funzioni analoghe alle mie, su tutto il territorio di Milano; gli altri si avvicenderanno al comando dei gruppi di fuoco, tranne il Barbieri che comandava, come detto, la squadra di Cormano», in Libardi, 20 ottobre 1980, p. 19. A Torino gli arresti di maggio-giugno scompaginano la struttura di direzione che si riaggrega, con ampi margini di tolleranza, attorno alla coppia Silveria Russo e Bruno Laronga, più Guido Manina; cfr. Donat Cattin, 15 aprile 1981 in CM, XCIII, p. 494. Più stabile nel tempo il vertice organizzativo a Firenze, composto da Corrado Marcetti, Florinda Petrella e Sergio D'Elia, a cui si aggiunge per il periodo passato nel capoluogo toscano Solimano; cfr. interrogatorio istruttorio Sergio Canzi (d'ora in poi Canzi), 4 gennaio 1980, p. 3 in ACTS, Subfondo 7 "Eversione di destra", XI-XIII legislatura, 4.2.7. inserto 2, allegato 1. Per Napoli la direzione era composta dalla Ronconi, Felice Maresca e Ciro Longo; cfr. Sandalo, 2 ottobre 1980 in CM, XCIII, p. 249.

dell'organizzazione, il Gruppo di fuoco e le squadre485. Il primo è incaricato di portare a termine le

operazioni militari più elaborate (spesso rivendicate dalla sigla della casamadre), presenta una maggiore compartimentazione e tratti schiettamente clandestini, come riconosciuto al momento della fondazione di Pl, quando si scrive che

noi abbiamo individuato la necessità di affiancare alle cellule operaie o territoriali unità combattenti di tipo particolare, che abbiamo chiamato “gruppi di fuoco”; loro compito specifico è applicarsi sul terreno dello stato; […] sono pertanto organismi politico-militari che si applicano su un terreno particolare, sganciato da singole realtà di movimento (e questo comporta alcune regole particolari)486.

Spesso si sobbarcherà anche gli oneri di tipo logistico (rapine di autofinanziamento, studio e scelta degli obbiettivi delle azioni, falsificazione di documenti487 e, più raramente, la disponibilità di basi

vere e proprie). In verità per tutto un primo periodo le esigenze logistiche del gruppo saranno minime; questo in virtù dello scarso numero di militanti clandestini e/o latitanti e anche di una certa approssimazione che porterà ad abbassare gli standard di sicurezza.

Le squadre invece sono agili nuclei a carattere non esclusivamente militare, spesso interni a collettivi o comunque situazioni di lotta legali preesistenti che gravitano nell'orbita dell'organizzazione. Sono eredità della tradizione di Senza tregua, ma più in generale di molte aree autonome, rappresentando un'evoluzione particolare di fenomeni come i servizi d'ordine e le ronde contro il lavoro nero. Le squadre portano a termine anche azioni armate, senza però mai distaccarsi troppo dai terreni di mobilitazione delle lotte legali (saranno loro a rivendicare le azioni sul tema della casa a Firenze o

485 La sigla “Squadre” conosce specificazioni e varianti diverse. A Bergamo viene utilizzata la dicitura “Squadre armate operaie”, a Firenze “Squadre proletarie di combattimento”, mentre a Milano e Torino si annoverano diverse varianti, come “Squadre armate proletarie” (diffusa anche a Napoli) o “Squadre proletarie di combattimento per l'esercito di liberazione comunista”. Complica il quadro anche il fatto che altre organizzazioni armate di matrice non brigatista usano spesso sigle simili, come nel caso delle Fcc ( “Squadre armate proletarie”) o del più tardo gruppo dei Reparti comunisti d'attacco (che utilizzano la sigla “Squadre proletarie di combattimento per l'esercito di liberazione comunista” e costituiscono anche un Coordinamento squadre). Sono diciture analoghe per una struttura organizzativa che era analoga e non a caso porterà a tentativi di fusione con Pl (nel caso delle Fcc) o a veri e propri assorbimenti (nel caso dei Rca). 486 Aprendo formalmente cit., p. 11.

487 Si tenga conto che la Pl delle origini era molto sguarnita per quanto riguarda questi saperi tecnici specifici, così come a corto di basi e sedi. Dall'interrogatorio di Mazzola, militante della prima ora, ricaviamo che a Milano l'organizzazione disponeva come sedi o della casa in cui viveva la coppia Laronga-Russo o di uno scantinato affittato dallo stesso Mazzola, che non a caso faceva parte del gruppo di fuoco. Sempre Mazzola riferisce che per sviluppare competenze in merito alla falsificazione di documenti Pl dovrà aspettare il tentativo di fusione con le Fcc, ben più preparata sotto questo particolare punto di vista; cfr. Mazzola, 17 dicembre 1980, pp. 11-13. Se le dichiarazioni di Mazzola dal punto di vista politico presentano notevoli inesattezze, quelle che si riferiscono all'apparato militare possono essere accolte con una certa tranquillità, visto il suo ruolo nel gruppo di fuoco e visto il rapporto di fiducia che aveva con Segio. Quest'ultimo, dalla