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Capitolo terzo La forza incontra la piazza: Prima linea e il movimento del Settantasette (1977)

1) Uno strano movimento di strani student

Non esisterà uno storico, non tollereremo che esista uno storico, che assolvendo una funzione maggiore del linguaggio, offrendo i suoi servizi alla lingua del potere, ricostruisca i fatti, innestandosi sul nostro silenzio, silenzio ininterrotto, interminabile, rabbiosamente estraneo521

Quella sorta di maledizione con cui si apriva uno degli instant-book522 usciti in contemporanea al movimento del '77 pesa ancora sui tentativi di ricostruire storicamente un fenomeno opaco e in parte sfuggente. A riprova di tale difficoltà si pensi all'incipit quasi obbligato di molti lavori, una carrellata di immagini e definizioni diverse, o addirittura opposte, come se «l'unica via per descrivere il Settantasette [… fosse] la restituzione della frammentarietà delle esperienze o la costruzione di icone antinomiche»523. Per non parlare dei testi giornalistici che fin dal titolo hanno giustapposto termini

semanticamente agli antipodi524. Si tratta forse di un dazio da pagare per una storiografia ancora

acerba, certo di un espediente narrativo non privo di fascino, ma che corre il rischio di diventare un alibi per sfuggire alla scelta di una chiave interpretativa coerente. A ben vedere, il recente interesse storiografico525 per l'argomento è di per sé un primo risultato: per lungo tempo il pericolo è stato che il

movimento del '77 cadesse nell'oblio, soffocato dalla presenza ingombrante di parenti più o meno lontani, il Sessantotto e gli “anni di piombo”, o magari restasse confinato ai ghetti della “reducistica”526. Ad oggi questo rischio sembra scongiurato e l'evento, seppure a fatica, si è

521 AA.VV., Bologna marzo '77, fatti nostri, p. 9, NDA Press, Rimini, 2007 [1977]

522 Senza pretesa di esaustività cfr. almeno Diego Benecchi (et altri), I non garantiti. Il movimento del '77 nelle

università, Savelli, Roma 1977; Collettivo redazionale "La nostra assemblea" (cura), Le radici di una rivolta. Il movimento studentesco a Roma, Feltrinelli, Milano 1977; Sergio Bologna (cura), La tribù delle talpe,

Feltrinelli, Milano 1978; Felice Froio (cura), Il dossier della nuova contestazione, Mursia, Milano 1977; Luigi Manconi – Gad Lerner – Marino Sinibaldi, Uno strano movimento di strani studente. Composizione,

politica e cultura dei non garantiti, Feltrinelli, Milano 1978.

523 L. Falciola, Il movimento del 1977 in Italia cit., p. 10.

524 C. Vecchio, Ali di piombo cit.; Stefano Cappellini, Rose e pistole, Sperling & Kupfer, Milano 2007; Emiliano Sbaraglia, I sogni e gli spari, Azimut, Roma 2007.

525 Ai lavori di Grispigni e Falciola, si aggiunga anche il solido contributo di inquadramento, con riferimenti bibliografici molto curati, di Sandro Bellassai, Un trauma che si chiama desiderio. Per una storia del

Settantasette a Bologna, in A. De Bernardi – V. Romitelli – C. Cretella (cura), Gli anni Settanta. Tra crisi mondiale e movimenti collettivi cit. e il recente numero monografico di "Mondo contemporaneo", 2014, n.1

curato da Giovanni Mario Ceci e Guido Panvini. Molto utile anche Diego Giachetti, Scoppiò un '77, “Quaderni piacentini”, n. 38, 2007.

526 Per lavori di memorialistica, molto diversi fra loro, cfr. Franco Berardi, Dell'innocenza 1977: l'anno della

premonizione, Ombrecorte, Verona 1997 [1987]; Piero Bernocchi, Dal '77 in poi, Massari, Pomezia 1997;

conquistato un suo posto fra i «luoghi della memoria collettiva»527. A onor del vero, più che alla

storiografia, un simile risultato lo si deve a altre narrazioni e altri linguaggi (la narrativa528, la

fotografia529, il cinema530) capaci negli ultimi anni di porre il fenomeno al centro della loro attenzione e

di rompere il precario primato epistemologico della storia sulla ricostruzione del passato.

Ciò nonostante, resta ancora molta strada da fare per affrontare analiticamente le diverse sfumature del movimento, senza accontentarsi di enunciarle e porle tutte in un affollato primo piano: violenza, creatività, comunicazione, ideologia, pubblico, privato sono fili che vanno districati, alla ricerca non di un'irrealizzabile reductio ad unum, ma piuttosto di una provvisoria quadratura del cerchio che sfugga al manicheismo delle antinomie. Una quadratura del cerchio che faccia leva su pochi (ma sicuramente più di due) campi di forza, capaci di accomunare se non tutti almeno una buona parte delle componenti del movimento; un numero limitato, e non esaustivo, di particolari che compongano un quadro d'insieme e non un ammasso caotico dove tutto si confonde, dalla P38 all'operaio sociale, dal diritto al caviale alle sperimentazioni semiologiche delle fanzine bolognesi.

Anche nell'ottica di riaffermare la centralità del politico, un elemento dirompente del movimento del Settantasette fu la contrapposizione esplicita all'operato della sinistra istituzionale531, a maggior

ragione a seguito delle elezioni del 20 giugno. La totale sfiducia nei confronti del Pci accomunava le frange più estreme della contestazione, le avanguardie culturali e i “cani sciolti”; non si assisteva più alla condivisione nella competizione degli anni precedenti, ma alla consapevolezza di sostenere posizioni politiche incompatibili. La lacerazione non era ricomponibile e nessuno voleva che lo fosse. Era un sentimento questo ampiamente ricambiato dal Pci che non lesinò sforzi per delegittimare a

2017. Come chiarisce la data di pubblicazione, gli anniversari hanno fin qui rappresentato l'occasione principale per lanciare operazioni editoriali ricche di titoli, ma povere di respiro. Accanto alla memorialistica vera e propria esiste poi una ricca produzione di testi che rievocano il Settantasette in chiave militante; cfr. AA.VV., Millenovecentosettantantasette, Manifestolibri, Roma 1997; Sergio Bianchi – Lanfranco Caminiti,

Settantasette. La rivoluzione che viene, DeriveApprodi, Roma 1997 e AA.VV., Una sparatoria tranquilla. Per una storia orale del '77, Odradek, Roma 1997.

527 Per una recente rassegna molto attenta al tema della memoria del movimento cfr. Monica Galfré,

L'insostenibile leggerezza del '77. Il trentennale tra nostalgia e demonizzazioni, "Passato e presente", XXVI

[2008], n. 75, p. 117. Ben più datata, ma ancora utile è quella di Michele Nani, Anticipazione o storia? Il

Settantasette vent'anni dopo, “Rassegna di storia contemporanea”, n. 1, 1998. Per l'espressione "luoghi della

memoria", coniata dallo storico francese Pierre Nora, il rimando obbligato nel contesto italiano è a Mario Isnenghi (cura), I luoghi della memoria, Laterza, Roma-Bari 1997.

528 Il pensiero corre subito a Luca Rastello, Piove all'insù cit., ma anche a Bruno Arpaia, Il passato davanti a

noi, Guanda, Parma 2009. Esiste poi una nutrita produzione di testi, a metà fra la memorialistica e la

narrativa, di ex militanti dell'estrema sinistra, più o meno coinvolti nell'esperienza armata, quali T. Zoni Zanetti, Clandestina, DeriveApprodi, Roma 2000 e Pino Tripodi, Settesette. Una rivoluzione. La vita, Milieu, Milano 2012. Per un inquadramento dei rapporti fra storia e narrativa sugli anni Settanta e la lotta armata cfr. Demetrio Paolin, Una tragedia negata: il racconto degli anni di piombo nella narrativa italiana, Il Maestrale, Nuoro 2008; Giuliano Tobacco, Libri di piombo. Memorialistica e narrativa nella lotta armata in

Italia, Bietti, Milano 2010. Per un recente punto di vista, proprio degli studi culturali, si veda anche Cecilia

Ghidotti, "Gli anni settanta non sono il fine". Tra rimosso e iper-esposizione: scrittori italiani contemporanei

e racconto degli anni settanta, "Studi Culturali", 2015, n. 2.

529 Tano D'Amico, È il 77, I libri del no, Roma 1978. Il libro fotografico non a caso è stato ristampato dalla casa editrice del quotidiano "Il Manifesto" in occasione nel trentennale.

530 Il focus del cinema si è concentrato sul Settantasette bolognese come dimostrano Paz!, diretto da Renato De Maria nel 2002 e Lavorare con lentezza, girato da Guido Chiesa nel 2004.

parole e reprimere nei fatti l'ondata di protesta532. Più che la memorabile cacciata del segretario

generale della Cgil Luciano Lama dall'università di Roma occupata, «la piazza Statuto dell'operaio sociale»533, è il presidio del servizio d'ordine del Pci a Bologna a difesa del monumento ai caduti della

Resistenza il giorno dell'uccisione di Lorusso534 a simboleggiare l'asprezza dello scontro in corso. Su

questo tema sicuramente l'autonomia, e con lei la nascente Pl, premeva particolarmente; era da anni che predicava la rottura con la sinistra istituzionale, l'esistenza di due sinistre, di due movimenti operai. Alcuni residui margini di dialogo si ebbero con il sindacato, in particolar modo con le componenti più critiche della linea dei sacrifici e dell'austerità, la sinistra sindacale e la categoria dei metalmeccanici, ma si trattò di incontri sporadici.

Forse non poteva essere altrimenti se si pensa a un'altra coordinata del Settantasette, forse la più scivolosa, vale a dire l'eclissi della centralità operaia: è un tema scivoloso perché si pone all'incrocio di processi di varia natura, tutti di lungo periodo, ma può rappresentare la radice di tutti quegli aspetti innovativi su cui ha insistito una certa memoria del '77. La crisi di paradigma della grande fabbrica andava a coincidere con l'emersione fra i giovani di nuovi bisogni535 e nuove identità, con il

cortocircuito dato da istruzione di massa e disoccupazione intellettuale536, con la rivendicazione di

tempi di vita non più scanditi dai ritmi di lavoro. La società dei consumi, con le sue promesse non mantenute e i suoi crescenti squilibri, si era allevata una vera e propria “serpe in seno”, nelle forme di un “proletariato giovanile” che, più che verso i cancelli delle fabbriche, le scuole e le università, si dirigeva verso le strade e le piazze a costituire una comunità estranea e minoritaria537.

La rivoluzione ai tempi della crisi perdeva i caratteri di processo storico concreto e diventava un eterno presente, liberato da un lavoro che le nuove tecnologie sembravano rendere superfluo538. Il

rovescio della medaglia era rappresentato da una crescente perdita di senso e da una fragilità

532 Cfr. l'antologia di articoli di “Rinascita” nella sezione “questione giovanile” raccolti e pubblicati in Fabio Mussi (cura), I giovani e la crisi della società, Editori riuniti, Roma 1977. Forme di riflessione più in chiaroscuro e meno influenzate dalla polemica politica sono anche in Gregorio Paolini – Walter Vitali (cura),

Pci, classe operaia e movimento studentesco, Guaraldi, Rimini-Firenze 1977 e Achille Occhetto (e altri), Dialogo sul movimento, De Donato, Bari 1978.

533 Si tratta dello slogan che campeggia nella prima pagina del foglio di agitazione Chiamiamo comunismo il

movimento reale che distrugge e supera lo stato presente delle cose, 12 marzo 1977 in ASESS, Fondo riviste,

M5.

534 L. Pastore, La vetrina infranta cit., p. 161. Sul Settantasette bolognese si vedano anche i saggi raccolti nella terza sezione dell'appena ricordato A. De Bernardi – V. Romitelli – C. Cretella (cura), Gli anni Settanta cit. 535 Da notare però che la mediazione operata dal marxismo come teoria politica rimase predominante. Non a

caso fra i testi più diffusi nel movimento del Settantasette ci fu quello di Agnes Heller, La teoria dei bisogni

in Marx, Feltrinelli, Milano 1974.

536 Roberta Tommassini (cura), Studenti e composizione di classe, Aut Aut, Milano 1977.

537 Sull'irruzione dei giovani nella scena politica degli anni '60 e '70 e sulle sue diverse fasi cfr. Massimo Canevacci et altri, Ragazzi senza tempo. Immagini, musica, conflitti nelle culture giovanili, Costa & Nolan, Genova 1996 [1993]; Alessandro Cavalli – Carmen Leccardi, Le culture giovanili in F. Barbagallo (cura),

Storia dell'Italia repubblicana, vol. III, tomo II, Einaudi, Torino 1997; Paola Ghione – Marco Grispigni

(cura), Giovani prima della rivolta, Manifestolibri, Roma 1998 e Marco De Nicolò, Dalla trincea alla

piazza. L'irruzione dei giovani nel Novecento, Viella, Roma 2011.

538 Su questo esiste una tradizione filosofica importante e di alto livello, sebbene poco conosciuta e travolta dalla marea neoliberista. Cfr. ad esempio Andrè Gorz, Sette tesi per cambiare la vita, Feltrinelli, Milano 1977 [1977] e Ivan Illich, Disoccupazione creativa, Red, Como 1996.

esistenziale che avrebbe avuto nella diffusione dell'eroina la sua manifestazione più tragica. Di questa trasformazione dell'agire politico, nel movimento circoleranno letture estremamente variegate, da chi non poneva limiti al flusso del “desiderio”539 a chi invece ribadiva l'attualità della contraddizione

operaia, come l'area di Senza tregua e quindi di Pl. Un precario punto di equilibrio verrà trovato grazie alla ardita ma fortunata teorizzazione di Negri540 di un “operaio sociale” pronto a raccogliere il

testimone de “l'operaio massa” che aveva animato il '69 operaio.

Pur con tutti i distinguo è un dato di fatto inoltre che il Settantasette si pose più al termine di un ciclo politico e sociale che non all'inizio di un altro. Con ciò non si vuol sminuire il suo peso fenomenico, relegandolo a semplice residuo, e neppure negare tutti quegli aspetti di “premonizione” della società attuale che vi circolavano. Sarebbe riduttivo farlo come riduttivo e anacronistico però è anche ricondurre la sconfitta del movimento all'esclusiva influenza di categorie ideologiche tradizionali e dei gruppi che se ne facevano portatori. Lo hanno sostenuto, nell'incerto spazio fra memoria soggettiva e autocritica delle proprie scelte, alcuni protagonisti di allora; fra i tanti si veda Segio, all'epoca convinto animatore di un progetto armato che oggi ricorda:

tutte le realtà organizzate, in misura minore o maggiore, in qualche modo tentarono di ingabbiare quel movimento, talvolta senza neppure la consapevolezza della portata delle sue intuizioni e caratteristiche. I nuovi soggetti, in effetti, c'erano, materialmente fondati nelle trasformazioni sociali e produttive. Non c'erano, però, ancora i linguaggi e i luoghi capaci di tradurli e interpretarli. Le forme venivano ricondotte, e impoverite, in formule. I contenuti venivano incasellati in schemi. E questi erano quelli del Novecento, della rivoluzione come presa del potere; decisamente polverosi e, in verità, inservibili, soprattutto inadeguati. La violenza politica e la guerra per primi541.

Le sperimentazioni raffinate in campo comunicativo542, l'irriverenza nei confronti di ogni autorità

costituita (compreso il movimento stesso), la trasfigurazione dell'idea rivoluzionaria fuori dai recinti della sfera politica, lungi dal dover essere negati, non inaugurarono però una nuova stagione, se non in forme indirette. Ciò che invece si chiuse furono gli anni Settanta, la quotidianità delle lotte politiche e sociali, la relativa egemonia dell'estrema sinistra in campo culturale e studentesco. Basterebbe osservare un'istantanea di pochi anni dopo: i gruppi extraparlamentari scomparsi e i loro ex militanti

539 Gilles Deleuze e Felix Guattari, L'anti-Edipo: capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975 [1972]. Cfr. anche il racconto, in parte autobiografico, di Pablo Echaurren, La casa del desiderio. '77: indiani

metropolitani e altri strani, Manni, Lecce 2005, così come lo studio di Claudia Salaris (compagna di

Echaurren), Il movimento del Settantasette: linguaggi e scritture dell'ala creativa, AAA Edizioni, Bertiolo 1997.

540 Toni Negri, Dall'operaio massa all'operaio sociale. Intervista sull'operaismo, Multiphila, Milano 1979. Più in generale si vedano altri testi ora raccolti in Id., I libri del rogo, DeriveApprodi, Roma 2006.

541 S. Segio, Una vita in Prima linea cit., p. 110-11. Giudizio analogo, in controtendenza con quelle che dovevano essere le opinioni di allora, viene espresso anche anche da un altro ex militante della lotta armata, V. Morucci, La peggio gioventù cit., pp. 64-70.

542 Klemens Gruber, L'avanguardia inaudita. Comunicazione e strategia negli movimenti degli anni Settanta, Costa & Nolan, Genova 1997 [1989]; Danilo Mariscalco, Dai laboratori alle masse. Pratiche artistiche e

alle prese con una traversata nel deserto lunga più di un decennio, i collettivi autonomi, isolati nel loro antagonismo, ridotti ai minimi termini e nessuna traccia di un reale protagonismo nella politica di massa543. Le responsabilità di questo quadro certamente non sono addebitabili soltanto al Settantasette;

ben più gravoso appare il peso della morsa di repressione statale e attivismo dei gruppi armati, cifra fondamentale degli anni seguenti.

Qui entra in gioco il quarto elemento su cui si può basare un'analisi complessiva del movimento, cioè l'assuefazione all'uso della violenza politica che lo caratterizzava e che suscitava l'allarme dei settori più moderati dell'opinione pubblica. Se ne facevano interpreti i prefetti che nelle loro relazioni, di fronte al ripetersi di disordini e attentati, sottolineavano «come tutti questi episodi hanno creato disorientamento, apprensione e sconforto, in un periodo così delicato per la vita del Paese»544. Bisogna

riconoscere come il tasso di violenza che attraversò le «piazze del '77»545 sia stato anomalo, mai

episodico o isolato, sebbene costantemente rinegoziato fra le varie componenti e influenzato dalle contromosse tutt'altro che innocenti della controparte statuale.

Riconoscerlo serve innanzitutto a mettere fra parentesi l'odierna sensibilità al tema della violenza politica (molto più restrittiva rispetto a quella dell'epoca) e quindi a sgombrare il campo da letture banalizzanti da essa dipendenti. Non è mai esistita, dunque, una violenza di piccoli gruppi (fossero non meglio specificati “autonomi” o addirittura le formazioni armate) avulsa da una grande maggioranza dei manifestanti, pacifica e colorata, come paiono suggerire alcuni testi giornalistici. Inoltre, non appartiene al campo dell'analisi storiografica, ma semmai a quella della memorialistica e dell'etica individuale, ogni cesura fra la violenza agita e quella urlata, mimata, legittimata546, non perché siano la

stessa cosa, ma perché concorrono tutte in misura diversa alla accettazione della sua pratica concreta. Al tempo stesso non bisogna dimenticare che la violenza era anche uno strumento di lotta politica e di demarcazione interno al movimento. Risulta altrettanto irreale dunque appianare ogni differenza, annacquare ogni responsabilità in un mare indistinto di retorica rivoluzionaria, come se fosse esistita un'intelligenza collettiva rispetto all'uso della armi. Al contrario, all'interno di una cornice generale di

543 Per l'eredità della sinistra extraparlamentare cfr. William Gambetta, Democrazia proletaria. La nuova

sinistra tra piazza e palazzi, Edizioni Punto rosso, Milano 2010.

544 Relazione semestrale prefettura di Torino, 6 luglio 1977, p. 29. I toni dei prefetti assumevano toni più allarmistici nelle città più piccole, in cui «quello dell'ordine pubblico è il problema che localmente viene maggiormente avvertito e seguito. Il ripetersi di delittuosi episodi di violenza di natura politica, la sensazione di impotenza da parte dello stato a stroncare la spirale dell'eversione ed alte considerazioni, oltre a creare un diffuso senso di sfiducia nelle Istituzioni, induce in molti casi ad operare senza mettersi troppo in evidenza onde evitare conseguenze dannose», relazione semestrale prefettura di Bergamo, 5 luglio 1977, p. 1. Entrambe le relazioni sono conservate in ACS MI GAB, 1976-80, b. 374, f. 15800/111/3.

545 Per aprire una fugace finestra su una tipologia di fonte che negli anni a venire bisognerà imparare a maneggiare si veda il gruppo del social network Facebook intitolato "Firenze, le piazze del '77" che ha rappresentato per centinaia di giovani fiorentini dell'epoca l'occasione per riannodare i fili di una memoria collettiva, seppure virtuale, e per condividere immagini, canzoni, sfoghi. Dall'iniziativa è nato anche un opuscolo omonimo. Qualcosa di simile, ma di dimensione maggiore e su scala nazionale è successo in seguito alla pubblicazione su Facebook da parte di un fotografo di movimento, Enrico Scuro, di un album di scatti, a cui seguì da parte di centinaia di persone la pubblicazione su Internet di foto e altro materiale. Anche di quest'iniziativa esiste, per fortuna, una testimonianza cartacea, per natura meno volatile, in Enrico Scuro, I

ragazzi del 77: una storia condivisa su Facebook, Baskerville, Bologna 2011.

accondiscendenza verso la violenza anche offensiva, lo specifico delle azioni era spesso responsabilità diretta di componenti specifiche del movimento. In questo senso, seppure in modo diversificato, l'area autonoma, convinta di vivere in un frangente di guerra civile, si distinse per la volontà di innalzare costantemente il livello dello scontro, ad esempio portando l'utilizzo delle armi da fuoco alle estreme conseguenze.

Per capirlo ci si sposti nella Bologna del marzo '77, attraversata da diversi episodi di guerriglia urbana (sparatorie fra manifestanti e forze dell'ordine, erezione di barricate, espropri di armerie). L'emozione collettiva scaturita dall'uccisione di Francesco Lorusso contribuisce ad allentare le remore individuali rispetto all'uso della violenza tanto da far dire a Radio Alice che

tutti insieme abbiamo preparato le bottiglie molotov all’università, tutti insieme abbiamo disfatto il pavimento dell’università per procurarci i sampietrini, tutti insieme eravamo tutti con le bottiglie incendiarie, con i sampietrini in tasca, perché quella di oggi era una manifestazione violenta, era una manifestazione che tutti avevamo deciso di fare violenta547.

Maurice Bignami è in quei giorni un esponente dell'autonomia bolognese, vicino alla rivista “Rosso”, ma negli anni successivi aderirà a Pl per diventarne nella sua ultima fase uno dei maggiori esponenti. A distanza di molti anni Bignami ha scritto un libro che più che ricostruire la sua vicenda la fa dialogare con quella del padre, Torquato, ex partigiano inquisito e detenuto per banda armata – forse come pressione della magistratura sul figlio – all'inizio degli anni '80548.

Ebbene, Bignami ricorda come in occasione dei duri scontri con la polizia nei pressi della stazione ferroviaria nelle ore successive alla morte di Lorusso «consumai [...] tutte le munizioni che avevo messo da parte in anni di ostinata parsimonia»549. Inoltre, un rapporto stilato dall'ufficio politico della