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FRAMEWORK DI STIMA DEI RISCHI CLIMATICI: L’APPROCCIO STRESS TESTING

3. RISCHIO CLIMATICO: LA METODOLOGIA

3.8 FRAMEWORK DI STIMA DEI RISCHI CLIMATICI: L’APPROCCIO STRESS TESTING

TESTING

I cambiamenti climatici e la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio sono fondamentalmente soggetti a incertezza. Come ampiamente discusso nella sezione degli scenari IPCC, le previsioni su ritmo ed estensione del riscaldamento globale variano in modo considerevole.

Inoltre, è incerto in che misura l'accordo di Parigi si tradurrà concretamente in misure politiche a sostegno della transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio. Allo stesso modo, non si sa come si svilupperanno le tecnologie e come lo sviluppo avrà un impatto sulla transizione energetica. Di conseguenza, possono essere concepiti diversi scenari di transizione la cui relativa plausibilità è molto difficile da valutare.

Alla luce di questa incertezza, le prove di stress sono un modo utile per quantificare sia i rischi di transizione che i rischi fisici. Concentrandosi su scenari “severi ma plausibili", uno stress test è in grado di valutare le perdite che le istituzioni finanziarie potrebbero subire nel caso di eventi appositamente selezionati.

Questo approccio risulta ancora più utile se si considera il fatto che misurare le esposizioni verso le aziende ad alta intensità di carbonio è un importante punto di partenza, seppur non risolutivo. È infatti necessario adottare un approccio globale nel determinare i rischi fisici e di transizione, dato che il portafoglio di attività e passività patrimoniali potrebbe essere interessato anche da modifiche nel contesto macroeconomico generale e/o da effetti di spillover tra i vari settori.

Per quanto riguarda la misurazione degli impatti, la maggior parte delle analisi oggi disponibili si concentra sulla descrizione di tre elementi che devono essere considerati congiuntamente e applicati indipendentemente dai settori economici di appartenenza:

1. impatti diretti: effetti legati direttamente ai rischi climatici attraverso interruzioni di business, danni diretti alle attività a causa di rischi fisici, prezzi del carbonio più alti o costi di investimento in tecnologie a basse emissioni di carbonio a seguito di misure normative atte a favorire la transizione energetica;

2. impatti indiretti: conseguenze indirette dei cambiamenti climatici attraverso impatti sulle catene di approvvigionamento o sui clienti finali. I rischi di transizione possono indurre costi di input più elevati e modificare i modelli di domanda. Allo stesso modo, i rischi fisici possono generare interruzioni alle catene di fornitura, creare cambiamenti nei prezzi di input dei processi produttivi, influenzare il comportamento dei clienti attraverso la richiesta di diversi prodotti e servizi; 3. impatti macroeconomici: infine, i rischi di transizione e i rischi fisici hanno un

impatto più ampio sulle condizioni macroeconomiche generali. A livello macroeconomico, i cambiamenti climatici possono influire sulla produttività del capitale e del lavoro, sui prezzi degli input o sulla domanda aggregata di famiglie e imprese.

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Come intuibile, tutti e tre gli elementi devono essere presi in considerazione per misurare il pieno impatto del climate change risk. Le metodologie di valutazione sono tuttavia diverse per i rischi di transizione e per i rischi fisici e saranno descritte separatamente nelle sezioni successive.

Tuttavia, prima di passare all’analisi delle modalità di implementazione degli stress climatici sulla base dei fattori chiave suggeriti dalla letteratura (con un focus particolare su climate policy e progresso tecnologico), è utile fornire qualche indicazione sul processo di raccolta delle informazioni riguardanti le esposizioni finanziarie carbon intensive.

3.8.1 Modalità di classificazione delle esposizioni carbon intensive

Le emissioni di carbonio sono attualmente il principale indicatore utilizzato dagli intermediari finanziari per integrare i cambiamenti climatici nei modelli interni di valutazione. Il presente position paper ha individuato, tra le varie scelte disponibili, la classificazione ATECO (ATtività ECOnomica), traduzione italiana della nomenclatura NACE (Nomenclature statistique des Activités Économiques dans la Communauté Européenne) per indicare il settore di attività economica dell'emittente nell'analisi delle singole posizioni patrimoniali. Di per sé, tuttavia, la classificazione ATECO non indica se un determinato settore sia ad alta intensità di carbonio o meno.

D’altra parte, classificazioni quali ISIC (International Standard Industrial Classification) e GICS (Global Industry Classification Standard) non sono del tutto soddisfacenti. La classificazione ISIC, pur offrendo una corrispondenza molto ampia con i sistemi attualmente utilizzati dalle banche ed essendo allineata ai dati sulle emissioni della maggior parte dei modelli climatici, non fornisce la giusta granularità per tutti i settori. La classificazione GICS è molto utile per il suo largo utilizzo nell’analisi finanziaria e nelle raccomandazioni TCFD, ma risulta di scarsa diffusione nella prassi degli intermediari.

Attualmente è infatti in corso un’ampia discussione sulle metriche appropriate per la classificazione delle esposizioni legate al clima (cfr. Task Force on Climate-related Disclosure, 2017 ed European Commission Technical Expert Group, 2019). Nonostante le indicazioni del TEG sulla tassonomia dell’UE contenute nella recente relazione finale (Final report on EU taxonomy, 2020), una classificazione universalmente accettata non è ancora disponibile, come non sono ancora del tutto evidenti le modalità di distinzione tra le aziende green e non green.

L’utilizzo della metrica “carbon intensive” fornisce solo un'immagine molto incompleta. Da un lato, le emissioni di carbonio non forniscono informazioni sui rischi fisici che le famiglie e le imprese affrontano; dall'altro, non riflettono né le informazioni sulle possibilità di un'impresa di passare a tecnologie a basse emissioni di carbonio, né sulla sua preparazione a farlo, né la sua capacità di trasferire costi più elevati ai propri clienti. Inoltre, le attuali misurazioni sulle emissioni di carbonio delle imprese spesso comprendono solo le emissioni dirette di un'azienda (Scope 1)

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e/o le emissioni indirette per l'energia che utilizza (Scope 2). Non si riescono quindi a coprire le emissioni nell'intera catena del valore che comprenderebbero anche quelle di fornitori e clienti (Scope 3).

In questo contesto la Commissione AIFIRM, prima di effettuare un qualsiasi primo screening quantitativo degli effetti dei cambiamenti climatici sul portafoglio come anche qualsiasi analisi approfondita per settori e sotto-settori di riferimento, suggerisce di definire i confini di ciascun settore al fine di identificarne la potenziale esposizione.

A tal fine, è necessario disporre di alcuni elementi tra i quali: • codici ATECO;

• descrizione dell’attività economica; • settore economico di riferimento;

• esposizione totale (che definirà la materialità dei macro-settori e dei sotto- settori a rischio climatico).

Inoltre, per i macro-settori immediatamente riconducibili alla tassonomia dell’UE potrebbe essere opportuno effettuare una prima indagine preliminare al fine di valutare la materialità dell’esposizione. Seguendo la classificazione ATECO, i settori maggiormente esposti sia al rischio di transizione sia ai rischi fisici sono ad esempio i seguenti:

• 3: pesca e acquacoltura;

• 19: fabbricazione di coke e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio; • 201: fabbricazione di prodotti chimici di base, di fertilizzanti e composti

azotati, di materie plastiche e gomma sintetica in forme primarie; • 236: fabbricazione di prodotti in calcestruzzo, cemento e gesso; • 241: siderurgia;

• 411: sviluppo di progetti immobiliari;

• 412: costruzione di edifici residenziali e non residenziali; • 49: trasporto terrestre e trasporto mediante condotte; • 491: trasporto ferroviario di passeggeri (interurbano); • 492: trasporto ferroviario di merci;

• 494: trasporto di merci su strada e servizi di trasloco; • 50: trasporto marittimo e per vie d’acqua;

• 51: trasporto aereo.

Oltre ai macro-settori sopra elencati, potrebbe essere utile effettuare una panoramica più ampia che elenca tutti i macro-settori, settori e sotto-settori, fornendo ad esempio un parere da parte di esperti esterni sull'opportunità di valutare ulteriormente la loro inclusione/esclusione nell'elenco dei settori potenzialmente esposti.

Tuttavia, questo studio preliminare non dovrebbe essere inteso come un esercizio di screening completo, ma come un’analisi che dovrebbe mirare a identificare i settori potenzialmente da approfondire con l’aggiunta di elementi critici quali la posizione geografica (sia a livello di rischio di transizione che di rischio fisico) e la

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presenza di concentrazioni di portafoglio che potrebbero incidere fortemente sulle attività delle banche.

Da una prima indagine qualitativa tra i membri della Commissione AIFIRM, l'esposizione verso le aziende climate sensitive alla fine del 2019 variava tra il 20% ed il 25% del portafoglio Corporate. Per le banche italiane, i settori maggiormente interessati risulterebbero essere le esposizioni verso i servizi di trasporto (circa il 6-10% delle attività totali analizzate) e le imprese petrolifere e del gas (circa il 5-9% del totale). Tra gli altri settori high carbon intensive, la maggior parte delle esposizioni si concentrerebbero in: energia, immobiliare, agricoltura, minerario, siderurgia, alimentare e chimica.

Nonostante queste considerazioni, questo documento utilizzerà l’unico approccio al momento percorribile, assegnando i rischi ai singoli settori ATECO sulla base delle misure ad oggi disponibili sulle emissioni di carbonio utilizzate per generare valore aggiunto sull’intera catena del valore di un determinato settore (es. dati del Carbon Disclosure Project – CDP). Infatti, le emissioni per settore, da un lato consentono una precisa assegnazione dei rischi alle singole esposizioni, dall’altro garantiscono che ad un'impresa che abbia bisogno, ad esempio, di una quantità doppia di CO2 nel suo processo produttivo venga assegnato un rischio due volte superiore per gli shock climatici.

Un ulteriore vantaggio di basare l'analisi sui codici ATECO è che questi sono spesso prontamente disponibili sia all'interno degli stessi istituti finanziari sia nelle fonti dati utilizzate dai supervisori prudenziali. Le informazioni sui codici ATECO possono infatti essere facilmente recuperate dal database centralizzato dell'Eurosistema (CSDB), oltre che dagli info provider specializzati quali Bloomberg o Thomson Datastream.

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3.9 OVERVIEW DEGLI APPROCCI PER IL RISCHIO DI TRANSIZIONE: I

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