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5 4 Fugacità della gloria umana, eternità del mondo e distruzione ciclica

La pars naturalis: la concezione fisica del Commentario

VI. 5 4 Fugacità della gloria umana, eternità del mondo e distruzione ciclica

Quin etiam si cupiat proles futurorum hominum deinceps laudes unius cuiusque nostrum acceptas a patribus posteris prodere, tamen propter eluviones exustionesque terrarum, quas accidere tempore certo necesse est, non modo non

aeternam sed ne diuturnam quidem gloriam adsequi possumus682.

Prendendo spunto dall’esposizione geografica terrestre che sta conducendo, Macrobio introduce il discorso riguardante la fugacità della gloria umana. L’Africano, infatti, dissuade il nipote dal ricercare la fama terrena in quanto il vero saggio si accontenta semplicemente del premio della propria coscienza. Per colui che ambisce alla gloria, invece, è indispensabile che si attuino le due condizioni essenziali di spazialità e temporalità: è necessario, innanzitutto, che la gloria si diffonda in tutto il globo terrestre (spazio) e, al tempo stesso, che essa duri il più a lungo possibile (tempo). Ma, poiché la terra è solo un punto rispetto all’universo e dal momento che essa è abitata solo in una piccolissima parte, si comprende immediatamente l’impossibilità di una estensione spaziale della gloria (d’altra parte la fama stessa dell’Impero romano non oltrepassò mai il Gange e il Caucaso). Quest’ultima, per quanto riguarda la durata nel tempo, non può certo permanere in

681 Comm. cit., II, 10, 1. 682 C

ICERONE, Somnium Scipionis, 7, 1, in Repubblica, VI, 23. “E anche se le future generazioni umane desiderassero tramandare ai posteri le lodi di uno di noi, dopo averle ricevute dai loro padri, tuttavia, a causa dei diluvi e degli incendi delle terre, che necessariamente si producono in determinate epoche, non saremo in grado di conseguire una gloria non solo eterna ma neppure duratura”.

eterno visto che è sufficiente un’inondazione o una conflagrazione perché l’esistenza di tutte le cose terrene finisca.

Quest’ultimo passaggio consente a Macrobio di spostare il discorso sul dibattito concernente l’eternità del mondo683

. Il commentatore latino riporta, a questo riguardo, le due opposte concezioni684

: la prima, di matrice aristotelica, afferma che il mondo è eterno; la seconda, di matrice fisico-stoica, sostiene, invece, che il mondo è soggetto a distruzione ciclica prodotta dall’alternanza di inondazioni (causate dalla prevalenza dell’umido) e conflagrazioni (causate dalla prevalenza del caldo) che farebbero ricominciare ogni volta un nuovo mondo.

Macrobio, dopo aver riportato gli argomenti che sembrerebbero contraddire l’eternità del mondo685

, tenta di conciliare le due diverse concezioni: l’analisi del commentatore latino mira a dimostrare che la concezione della distruzione ciclica non nega necessariamente la possibilità di un mondo eterno. Macrobio supera l’opposizione tra queste due visioni individuando la continuazione del genere umano in alcune zone terrestri, come l’Egitto, le quali, essendo al riparo da inondazioni e conflagrazioni, garantiscono la continuità con il mondo precedente e, dunque, l’eternità.

A questo punto il commento macrobiano si sofferma sulla cause che generano le inondazioni e le conflagrazioni: i fisici ci insegnano che il fuoco etereo si nutre di liquido il quale alimenta il mondo e, quindi, anche il caldo; il sole (che genera il calore) si nutre a tal punto di questo liquido da assorbirlo totalmente e ciò produce un aumento tale della temperatura da infiammare l’aria (conflagrazione). Una volta raggiunta la massima intensità, il calore eccessivo si disperde per cui l’umidità lentamente ritorna: ma l’umido, a sua volta, si diffonde e si espande talmente da sommergere la terra (inondazione). Questa alternanza tra caldo e umido distrugge quasi interamente il globo terrestre ad eccezione di qualche zona (come l’Egitto): da

683 Sui problemi relativi alla teoria dell’eternità del mondo in epoca medievale si rimanda a L. BIANCHI, L’errore di Aristotele. La polemica contro l’eternità del mondo nel XIII secolo, Firenze 1984.

684 Comm. cit., II, 10, 4-5. 685

Questi argomenti, che si trovano in Ibid., II, 10, 6-8, sono: il progresso, l’età dell’oro (a cui segue una degenerazione della stirpe umana), il ricordo degli avvenimenti storici (che per i Greci non supera i duemila anni), la scoperta della scrittura (avvenuta in età recente), la tarda conoscenza di alcune cose come, ad esempio, le coltivazioni della vite e dell’olivo presso i Galli.

quest’ultima il genere umano riparte allorquando l’equilibrio tra caldo e umido si ristabilisce. L’esistenza di queste zone eccezionali come l’Egitto, conclude Macrobio, spiega anche come sia possibile la conservazione di monumenti e libri antichissimi.

VI. 5. 5. Le fonti

Allorquando introduce l’argomento riguardante la limitata possibilità di diffusione della gloria686

, Macrobio paragona la terra ad un punto: punctum, corrispondente al greco stigmé, è un termine tecnico dell’astronomia greca che è alla base di un topos etico-retorico abbastanza diffuso anche nel mondo latino687

.

Immediatamente dopo il commento macrobiano presenta un’elencazione delle ragioni che dovrebbero apparentemente confutare la teoria dell’eternità del mondo: il primo argomento è quello dello sviluppo piuttosto tardo della civiltà umana. In questo caso Macrobio sembra fondere due diverse concezioni: la prima, di matrice esiodea, riguardante il mito dell’età dell’oro688

e della successiva decadenza del genere umano; la seconda, probabilmente risalente a Democrito, che vede nella

chreìa (bisogno) la molla che spinge gradualmente l’uomo verso la civiltà. Alcuni

studi689 hanno messo in rilievo che la sintesi di queste due teorie evolutive del genere umano sono attribuite da Seneca690

a Posidonio: questa stessa sintesi sarebbe stata, inoltre, ripresa da Porfirio (Questioni omeriche) e Nemesio691. Proprio per il tramite di qualche fonte porfiriana, molto probabilmente il Commento al Timeo692, Macrobio riprenderebbe, in questa circostanza, la dottrina di Posidonio (che è ripetuta più estesamente alla fine di questo capitolo693) in cui si dice che gli uomini, per

686 Ibid., II, 10, 3. 687 A. T

RAINA, “L’aiuola che ci fa tanto feroci”. Per la storia di un ‘topos’, in Poeti Latini e

Neolatini, Bologna 1975, p. 321; FESTUGIERE, La Revel. d’Herm. cit., vol. II, p. 449. 688 E

SIODO, Le opere e i giorni, 109-201. 689 M

RAS, Macr. Komm. cit., pp. 270 ss.; A. R. SODANO, Quid Macrobius de mundi

aeternitate senserit quibusque fontibus usus sit, Ant. Cl., 32 (1963), pp. 48-62.

690

SENECA, Epistola 90. 691 J

AEGER, Nem. Von Em. cit., pp. 123-125. 692 S

ODANO, Quid Macr. cit., p. 53. 693 Comm. cit., II, 10, 15-16.

inclinazione naturale, passano dallo stato ferino alla vita di gruppo; successivamente l’emulazione, trasformandosi in invidia, spinge la società umana verso la decadenza. Tuttavia, in questo caso, non appare certa la derivazione posidoniana del passo macrobiano: la sintesi, presente alla fine del capitolo del Commentario, sembra supporre, anzi, uno stato di necessità che precede l’età dell’oro e che spinge gli uomini ad unirsi in gruppi694

. Quest’ultima osservazione sembra effettivamente escludere la derivazione posidoniana del passo macrobiano: il commentatore latino, seguendo una direttrice platonica, pare sviluppare soprattutto il mito della decadenza del genere umano (dall’età dell’oro a quella del ferro), inserendovi solo un accenno al bisogno materiale inteso come molla che spinge gli uomini a vivere in comunità. Anche il linguaggio adoperato da Macrobio, inoltre, sembra escludere l’intenzione di svolgere, in questi paragrafi, un discorso di carattere filosofico sulla necessità intesa come stimolo dello sviluppo della civiltà: espressioni come fabuletur antiquitas695 e simili sembrano confermare che l’intenzione macrobiana sia, nello specifico, semplicemente quella di esporre dei miti (tra cui compare quello della leggendaria regina babilonese Semiramide696).

Per quanto concerne le due concezioni opposte, l’una che nega l’eternità del mondo, l’altra che l’afferma, Macrobio attribuisce la prima tesi ai “fisici” e la seconda ai “filosofi”: con i primi il commentatore latino intende indicare in particolar modo Eraclito, Empedocle e gli stoici; la teoria dei filosofi, invece, è essenzialmente quella neoplatonica.

Riguardo alla prima concezione, già Eraclito affermava che il fuoco era l’elemento che a tutto dà vita e che tutto distrugge. Anche Seneca697

, inoltre, ci trasmette l’antica dottrina cosmologica secondo la quale il mondo si rinnova attraverso la multipla congiunzione dei pianeti in Cancro (distruzione per incendio) o in Capricorno (distruzione per diluvio). Gli stoici in generale, poi, aderiscono al mito dell’eterno ritorno: il mondo, infatti, nasce e perisce secondo una vicenda ciclica, come già aveva sostenuto Empedocle. Dopo un periodo di molte migliaia di anni ha luogo una ekpyrosis (conflagrazione universale) nella quale tutto si dissolve nel

694

G. PFLIGERSDORFFER, Studien zum Poseidonius, Wien 1959, p. 96. 695 Comm. cit., II, 10, 6.

696 Tale mito è riportato in D

IODORO SICULO, Biblioteca storica, II, 1-20. 697 S

fuoco: successivamente il fuoco artefice, coincidente con la ragione divina la quale contiene le ragioni seminali di tutte le cose, provvede alla ricostruzione del mondo (palingenesi), che ripercorre quindi un altro ciclo. La concezione del tempo basata sulla ciclicità è un patrimonio comune di tutta la civiltà greco-romana: basti ricordare il ciclico ripresentarsi delle costellazioni nel cielo e dei ritmi biologici naturali. A questa concezione ciclica del mondo terrestre (stampo del modello archetipo del movimento celeste) si oppone la dottrina cristiana del tempo lineare: in quest’ultima visione il tempo è un vettore che ha come traguardo la città celeste di cui la città umana è solo un riflesso negativo.

Tra quelli che Macrobio indica con “filosofi” (ossia i sostenitori dell’eternità del mondo) va annoverato, innanzitutto, l’Aristotele giovanile autore del trattato

Sulla filosofia698

. Su questa scia tracciata dallo Stagirita si inserisce anche la visione di Plotino il quale spiega nel seguente modo il rapporto tra tempo ed eternità: “il cosmo trascendente è ciò che non inizia in alcun tempo; perciò anche il mondo sensibile non ha alcun inizio temporale, poiché la causa del suo essere dona ad esso il prima”699. Quasi tutta la tradizione filosofica greca interpreta la nascita del tempo, presente in Timeo 28b, in modo allegorico e, quindi, in favore di una versione della procedenza causale in toto del tempo perpetuo dall’eternità. La dottrina cristiana, al contrario, interpreta in chiave creazionista il Demiurgo del Timeo: Platone, invece, non intende affatto proporre la tesi di una creazione ex nihilo in senso biblico, quanto piuttosto ipotizzare un’attività di riorganizzazione che l’Artefice opererebbe sul principio materiale a lui coeterno, facendo ricorso alle proporzioni matematiche in modo da conferire al mondo sensibile quell’ordine supremo ed immutabile proprio dell’Iperuranio.

La soluzione macrobiana, secondo cui conflagrazioni e inondazioni risparmierebbero la popolazione egiziana dalla quale ripartirebbe la civiltà umana, è di matrice sicuramente neoplatonica: il commentatore latino cita come fonte, in questo caso, solo il Timeo ed in particolare il racconto di Solone700

. Alla base del

698 R. P

HILIPPSON, Die Quelle der epikureischen Gotterlehre in Ciceros erstem Buche “De

natura deorum”, Symbolae Osloenses, 19, 1939, p. 27; J. PEPIN, Theologie cosmique et theologie

chretienne, Paris 1964, pp. 481 ss.

699 P

LOTINO, Enneadi, III, 7. 700 P

passo macrobiano, comunque, c’è il commento porfiriano al Timeo: questa derivazione sembra confermata dalla corrispondenza esistente tra questa parte del

Commentario e un brano di Agostino701

in cui viene appunto confutata l’opinione di chi sosteneva che gli Egiziani conservassero un ricordo assai più lungo della loro storia rispetto ad altre popolazioni702

. Qualche studioso703

, inoltre, ritiene probabile che Porfirio, in questa parte del proprio commento, segua, citando gli Egiziani, la dottrina posidoniana relativa al progresso della civiltà umana: Macrobio, invece, sembra richiamare la civiltà egiziana soprattutto per risolvere la questione dei cataclismi e delle conflagrazioni al fine di salvaguardare la teoria dell’eternità del mondo.

Particolarmente suggestiva, infine, è la dottrina, che Macrobio attribuisce ai “fisici”, secondo la quale il sole si nutre, come gli altri astri, di liquido704

: sia Plutarco705 che Porfirio706 sostengono che tale concezione appartiene all’ambito stoico.