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La posizione macrobiana sulle anime dei buoni governanti

La pars moralis: la concezione etica del Commentario

V. 4 2 La prospettiva macrobiana

V. 6. La posizione macrobiana sulle anime dei buoni governanti

Hanc tu exerce optimis in rebus; sunt autem optimae curae de salute patriae, quibus agitatus et exercitatus animus velocius in hanc sedem et domum suam pervolabit; idque ocius faciet, si iam tum cum erit inclusus in corpore, eminebit foras, et ea quae extra erunt contemplans quam maxime se a corpore abstrahet. Namque eorum animi qui se corporis voluptatibus dediderunt, earumque se quasi ministros praebuerunt, impulsuque lubidinum voluptatibus oboedientium deorum et hominum iura violaverunt, corporibus elapsi circum terram ipsam

volutantur, nec hunc in locum nisi multis exagitati saeculis revertuntur370.

Macrobio richiama, innanzitutto, la precedente distinzione tra virtù contemplative371

, proprie dei filosofi, e virtù attive372

, proprie dei legislatori: questi ultimi, per quanto estranei ad ogni tipo di scienza, si distinguono tuttavia per le proprie virtù pratiche che esercitano nell’amministrazione della cosa pubblica; i filosofi, dal canto loro, pur non avendo per natura alcuna attitudine all’azione, frequentano anch’essi assiduamente il mondo celeste in quanto indagano le cose superiori, allontanandosi da quelle effimere. Spesso, comunque, accade che in una medesima persona si possano trovare sia la perfezione nell’agire, sia quella nel filosofare: il commentatore latino inserisce nella categoria dei virtuosi attivi Romolo, in quella dei contemplativi Pitagora, in quella dei virtuosi attivi e contemplativi Licurgo, Solone, Numa e i due Catoni373

. Questo terzo genere di vita è il più

369 Comm. cit., II, 17, 2-3. Per l’importanza che riveste questo argomento nel Somnium

Scipionis si veda K. BUCHNER, M. Tullius Cicero: De Re Publica, Kommentar von K. BUCHNER, Heidelberg 1984, p. 506.

370 C

ICERONE, Somnium Scipionis, 9, 2–3, in Repubblica, VI, 29. “Esercita, dunque, l’anima nelle azioni più nobili; ebbene le occupazioni più elevate hanno come fine la salvezza della patria; l’anima, stimolata ed esercitata da esse, volerà più rapidamente verso questa dimora che le è propria; e lo farà con una maggiore velocità se, già quando è prigioniera del corpo, si eleverà al di fuori e, attraverso la contemplazione dell’aldilà, si allontanerà il più possibile dal corpo. Infatti le anime di coloro che si sono abbandonati ai piaceri corporei e si sono fatti quasi loro schiavi e che, sotto la spinta delle libidini che obbedicono ai piaceri, violarono le leggi divine e umane, una volta scivolate fuori dai corpi, si aggirano in volo intorno alla terra e non ritorneranno in questo luogo se non dopo molti secoli di peregrinazioni”.

371 Sul ruolo di queste virtù nel mondo greco-romano si rimanda a A. G

RILLI, Il problema

della vita contemplativa nel mondo greco-romano, Brescia 2002.

372 Sull’eventuale coinvolgimento personale di Macrobio riguardo alle virtù attive si veda J. WYTZES, Der letzte Kampf des Heidentums in Rom, Leiden 1977, pp. 126 ss.

completo in quanto unisce alle virtù attive (che si rilevano nelle parole che l’Africano rivolge al nipote: Esercita, dunque, l’anima nelle azioni più nobili; ebbene le

occupazioni più elevate hanno come fine la salvezza della patria; l’anima, stimolata ed esercitata da esse, volerà più rapidamente verso questa dimora che le è propria...) quelle contemplative (come si può evincere da queste altre sue parole ...e lo farà con una maggiore velocità se, già quando è prigioniera del corpo, si eleverà al di fuori e, attraverso la contemplazione dell’aldilà, si allontanerà il più possibile dal corpo...): il consiglio che l’Africano rivolge al nipote, dunque, è duplice in

quanto lo invita sia all’esercizio delle virtù politiche nella vita attiva, sia al disprezzo del corpo quando si è ancora in vita. A questo punto Cicerone, dopo aver parlato dei doni di cui beneficiano le anime dei virtuosi, introduce le pene che subiscono quelle anime che trasgrediscono gli anzidetti precetti: il mito platonico di Er, enumerando gli infiniti secoli che le anime dei colpevoli sono costrette a trascorrere nel Tartaro prima di ritornare alla loro divina origine, fa intuire a quali terribili punizioni esse siano sottoposte per purificarsi. Quanto maggiore è l’attaccamento di un’anima al corpo tanto maggiore sarà il tempo necessario perché essa possa purificarsi per risalire alle regioni superne374.

V. 6. 1. Le fonti

Per quanto riguarda le fonti c’è l’iniziale riferimento alle quattro virtù e, di conseguenza, alle opere di Platone, Plotino e Porfirio di cui si è già detto. Sono poi richiamati i Saturnali375 in cui Macrobio dedica ampio spazio all’opera politica di Romolo. Il presupposto pitagorico–platonico che conduce l’anima ad ascendere al cielo dopo la morte corporea attraverso una serie di passaggi è presente in Plutarco376. La concezione per cui le anime dei colpevoli sono costrette a espiare le colpe nel Tartaro per poter poi ritornare pure alla loro patria deriva da Platone377.

Macrobio conclude la propria opera con una citazione etica in quanto intende omaggiare Cicerone (e con lui la cultura romana) per il quale la moralità costituisce 374 Ibid., II, 17, 14. 375 M ACROBIO, Saturnalia, I, 12, 3-38. 376 P

LUTARCO, Vita di Romolo, 28, 7-8. 377 P

il fondamento da cui nessuna organizzazione statale può prescindere. Il commentatore, da un punto di vista contenutistico, si limita, quindi, a riprendere sostanzialmente la questione delle quattro virtù già esaurientemente affrontata in precedenza, ribadendo, in contrasto con le sue fonti greche, la centrale importanza delle virtù politiche. Proprio attraverso il ritorno alla sfera etica, Macrobio porta a compimento quella sintesi, tra cultura greca e romana, che già aveva lasciato intravedere precedentemente allorquando, elevando lo statuto delle virtù pratiche, le aveva poste sullo stesso piano di quelle contemplative: qui, dunque, il commentatore latino, pervenendo a quel definitivo sincretismo comprendente l’ideale neoplatonico e la forma mentis romana, afferma che sia le virtù contemplative dei filosofi, sia quelle pratiche dei reggitori, rendono allo stesso modo beati coloro che le praticano. La parte più interessante del commento di questa citazione consiste nell’individuazione, da parte di Macrobio, di una terza via per raggiungere la beatitudine che fonde e contempera tra loro virtutes otiosae e virtutes negotiosae: l’esaltazione di questo terzo genere di vita, del quale sono illustri rappresentanti eminenti personaggi quali Licurgo, Solone, Numa e Catone, è quello a cui deve ambire lo stesso Emiliano. Un elemento particolarmente importante da notare è che questo elenco dei rappresentanti delle virtù presente nel Commentario coincide quasi interamente con quello proposto da Dante nel Convivio378: questo avvalora l’ipotesi che anche il poeta fiorentino si sia servito, seppur indirettamente, di alcune dottrine presenti nello scritto macrobiano379

.

Un’ulteriore osservazione, poi, va fatta riguardo al modo con cui Macrobio utilizza queste illustri personalità storiche; come, ad esempio, avviene nel caso di Catone il Censore, il commentatore latino non fa riferimento al personaggio storico in senso stretto, quanto piuttosto alla sua immagine idealizzata, descritta e prodotta da Cicerone in vari suoi scritti, in particolare nel Cato Maior de senectute: in quest’opera, ambientata nel 150 a.C. ossia un anno prima che Catone morisse, l’Arpinate impartisce una vera e propria lezione sull’immortalità dell’anima e sull’attesa della vita ultraterrena. Se Macrobio lo rievoca solo idealmente per i suoi

378 D

ANTE, Convivio, IV, 5, 10 e IV, 27, 3. 379 A. P

EZARD, Dante et Macrobe: la tierce voie de beatitude, in «Orbis Mediaevalis», Melanges offert a R. R. Bezzola, Berna 1978, pp. 281 ss.

meriti, nella realtà storica, invece, Catone è soprattutto ricordato per la sua dura e aspra lotta contro la cultura pitagorica ed ellenistica che lo porta spesso ad intentare pretestuosi processi contro gli Scipioni ed il loro raffinato circolo intellettuale. Che il commentatore latino, in questo passaggio finale del suo scritto, si riferisca principalmente al carattere ideale e non storico dei personaggi sembra trovare conferma anche nella figura di Licurgo: al politico spartano, infatti, è accreditata da Plutarco una duplice perfezione che investe, al contempo, tanto il campo della saggezza quanto quello dell’azione politica: “...Licurgo mostrò, a chi crede irrealizzabile la figura del saggio com’è delineata nella teoria, una città intera praticare l’amore per la saggezza, e superò giustamente per fama gli statisti greci di qualsiasi epoca”380

.

Nella conclusione del proprio scritto381

, Macrobio ritorna al mito di Er che era stato il punto di partenza della sua trattazione382: questo dimostra ancora una volta l’accuratezza stilistica dell’autore che nell’epilogo si richiama all’esordio383. Va anche notato che, poco dopo384, il commentatore latino valuta il ritorno delle anime in cielo come definitivo e questo spiega il perché la durata totale delle reincarnazioni sia considerata, più che attraverso i meriti, soprattutto secondo i demeriti dell’anima: Macrobio, infatti, proporziona il castigo alla colpa e non la ricompensa al merito e ciò avviene, appunto, perché egli valuta la ricompensa dell’anima come eterna e, dunque, incommensurabile385.

Un’ultima osservazione va fatta per l’aggettivo peregrinae con cui Macrobio designa l’anima386

: la visione secondo cui l’anima sarebbe straniera al mondo è una teoria comune a molte dottrine gnostiche387

.

380 P

LUTARCO, Licurgo, 31. 381 Comm. cit., II, 17, 13. 382 Ibid., I, 1, 9.

383 M

RAS, Macr. Komm. cit., p. 278. 384 Comm. cit., II, 17, 14.

385

FLAMANT, Macr. et le Neoplat. cit., p. 626. 386 Comm. cit., II, 17, 14.

387 J. F

LAMANT, Elements gnostiques dans l’oeuvre de Macrobe, in «Studies in Gnosticism and Hellenistic Religions presented to G. Quispel», Leiden 1981, p. 134.