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Risposta alle critiche dell’epicureo Colote riguardo al valore filosofico del mito

Il Commentario macrobiano: la sezione introduttiva

IV. 2. Risposta alle critiche dell’epicureo Colote riguardo al valore filosofico del mito

Su quest’ultima discussione, concernente il valore filosofico del mito, si innesta una seconda questione ossia il rapporto tra mito e verità: Cicerone, pur preferendo adottare il più realistico elemento onirico rispetto a quello mitico, si duole, rileva l’autore nel Commentario, nel dover constatare l’esistenza di validi pensatori, quali gli epicurei, che considerano il mito platonico una forma gnoseologica che allontana dalla verità. Nel secondo capitolo di questa sezione introduttiva, infatti, Macrobio confuta la critica principale che la dottrina epicurea, nella persona di Colote160

, muove al valore conoscitivo del mito platonico: il commentatore latino, sulla scorta di Porfirio, tenta di svilire l’accusa epicurea tentando di conciliarla con gli indirizzi esegetici del neoplatonismo. C’è da precisare che Cicerone, nella propria opera, non cita mai in modo specifico Colote: partendo da questo presupposto qualche studioso161

è convinto che il riferimento puntuale di

160 Si tratta di Colote di Lampsaco (III secolo a.C.), pupillo di Epicuro, che scrive vari libri, di cui rimangono solo frammenti nei papiri di Ercolano, contro diversi dialoghi platonici. La sua più celebre opera, intitolata Non è possibile vivere secondo le dottrine degli altri filosofi, provocherà l’immediata replica di Plutarco presente nell’opuscolo Contro Colote. Sull’antiplatonismo di Colote si veda F. ROMANO, Porfirio di Tiro, Catania 1979, p. 170.

161 M

Macrobio all’allievo prediletto di Epicuro derivi dal fatto che, nello specifico, il commentatore latino utilizza come fonte il perduto commento alla Repubblica platonica di Porfirio, in cui il filosofo neoplatonico citava direttamente Colote. La discendenza diretta del Commentario dallo scritto porfiriano in questo punto trova ulteriore conferma nell’opera di Favonio Eulogio: quest’ultimo, nel commentare lo stesso passo del Somnium in questione, infatti, non fa alcun riferimento a Colote ma si limita semplicemente a parlare della dottrina epicurea in generale (Fabulas

incredibiles quas Epicurei derident…162

). Il modo di procedere di Macrobio, inoltre, trova riscontro in quello di Proclo163

per cui è lecito supporre che il commento di Porfirio sia la fonte comune cui attingono sia il commentatore latino che il filosofo neoplatonico164

.

Venendo al contenuto della questione, l’accusa fondamentale formulata da Colote si può così riassumere: l’indagine dei fenomeni celesti o la ricerca della natura dell’anima non necessitano di alcun ricorso a finzioni sceniche o a situazioni straordinarie ed irreali, anzi il vero esige semplicità, per cui occorre accedere alla verità nel modo più diretto possibile; la menzogna, al contrario, non fa che insozzare la porta stessa del tempio della verità: tale accusa, fa notare Macrobio, investe, oltre che il mito di Er, anche il sogno ciceroniano. La confutazione macrobiana della critica di Colote parte da un’iniziale e complessa classificazione dei miti: il risultato ultimo, compimento delle varie suddivisioni interne operate dal commentatore latino165

, porta alla luce due tipologie generali di miti, alla prima appartengono quelli che la filosofia stessa rigetta, alla seconda quelli che, invece, accoglie. Nella prima categoria sono annoverate le favole e le avventure romanzesche che servono esclusivamente ad affascinare gli spettatori, come quelle di Petronio e Apuleio; della seconda, invece, fanno parte i miti dei rituali sacri, dei misteri e della genealogia divina, nonché le arcane massime pitagoriche: Orfeo, Esiodo e Pitagora. Questa distinzione macrobiana si richiama alla Repubblica platonica: qui il filosofo ateniese da un lato condanna i miti empi e scandalosi che devono essere banditi dalla città,

162 F

AVONIO EULOGIO, Disputatio de Somnio Scipionis, I, 1. 163 P

ROCLO, Commento alla Repubblica di Platone, G. Kroll, Leipzig 1899–1901, p. 96. 164

REGALI, Macr. Comm. al Somn. Scip. cit., p. 217.

165 Sulla carenza di organicità della trattazione macrobiana rispetto a quella di Porfirio si veda A. R. SODANO, Porfirio commentatore di Platone, in «Entretiens sur l’Antiquité classique», Vandoeuvres-Geneve 1965, p. 10.

dall’altro elogia quelli il cui significato letterale non è sconveniente e che, dunque, sono degni di rientrare nella sfera dell’indagine filosofica166

. Occorre osservare che il neoplatonismo non fa propria questa divisione platonica in quanto, secondo la dottrina neoplatonica, nessun mito, per quanto assurdo possa essere, risulta empio dal momento che esso può rappresentare, in ogni caso, un valido stimolo per la ricerca della verità nascosta167

. Quindi, nello specifico, Macrobio sposa integralmente la concezione platonica a discapito di quella neoplatonica: questa predilezione per Platone è un leitmotiv che si riproporrà frequentemente nel Commentario considerato che, per il suo autore, il filosofo di Atene resta il pensatore ispirato per antonomasia, l’autorità massima ed infallibile. In nessun punto della propria opera Macrobio metterà mai in dubbio la dottrina di Platone anzi spesso tenterà di conferirle un valore universale, facendola concordare con quelle attribuite agli Egizi o ai Caldei168

. Da un punto di vista retorico Macrobio giunge alla divisione finale dei miti attraverso il principio dialettico della divisio, ossia procedendo per graduali e successive dicotomie interne169: questa progressiva classificazione dei miti che così scaturisce è del tutto originale in quanto essa non trova riscontro alcuno né in Proclo, né in nessun altro filosofo solitamente richiamato come fonte nel Commentario. Questa accurata suddivisione, inoltre, permette al commentatore latino di dare dimostrazione della propria profonda preparazione retorica e dialettica: egli, infatti, passa meticolosamente in rassegna le varie tipologie di narrationes, fabulae,

argumenta e i diversi autori latini che le incarnano (sono citati, più o meno

direttamente, Varrone, Menandro, Petronio, Quintiliano, Apuleio, Orfeo, Esiodo). Questa parte dell’opera macrobiana costituisce un vero e proprio compendio del pensiero antico sul mito: la fabula, ad esempio, che è una finzione inventata da un autore, pur avendo una superficie narrativa falsa nasconde tuttavia una verità più profonda170

. Detta fabula comprende, inoltre, una serie di racconti: le favole degli

166 P

LATONE, Repubblica, 378d–e. 167 J. P

EPIN, Porphyre exegete d’Homere, in «Entretiens sur l’Antiquité classique»,

Vandoeuvres-Geneve 1966, pp. 255 ss. 168

E. DES PLACES, Platon et l’astronomie chaldeenne, in «Melanges Cumont», Bruxelles 1936, pp. 129-142.

169 Tali suddivisioni distinguono argumenta, narrationes, comoediae, etc. 170 Questo parere è comune a molti retori del secolo IV, da Teone ad Aftonio.

animali, i miti eziologici che illustrano i rituali, i miti teogonici e cosmologici di Esiodo, Orfeo, Pitagora, i miti filosofici inventati da Platone e dai suoi seguaci.

Macrobio, successivamente alla suddivisione dei miti, prosegue la sua confutazione dell’accusa epicurea notando che i filosofi non utilizzano l’elemento mitico in maniera indistinta; essi, infatti, ricorrono al mito solo quando la ricerca ha per oggetto l’Anima, le potenze celesti e tutte le altre divinità intermedie, non certo quando la loro indagine filosofica si eleva all’Intelletto, che comprende in sé le forme originarie delle cose, o, addirittura, alla divinità somma, cioè al Dio Supremo. Intelletto e Bene, infatti, non possono essere né descritti dalla parola umana, né tanto meno afferrati dall’intelligenza, per questo motivo Platone, quando discute del Bene, si astiene dal definirlo e per descriverne l’essenza è costretto a ricorrere alla similitudine del sole che illumina il mondo sensibile171

. Implicitamente è richiamato, in questa parte del Commentario, anche Porfirio il quale interpreta molti miti omerici considerandoli esclusivamente in relazione alle anime e alle entità inferiori172. Macrobio giustifica, quindi, l’utilizzo dei miti, seppur limitandolo all’Anima e alle divinità intermedie, nel seguente modo: il ricorso dei filosofi all’elemento mitico non è un puro divertimento ma trova la sua necessaria ragione nel fatto che la natura detesta esporsi nuda e senza veli ai rozzi sguardi degli uomini comuni; per questo, esigendo che solo i saggi si occupino dei suoi segreti, essa si cela dietro narrazioni simboliche che possono, appunto, essere penetrate solo da uomini eminenti. Ecco il motivo per cui gli stessi misteri sono protetti da segreti meandri di simboli che solo la capacità ermeneutica di pochi può decifrare e, così, giungere all’arcano della verità: a questa gli uomini comuni devono accontentarsi solo di tributare venerazione. Le figure mitiche, dunque, cui sono ricorsi Pitagora, Empedocle, Parmenide, Eraclito, sono necessarie in quanto impediscono che il segreto possa diffondersi tra il volgo. A questo proposito Macrobio introduce un aneddoto su Numenio173

il quale, ardente investigatore delle dottrine esoteriche, fu rimproverato

171 P

LATONE, Repubblica, VI, 508a–509b. 172 P

ORFIRIO, De antro nympharum, 10. 173

Filosofo greco vissuto nella seconda metà del secolo II d.C. ed esponente di spicco del medioplatonismo. Egli compie una sintesi tra dottrine platoniche, pitagoriche e teologiche orientali proponendo una concezione universalistica: dei suoi scritti (Del bene, Delle dottrine segrete di

in sogno dalla divinità che lo reputò colpevole di aver divulgato l’interpretazione dei misteri eleusini: questo sogno di cui parla il commentatore latino non è presente in nessuna altra fonte.

Macrobio, poi, attribuisce alla similitudine e alla metafora un valore gnoseologico superiore a quello mitico: mentre, infatti, quest’ultimo si ferma all’Anima e alle potenze intermedie, la conoscenza per analogia (ad similitudines et

exempla174

) è applicata, dal commentatore latino, al dominio del soprannaturale costituito dall’Uno e dall’Intelletto. Il mito e la metafora (o similitudine), pur identici strutturalmente175

, presentano una differenza contenutistica: all’oggetto fantastico del mito, infatti, la similitudine oppone il dato (o l’esempio) dell’esperienza concreta dell’immagine metaforica176

. Ecco, dunque, che metafora e similitudine, vie tradizionali della teologia negativa, costituiscono per Macrobio i mezzi più idonei a rendere comprensibili le realtà più elevate. Nello specifico il commentatore latino, però, sembra trascurare l’aspetto comune che lega mito e metafora: Plotino, invece, essendo ben consapevole della dialettica esistente tra questi due processi simbolici, li considera strettamente connessi: la metafora diviene, nell’esposizione plotiniana delle realtà più elevate, un risultato del mito177.

In questa parte del Commentario appare chiaro il riferimento macrobiano alla triade neoplatonica di Uno– Intelletto–Anima, qui affrontata in maniera tangenziale, ma che verrà trattata esaurientemente in seguito178. Tralasciando, dunque, le tre ipostasi di cui si discuterà analiticamente più avanti, è opportuno concentrare l’attenzione sull’elemento mitico che caratterizza l’Anima, le potenze divine intermedie, gli altri dèi e i culti misterici connessi. In piena linea neoplatonica, Macrobio sostiene che all’Anima (e conseguentemente a tutte le potenze che da essa derivano) è possibile applicare l’elemento mitico: a differenza dell’Uno e dell’Intelletto, infatti, la terza ipostasi può essere oggetto di rappresentazione simbolica in quanto più prossima al mondo sensibile (il quale, tra l’altro, è una sua

precursore del neoplatonismo e la sua grande influenza su Plotino è attestata anche da Porfirio (Vita di

Plotino, 14 e 17).

174 Comm. cit., I, 2, 14. 175

E. CASSIRER, Linguaggio e mito, Milano 1968, p. 94. 176 M. D

I PASQUALE BARBANTI, La metafora in Plotino, Catania 1981, pp. 51 ss. 177 P

LOTINO, Enneadi, III, 5, 9. 178 Comm. cit., I, 14, 1.

emanazione). Lo stesso principio vale per le divinità intermedie e gli “altri dèi”: per la dottrina neoplatonica le potenze dell’aria e dell’etere sono i demoni, entità intermedie tra gli dèi e gli uomini; i restanti dèi, cui Macrobio fa riferimento, sono le tradizionali divinità della mitologia pagana e delle religioni orientali. Per quel che concerne i culti misterici c’è da rilevare che l’associazione tra conoscenza e iniziazione ai misteri è presente in Platone, nei neoplatonici e anche negli stoici (Cleonte e Crisippo): la filosofia come iniziazione che conduce l’uomo dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza si trova nel Fedone (69c-d) e nello stesso Plotino che, iniziato ai misteri isiaci, ricorre all’analogia dei riti misterici per descrivere simbolicamente l’ascesa dell’anima verso la contemplazione del Bene179

. Questo topos, secondo cui il mito è particolarmente adatto alle iniziazioni e ai misteri, è sostenuto anche da Giuliano180

.

Il passaggio finale dell’argomentazione macrobiana presenta un’indubbia inesattezza: dei quattro filosofi che l’autore cita, infatti, solo Pitagora ricorre realmente a figure mitiche che, invece, sono del tutto assenti negli altri tre. Empedocle, anzi, polemizza apertamente sia nei confronti delle rappresentazioni simboliche delle divinità che verso i miti poetici i quali danno credito all’antropomorfismo del divino181. Lo stesso Eraclito non è tenero nei confronti dei mitografi e condanna duramente Omero e Archiloco182. Questa apparente inesattezza del Commentario, però, trova una spiegazione se la si inquadra in un discorso più ampio: il commentatore latino cita scientemente questi quattro pensatori in quanto il suo vero scopo è dimostrare che è impossibile parlare degli dèi senza assegnare loro attributi umani. Ebbene Empedocle e Parmenide, pur condannando entrambi l’antropomorfismo religioso, rispettivamente nel Poema fisico e nel De natura si contraddicono: nel primo, infatti, dopo aver sostenuto che l’origine di tutto deriva dai quattro elementi, Empedocle identifica fuoco, terra, aria e acqua con quattro divinità, Zeus, Era, Edoneo, Nesti. Parmenide, poi, nel De natura, per descrivere l’accesso alla conoscenza, ricorre alla narrazione mitica di un viaggio favoloso compiuto da un

179

PLOTINO, Enneadi, I, 6, 7 e VI, 9, 11. 180 G

IULIANO APOSTATA, Contra Heraclium, 216b. 181 E

MPEDOCLE, Frammenti, 31B134, Diels–Kranz. 182 A

uomo che, condotto da un carro solare guidato dalle figlie di Helios, giunge presso la divinità la quale gli fornisce opportuni chiarimenti sulla verità dell’essere183

.

In conclusione si può osservare che Macrobio, al fine di dimostrare la bontà gnoseologica del mito in ambito filosofico, ricorre ad un suo progressivo affinamento che passa attraverso due filtri che lo depurano da quelle incrostazioni che hanno dato àdito alla critica epicurea: il primo filtro è rappresentato dalla progressiva suddivisione interna che conduce alla distinzione ultima tra mito favolistico e mito filosofico; il secondo filtro è di natura contenutistica: il mito filosofico non è mai adoperato per la trattazione di argomenti elevati, quali l’Uno o l’Intelletto, ma solo per questioni più prossime all’uomo, quali l’Anima, le divinità intermedie e i riti ad esse collegati. Il ricorso a narrazioni mitiche, in questo caso, è una necessità in quanto queste entità superiori, non volendosi mostrare nella propria essenza a tutti, si celano dietro intricati meandri simbolici e mitici.