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Si è parlato prima dell’alternarsi ciclico tra attesa e urgenza nello spazio di confine, tra la routine consolidata che compone le attività di gestione e controllo confinario e la frenesia dei momenti del salvataggio. È a partire da questo tempo ciclico che possiamo considerare il funzionamento dell’hotspot e le procedure che lo caratterizzano. Descrivere le attività è il fondamento per l’analisi di questo dispositivo che verrà effettuata nel capitolo successivo. Per delineare quindi le attività che vengono svolte all’interno di questa struttura possiamo partire dal momento apicale della dimensione dell’emergenza, quello dello sbarco.

La notizia di un imminente sbarco viene comunicata all’interno della struttura dai funzionari di polizia a operatori e personale sanitario: chi non è presente viene avvertito con un messaggio sul cellulare – è il caso dei rappresentanti di organizzazioni internazionali come OIM e UNHCR e del personale medico non presente in struttura. Benché le operazioni di SAR compiute nel Mediterraneo centrale comportino per la maggior parte delle volte un’attesa tra le 24 e le 48 ore tra il salvataggio in mare vero e proprio e l’arrivo al porto, molto spesso il personale viene avvertito solo poche ore prima dell’imminenza di uno sbarco. Al momento dell’arrivo dell’imbarcazione al porto, il medico incaricato dell’Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF), sale a bordo ed effettua una prima rico- gnizione per individuare l’eventuale presenza di persone decedute, di donne in stato di gravidanza avanzata o di persone per le quali è evidente la necessità di un ricovero ospedaliero non appena sbarcate. È questo funzionario che è incaricato di verificare la necessità o meno di disporre di un periodo di quarantena per i migranti presenti sulla nave in caso di focolai di malattie contagiose e diffusive. È questo stesso funzionario che determina l’effettivo inizio delle operazioni di sbarco. In questa fase viene assegnato dal personale sulla nave a ciascun migrante un

braccialetto di plastica con un numero che identifica la persona e una lettera che indica lo sbarco.

Nel momento in cui le persone scendono dalla imbarcazione, sulla banchina, sotto un tendone da campo, ha luogo il primo screening sanitario che consiste in un veloce controllo per verificare la presenza di malattie contagiose o lesioni. Contemporaneamente avviene la prima procedura di identificazione, cioè la fotosegnalazione da parte delle forze dell’ordine – identificativo assegnato e fotografia – e, mano a mano che le persone completano questa pro- cedura e attendono il trasferimento in struttura, ha luogo l’informativa sulla possibilità di fare richiesta d’asilo. La dimensione securitaria appare centrale in questa fase, dal momento che per questo tipo di attività non è riservato, in banchina, nessuno spazio che viene invece ritagliato nei momenti d’attesa. Gli operatori delle organizzazioni internazionali effettuano quindi informative non a livello individuale ma per gruppi, con la possibilità che i migranti non ricevano adeguate informazioni sui propri diritti:

«Intervengono nel senso che sono sulla banchina ma non c’è un protocollo. Queste associazioni sono lì e se hanno sentore che ci sia qualcuno particolarmente sofferente o colgono espressioni… Siamo a que- sto livello: non è uno spazio ricavato in cui scendi dalla nave e mi dici com’è andata, dove sei stato. Quello che prevale […] è l’aspetto che riguarda “chi sono? da dove vengono?”, “Identificarli e poi ve- dremo quali sono i loro problemi”.» (M. P.)

L’aspetto securitario ha spesso la precedenza su quello medico: in caso in cui le forze dell’ordine e gli agenti di Frontex vogliano interrogare eventuali testimoni o sospetti per individuare gli “scafisti”, questi vengono prelevati

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non appena sbarcati, fatti esaminare velocemente dal personale sanitario e trasferiti negli uffici di polizia in strut- tura.

«Mi è capitato di vedere che un tot – 10 o 15 o 8 – venivano avviati a una corsia preferenziale, per cui “guardatemeli subito se hanno la scabbia o se hanno problemi medici che poi ce li dobbiamo portare nell’ufficio della polizia perché questi erano testimoni”. » (R. P.)

Dopo questo passaggio, i migranti vengono trasferiti su pullman dalla banchina all’hotspot, che dista circa 500 metri. Arrivati al centro, si forma una nuova fila per un successivo screening sanitario e la eventuale separazione dei malati infettivi, che vengono sottoposti a cure dedicate, come si vedrà nel dettaglio nel capitolo successivo. Successivamente, i soggetti vengono registrati, vengono rilevate le impronte e passano la preselezione, cioè un’inter- vista effettuata da polizia e agenti di Frontex in cui viene somministrato il cosiddetto “foglio-notizie”: documento in cui viene effettuata di fatto la prima distinzione tra “migrante economico” e “richiedente asilo”. Il foglio-notizie consta di 5 domande la cui risposta è determinante per l’assegnazione del migrante a uno specifico percorso, tra accoglienza e rimpatrio. In questa stessa fase, ai soggetti vengono sequestrati gli effetti personali e assegnato un kit con i beni di prima necessità per la permanenza nel centro. In particolare, viene sequestrato il cellulare, che viene utilizzato dalle forze dell’ordine per raccogliere eventuali informazioni su come è avvenuto l’attraversamento del Mediterraneo – la presenza di reti criminali, la loro estensione.

Infine, i migranti hanno accesso al centro, cioè agli “stanzoni” descritti in precedenza, il cui arredamento è com- posto quasi unicamente dai letti o solo da materassi. Da questo momento, inizia l’attesa per il trasferimento agli hub regionali e quindi ai centri di seconda accoglienza distribuiti su tutto il territorio nazionale. In teoria, la perma- nenza in struttura non dovrebbe superare le 72 ore, ma le testimonianze dirette raccontano una realtà differente, con periodi di attesa anche di alcune settimane soprattutto nel caso di minori non accompagnati.

«Ci sono stati momenti dove c’erano 200 minori non accompagnati: rimangono 20 giorni, un mese, due mesi a fronte del fatto che è un hotspot. Questo perché naturalmente non ci sono posti in strutture.» (M. P.)

La dimensione dell’attesa contraddistingue la permanenza nella struttura:

«La giornata di queste persone passa tra il letto e il gradino del marciapiede del cortile» (R. P.)

Questa condizione è aggravata dal fatto che non sempre ai migranti viene permesso di uscire dall’hotspot e che, quando questo accade, il centro abitato è difficilmente raggiungibile. In un contesto di inattività e di difficoltà nella comunicazione con chi opera nell’hotspot per la carenza di mediatori, l’ambulatorio presente nel centro si rivela l’unico spazio dove potere avere un rapporto diretto con del personale, medici e infermieri: uno spazio di comu- nicazione, seppure inserita nel rapporto medico-paziente. La maggior parte dei medici e dello staff sanitario di cui ho raccolto la testimonianza hanno raccontato di lunghe code fuori dall’ambulatorio a tutti gli orari, a fronte di problemi sanitari spesso non molto gravi:

«C’era molta fila in ambulatorio, molti migranti venivano per le cose più minute: il 50% delle richieste mediche erano inutili dal punto di vista medico ma evidentemente utili dal punto di vista umano. Sem- brava che volessero essere “coccolati”.» (G. M.)

Questo ruolo di presenza rassicurante per i migranti viene percepita anche dallo stesso personale sanitario:

«A noi non interessa, dal punto di vista sanitario noi abbiamo il primo dovere che è quello di soccorrerli, ma fondamentalmente di far capire che non siamo forze di difesa o di aggressione. Quindi l’accoglienza è fondamentale.» (M. P.)

Questa attesa viene spezzata dal trasferimento, che spesso viene determinato dall’imminenza di un altro sbarco. I minori non accompagnati sono sotto la responsabilità del Comune in cui vengono accolti, in questo caso quello di Pozzallo, e il loro trasferimento è gestito dall’Ufficio minori, diversamente dagli adulti. La ricerca di strutture idonee viene effettuata in primo luogo sul territorio siciliano e poi, in caso di mancanza di posti, nelle regioni limitrofe. L’Ufficio immigrazione interno all’hotspot, invece, si occupa dei trasferimenti di adulti e famiglie su tutto il

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territorio nazionale. La destinazione dei trasferimenti è spesso sconosciuta agli stessi funzionari e operatori e anche in questo caso ci sono differenze tra trasferimenti gestiti dall’Ufficio minori e quelli gestiti dall’Ufficio immigra- zione:

«Con i minori sai il centro anche se non è in provincia di Ragusa: che è in Sicilia sai dove va, la città e il centro, attraverso l’ufficio minori. Mentre quando si tratta di ufficio immigrazione sai solamente la re- gione di destinazione.» (S. A.)

Un elemento dirimente per il trasferimento dei soggetti dall’hotspot a un’altra struttura – di cui si parlerà nello specifico nel capitolo successivo – è il certificato per il trasferimento, che deve avere il beneplacito del medico responsabile in quel momento in struttura. Così riassume un’operatrice sanitaria:

«Non possono essere trasferiti senza il consenso del medico. Bisogna valutare il momento in cui ci deve essere un trasferimento […], l’ufficio immigrazione chiede un parere a un medico, il medico deve dare l’ok per la situazione sanitaria. […] Nel trasferimento l’ultima parola spetta sempre al medico perché i certificati li firma il medico e quindi lui ha l’ultima parola e decide lui in ultima analisi chi può partire, chi non può partire, chi deve partire con la terapia che noi consegniamo.» (S. A.)

Dal momento che il centro viene sostanzialmente svuotato per preparare il successivo sbarco, nei trasferimenti vengono spostate di volta in volta un centinaio di persone che sono poi “distribuite” all’interno di tutto il territorio nazionale. Ciò che subentra allora nell’hotspot è l’attesa per il personale che vi opera: staff sanitario, operatori, funzionari di polizia e delle agenzie europee. A seconda del periodo dell’anno questo intervallarsi ciclico può assu- mere ritmi differenti: nel periodo estivo, in cui le condizioni meteo sono generalmente più favorevoli alla naviga- zione e quindi i tentativi di attraversamento sono più frequenti, vengono organizzati più sbarchi programmati nel corso di una settimana ai quali non sempre corrisponde il trasferimento dei migranti già presenti in struttura. Con- siderato che gli sbarchi più numerosi contano diverse centinaia di persone, si sono verificati casi di estremo sovraf- follamento, tra le 800 e le 1000 presenze. In questo caso, essendoci comunque un paio di medici per tutta la struttura a effettuare gli screening sanitari, le procedure che seguono lo sbarco possono durare molte ore, a oltranza e ad un ritmo frenetico per tutti gli attori coinvolti. Questa condizione di sovraffollamento ha caratterizzato – come riportano le mie fonti – l’estate del 2016 e, a momenti alterni, anche l’estate del 2017. Come è stato ricordato prima, il sovraffollamento porta anche a una completa trasformazione degli spazi dell’hotspot:

«[giugno 2017] Già sono iniziati gli sbarchi di seicento… sì seicento: questo è un centro che ne accoglie duecento, duecentocinquanta comodamente, quindi seicento dove li metti? […] Sperimenti l’impotenza, vedi questa massa di gente, addirittura monti le tende fuori, le tende militari... Dentro materialmente anche se incastri i lettini, i materassi, tutti non entrano. Io penso che al massimo qua dentro [all’interno della struttura] c’è stato fra i trecento e i quattrocento, ma significa che tu non puoi camminare perché è cosparso di materassi. Anche l’anno scorso, luglio e agosto, quando sono iniziati questi sbarchi grossi di cinquecento, seicento, abbiamo messo addirittura le tende fuori.» (S. A.)

In altri momenti dell’anno invece la pressione è minore: gli sbarchi sono meno frequenti e a bordo vi sono meno persone. In questi periodi l’hotspot rimane chiuso per alcuni giorni, i pochi migranti eventualmente presenti sono trasferiti in altre strutture.

Questa ciclicità e i continui cambiamenti che caratterizzano il funzionamento dell’hotspot proiettano l’esperienza dello stesso personale della struttura, in particolare quello permanente come gli operatori della cooperativa che la gestisce e il personale sanitario, in una dimensione caratterizzata dal provvisorio, dal temporaneo, dall’indetermi- natezza.

Conclusioni

In questo capitolo si è esaminato in modo dettagliato quello che è l’approccio hotspot concentrandosi da un lato sul suo ruolo e la sua posizione nel complesso del regime confinario europeo e delle politiche migratorie dell’Unione, evidenziando la logica sottesa e le sue derivazioni; dall’altro lato su come la specifica implementazione di tale dispositivo nel contesto di una zona di confine nel Mediterraneo centrale che ha visto una stratificazione decennale di tecnologie dell’apparato confinario abbia prodotto pratiche e procedure distinte. Da un lato, quindi,

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è emerso come l’approccio hotspot sia uno snodo cruciale nel processo di securitizzazione delle migrazioni poiché, collegato ad altre misure, opera come un filtro per la selezione e l’instradamento differenziale della mobilità umana, classificando i soggetti e modificandone la traiettoria migratoria attraverso blocchi, deviazioni, respingimenti. In particolare il termine hotspot fa riferimento ai concetti di rischio, pericolo, conflitto e crimine, ma anche epidemia che fanno da sfondo a un gestione securitaria delle migrazioni in ambito europeo. Dall’altro lato è emerso come le tecnologie confinarie abbiano prodotto cambiamenti dal punto di vista economico e sociale nelle realtà locali in cui sono state dispiegate ma anche permesso lo sviluppo di una routine nella gestione del confine che influenza il governo della mobilità in questi territori. Lo spostamento del focus su un contesto specifico quale quello di Poz- zallo ha permesso di esaminare nel dettaglio i caratteri di questo dispositivo descrivendone il funzionamento e gli attori che vi operano all’interno e collocandolo in prospettiva nello sviluppo dell’apparato confinario in questa particolare zona di confine. In questo modo è stato possibile rilevare la frizione tra una narrazione dell’emergenza che contraddistingue il discorso pubblico e politico sulle migrazioni a livello europeo e la realtà routinaria delle pratiche di gestione del confine.

Nel capitolo successivo verrà analizzato nello specifico quali razionalità e discorsi siano all’opera nell’hotspot e come questi ne influenzino procedure e pratiche di funzionamento. La compresenza di personale sanitario e delle forze dell’ordine vede la coesistenza di umanitario e securitario come piani che caratterizzano questo dispositivo suggerendo come il governo della mobilità in ambito europeo sia composto contemporaneamente da pratiche di cura e controllo e fondato su una grammatica dell’ospitalità che tiene assieme dimensione economica, politica e morale.

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