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Pratiche dell’accoglienza: governo dello spazio e delle mobilità

Come si è visto, la strutturazione del campo dell’accoglienza locale e i processi che lo attraversano hanno una ricaduta effettiva a livello spaziale: la dispersione o concentrazione dei richiedenti asilo in una porzione determinata di territorio è frutto delle interazioni tra i vari attori e delle risorse disponibili. In effetti, la scelta su dove aprire una nuova struttura è frutto da un lato della complessa intermediazione tra governo centrale, governo locale e privato sociale, dall’altro lato sottostà a vincoli di natura economica e alle fluttuazioni del mercato degli affitti. Al netto quindi della narrazione dominante che parla di “distribuire il peso” dell’accoglienza nei vari territori, dall’analisi del campo emergono la centralità dei rapporti informali tra gli attori e del fattore economico nel delineare la dispersione spaziale dei richiedenti asilo a livello locale. In modo analogo, il modo in cui questi spazi sono vissuti ed esperiti dai soggetti in accoglienza può essere analizzato a partire da due elementi che li caratterizzano in gradi differenti: la mobilità e i regolamenti.

Mobilità

Se per mobilità intendiamo la capacità e la possibilità di muoversi, questa è il risultato del rapporto tra la colloca- zione delle strutture all’interno di un determinato territorio, la prossimità o distanza dai luoghi di interesse per i soggetti e la totalità dei mezzi di trasporto disponibili. Come abbiamo visto, più della metà dei posti disponibili nell’accoglienza straordinaria sono in provincia e le strutture ospitanti sono spesso in zone remote, non accessibili con i mezzi pubblici. Lo stesso grande centro di Bologna Città, Villa Aldini, che da solo ha fornito un quarto dei posti disponibili all’interno del territorio urbano, si trova in un luogo piuttosto isolato della zona collinare. È evi- dente, comunque, che ciò che concorre a definire un luogo più o meno “remoto”, e quindi anche la possibilità di muoversi, sono le condizioni materiali di accesso ai mezzi di trasporto: descrivere un luogo in questo modo, quindi, è sempre relativo alle risorse a disposizione dei soggetti. A livello locale, l’azienda dei trasporti pubblici metropoli- tana è privata – a partecipazione pubblica – ed eventuali agevolazioni sono possibili nell’ambito di negoziazioni

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tra, appunto, privati. In alcune situazioni, l’ente locale si è mosso per garantire l’accesso ai mezzi pubblici ai richie- denti: è il caso del Comune di Bologna che ha finanziato gli abbonamenti per il trasporto pubblico per i richiedenti asilo residenti sul territorio comunale per i primi mesi di permanenza. I comuni della provincia, dove il costo del trasporto pubblico è peraltro più alto, non avendo le stesse disponibilità finanziarie, non hanno potuto garantire la stessa copertura. In alcuni casi, gli enti gestori si offrono di coprire alcuni spostamenti o tentano negoziazioni con l’azienda dei trasporti: si tratta, appunto, di negoziazioni tra soggetti privati e non il frutto di politiche strutturate sull’asilo. L’esito di queste negoziazioni definisce i confini della mobilità dei richiedenti asilo: al netto degli sposta- menti coperti dalla singola cooperativa, tutto il resto è a carico dei soggetti in accoglienza.

Emergono quindi due tipi di disparità: da ente gestore a ente gestore, dal momento che la modalità attraverso cui la questione della mobilità è affrontata cambia e, mentre tutti sono obbligati da quanto prescritto nel bando a garantire gli spostamenti per espletare le procedure relative alla richiesta d’asilo e di burocrazia generale, le visite mediche e la frequentazione dei corsi di italiano, tutto quanto eccede è discrezionale; da richiedente asilo a richie- dente asilo, cioè dalle possibilità materiali, dalle risorse economiche, a disposizione di ciascuno. Ad esempio, come riporta un operatore intervistato, alcuni soggetti si rivolgono al proprio network familiare per un sostegno econo- mico minimo:

«la prima cosa che viene fatta, chi ha la possibilità, amici o parenti, appena ricevono il permesso tempo- raneo è di andare a un “money transfer” e di farsi mandare un po’ di denaro.» (Andrea, 2016, operatore sociale)32

È possibile, tuttavia, che quando un richiedente asilo frequenti un tirocinio o faccia il volontario per un’associazione – secondo le modalità descritte in precedenza – le spese per i biglietti del trasporto pubblico e alle volte anche dei pasti, vengano coperte per loro. Questa possibilità è spesso utilizzata dai richiedenti asilo per costruirsi un minimo di autonomia dal punto di vista della mobilità.

«Un richiedente asilo, che era bloccato a [cittadina della provincia di Bologna] si è offerto volontario per lo sportello migranti della CGIL. Il sindacato si è fatto carico dei suoi spostamenti e gli dà dei buoni pasto. In questo modo, gli stessi giorni in cui va a bologna si è organizzato per frequentare dei corsi.» (Luca, 2017, operatore sociale)

In un modo o nell’altro, le soluzioni alla questione della mobilità sono fornite su base totalmente discrezionale e dipendono dalla capacità di iniziativa degli stessi richiedenti asilo: una condizione che porta a disparità crescenti tra i soggetti stessi nell’esperienza d’asilo. Il risultato è l’isolamento, una condizione di immobilità fisica, culturale e socioeconomica (Diken 2004). Un esempio concreto e chiarificatore sulle condizioni di mobilità può venire dal prendere in considerazione il grande centro, con circa 90 posti, di Villa Angeli situata in una zona piuttosto isolata del Comune di Sasso Marconi. La cittadina si trova nella “zona 2” del trasporto pubblico33 e una corsa fino a

Bologna costa 2,10€ mentre il pocket money giornaliero a disposizione di ciascun richiedente è di 2,50€: non abba- stanza per coprire anche il viaggio di ritorno. Questa situazione rende la mobilità la spesa più ingente per i richie- denti asilo: alcuni mettono da parte il pocket money quasi esclusivamente per potersi muovere in città o svolgere attività in autonomia, cioè che non siano previste dagli attori che gestiscono l’accoglienza.

«Due ragazzi che frequentano la palestra popolare [la “Palestrina” dello Spazio libero autogestito Vag61] mettono da parte il pocket money per poter partecipare agli allenamenti settimanali.» (Roberto, 2016, operatore sociale)

La possibilità di visitare altri luoghi rispetto agli uffici amministrativi dove espletare le procedure burocratiche o partecipare ai corsi organizzati è molto limitata. La ricerca di soluzioni alla questione della mobilità viene spesso delegata alla “buona volontà” ed abilità dei singoli operatori sociali che cercano tra gli enti locali e le associazioni del territorio, tirocini o corsi che coprano anche le spese degli spostamenti:

32 I nomi degli operatori e delle operatrici intervistate sono inventati per preservare la loro identità.

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«la CGIL offre di pagare per il corso di italiano mentre per l’FSE34, per ora, siamo riusciti a coprire con una donazione privata.» (Roberto, 2016, operatore sociale)

Nelle strutture dell’accoglienza diffusa – ogni operatore, in quasi tutti gli enti gestori, si trova a gestire più strutture all’interno di un territorio – succede spesso che quando l’operatore deve accompagnare un richiedente con la macchina alla Questura di Bologna per i propri documenti o a un esame medico, venga dato un passaggio ad altre persone della stessa struttura che desiderano andare in città. Gli spazi vissuti dai soggetti sono, allora, il centro del capoluogo quando è raggiungibile o, nel caso dell’accoglienza diffusa in provincia, l’appartamento stesso, dal mo- mento che la possibilità di spostarsi è rara e contingente. Nell’articolazione dell’aspetto della mobilità/immobilità nella vita dei richiedenti asilo emerge la natura contraddittoria della narrazione che legittima la dispersione spaziale e la “divisione in quote”: invece di evitare la ghettizzazione, si vedono sorgere nuovi ghetti dispersi e remoti – non è un caso che Villa Angeli sia chiamata dai richiedenti asilo che vi risiedono “la foresta”.

Regolamenti

Dopo aver preso in esame le condizioni oggettive e soggettive che delineano e delimitano le traiettorie di mobilità dei richiedenti asilo all’interno del territorio, un altro elemento centrale nel vissuto quotidiano dei soggetti è il modo in cui le strutture in cui sono ospitati – dove, come abbiamo visto, si è forzati di fatto a rimanere – siano governate. A partire dall’analisi dei regolamenti e dalla loro applicazione effettiva è possibile osservare elementi di continuità e divergenza nella relazione tra soggetti e spazio abitato, nel grande centro di accoglienza come nell’appartamento, rispettivamente.

I regolamenti sono scritti da ciascun ente gestore e, a parte le norme che riguardano l’assenza degli ospiti dalla struttura – che non può superare i tre giorni consecutivi senza permesso della Prefettura – che sono regolate dal bando, sono a completa discrezione. Vi sono alcune regole generali, comuni a ciascun tipo di struttura, sia essa grande centro o appartamento: riguardo alla salvaguardia del luogo, cioè il non danneggiare gli arredi, e riguardo al rispetto degli altri ospiti e degli operatori sociali. I richiedenti asilo firmano questo regolamento non appena ven- gono trasferiti alla struttura assegnata, dall’hub. Vi sono, poi, norme distinte, specifiche per ciascuna tipologia di struttura. Il regolamento del grande centro, specificatamente, ha diverse norme che si riferiscono alla coabitazione e alla gestione degli spazi: non solo quelli condivisi ma anche quelli “privati”, come le camere dormitorio. Per 90 o 100 persone accolte, ci sono circa 15 stanzoni-dormitorio con cinque o sei letti ciascuno. Su base volontaria, tre o quattro persone possono aiutare nella preparazione dei pasti mentre sono previsti dei turni per la pulizia, con due persone per ciascuna stanza. Molte delle regole riguardano la regolazione interna dello spazio: cosa può entrare e cosa può uscire dalla struttura, cosa è permesso fare e quando. Prima di tutto, è proibito tenere del cibo, una TV o uno stereo nelle stanze dormitorio. È anche proibito cucinare autonomamente nella propria stanza. Anche la temporalità è regolamentata: i pasti, ad esempio, possono essere serviti solo a determinati orari; ogni sera gli ope- ratori sociali presenti in struttura fanno l’appello per verificare i presenti. Queste, sono le regole formali del grande centro, che i richiedenti asilo sono chiamati a rispettare. C’è tuttavia un ulteriore livello relativo all’applicazione concreta del regolamento e che coincide con la capacità di gestione e mediazione degli operatori sociali. Questi sono costantemente presenti in struttura con due turni mattutini e un turno di notte. L’approccio descritto dagli operatori sociali intervistati è quello di adattare le regole, in particolare quelle riguardanti la coabitazione, al conte- sto: il regolamento è qualcosa da richiamare qualora si sia stati troppo “permissivi”.

«È un “elastico”. Inizi da una situazione di severità e poi, se c’è cooperazione, garantisci più libertà fino a che la situazione non diventa ingestibile e tu torni indietro all’atteggiamento iniziale. Per esempio, la TV negli stanzoni è tollerata fino a che non dà fastidio agli altri ospiti.» (Roberto, 2016, operatore sociale)

In aggiunta a questo insieme di regole e al ruolo degli operatori sociali nella loro applicazione, c’è un’ulteriore dimensione che riguarda la normatività interna tra richiedenti asilo e che risulta cruciale per comprendere come questi luoghi vengano effettivamente vissuti. Si tratta di un ambito da cui gli operatori sociali sono completamente esclusi, facendo emergere una volontà dei soggetti in accoglienza di mantenere spazi autonomi per la risoluzione di conflitti.

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«Le origini differenti tra i residenti generano conflitti. Ci sono anche gerarchie interne, per esempio il più giovane fa le pulizie per il più vecchio tra lo stesso gruppo d’origine. C’è una tendenza al tenere fuori gli operatori sociali dai loro conflitti.» (Roberto, 2016, operatore sociale)

Questo tipo di normatività è articolata seguendo le intersezioni di differenti gerarchie interne: di potere, etniche, di età, di genere.

Dopo questo esame ravvicinato, possiamo osservare come la rinegoziazione costante delle norme venga prodotta a differenti livelli: quello formale, legato al regolamento, funzionale a rappresentare il centro nei suoi rapporti con l’esterno (ad esempio la Prefettura); quello prodotto dalla relazione tra gli operatori sociali e i richiedenti asilo, caratterizzato da una mediazione costante tra i soggetti; quello interno, informale e meno comprensibile dagli altri attori, tra i residenti stessi che mostra i segni di uno spazio di autonomia35 turbolento e conteso. Questi livelli

all’interno dei quali sono sviluppate diverse forme di normatività delinea l’esperienza degli spazi abitati dai richie- denti asilo all’interno dei grandi centri: esperienza che implica l’isolamento dei soggetti quando la si somma alla condizione di immobilità in cui vivono.

I regolamenti presentano aspetti differenti per quanto riguarda l’accoglienza diffusa. In primo luogo, l’apparta- mento, con una suddivisione interna degli spazi molto differente da quella del grande centro, permette di esprimere una dimensione del privato a ciascun richiedente asilo. Dal momento che ciascun operatore sociale è responsabile di più di una struttura, questo può passare in ogni appartamento non più di qualche ora al giorno: l’insieme di regole, quindi, può essere visto come un tentativo di normare le condotte dei residenti in coabitazione e la gestione degli spazi, anche in assenza di una forma di controllo diretto continuata. In taluni casi, per esempio, l’operatore sociale può decidere di regolare la pulizia della struttura stabilendo dei turni, aggiungendo norme informali relative alla gestione pratica dell’appartamento. In questo contesto, allora, la relazione tra operatore sociale e richiedenti asilo diviene cruciale. Ciò che si delinea, rispetto al grande centro, è una maggiore indipendenza, con una tempo- ralità e degli spazi meno regolamentati.

«Nei casi in cui vanno d’accordo, fanno più cose assieme; quando ci sono dei conflitti, si ignorano. Quest’ultima situazione rende le cose più problematiche, perché se succede qualcosa a qualcuno di loro non puoi contare sugli altri.» (Andrea, 2016, operatore sociale)

Riassumendo, l’esperienza all’interno degli appartamenti risulta maggiormente caratterizzata dallo sviluppo dell’au- tonomia dei soggetti, con la presenza di spazi “privati”. Questo, a seconda del rapporto tra i residenti, può condurre a una situazione di coesione o ad un’amplificazione del senso di isolamento. L’isolamento, quindi, sembra essere il tratto comune di entrambe le esperienze di accoglienza in rapporto al “mondo esterno”.

Conclusioni

L’analisi condotta sul campo in relazione all’accoglienza locale dei richiedenti asilo nell’area metropolitana di Bo- logna nel periodo dei Centri di accoglienza straordinaria dalla seconda metà del 2014 alla fine del 2017 ha permesso di individuare alcuni elementi che caratterizzano questa particolare declinazione del modello d’asilo “emergenziale” delineatosi a livello nazionale.

In primo luogo, la narrazione che, dal livello europeo a caduta fino a quello locale, rappresenta i movimenti migra- tori contemporanei come una “crisi” si è tradotta, sul piano nazionale, con la dichiarazione di un parziale “stato di emergenza” che ha comportato l’attribuzione di maggiori poteri alla prefettura, compreso il governo, di fatto, dell’accoglienza, all’interno di in una tendenza alla frammentazione delle politiche sull’asilo che Michele Manocchi (2014) ha chiamato una “scoordinata ridondanza”. L’esame di un campo, costituito da pesi e contrappesi, pressioni informali, razionalità e risorse distinte tra i diversi attori, ha permesso di individuare le specificità di questo governo nella sua declinazione locale.

In secondo luogo, più in particolare, si evidenzia una situazione in cui le politiche dell’accoglienza emergono dall’in- terazione tra governo centrale, governo locale e privato sociale. Gli enti locali vedono un loro ruolo ridotto rispetto

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alle esperienze del passato – come il caso di Emergenza Nord Africa, un costante riferimento nelle interviste da parte di tecnici e rappresentanti locali –, in cui possono agire solo indirettamente per influenzare il contesto. In terzo luogo, risulta come le stesse pratiche dell’accoglienza siano di fatto delegate, per la maggior parte, agli attori del privato sociale, con un elevato grado di discrezionalità che si esprime nella scelta delle strutture, nella loro dislocazione sul territorio, nei servizi offerti, nella regolamentazione degli spazi e della temporalità – cioè del vissuto quotidiano dei richiedenti asilo – e nel delineare e delimitare l’esperienza dei soggetti all’interno del territorio. La specificità di queste politiche e pratiche dell’accoglienza sono il prodotto, provvisorio e cangiante, delle frizioni e tensioni costanti lungo le linee del nazionale/centrale e locale, del tecnico e politico, del pubblico e privato. Il campo che emerge a livello locale appare quindi frammentato dal punto di vista della governance, dove i vari attori concorrono alla gestione di una parte dell’accoglienza – o delle sue ricadute – attraverso pratiche specifiche e un processo di intermediazione costante, a diversi livelli, tra loro: un intreccio tra le geografie della dispersione spaziale e un discorso perlopiù depoliticizzato, “tecnico”, cionondimeno dal carattere morale, sull’asilo (Wood e Flinders 2014; Darling 2016). Questo discorso sull’ospitalità fonda ruoli specifici – quello dell’ospitante e quello dell’ospitato – con caratteristiche prestabilite, modalità di relazione basate sull’asimmetria dei posizionamenti e condotte prescritte e regolate, definendo chi può essere incluso e chi invece è escluso dalla società d’arrivo. Dal punto di vista spaziale, ciò che si delinea è un sistema dell’accoglienza composto dalla disseminazione di residenze in località remote senza mezzi adeguati per avviare un percorso di autonomia reale dei soggetti – nonostante questo sia il discorso che viene posto al centro da tutti gli attori.

L’esito di questo governo emergenziale dell’accoglienza – e del processo di spazializzazione dell’ospitalità che ad esso si accompagna – è quindi una particolare struttura e gestione di gerarchie spaziali – con una sostanziale corri- spondenza tra spazio fisico e sociale (Bourdieu 2015) – che dispone i soggetti ospitati in luoghi “remoti”, cioè marginali, e in cui la mobilità – fisica, sociale – è limitata. Le vite dei richiedenti asilo, dunque, sono immerse in una condizione di sostanziale immobilità, isolamento continuo e un orizzonte quotidiano di deportabilità (De Ge- nova 2002). Sullo sfondo sembra emergere una sorta di ghetto disperso la cui geografia è informata dalla razionalità economica, manageriale, della condivisione efficiente del “peso” dell’accoglienza, e da una certa narrazione sull’ospitalità che si è visto rispondente ad un registro di tipo morale che fonda e dà luogo a meccanismi di esclu- sione spaziale e sociale dei richiedenti asilo.

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Conclusioni

Tema centrale di questo lavoro di ricerca è stata la messa a fuoco delle razionalità, dei meccanismi e dei concetti alla base dei processi di inclusione ed esclusione che regolano l’accesso ai territori degli Stati europei. Ciò che portano alla luce i movimenti migratori che attraversano l’Europa è la tensione tra accoglienza e ostilità nei con- fronti dell’Altro, tra apertura e chiusura, che contraddistingue a diversi livelli politiche, discorsi, procedure e prati- che di gestione della mobilità. La definizione dello straniero (Fremde), la sua classificazione, l’attribuzione di un certo status e la collocazione all’interno di uno spazio fisico e sociale costituiscono un indicatore di come viene costruita e rappresentata l’appartenenza alle società europee distinguendo tra chi è amico (Freund) e quindi incluso e chi è nemico (Feind) e cioè escluso (Schmitt 1972). Si tratta di un processo mai compiuto ma attraversato da frizioni e conflitti che ridefiniscono costantemente chi è il prossimo. Questo processo che definisce i gradi di “ap- partenenza” a una data società non è rivolto solo a chi proviene da un altro territorio ma si articola anche all’interno producendo e riproducendo stratificazione e disuguaglianze sociali. Mettere a tema questo processo e i meccanismi di inclusione ed esclusione collegati ad esso, significa indagare quali razionalità siano all’opera, a quali dimensioni facciano riferimento, quali soggetti delineino e di quali spazialità siano origine.

L’ospitalità, la sua concezione e la grammatica che costituisce, ha rappresentato il punto di osservazione principale di questo lavoro per indagare tali meccanismi. L’ospitalità, la definizione dei suoi limiti, delle sue condizioni, è l’ele- mento determinante per mettere a fuoco i processi differenziali che regolano l’appartenenza e la stratificazione sociale delle società europee contemporanee. Ciò che emerge è un fitto intreccio di classificazioni, posizionamenti e spazialità che tiene assieme dimensione economica, politica, morale.

L’importanza dal punto di vista euristico di mantenere il focus sul concetto di ospitalità risulta ancora più evidente se si osservano i movimenti migratori contemporanei e le reazioni che innescano dal punto di vista politico e sociale rispetto alle politiche e pratiche di gestione della mobilità e dell’asilo, poiché rendono scoperte e manifeste, nella prassi, le frizioni tra apertura e chiusura che contraddistinguono le società europee. Lo straniero è una presenza “ingombrante” perché fa emergere il contrasto tra una spinta ad accogliere, ad essere ospitali nei confronti dell’Al-