Per dare conto del funzionamento del sistema dell’asilo in Italia e delinearne alcuni dei tratti fondamentali è possi- bile partire dalla norma che lo descrive e regolamenta. Il Decreto Legislativo n. 142 del 18 agosto 2015 rappresenta il recepimento di due direttive dell’Unione Europea, la Direttiva Procedure (32/2013) e la Direttiva Accoglienza (33/2013), relative alla normazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo e alle procedure per il riconoscimento o la revoca dello status di protezione internazionale. In questo testo vengono distinti i diversi passaggi che caratteriz- zano il percorso dell’accoglienza. La normativa distingue tra fase di soccorso, di prima accoglienza e di seconda accoglienza. La fase di soccorso riguarda le zone di frontiera e in particolare i luoghi di sbarco dove sono istituiti i centri di primo soccorso e assistenza (CPSA) cui vengono successivamente accostate le misure previste dall’approccio ho- tspot come l’apertura di strutture dedicate – nel caso di Pozzallo, come si è visto, il CPSA è stato “trasformato” in una di queste strutture – e l’impiego di agenti e funzionari di Agenzie europee quali FRONTEX ed EASO. La fase di prima accoglienza consiste nello svolgimento delle procedure di identificazione, verbalizzazione e avvio della domanda d’asilo e negli accertamenti di tipo sanitario e viene espletata in “centri governativi di prima accoglienza” sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno. Queste strutture corrispondono ai cosiddetti hub – come vengono definiti dal “Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati” approvato in Conferenza unificata Stato-Regioni del 10 luglio 2014 – sono distribuiti sul territorio su base regionale o interregionale e affiancano i già esistenti Centri di accoglienza per ri- chiedenti asilo (CARA). La seconda accoglienza vede al proprio centro il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) che si compone di una rete di strutture in cui vengono trasferiti i richiedenti asilo per tutto il tempo necessario all’esame della domanda e per quello di eventuali ricorsi. Quest’ultimo quindi costituisce, sul piano formale, il fulcro dell’accoglienza in Italia: vale la pena quindi tratteggiarne le caratteristiche.
Lo SPRAR viene istituito con la Legge n. 189/2002 e il suo funzionamento è basato sulla partecipazione e coope- razione di enti locali, comuni, Ministero dell’Interno e privato sociale al fine di garantire percorsi di accoglienza integrata distribuiti nei vari territori. Si tratta di un sistema che nasce sulla scia di alcune esperienze di accoglienza promosse principalmente dagli enti locali sul finire degli anni ‘90 – in particolare il progetto Azione comune che ha coinvolto oltre 30 comuni in 10 regioni accogliendo oltre 1.600 persone – per rispondere alla necessità d’asilo di molti profughi del conflitto in ex Jugoslavia e della crisi in Kosovo e che vede nel decentramento un mezzo per una maggiore integrazione. Lo SPRAR pone quindi l’accento sul ruolo degli attori locali per la costruzione di un tessuto sociale favorevole ad accogliere e per promuovere un’integrazione piena attraverso percorsi di inserimento abitativo e lavorativo. L’adesione delle istituzioni locali – siano essi comuni, unioni di comuni o area metropolitana – alla rete SPRAR non è obbligatoria e ciò negli anni ha comportato una distribuzione disomogenea dei progetti cui si è tentato di fare fronte a partire dalla direttiva del Ministero dell’Interno dell’11 ottobre 2016 che istituisce incentivi economici per gli enti locali che intendano avviare nuovi progetti. La stessa direttiva definisce anche i criteri per la ripartizione e distribuzione dei soggetti migranti all’interno dei territori in base al numero di abitanti. Fin dalla sua istituzione, il sistema si fonda su una rendicontazione dettagliata delle spese sostenute con delle quote prestabilite per ciascun ambito – ad esempio almeno il 7% dei finanziamenti deve essere impiegato in attività rivolte all’integrazione.
Queste sono quindi le componenti a livello formale, distinte per fasi, del sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati come delineato dal D. L. 142/2015. Tuttavia, questa misura che fonda la norma per le procedure d’ac- coglienza definisce allo stesso tempo l’eccezione. Lo stesso decreto prevede infatti l’utilizzo di strutture temporanee e il dispiegamento di misure straordinarie di accoglienza ad opera dei singoli prefetti qualora si sia in presenza di un
99
numero ingente di arrivi di richiedenti asilo. Un analogo riferimento a condizioni eccezionali e di emergenza è quello che giustifica ulteriori deroghe alle procedure d’accoglienza delineate dal decreto: «in caso di temporanea indisponibilità di posti nel sistema di accoglienza territoriale, il richiedente rimane in accoglienza nei centri gover- nativi per il tempo strettamente necessario al trasferimento.» (D. L. 142/2015)
È proprio nello spazio di questa eccezione – viene prevista dal D. L. 142/2015 – che si inserisce l’istituzione dei centri di accoglienza straordinaria (CAS) che, come si vedrà, divengono lo strumento principale dell’accoglienza dei richiedenti asilo sulla scorta di una narrazione emergenziale costante sulla “crisi dei rifugiati”. Benché i CAS vengano citati formalmente in questo decreto legislativo, il loro concepimento è da far risalire ad alcune comuni- cazioni da parte del Ministero dell’Interno alle prefetture. La definizione delle funzioni di questi centri è avvenuta “per approssimazione” – secondo una tendenza a “governare per circolari” che caratterizza le politiche migratorie in Italia (Bonifazi 2007) – a partire dalle circolari n. 104 dell’8 gennaio 2014 e n. 2204 del 19 marzo 2014 in cui si invitano le prefetture ad approntare nuovi posti, provvisori e temporanei, per fare fronte all’accoglienza dei richiedenti asilo.
Contrariamente a quanto avviene per i progetti e le strutture della rete SPRAR, i CAS fanno capo alle prefetture e quindi al Ministero dell’Interno e la loro apertura è formalmente soggetto alla decisione delle prime. Il ruolo delle prefetture non è del tutto nuovo nel governo dell’accoglienza: alle stesse era stata affidata la gestione dell’ultima fase di Emergenza Nord Africa, che prima di allora, dal 2011, faceva capo alla Protezione Civile. Sono le prefetture che assegnano la gestione di un determinato numero di richiedenti, di volta in volta, ad enti gestori – per lo più privato-sociale, meno frequentemente enti locali – tramite convenzioni e bandi. Il coinvolgimento degli enti locali non è formalmente previsto, quindi questi ultimi non hanno un ruolo riconosciuto nella governance di questo tipo di accoglienza che può risolversi di fatto in una relazione tra prefettura e attori privati. In caso di situazioni parti- colarmente urgenti, i prefetti possono decidere di assegnare direttamente a un privato la gestione di un certo nu- mero di posti, disporre l’espropriazione di immobili e imporre l’apertura di strutture al netto di eventuali opposi- zioni da parte delle amministrazioni locali. L’assegnazione diretta ha contraddistinto il periodo iniziale dell’intro- duzione di questi centri e nel tempo le prefetture sono in seguito passate ad emanare bandi per la loro gestione. Questo sviluppo è stato in parte influenzato dall’emanazione di un nuovo codice sugli appalti pubblici, introdotto dal D. L. 50/2016, e più nello specifico di un nuovo schema di capitolato relativo ai centri d’accoglienza, definito dal decreto del Ministero dell’Interno del 7 marzo 2017. Un rapporto stilato dall’associazione In Migrazione ag- giornato al 15 giugno 2018 ha analizzato 101 bandi pubblici emessi per la gestione dei CAS dalle 106 prefetture presenti sul territorio italiano evidenziando profonde differenze per quanto riguarda i requisiti richiesti, le dimen- sioni dei centri, i meccanismi di controllo del servizio (In Migrazione SCS 2018). Nelle circolari menzionate viene specificata una capienza media per struttura che va dai 20 ai 50 posti e che si raccomanda non superiore ai 100. Successivamente, con la Circolare n. 1724 del 20 febbraio 2015, viene di fatto sancita ufficialmente la permanenza del richiedente asilo negli stessi CAS anche per la cosiddetta seconda accoglienza – dai 6 ai 12 mesi – qualora sia reso necessario da una situazione di “emergenza”. In questo modo si stabilisce e legittima un sistema di seconda accoglienza parallelo. La rendicontazione delle spese per questi centri si svolge in maniera differente rispetto a quelli che ricadono all’interno della rete SPRAR, seguendo il criterio pro capite/pro die, cioè secondo il numero delle persone accolte e i giorni di permanenza complessivi. Come si è sottolineato, vi sono evidentemente delle diffe- renze tra provincia e provincia dal momento che i bandi vengono elaborati ed emessi dalle singole prefetture – ad esempio rispetto ai servizi “integrativi” da garantire – ma il criterio fondamentale ed anche l’unico normato è quello di fornire posti-letto ai richiedenti asilo.31 Ciò che viene garantito è, insomma, “vitto e alloggio” diversamente allo
sviluppo di percorsi di integrazione individuali che contraddistingue la rete SPRAR. L’introduzione di un sistema di rendicontazione più dettagliato nell’ambito dei CAS è stato introdotto dal decreto del Ministero dell’Interno del 18 ottobre 2017 (280/2017) ma sono ancora da rilevare attuali effetti significativi dalla sua entrata in vigore. Il sistema dell’accoglienza così delineato a livello normativo – un susseguirsi di decreti legislativi, piani nazionali, “intese”, circolari che stabiliscono regolamenti e definiscono eccezioni in egual misura – ha assunto dei tratti molto differenti nella sua applicazione come risulta evidente da alcuni dati a partire da quelli che rilevano le presenze
31 Il dossier menzionato a cura di In Migrazione “Straordinaria accoglienza” analizza in chiave comparativa i bandi emessi dalle prefetture per l'istituzione di nuovi CAS a giugno 2018 (In Migrazione SCS 2018).
100
annuali divise per ciascuna tipologia. Lo spazio dell’eccezione sembra essere diventato la nuova norma. Nella ta- bella 1 è rappresentata la serie storica, a partire dall’introduzione dei CAS, delle presenze di richiedenti asilo e titolari di protezione nel sistema d’accoglienza italiano divisi per ambito.
Anno
CAS
%
Prima Accoglienza
%
SPRAR
%
2014
35.499 53,73 9.592 14,52 20.975 31,752015
76.683 73,88 7.394 7,12 19.715 18,992016
137.218 77,72 15.514 8,79 23.822 13,492017
148.502 80,85 10.438 5,68 24.741 13,472018
138.503 79,78 9.443 5,44 25.657 14,78Tabella 1 – Presenze nel sistema di accoglienza italiano: serie storica – Fonte: Documento di economia e finanza (al 3 aprile 2018)
Fin dalla loro implementazione nel 2014, i centri di accoglienza straordinaria hanno costituito oltre il 50% delle presenze nel sistema d’accoglienza. Negli anni successivi, questa tendenza si è rafforzata attestandosi a circa l’80% del totale, cui ha fatto da contraltare un decremento relativo dei posti nella rete SPRAR. Se guardiamo quindi alla seconda accoglienza, a ciascuna presenza nel sistema ordinario ne corrispondono cinque in quello straordinario. La stessa Commissione d’inchiesta della Camera (XVII Legislatura) sul sistema di accoglienza ha rilevato e messo in evidenza «l’eccessivo ricorso all’attivazione di strutture temporanee, concepite nel disegno legislativo come stru- mento straordinario di gestione dell’accoglienza ed, invece, divenute nella realtà componente ordinaria e prepon- derante del dispositivo di accoglienza nazionale.» (Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di acco- glienza 2017)
I CAS quindi, che a livello nazionale vengono istituiti ufficialmente per fare fronte ai numerosi arrivi di richiedenti, in mancanza di posti nei servizi di prima accoglienza, iniziano ad assumere di fatto funzioni di seconda accoglienza proprie della rete SPRAR pur senza averne le garanzie e tutele. Questo nonostante gli sforzi profusi nell’ampliare la rete SPRAR facilitandone l’adesione per gli enti locali e il finanziamento di nuovi progetti: seppure vi sia stato un incremento nel numero dei posti negli ultimi anni questo non è bastato a soddisfare la domanda. Al luglio 2018 i posti finanziati nella rete SPRAR sono 35.881 – cifra diversa da quelli occupati poiché alcuni sono riservati a specifiche categorie di soggetti vulnerabili – e i comuni aderenti 1.825 (fonte SPRAR). Le ragioni di questo predo- minio dal punto di vista numerico del sistema d’accoglienza dei centri straordinari è da imputarsi primariamente alla relativa facilità con la quale è possibile aprire una struttura: minori sono gli attori coinvolti, minori i requisiti richiesti non solo in termini di servizi ma anche di professionalità degli enti gestori, minori infine i controlli sia relativamente alla rendicontazione delle spese sia alla qualità di quanto offerto.
Questa è la sintetica rappresentazione del sistema d’accoglienza italiano per richiedenti asilo dal punto di vista legislativo e nelle sue forme e dimensioni a livello quantitativo.