Nonostante la rilevanza della struttura nel tessuto economico e sociale del territorio, il luogo è spazialmente sepa- rato dalla cittadina di Pozzallo: situato nella parte del porto più distante dal centro e meno accessibile, oltre il molo turistico, risulta di fatto piuttosto isolato. Così racconta il suo primo arrivo alla struttura un medico volontario intervistato:
«Per arrivare al porto in auto bisogna attraversare buona parte del paese, passare per il centro storico, costeggiare il Comune e si arriva all'ultima parte del lungomare che termina con il porto. Per arrivare all'hotspot bisogna oltrepassare i cancelli dove ci si imbarca per Malta e, subito a sinistra, quasi a segnare la fine del paese, si trova il centro di primo soccorso e accoglienza di Pozzallo, chiuso da un grande cancello automatico che viene aperto da un militare in divisa [...]» (M. A.)
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La collocazione della struttura all’interno dell’area portuale e logistica della località, in posizione decentrata rispetto ai luoghi più frequentati dalla popolazione, crea di fatto una separazione tra l’apparato di gestione dei confini e la quotidianità della cittadina:
«Tu attraversi tutto il paese, poi il paese finisce, c’è il porto ma… C’è gente che vende la granita, il gelato, c’è la festa del pesce, la sagra di Ferragosto, il palco con i musicisti: quindi è un paese di mare con la gente in vacanza dove il migrante è non visto.» (M. P.)
I punti di contatto tra questi due mondi, perlopiù separati, sono, come si è detto, la molteplicità di attori che operano all’interno dell’hotspot, che risiedono a Pozzallo – per il tempo limitato della loro permanenza – e che sono spesso riconoscibili e riconosciuti attraverso la pettorina con il nome dell’organizzazione che indossano:
«Scendevo spesso dalla macchina sul corso per prendere il giornale la mattina prima di andare al centro e c’era il giornalaio che vedeva che avevi la maglietta e ti chiedeva “ah ma lavorate lì?”» (R. P.)
Se la geografia dei luoghi tiene distanti e distinti la realtà di una cittadina di mare e l’apparato di gestione confinario, la stessa configurazione spaziale dell’hotspot opera per dividere i soggetti migranti ospitati al proprio interno. La spazialità interna è infatti costituita da separazioni multiple e, parallelamente, risulta in costante ridefinizione: la dimensione che prevale è quella del provvisorio, del temporaneo.
L’area dell’hotspot è perimetrata da un’alta recinzione, che dal lato rivolto alla strada corrisponde con quella del porto ed è composta da un grande capannone su modello industriale e da tre container separati: il primo è quello che funge da portineria, all’ingresso, accanto al cancello automatico; vi è poi un secondo container in cui è ospitata l’amministrazione del centro – gli uffici della cooperativa sociale che lo ha in gestione – e un terzo su cui campeggia la scritta “Frontex”. La divisione interna della struttura principale viene così descritta nella testimonianza di un medico che vi ha operato come volontario:
«Dal nostro ingresso, una porta sul lato del centro più vicino alla strada principale, si accede ad uno stanzino dove vedo uomini della Frontex e, da questo, ad un'altra stanza che si apre solo dal nostro lato. Da qui, si accede alle due stanze abitate dagli “ospiti” e all'ambulatorio. A destra, lo stanzone degli uo- mini, diviso in tre parti. A destra e a sinistra, innumerevoli letti a castello blu, in mezzo, uno spazio lasciato vuoto con una grande televisione sulla parete in fondo. Un operatore mi spiega che è uno spazio che viene lasciato vuoto per accogliere durante gli sbarchi, e che spesso si riempie di materassi se i letti non risultano sufficienti per tutti. Al momento non ci sono solo uomini in questa stanza, ma anche donne e bambini. I problemi organizzativi sono molti, infatti, e nello stanzone di sinistra, che sarebbe invece quello adibito alle donne e ai bambini e quindi molto più piccolo, al momento ci sono solo alcune fami- glie. A collegare i due stanzoni, un piccolo corridoio con docce fatiscenti (tre per le donne e otto per gli uomini) e lavabi in uno stato alquanto discutibile. L'intonaco si stacca dalle pareti e gli spazi sono piccoli e angusti, senza finestre (almeno per quanto riguarda la zona donne, perché in quella uomini non entro). Dallo stanzone più grande, infine, si accede tramite un piccolo corridoio molto sporco all'infermeria, che è a sua volta formata da due piccoli locali tra loro comunicanti.» (S. M.)
Gli spazi sono compartimentati in modo da dividere i soggetti non solo in base al genere e all’età ma anche secondo la distinzione sano/malato: all’interno della struttura vi sono spazi dedicati, infatti, non solo per le visite e il tratta- mento medico ma anche per la brevissima degenza. Così descrive un medico gli spazi per la cura:
«L'infermeria è composta da due stanzette comunicanti. In entrambi i locali è presente un lettino, ma solo in quello di sinistra trovo il computer, il registro presenze dei medici, il bagno per gli operatori sanitari e due armadi con scorte di farmaci, test di gravidanza, materiale per le medicazioni. Nel locale di destra, che è il più utilizzato per visitare i pazienti, trovo l'armadio con i farmaci endovenosi, il carrello con i farmaci utilizzati nella maggior parte dei casi e un piccolo armadio per le medicazioni.» (S. M.)
Il piano del provvisorio risulta visibile se si considera che il modo in cui gli spazi sono separati subisce variazioni nel tempo, prevalentemente secondo l’alternarsi tra sbarco e attesa del trasferimento, in un incedere ciclico che mo- difica la conformazione del luogo. Ogni sbarco implica in sostanza un riassetto degli spazi a seconda del numero
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e della composizione dei migranti arrivati – adulti, minori, uomini, donne, malati sono le categorie che vengono utilizzate e a cui corrisponde a seconda dei casi una specifica suddivisione dello spazio.
«Tutte le attività quotidiane di questi ospiti sono concentrate in un grande stanzone dove ci stanno letti a castello: tavoli non ce ne sono, sedie non ce ne sono, perché tavoli e sedie sono oggetti potenzialmente pericolosi. […] Letti a castello e uno spazio aperto vuoto che viene, in casi che ormai si verificano di abitudine, ricoperto da materassi perché il numero di posti per quello specifico hotspot è di massimo 180 persone che possono dormire sui letti e poi invece delle volte questi numeri vengono ampiamente superati e quindi i posti letto vengono moltiplicati con materassi a terra e a volte neanche il materasso.» (M. P.)
Il modo in cui gli spazi della struttura sono configurati è soggetto alle diverse fasi che costituiscono l’attività dell’ho- tspot e più in generale la sua funzione all’interno dell’apparato confinario europeo.