Nel quadro generale che è stato tratteggiato in queste pagine circa il sistema di accoglienza straordinaria dei richie- denti asilo nell’area metropolitana di Bologna risulta evidente come il privato sociale abbia un ruolo fondamentale all’interno del campo. Ecco perché analizzare il rapporto tra pubblico e privato è cruciale per comprendere le forme e le modalità che ha assunto il sistema dei centri di accoglienza straordinaria a livello locale.
Come è stato illustrato, l’emergenza è il frame che caratterizza e fa da sfondo alla gestione dell’accoglienza tramite CAS. I bandi emessi dalla prefettura impongono delle tempistiche molto strette per il reperimento delle strutture, mettendo nelle condizioni il privato sociale che intende competere per aggiudicarsi l’assegnazione di agire in fretta. Una modalità che ha significative ricadute sul contesto locale e in particolare nel rapporto con amministrazioni ed enti del territorio. Uno dei punti di criticità, conflittuale, nel rapporto tra attore privato e il governo locale è rap- presentato, anche a questo livello, dall’apertura di nuove strutture: il fatto che per queste non sia più necessario il parere positivo formale da parte degli enti locali permette da un lato ai privati di agire più “liberamente”, dall’altro impone ai primi di individuare strategie di intermediazione informali per avere una qualche influenza sulle decisioni. In questo contesto, la prefettura demanda di fatto all’attore privato l’individuazione di luoghi idonei e la selezione di possibili strutture che possono ospitare i centri. Questa selezione può avvenire avendo contatti pregressi o meno con gli enti locali. Le dinamiche che si sono sviluppate – che vanno dall’assenza pressoché totale di comunicazione al coordinamento più stretto – variano non solo da distretto a distretto ma anche all’interno dello stesso territorio, a seconda della cooperativa. La medesima cooperativa, poi, può agire in maniera diversa nei differenti distretti a
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seconda del rapporto sviluppato con le rappresentanze locali. Questa dinamica viene chiaramente avvertita dagli stessi funzionari degli enti locali, come racconta un tecnico di un distretto:
«C’è il soggetto del privato sociale che ti contatta prima di fare la proposta alla prefettura per aderire al bando, c’è chi te lo dice a cose già fatte dicendo “c’è questo”, c’è chi non ti dice niente e lo devi chiamare tu dopo perché non capisce il ruolo dell’ente locale. […] L’impatto per quanto riguarda la comunità locale, c’è sempre.»
Una differenza di approccio nelle modalità di relazione col territorio nel processo di individuazione di una nuova struttura che porta ad esiti molto differenti nella gestione dei centri stessi e più in generale nelle forme di acco- glienza. Due casi mi sono stati portati da esempio da un funzionario locale:
«a San Giovanni in Persiceto, ad esempio, sono stati utilizzati i locali già utilizzati in convenzione diretta dal Comune, che sono locali pubblici, e che sono stati usati successivamente, dal soggetto gestore. Quindi qui c’è stata sostanziale continuità e rimane il coinvolgimento del soggetto pubblico, anche per la forni- tura dei locali. […] È chiaro che questo fa sì che il rapporto sia, ovviamente, anche più stretto. Il secondo caso che diciamo è quello che è stato maggiormente d’impatto a San Giovanni, ma su tutto il territorio: casa colonica ristrutturata privata nella prima periferia di San Giovanni con prevalenza accoglienza fem- minile, […] donne a rischio tratta, quindi potenzialmente la situazione era più da controllare da questo punto di vista. […] Questo [l’apertura di questa struttura] è stato fatto autonomamente dal soggetto gestore, rendendo solo edotto successivamente, il Comune di questa scelta. Che chiaro, è stata una scelta che ha impattato.»
Nelle situazioni descritte, nel primo caso l’apertura della struttura è, anche se informalmente, concertata e il rap- porto continuato e diretto tra cooperativa sociale ed ente locale porta a una maggiore conoscenza reciproca e predispone maggiormente l’ente locale a essere di supporto. Nel secondo caso, la concentrazione di diverse decine di richiedenti asilo in una struttura situate nella campagna della provincia bolognese porta a una condizione di isolamento che rende difficili da un lato i momenti di interazione con la comunità locale, dall’altro l’accesso mate- riale ai servizi del territorio, dal momento che la mobilità è inoltre limitata dalla scarsa disponibilità di mezzi. Il frame che viene utilizzato, nel descrivere il secondo caso, è quello del controllo che caratterizza la narrazione dei contesti di cui l’ente locale ha scarsa conoscenza: in più, le donne richiedenti asilo vengono etichettate contempo- raneamente come a rischio e un rischio per la sicurezza della cittadinanza.
Al netto di queste differenziazioni, in alcuni distretti si è stabilita una prassi di comunicazione tra gli attori del privato sociale e i rappresentanti degli enti locali in relazione all’apertura di nuovi centri:
«Il gestore quando apre una struttura in un Comune è buona pratica che prima di aprire contatti l’ammi- nistrazione […]. Non è la prefettura che avverte prima, è il gestore che avverte, dopodiché dice: “starei aprendo, ho trovato un appartamento da voi, sappiate che…”» (M. C. P., 2017, UdP Pianura Est)
Si tratta anche in questo caso, come riporta lo stesso brano, di una prassi informale, fondata sui rapporti specifici che intercorrono tra privato sociale ed enti locali in un determinato territorio, non di un modello strutturato. Questi rapporti sono spesso fondati da una conoscenza reciproca dei diversi attori che si trovano a collaborare in altri ambiti relativi ai servizi alla persona. In questo caso si instaura un dialogo che non porta a situazioni particolarmente problematiche o conflittuali per le amministrazioni locali.
«Ci sono dei gestori che magari sono qui da più tempo, conoscono bene il territorio, che si rendono conto da soli che cosa è opportuno o meno, si rendono conto da soli che non è opportuno nel tal Comune aprire la tal struttura in pieno centro e perché magari hanno un rapporto consolidato con questo territorio da anni per una serie di motivi, allora la ricomposizione sull’opportunità la fa il gestore, non la fa la prefettura nella nostra esperienza. […] Questa è la pratica, non è il modello.»
Maggiore è la conoscenza tra i diversi attori e l’interazione reciproca, prolungata nel tempo, maggiore è la possibilità di mettere in campo un intervento concertato e condiviso cioè, dal punto di vista dell’ente locale, di avere un’in- fluenza rispetto alle decisioni e ai progetti di accoglienza che si sviluppano all’interno del proprio territorio. Come sottolinea lo stesso funzionario intervistato, però, si tratta di un processo che emerge dal contesto specifico, dalle
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pratiche che caratterizzano informalmente il campo tra attore privato ed ente locale, da cui il governo centrale è in qualche modo escluso. Questo primariamente perché è nell’interesse di privato e governo locale, cui sono legati i servizi sul territorio dedicati ai richiedenti asilo, collaborare e trovare una mediazione, mentre l’interesse della Pre- fettura si risolve principalmente nel disporre i soggetti all’interno dei centri.
Al netto di queste considerazioni rispetto ai rapporti che intercorrono tra i vari attori, ai processi di mediazione e di influenza reciproca, va sottolineato che il privato sociale si muove anche a partire da vincoli di natura economica nel reperimento delle strutture e nella loro gestione: si trova cioè condizionato nelle proprie scelte dal mercato degli affitti e dai costi di gestione in base al numero di presenze per centro.
«Il gestore ha cercato quelle soluzioni che erano economicamente più sostenibili, quindi evitando le si- tuazioni troppo disperse, concentrando […] [il gestore ha] la necessità assoluta di dover far quadrare i conti, tenendo conto che, ovviamente, con la remunerazione della Prefettura, cioè dello Stato poi, una struttura per essere remunerativa, deve avere un minimo di accoglienza strutturata di almeno 8 posti per poter rendere economico il fatto che ci sia un operatore.»
Contrariamente a quanto avviene nel sistema SPRAR, ad esempio, dove per ciascun ambito e tipologia di servizio sono previsti finanziamenti specifici, con i CAS la rendicontazione pro capite/pro die impone di “far quadrare i conti”: spesso le soluzioni vincolate da ragioni economiche dimostrano di avere un impatto negativo a livello sociale, per i soggetti in accoglienza.
Come si è detto, le cooperative del privato sociale svolgono la propria attività all’interno di più distretti mentre le politiche sull’accoglienza del governo locale, le quali benché vi sia un indirizzo sviluppato a livello di città metro- politana assumono una declinazione differente a seconda di ciascun distretto, sono sviluppate su un piano distinto e diversificato in base al territorio: gli stessi referenti degli enti locali e il rapporto maturato con essi, in questo caso, fanno la differenza. In aggiunta, gli stessi attori privati sono caratterizzati da approcci all’accoglienza molto diffe- renti. Gestori come ARCI Solidarietà o Caritas, che hanno un’organizzazione su scala nazionale, dispongono di una progettualità e risorse differenti rispetto, ad esempio, a cooperative sociali locali che in precedenza si sono occupate di altri ambiti dei servizi alla persona come l’assistenza a persone con disabilità o la vulnerabilità sociale. Le prime possono contare su protocolli definiti, su una rete di strutture e di attività presenti sul territorio con le quali dare vita ad iniziative e progetti, su un’organizzazione su scala nazionale all’interno della quale sono condivise ed elaborate buone pratiche e su rapporti consolidati con le istituzioni locali; le seconde, in virtù delle proprie specificità, si dedicano per lo più ad interventi e servizi mirati – ad esempio MondoDonna Onlus che nasce come associazione di servizi per donne migranti gestisce CAS dove sono ospitate donne o nuclei familiari, che coinvolge in progetti e attività dedicate. Queste specificità producono quindi esperienze differenti nell’accoglienza per i ri- chiedenti asilo, benché questi siano ospitati nel medesimo territorio. Le cooperative più attive e che hanno in gestione il maggior numero di posti sono quelle che hanno maturato negli anni un’esperienza significativa nell’ac- coglienza dei migranti. L’impatto che ha avuto l’introduzione del sistema dei centri di accoglienza straordinaria nel settore del privato sociale è stato considerevole: molte cooperative hanno più che raddoppiato in un anno il numero di addetti impiegati, come mi hanno riferito diverse fonti interne.
Il rapporto tra pubblico e privato nell’ambito dell’accoglienza straordinaria influenza pratiche e progettualità che vengono messe in campo. Gli attori privati, nonostante possano avere una certa conoscenza del territorio e delle possibilità che offre hanno necessariamente bisogno delle conoscenze e della rete di relazioni di cui dispongono gli enti locali. Per questo in primo luogo viene cercata una mediazione con i tecnici degli enti locali. Da un lato questi possono mettere a disposizione il proprio sapere e i propri contatti per coadiuvare l’intervento dei gestori per l’attivazione di progetti come corsi, laboratori, tirocini.
«Ci si incontra e si inizia a dire: “bene, cosa possiamo fare insieme sul territorio, amministrazione e gestore?” A me [Ufficio di Piano] chiedono più cose del tipo: corsi di italiano, sportello “punto migranti”, mi chiedono opportunità di lavoro, tirocini. […] Le reti che avevamo a disposizione con le aziende – perché noi abbiamo tutto un database con le aziende del territorio – gliele ho date, quello che possiamo fare, noi lo mettiamo a disposizione.»
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Dall’altro lato viene richiesto ai gestori da parte degli enti locali una collaborazione a livello distrettuale che prende la forma del monitoraggio e dell’aggiornamento a scadenza regolare sullo stato dell’accoglienza attraverso l’istitu- zione di tavoli di coordinamento, seppure informali e focalizzati su un piano tecnico e operativo: un modo questo, per le amministrazioni locali, per non rimanere tagliate fuori da quanto avviene sul proprio territorio.
«Io ho anche un tavolo con i gestori puramente tecnico: “faremmo questi progetti…”. […] I gestori sono i primi ad avere anche un ruolo importante nel portare le competenze e aiutare la lettura del fenomeno. […] [I tavoli servono] ad aiutare l’amministrazione locale a capire che cosa succede dentro le strutture, che percorsi di vita hanno questi ragazzi, che cosa possiamo fare per loro.»
Le attività di questi tavoli sono attraversate da una dialettica costante tra la richiesta di risorse da parte degli attori privati e la necessità monitorare e controllare quanto avviene sul proprio territorio degli enti locali. Ma il rapporto tra pubblico e privato non è caratterizzato solo da questo. In alcune situazioni, le frizioni tra attore privato e richiedenti asilo all’interno di una struttura vengono mediate dall’amministrazione locale, che convoca ente gestore e le persone ospitate coinvolte: «i servizi sociali sono stati allertati quando ci sono stati dei problemi con la coope- rativa perché ci sono state delle frizioni fra ospiti e cooperativa. Siamo stati contattati dagli ospiti stessi, è stata inviata una lettera firmata da alcuni ospiti al sindaco.» (B. G., 2017, Assessore Comune di Castel Maggiore) In questi casi quindi l’ente locale, attraverso l’intervento dei servizi sociali territoriali, si pone nei fatti come garante terzo, seppur non riconosciuto ufficialmente, tra i soggetti in conflitto.
In conclusione, abbiamo visto come la differenziazione e le specificità che caratterizzano i diversi attori privati coinvolti nell’accoglienza, unitamente alle modalità differenti con cui questi si rapportano con il territorio e stanno in relazione con gli enti locali, segnati dall’informalità e da una tensione dialettica costante possono risolversi in situazioni e delineare contesti anche molto diversi tra loro. Queste dimensioni descritte delineano i limiti e le con- dizioni dell’ospitalità, in particolare come l’ospitalità si declina nella prassi assegnando ruoli e attribuendo posizioni ma soprattutto definendo spazi – fisici e sociali. Questo modella le esperienze di vita dei richiedenti asilo. Nella parte conclusiva del capitolo si vuole illustrare a un livello più concreto come all’interno dei differenti contesti si sviluppino pratiche di accoglienza e quindi vengano modellate esperienze migratorie dei richiedenti asilo anche molto diverse tra loro, pur se situate nello stesso territorio.