Osservare il campo a partire dal rapporto tra tecnico e politico, in particolare in seno agli enti locali, può essere utile per mettere a fuoco ulteriormente come le disposizioni sull’accoglienza – i luoghi preposti, le misure e le risorse attivate – siano frutto anche dell’intreccio di questi due piani e del loro relazionarsi col governo centrale e il privato sociale. Dal tecnico o dal politico è possibile anche delineare un modo distinto di intendere l’accoglienza. Con tecnico si intende l’ambito più prettamente appannaggio dei funzionari dell’apparato burocratico che si occu- pano della gestione e organizzazione applicata dei servizi alla persona nei territori. Con piano politico in questo caso si fa riferimento al campo degli amministratori locali e dei rappresentanti delle istituzioni che si occupano della cosa pubblica.
Quali sono, nello specifico, le particolari funzioni del campo tecnico, a quale livello si esprimono, in che modo entrano in relazione con il piano politico e quale tipo di accoglienza delineano? L’insieme di funzionari degli enti locali che si sono trovati a occuparsi dell’accoglienza dei richiedenti asilo e più in generale di migrazioni fanno parte di quell’apparato burocratico locale che è impiegato nei servizi alla persona dal punto di vista organizzativo e operativo.
In primo luogo, il tecnico produce sapere sul territorio e sulla popolazione che lo abita, sui suoi bisogni e sulle tendenze che la attraversano: istruzione, salute, condizioni abitative, lavoro. Si tratta di un sapere funzionale al governo della popolazione stessa, cioè alla sua amministrazione e regolazione, attraverso servizi legati al territorio. I tecnici vedono il proprio stesso operato come funzionale a mettere in condizione i politici, gli amministratori locali, di fare delle scelte e prendere delle decisioni, come risulta da questa testimonianza:
«Il mio ruolo è quello di portare gli strumenti di conoscenza tecnici – come poi è il ruolo dei tecnici degli enti locali – per leggere quello che sta succedendo… io do degli strumenti che poi dopo i politici possono più o meno decidere di utilizzare.» (M. C. P., 2017, UdP Pianura Est)
Nel caso dell’accoglienza, sono i tecnici a raccogliere le informazioni sui richiedenti asilo – le presenze, il luogo in cui sono dislocati, le tipologie di strutture e monitorarne i cambiamenti. Anche in questo ambito, a questo livello dell’accoglienza, il migrante è catturato all’interno di una “rete di scritturazioni” (Foucault [1975] 2011, 207) che lo qualifica, che lo descrive, non solo rispetto alle caratteristiche demografiche ma anche secondo i comportamenti, le “condotte” misurate e controllate. Non solo dati sulle presenze sul territorio, la struttura ospitante, la nazionalità, il sesso, l’età, ma anche la presenza ai corsi di lingua, ai corsi per l’integrazione, al lavoro nel volontariato, alle visite mediche.
Questo tipo di sapere concorre non solo a plasmare, pianificare o ricalibrare i “servizi” offerti ai migranti, ma anche a dare forma a una certa classificazione di tipo morale di cui abbiamo parlato, operata all’interno del campo politico, che descrive e distingue i soggetti tra meritevoli – perché volenterosi – e non meritevoli – perché “inoperosi”.
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«Noi abbiamo attivato anche altri corsi a livello locale […] di italiano, tramite Caritas, ad esempio è stato attivato in ottobre del 2016 un corso con 39 iscritti la cui frequenza è saltuaria perché comunque quello che dobbiamo spiegare loro, quello che dobbiamo instillare loro, è la cultura dell’impegno che non hanno. […] Delle iniziali 39 persone, adesso saranno in 9, 10, 11 e questo è una cartina di tornasole che è comunque la difficoltà a coinvolgerli, perché hanno una cultura molto diversa […] un ritmo di vita comple-
tamente diverso dal nostro e quindi l’integrazione passa anche attraverso un cambio di rotta… [enfasi aggiunta]» (B.
G., 2017, Assessore Comune di Castel Maggiore)
In questo brano, nelle parole di un amministratore locale, è rappresentata la ricaduta del sapere prodotto in termini di classificazione dei soggetti e di etichettamento di tipo morale. Più in generale sembra articolarsi il discorso sulle
condizioni dell’ospitalità, cioè quali caratteristiche deve manifestare chi è ospitato al proprio ospitante per mostrarsi
meritevole: in questo caso, mostrare di volersi sdebitare passa attraverso la dedizione e l’impegno nelle attività sta- bilite da chi accoglie. Se vuole “integrarsi”, il bisognoso, l’infelice, deve “cambiare rotta”, cioè cambiare la propria condotta per adeguarsi a quella attesa da chi ospita, il felice, il salvatore.
In secondo luogo, il ruolo del tecnico è quello di individuare soluzioni operative, pragmatiche, che traducano le decisioni dell’amministrazione locale: la messa in campo di misure, progetti, tenendo conto delle limitazioni eco- nomiche e della conoscenza del proprio territorio. Per la produzione di un sapere sull’accoglienza, in particolare rispetto ai CAS, il tecnico deve necessariamente coordinarsi con la prefettura, che raccoglie tutti i dati sulle presenze sul territorio e le strutture, e il privato sociale, che ha in gestione i centri e cura direttamente le attività e i servizi. Allo stesso modo, dal momento che la messa in campo di servizi per i CAS non è decisa dagli enti locali ma emerge dal rapporto tra prefettura e privato sociale – secondo quanto stabilito dai bandi di assegnazione – l’individuazione ma anche la predisposizione dei servizi alla persona attivi sul proprio territorio passa dal costante contatto con gli altri attori del campo.
In questo senso, una funzione importante del tecnico è quella di mediare tra i diversi attori dell’accoglienza – tra governo centrale e governo locale, tra soggetti pubblici e soggetti privati – e tra le loro differenti prospettive sull’ac- coglienza offrendo un punto di vista “tecnico”, “operativo”. Nei momenti di frizione tra le prospettive dei vari attori, da quella più prettamente securitaria riconducibile alla prefettura, a quella focalizzata sul contenere le “ten- sioni sociali” delle amministrazioni locali, a quella più attenta alla sostenibilità economica propria del privato so- ciale, è l’interazione tra tecnici a ricomporre e trovare una mediazione nel governo dell’accoglienza. Il posiziona- mento degli enti locali all’interno del campo dell’accoglienza e il modo in cui questi sono in relazione con il governo centrale e il mondo del privato sociale è frutto dell’intermediazione anche tra questi soggetti. Si tratta però di una mediazione che si sviluppa nella “prassi”, “tra colleghi”, come hanno detto diversi funzionari intervistati, lamen- tando invece la mancanza di uno spazio di confronto formale continuativo al di là dell’organizzazione di tavoli che avviene “una tantum” tra i diversi attori, sia tecnico che politico.
«Non c’è un piano di confronto istituzionalizzato, tecnico, con la Prefettura e non c’è un piano di con- fronto tecnico tra noi territori. […] Nella pratica certo, noi tra uffici di piano ci vediamo sempre, su mille altre cose e in mezzo parliamo anche di questo, ma è diverso…» (M. C. P., 2017, UdP Pianura Est)
Come emerge dal brano, questo confronto tra colleghi informale si sviluppa tra i tecnici dei differenti distretti, non essendoci dei tavoli di coordinamento ricorrenti dedicati alla questione dell’asilo. La particolare struttura del campo locale è tale, d’altronde, per cui il livello di coordinamento e concentrazione del sapere tecnico rispetto all’acco- glienza è quello distrettuale, degli uffici di piano: ad eccezione di Bologna, San Giovanni in Persiceto e San Lazzaro, infatti, i piccoli comuni della provincia non hanno le risorse e le competenze necessarie per occuparsi di questo ambito.
«Nei comuni non ci sono spesso tecnici esperti di riferimento su questa materia, cioè io sono anche un po’ di supporto perché sono l’unica persona che ha una competenza specifica in materia su queste cose.»
È a questo piano che occorre guardare per comprendere come si articola e come si struttura sul territorio il governo dell’accoglienza e come si sviluppa il rapporto tra tecnici e politici all’interno degli enti locali. È a livello di singolo distretto che si realizza questa funzione di coordinamento e monitoraggio, di produzione di sapere, rispetto all’ac- coglienza. Sono gli uffici di piano ad operare in questo senso, con tentativi di creare dei momenti di confronto
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formali tra di loro e con i rappresentanti delle amministrazioni locali e con il privato sociale, come viene riassunto chiaramente dal brano seguente.
«Quello che facciamo noi all’ufficio di piano è avere un livello di raccordo e di coordinamento su queste cose a livello tecnico, politico, infatti proprio la settimana prossima facciamo un tavolo distrettuale con tutti gli assessori alle politiche sociali, tutti i tecnici e gestori dei CAS del nostro territorio, abbiamo questo tavolo ogni due o tre mesi e di fatto cosa facciamo: monitoriamo i dati, le presenze, chiediamo ai gestori un report sulle loro attività e cerchiamo di avere un approccio omogeneo nel territorio.»
Il coordinamento creato a livello distrettuale, quindi, mira innanzitutto da parte dei tecnici a produrre un sapere condiviso sull’accoglienza dei richiedenti asilo e, parimenti, a fornire un indirizzo politico, da parte dei rappresen- tanti delle amministrazioni locali, ai singoli comuni, cercando di raggiungere se non l’unità, almeno la sintesi tra le differenti posizioni.
«Ci sono comuni che sono molto propositivi e cercano attivamente le strutture, ci sono altri che sempli- cemente “gli è capitato” e ci sono altri ancora che fanno di tutto per evitarla [l’apertura di un CAS].»
Il ruolo, quindi, di questi incontri a livello distrettuale, è proprio di ricomporre anche sul versante politico delle amministrazioni locali, una posizione comune che, come si è visto in precedenza, possa interloquire in modo più incisivo con il governo espresso dalla prefettura. Questo coordinamento si sviluppa poi a un livello ulteriore, pro- vinciale, all’interno della Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria Metropolitana di Bologna, cui partecipano i sindaci di Bologna e di Imola e i presidenti dei comitati di distretto, che ha dato alcune indicazioni di carattere politico come nel caso dell’accoglienza diffusa che si è citato. Nonostante questi vari livelli di coordinamento for- mali, vi sono due problematiche di fondo che vale la pena evidenziare: in primo luogo, di fatto, nel caso dell’acco- glienza straordinaria, gli indirizzi politici e le soluzioni tecniche caldeggiate dagli enti locali devono necessariamente fare i conti con il fatto che il governo diretto di questo ambito ricade sulla prefettura, con le dinamiche che abbiamo visto. In secondo luogo, l’ambito del privato sociale, che ha assunto un ruolo di primo piano come interlocutore diretto della prefettura e gode di una relativa maggiore autonomia, si muove su un piano differente dal punto di vista del coordinamento territoriale con gli enti locali – molte cooperative sono presenti in diversi distretti ma non in tutti, sviluppando rapporti differenti con ciascuno – e dal punto di vista delle pratiche dell’accoglienza messe in campo, diverse da cooperativa a cooperativa e la cui base formale è il bando di assegnazione e non politiche indi- viduate a livello distrettuale o provinciale. Proprio le modalità con cui privato e pubblico interagiscono tra loro è oggetto del sottocapitolo successivo.