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1.2 Verso la fine dei ruoli tradizionali? Uno sguardo d’insieme alla situazione italiana

1.2.1 Funzioni di cura e compiti domestici

L’imperativo etico della famiglia attuale, come sottolineato da Cambi (2006, p. 25), è il sostegno. Sostenere inteso come «accompagnare, aiutare nel bisogno, affiancare senza sopraffare, incoraggiare, valorizzare, ma anche dare regole, indicare valori, promuovere formazione, che è processo del soggetto, tutto suo proprio, ma che può essere incentivato, e appunto sostenuto». Questo compito familiare auspicato dal pedagogista italiano presenta molti tratti comuni in particolare con lo stile autorevole menzionato nel precedente paragrafo. Le figure genitoriali oggigiorno devono saper essere, allo stesso tempo, presenti ma non ingombranti, affettive ma anche normative, capaci di promuovere valori e modelli ma contemporaneamente aperte alla singolarità ed unicità del proprio figlio. Freud riteneva l’educazione e il crescere i figli come una delle tre professioni impossibili - le altre erano la psicanalisi e il governare una nazione (Bornstein, 2002). Essere genitori, dunque, si presenta come un “mestiere” estremamente complesso e che solitamente si impara solo con l’esperienza, anche se come vedremo più avanti si sta sviluppando una certa attenzione alla formazione e al sostegno alla genitorialità.

Il lavoro di analisi che segue andrà ad esplorare, sulla base di alcuni dati empirici, i tratti, i modelli e gli stili prevalenti presenti a livello genitoriale in Italia, con una particolare attenzione alla suddivisione dei compiti educativi sia in termini qualitativi che quantitativi all’interno dei due generi18 che compongono la coppia genitoriale.

Dalla letteratura presa in analisi emerge un modello genitoriale italiano in graduale cambiamento rispetto al recente passato. In epoche non troppo lontane, infatti, l’educazione familiare era contraddistinta dall’utilizzo di forme autoritarie e coercitive, i genitori esercitavano un forte controllo sui figli e non era raro che imponessero loro divieti e punizioni, anche fisiche, in caso di trasgressioni. Oggigiorno, invece, l’educazione sembra senz’altro più orientata a una dimensione “democratica” (Benedetto & Ingrassia, 2010); questo aspetto viene confermato dalle recenti indagini empiriche condotte sulle famiglie italiane (Confalonieri & Giuliani, 2005). Una prima lettura sembra mostrare che «il compito primario della nuova famiglia consista nel nutrire affettivamente i figli e non più nel trasmettere norme e regole» (Pietropolli Charmet 1995, p. 55). All’interno della famiglia italiana dagli anni Ottanta in poi appare essere avvenuto un trasferimento dall’area etica e normativa a quella dei valori legati all’intimità e all’affettività. Lo stile genitoriale attuale risulta teso verso un difficile equilibrio tra autoritarismo e permissivismo, in altri termini si orienta verso un modello di autorevolezza. Nonostante nei genitori d'oggi

prevalga comunque la sfera del permissivismo, essa risulta in calo tuttavia rispetto agli anni Ottanta (Bimbi e Castellano, 1990), quando la presa di distanza dal generale modello autoritario e patriarcale incarnato dalla generazione precedente, in primis paterna, era ancora molto presente e marcata.

L’indagine di Save the Children (2010) dal titolo: «Educare oggi: nuova ricerca sulla percezione che genitori e figli hanno dei sistemi educativi nella propria famiglia in Italia» mostra in modo chiaro come il modello assunto dai genitori sia caratterizzato da un “mix educativo” composto da grandi dosi di affetto e altrettante di dialogo e in misura in parte minore di regole. I sistemi punitivi, infatti, non godono di grande popolarità, in particolar modo le punizioni corporali che ritenute pressoché superate dalla maggioranza degli intervistati. Il 71% degli intervistati a questo proposito pensa che l'imposizione di una restrizione sia l'intervento punitivo più efficace. I genitori d'oggi, dunque, sembrano vivere il proprio ruolo educativo come fossero alla ricerca di un continuo equilibrio tra una dimensione affettiva e una normativa, anche se è senz’altro il primo aspetto dei due ad avere il sopravvento. Le figure genitoriali interpellate dall’indagine nazionale di “Save the Children” si presentano né severe né permissive; a questo proposito è interessante notare tuttavia che la loro autopercezione risulta molto distante dalla visione del “genitore medio italiano”, il quale nell’immaginario comune è caratterizzato da uno stile educativo troppo debole e permissivo. I principali valori da trasmettere ai figli vengono individuati nel rispetto degli altri, nel rispetto di sé e nell’avere autostima; per i genitori stranieri invece spicca il perseguimento della felicità e della libertà. Le risposte dei figli tratteggiano un'immagine dei propri genitori come figure presenti e consapevoli della responsabilità del proprio ruolo educativo, meno autoritari e più aperti al dialogo, anche se molti ragazzi tuttavia intravedono nei genitori una forte, talvolta eccessiva, permissività.

Secondo una delle ultime rilevazioni Istat (2016) relativa ai “Tempi della vita”, l’attività di cura che tuttora impegna di più le madri che i padri - si parla di 57’ giornalieri delle prime contro i 20’ dei secondi - riguarda le cure fisiche e la sorveglianza: la preparazione dei pasti e il dar da mangiare, il vestire i figli, farli addormentare e il tenerli sotto controllo. Le madri, quindi, in generale si occupano del 72,6% delle cure fisiche nei confronti dei figli, un dato che seppur alto, si presenta in calo rispetto alla precedente rilevazione del 2009 - quando era si attestava al 77,6 % - grazie al maggior contributo paterno in queste attività, che transita da 35% del 2009 al 42,2% odierno. In generale l’Istat (2016, p. 10) in ogni caso rileva una generale riduzione dell’asimmetria nei compiti di cura quali lo svolgimento dei compiti o le attività educative di sostegno ed accompagnamento:

«Migliorano, invece, i livelli di condivisione per le altre attività di cura: per l’aiuto nello svolgimento dei compiti l’indice di asimmetria scende dal 75,1% al 66,4%, e per le altre attività di cura (leggere, parlare con i figli, accompagnarli) passa dal 65,5% al 61,5%. Il riequilibrio dei carichi nell’aiuto nei compiti vede crescere i padri che si impegnano (dal 3,8% al 5,2%) e diminuire le madri (dal 14,5% al 10,8%)».

I padri invece passano più tempo delle proprie partner nelle attività ludiche con i figli: il 61%7 di questa attività è svolta dai padri. Risultano infine in lieve crescita anche le percentuali di richiesta di collaborazione domestica da parte dei figli in casa, così come i dati relativi al numero di ragazzi tra i 6-17 anni che fruiscono di cultura (cinema, teatro, musei, mostre, spettacoli, concerti) (Istat, 2011).

Questi dati contribuiscono a delineare un quadro genitoriale e familiare in evidente cambiamento. In maniera speciale il coinvolgimento affettivo (il gioco) dei padri nella cura dei figli, mostra una nuova presenza paterna caratterizzata dall’impegno per una vicinanza emotiva e fisica; si tratta senz’altro di mutamenti forti nell’identità maschile (Bimbi & Castellano, 1990). Allo stesso tempo tuttavia la letteratura (cfr. in particolare Truffelli, 2011; Gigli 2006, 2010; Zaltron, 2008) ha da tempo ormai messo in luce come tale coinvolgimento - nonostante sia aumentato in modo significativo - si limiti soprattutto ad attività gratificanti - ad esempio il gioco con i figli - mentre altre mansioni, come i compiti domestici o altre pratiche di cura più routinarie (pulizia, cura dell’abbigliamento, alimentazione, sonno, ecc.), permangono di competenza prettamente materna. Si tratta di risultati confermati in generale anche dagli studi cross-culturali, con l’eccezione di poche realtà quali la Svezia e i kibbutz israeliani (Bornstein & Venuti 2013). La ricerca di Truffelli (2011) risulta particolarmente interessante in quanto si è occupata di indagare la genitorialità e l'influenza degli stili educativi nel contesto rurale del nord Italia attraverso la lente degli studi di genere. I risultati principali mostrano che il «modello offerto ai figli si basa ancora sulla convinzione che alla donna spetti gran parte del lavoro familiare, ma propone anche una forma di collaborazione, seppur timida e parziale tra i sessi» (ivi, p. 17); si tratta inoltre di un modello che prevede e promuove una certa interscambiabilità nell’esercizio della genitorialità, che sfocia talvolta nell’indifferenziazione vera e propria. Siamo di fronte ad un tema che per quanto importante e attuale risulta ancora poco trattato dagli studi di stampo pedagogico, ma sul quale si cercherà di fare comunque chiarezza nel corso della trattazione. La ricerca di Zaltron (2008) prende in considerazione le recenti trasformazioni legate all'infanzia, in particolare una concezione del bambino che viene sempre più riconosciuto nella sua unicità e singolarità e che lo vede titolare di specifici diritti. Secondo De Singly (1996, citato in Zaltron) il suddetto riconoscimento modifica il mandato adulto:

«in quanto la socializzazione non sarebbe più chiamata a modellare il minore secondo norme e valori conformi alla generazione precedente, quanto piuttosto quella di porsi al servizio e all'ascolto del bambino per fargli esprimere potenzialità interiori e assecondarlo nel percorso di crescita» (Zaltron 2008, p. 76).

Si viene ad originare un modello teorico di riferimento che delinea un “nuovo idealtipo genitoriale”, il quale prevede per i genitori della “neo famiglia individualistico relazionale”

(Ibidem) un nuovo triplice mandato: l'ascolto, lo svelamento del sé e la promozione

dell'autonomia. I genitori d'oggi, seguendo questo modello teorico, appaiono sempre più alla ricerca di un equilibrio nella tensione posta tra il valore dell'autonomia infantile e l'esercizio dell'autorità adulta e genitoriale. Tale tensione viene espressa attraverso le forme dell'affettività, dell'intimità e della riflessività nei confronti del mandato educativo e genitoriale. I valori più importanti assunti dalla coppia genitoriale diventano quindi il rispetto per gli altri e per le regole, la socialità e il tentativo di seguire e rispettare l'indole del bambino, valori che a ben vedere comportano una certa revisione dell'autorità genitoriale, così come veniva concepita nel modello della famiglia tradizionale. Nella ricerca di Zaltron (2008), condotta con interviste rivolte a coppie di genitori di classe medio-alta del nord Italia (Veneto), emerge una forte convergenza di genere sui valori più importanti da perseguire e da trasmettere ai figli. I genitori intervistati vivono la genitorialità come un ruolo educativo di accompagnamento e promozione delle caratteristiche personali del bambino. Questi genitori si presentano capaci di riflettere e di auto- interrogarsi sui contenuti del proprio agire educativo. Nonostante la pressoché totale convergenza di genere a livello valoriale, emerge uno scarto nella messa in pratica delle cure materne e quelle paterne, ad esempio nel caso dell'alimentazione. Dall'indagine, infine, emergono tre tipologie di coppie genitoriali: i genitori simmetrici-riflessivi - la maggioranza delle coppie intervistate - che si caratterizzano per la collaborazione paritaria e per la pratica di riflessione attuata da parte di entrambi; seguono i genitori simmetrici-variabili (meno della metà delle coppie), che si contraddistinguono per una divisione del lavoro meno fluida, per il mantenimento di “territori personali”. Infine solo due coppie vengono individuate come

asimmetriche-variabili, in altri termini ripropongono un modello classico che vede la figura

paterna ricoprire il ruolo di breadwinner. Si tratta di padri che mentre svolgono tale classica funzione, provano allo stesso tempo a ridefinire il proprio ruolo educativo lasciando esercitare l'autorità alle madri. Da una ricerca di Gigli (2010), infine, emerge come uno dei maggiori ostacoli alla effettiva realizzazione di un modello familiare democratico sia la concreta mancanza di tempo a disposizione (o perlomeno la sua percezione), che viene espressa in modo particolare dalle figure genitoriali femminili, così come l’insufficienza di energie, impegno e

consapevolezza necessarie per la messa in atto di una gestione condivisa e negoziata della genitorialità. La mancanza di tempo a disposizione in modo particolare rappresenta un aspetto sul quale nel nostro Paese grava ancora pesantemente la mancata suddivisione dei carichi domestici che verrà di seguito analizzata.

“Padri presenti, mariti pigri” è l’ironico titolo scelto da Fuochi, Mencarini e Solera (2015) per un loro recente articolo che riassume e descrive in maniera efficace la traiettoria attuale vissuta in media dai padri italiani. Come appena visto l’accrescimento del coinvolgimento paterno nelle funzioni educative e di cura - anche se in media rimane limitato ad alcune specifiche attività - è senz’altro visibile ed emerge in modo chiaro dalla complessità delle ricerche empiriche analizzate. I cambiamenti, tuttavia, hanno riguardato più il lavoro di cura della prole che non quello domestico, che rimane ancora fortemente femminile. In Italia, quindi, è aumentata in misura maggiore la percentuale di coloro che potremmo definire “padri coinvolti” a discapito di quella dei “mariti egalitari” (Mencarini & Tanturri, 2009). Nonostante gli ultimi dati statistici (Istat, 2016) presentino segnali positivi per la parità di genere - l’indice di asimmetria, infatti, scende per la prima volta sotto il 70%, fermandosi al 63,3% (dal 71,9% del 2009) - essi rimangono fortemente disomogenei tra il nord e il sud del Paese19 e presentano inoltre anomalie rispetto all’andamento degli altri paesi europei (Fine-Davis, Fagnani et. al., 2008; Del Boca, Mencarini & Pasqui, 2012).