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2.2 Le migrazioni femminili dai Paesi postsocialisti: uno sguardo oltre la cortina

2.2.1 Romania

La Romania nel dicembre 1989 vive la sua discussa e controversa rivoluzione76 che metterà fine anche in questo Paese - come nella maggior parte del blocco sovietico verso l’inizio degli anni

75Per approfondimenti sulla Romania cfr. Biagini (2004); Guida (2005); Hitchins (2015); Abraham (2016); per

l’Ucraina cfr. Boeckh & Völkl (2009).

76 Il dibattito sulle modalità della caduta del regime comunista rumeno, se sia dipeso cioè da un colpo di Stato

interno allo stesso partito comunista o da una rivoluzione, nonché sul successivo processo ed esecuzione capitale, è ancora aperto e condizionato da molti fattori (cfr. Biagini, 2004). Emblematico risulta a questo proposito il film rumeno del 2006 “A fost sau n-a fost? che è traducibile dal romeno in: “C’è stata o non c’è stata”? (titolo in italiano:

Novanta - ad una durissima dittatura. Si tratta di quella personale di Nicolae Ceauşescu che, accusato di gravi crimini e di aver letteralmente affamato il suo popolo a causa di politiche economiche scellerate, verrà fucilato assieme alla moglie il 25 dicembre 1989 dopo un processo sommario; fu l’ultimo dittatore stanlinista europeo. Le manifestazioni di dicembre iniziate dagli studenti a Iaşi, capoluogo della Moldavia rumena al confine con la Moldova, portate poi avanti da operai ed intellettuali ad Arad e Timişoara, nella parte occidentale del Paese e poi propagatesi anche a Bucarest, nella capitale, verranno duramente represse nel sangue, ma si concluderanno con un processo sommario e una frettolosa fucilazione del dittatore e di sua moglie, avvenuta il 25 dicembre 1989. Molto rimane tuttora oscuro e per certi versi irrisolto di quest’atto di “giustizia”, ma da più parti si sostiene come gli uomini insediatisi al potere subito dopo la fuga del dittatore ne portino la responsabilità politica e morale (Guida, 2005). In seguito viene formato un governo provvisorio composto da un variegato Fronte di Salvezza Nazionale, tale Fronte - che si trasformerà in seguito nel Partito Socialdemocratico, oggigiorno (2017) ancora al governo - vede al suo interno la presenza di molti membri o dirigenti del vecchio Partito Comunista rimasti in ombra, o meglio «oppositori di basso profilo del dittatore» (Perrotta, 2011). Ion Iliescu faceva parte di questo camaleontico gruppo e verrà nominato Presidente della Repubblica in quello stesso anno, nonché per i due mandati successivi, diventando così l’uomo più rappresentativo della nuova fase storica post-rivoluzione. D’accordo con lo storico Guida (2004, p. 285), si ritiene che questi aspetti possano essere d’aiuto per comprendere «i motivi degli sviluppi poco positivi della successiva democratizzazione lenta e zoppa». Tali aspetti dunque hanno contraddistinto la transizione romena, sono in molti a parlare di “rivoluzione mancata” in quanto non vi è stato a tutti gli effetti un processo di “epurazione” interno durante il percorso che ha portato alla creazione di uno Stato democratico. La vecchia nomenkaltura non ha pagato per le proprie responsabilità e le illusioni dei manifestanti - scesi in piazza perché esasperati da uno dei più duri e duraturi regimi di tipo comunista - sono state presto smorzate dal permanere dello status quo precedente, perlomeno per quanto riguarda le strutture del potere politico ed economico. A differenza di altri paesi dell’Est, la Romania - una volta sbarazzatasi in fretta del suo dittatore - vede un protratto permanere del partito comunista, perlomeno sotto altre vesti, che rimane al potere molto a lungo, vincendo le prime libere elezioni nel 1990 e governando ininterrottamente fino al 1996, quando si alterna al governo la destra di Costantinescu, per poi tornare al potere dal 2000 al 2004. In seguito alle ultime elezioni politiche (dicembre 2016) i

A est di Bucarest) di Porumboiu, che mette in evidenza proprio questo controverso dibattito riguardante la rivoluzione popolare romena.

socialdemocratici di Liviu Dragnea sono tuttora al governo, quest’ultimo guidato da Sorin Grindeanu anch’egli socialdemocratico. Nonostante l’ampio consenso elettorale ricevuto (45%) pochi mesi dopo, nel febbraio del 2017 il governo è minacciato da massicce manifestazioni di piazza - le più affollate dalla fine del regime in poi, secondo molti osservatori - più di 300.000 cittadini si riversano nelle strade in primo luogo per chiedere al governo di ritirare la proposta di legge sull’amnistia77, poi per protestare contro la corruzione che dilaga nella classe politica e per

affermare il rispetto delle leggi europee.

Secondo lo storico Biagini (2004), per comprendere la fase economica e politica vissuta dal Paese dopo la caduta del regime, bisogna porre attenzione alle peculiari caratteristiche assunte dal comunismo romeno, ovvero quelle di un regime che ha posto al suo centro, da una parte, la delazione e lo smantellamento del tessuto sociale, con esiti drammatici di pressione psicologia e di sfiducia nei confronti di chiunque e, dall’altra, una lotta quotidiana per la sopravvivenza fisica dei cittadini, vista l’ingente carenza di beni materiali primari. Si tratta dunque di una «condizione di depauperamento morale e materiale [..] la pesante eredità lasciata dal regime di Ceauşescu» (Biagini 2004, p. 137). Qualsiasi governo successore si sarebbe trovato in difficoltà a affrontare la sfida, di operare il passaggio da economia pianificata ad economia di mercato, quando il Paese non presentava capitali interni da investire. A partire dal 1989 la Romania vede aprirsi una fase di transizione verso il raggiungimento di uno stato democratico ad economia di mercato, questo avviene dopo quasi quarantacinque anni di comunismo. Si tratta nondimeno di un processo faticoso e ricco di ostacoli. Nei due anni successivi alla caduta del regime, infatti, la situazione economica appare in seria difficoltà: la produzione industriale collassa e si sviluppa un’inflazione galoppante (Guida, 2005). L’impiego nei centri industriali, ad esempio, subisce un forte declino passando dal 40% del 1990 al 23% del 2003 (Cingolani, 2009). Per tutti gli anni Novanta la Romania vive una profonda crisi economica; per via della forte inflazione anche il potere d’acquisto della popolazione si abbassa moltissimo. La disponibilità di risorse per la protezione sociale ha avuto un andamento inversamente proporzionale alla domanda di assistenza, in costante crescita soprattutto da parte delle fasce più deboli, composte da anziani e donne, cui si aggiunge una nuova categoria in rapida espansione: i disoccupati. Nel Paese inoltre si possono riscontrare forti disparità economiche interne che nemmeno il regime comunista è riuscito a sanare completamente, centro-ovest e nord-est della Romania, infatti, si presentano

77 «A far infuriare migliaia di persone scese in piazza domenica a Bucarest è stata la fretta con cui, appena insediato, l’esecutivo ha varato d'urgenza due ordinanze di amnistia a favore di oltre 2.500 detenuti che stanno scontando pene sino ad un massimo di cinque anni. A giustificazione dell'amnistia, il governo ha citato il problema del sovraffollamento delle carceri, ma per molti detrattori di questa decisione si tratterebbe invece di un provvedimento che segna la fine "della guerra alla corruzione» (Osservatorio Balcani e Caucaso - Transeuropa, 2017).

come due aree fortemente distinte tra loro, come spiegano bene le parole di Cingolani (2009, p. 39):

«Il nord-est del Paese, compresa la regione di Suceava, è la zona in cui la perdita dei posti di lavoro industriali è stata più consistente e nella quale gli investimenti infrastrutturali hanno continuato ad essere inferiori rispetto ad altre zone. L’ovest del Paese invece, grazie alla prossimità con le frontiere europee e alla presenza di maggiori investimenti stranieri, ha costituito, insieme a Bucarest, la zona con gli indici di sviluppo e di occupazione maggiori».

La Moldavia rumena78 rappresenta ancora oggi una delle zone più povere del Paese e tra le

più colpite dall’emigrazione. Anche il settore agricolo si è sviluppato in modi diversi nelle due aree del Paese, moderna e caratterizzata da alta produzione ad ovest, mantiene tuttora aspetti di sussistenza nel nord-est del Paese. A partire dal 2000 tuttavia, il periodo più difficile per la “transizione” romena sembrava essersi concluso. L’economia, infatti, era in gran espansione e il nuovo millennio segnava per la Romania l’ingresso nell’Unione Europa nel gennaio 2007. Dal 2001 fino alla recente crisi economica mondiale del 2008, il Pil ed i salari sono stati in continua crescita, gli investimenti e le delocalizzazioni di molti settori produttivi hanno contribuito a creare nuovi posti di lavoro. Per quanto riguarda le zone rurali non altrettanto positivo è stato il processo di crescita, una volta abolita la collettivizzazione delle terre, avvenuta nel 1991, e in seguito alla conseguente redistribuzione, con la chiusura delle grandi cooperative agricole, i contadini si sono trovati a dover sopravvivere con poca terra a disposizione, individuando così nell’emigrazione verso l’estero la migliore scelta e prospettiva per il futuro.

Dopo questo breve quadro introduttivo generale, risulta utile fornire qualche coordinata rispetto al sistema di welfare e alle politiche sociali presenti nel Paese, in particolar modo facendo riferimento al periodo successivo alla crisi economica mondiale che ha colto la Romania fortemente impreparata (Popescu, Ivan & Raţ, 2016). La crisi economica arrivò proprio mentre la Romania stava attuando una serie di modifiche al sistema di welfare che - ideate nel periodo della grande crescita economica dal 2000 in poi- erano finalizzate alla prevenzione dell’emigrazione qualificata e a contrastare il continuo calo delle nascite. Così nel 2009 i congedi parentali vennero aumentati superando del 12% il salario minimo lordo (ivi, 616), venne inoltre introdotta una pensione minima statale di 85€. Il programma governativo di austerity imposto dall’Europa pochi anni dopo, tuttavia, finì per concretizzarsi

78 In questo caso si è scelto di mantenere quest’espressione per favorire una distinzione tra la regione parte della Romania e lo Stato ad essa confinante, la Moldova.

prevalentemente nel taglio della spesa sociale: gli stipendi nel settore pubblico subirono un calo del 25%, tutti i sussidi vennero tagliati tagliati del 15%, solo le pensioni non vennero toccate perché il provvedimento fu stato considerato anticostituzionale, mentre l’IVA, innalzata nel luglio 2010, passò dal 19% al 24% (Pop-Radu, 2014) comportando grandi costi

per la popolazione. Si è trattato di misure dure che hanno provocato ingenti e durature proteste

di piazza nel gennaio 2012 (Osservatorio Balcani e Caucaso – Transeuropa, 2012). La Romania, pur rappresentando il Paese europeo con il più alto indice di crescita economica79 del continente (+5% del Pil) e quello con la pressione fiscale più contenuta, presenta alti livelli di povertà80 e un’iniqua distribuzione del reddito (Pop-Radu, 2014). Lo scarto tra zone urbane e rurali è ancora molto forte, con quest’ultime nettamente più esposte ai rischi legati alla povertà. Nelle aree rurali, dove vive il 45% della popolazione, i servizi per la prima infanzia risultano fortemente sottosviluppati e non garantiscono alle famiglie più vulnerabili né alle più numerose (con due o più figli) di potervi accedere. Dal punto di vista demografico, inoltre, la Romania presenta diverse problematicità: un basso indice di fecondità (1,2 nel 2012), il più alto tasso di mortalità infantile (9%) all’interno dell’Europa a 28, un alto tasso di invecchiamento della popolazione, accelerato anche da un altrettanto elevato tasso di emigrazione (12.9 % nel 2011) che conta quasi 2,37 milioni di cittadini romeni emigrati all’estero (Sandu, 2013) (1 milione e 100mila nella sola Italia). Il cambiamento demografico e il forte tasso di invecchiamento della popolazione in prospettiva sembrano minacciare in modo serio la sostenibilità del sistema sociale (Popescu, Ivan & Raţ, 2016), in particolare per quanto riguarda il sistema pensionistico. L’emigrazione inoltre ha gradualmente drenato il Paese dalla manodopera qualificata, colpendo -visti gli alti tassi di migrazioni femminili- soprattutto il settore dei servizi alla persona: «The loss of human resources impacted not only the manual-industrial sector, but also public services such as healthcare, education, social assistance services, leading to increasing personell shortages» (ivi, 622). Infine anche la situazione in cui vessano i servizi residenziali pubblici per anziani risulta problematica; essi infatti appaiono del tutto insufficienti a coprire la potenziale richiesta espressa dagli anziani romeni; quelli privati inoltre il più delle volte non vengono nemmeno presi in considerazione per gli elevati costi, per queste ragioni la pressoché totalità degli anziani viene assistita in casa dai propri familiari o da vicini di casa. Un’ulteriore possibilità per gli anziani è fornita dalle associazioni di tipo religioso (Caritas, Casa della Provvidenza, ecc) o cooperative sociali

79 Tra il 2004 e il 2007 il Pil aveva raggiunto il 12% (Pop-Radu, 2014).

80 Lo stipendio minimo è tra i più bassi all’interno dei paesi europei, fermandosi a 157, 2 euro mensili, rappresentando 1/7 di quello francese, ¼ di quello greco o spagnolo e ½ di quello ungherese. (Pop-Radu, 2014).

come la già citata Alternative Sociale che di recente ha avviato un progetto di sostegno a favore dei genitori anziani “left behind” (Vianello, 2015). Negli ultimi tempi inoltre anche in Romania come già altri paesi dell’Est Europa colpiti da massicce migrazioni femminili sta prendendo piede il ricorso al mercato privato per l’assistenza agli anziani (Ibidem) in altri termini gli anziani genitori delle lavoratrici emigrate in Italia qualche volta vengono affidati a persone pagate che se ne prendono cura.

Il processo di allargamento europeo - che ha portato dieci anni fa all’ingresso della Romania in Unione Europea - aveva posto molta attenzione ad alcuni requisiti di accesso, quali la

riforma del sistema di protezione dell’infanzia81 e il superamento delle condizioni di

marginalità e deprivazione vissute dalla minoranza rom. Più trascurati invece sono stati gli ambiti relativi alle disuguaglianze presenti all’interno della riforma dei congedi parentali e

dei requisiti per accedere ai servizi per l’infanzia (childcare benefits), le pensioni e il sistema

sanitario (ivi, 615). A partire dal 2007 in poi inoltre, le politiche sociali universalistiche sono state gradualmente abbandonate82 per lasciare il posto a forme di protezione più conservatrici basate su assicurazioni, in combinazione con un uso controllato dei sussidi, elargiti come ultima istanza. Il sistema sanitario risulta uno dei meno finanziati d’Europa, con una carenza

cronica di personale e attrezzature. Le pratiche di corruzione, attraverso pagamenti informali, sono molto utilizzate per garantirsi adeguati trattamenti sanitari e minacciano seriamente un’equa possibilità di accesso alle cure sanitarie. Infine va messo in evidenza come la crisi economica e i tagli alla spesa sociale abbiano contribuito a rendere più precarie e vulnerabili le condizioni di vita della minoranza rom. La scarsità di alloggi popolari, la segregazione abitativa ed i rischi ambientali, nonché un’aperta discriminazione, anche da parte della classe

politica83, sono gli aspetti di deprivazione più drammatici e persistenti che contraddistinguono

la vita in Romania di molte persone appartenenti a questa minoranza.

Com’è evidente, il sintetico quadro appena delineato spiega almeno in parte le ragioni di chi decide di lasciare la Romania alla ricerca di un’occupazione più redditizia, di un sistema

81A questo proposito si può fare riferimento alla classificazione proposta da Greenwell (2003) in relazione ai servizi

per l’infanzia, che vede sostanzialmente tre diversi tentativi di riforma, oltre al periodo antecedente la rivoluzione, a cui si è già fatto riferimento nel precedente paragrafo: 1. fino al 1990: pre-reform, periodo, 2. 1990-1991: child

welfare reform period I, 3. 1992-1996: child welfare reform period II, 4. 1997-2000: child welfare reform period III.

82 Unica eccezione sono i sussidi per l’infanzia, secondo (Popescu et. al., 2016, p. 616) «a persistent reminescence of paternalistic state-imaginaries».

83 Per una visione sulle dichiarazioni discriminatorie dei politici romeni cfr il Report a cura del US State Department Human Rights Commission (2010) https://www.state.gov/documents/organization/160210.pdf

sanitario più efficiente o per garantire l’accesso agli studi universitari ai propri figli o ancora cure mediche ai propri familiari.

Prima di concludere vale la pena riportare un passaggio tratto dal più volte citato saggio di Popescu, Ivan & Raţ (2016, p. 616) per rendere l’idea della situazione attuale vissuta dal Paese, in seguito alle dolorose politiche messe in atto per porre rimedio alla recente crisi economica:

«Romania reacted to the crisis by scaling-back the state, deregulating the labour maket and increasing the taxation of non-wage income, property and consumption, and bringing within the crisis-frame social problems with deeper historical roots: the marginalization and impoverishment of the Roma, child-poverty in the rural areas, the spectrum of ageing of the larger cohorts born after the 1966 anti-abortion decree and the pressure the will presumably put on the pension system».