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Quando si fa riferimento al welfare odierno si intendono le politiche nate all’interno del contesto degli stati nazionali, esito di una costruzione che è parte dell’ordinamento statale finalizzato a dare risposta a problemi relativi all’integrazione sociale dei cittadini (Piperno, 2012). I sistemi di welfare appaiono fortemente legati agli ordinamenti statali e quindi, al pari della varietà dei

165 Il testo è disponibile al seguente link: http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CMW.aspx 166 Al seguente link è presente un elenco dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione:

modelli di organizzazione politica, possono assumere forme diverse. Il welfare transnazionale si presenta come una delle nuove configurazioni dello stato sociale, come il welfare mix, quello familistico delle assistenti familiari e quello aziendale delle imprese di mercato che, secondo Tognetti Bordogna (2004), compongono il variegato quadro attuale.

Piperno e Tognetti Bordogna (2012), curatrici di un interessante volume dedicato al concetto di welfare transnazionale e alle sue prime realizzazioni pratiche, lo definiscono nel seguente modo:

«con l’espressione welfare transnazionale ci si riferisce alla dinamica d'interdipendenza tra i sistemi sociali posti ai a due poli del processo migratorio, al delinearsi di problematiche e opportunità comuni e all'emergere di una sfera in cui la co-gestione dei processi sociali legati alla migrazione diviene un elemento importante per rispondere a problematiche e potenzialità cruciali per i regimi di welfare su entrambe le sponde, fra le quali si sviluppano le dinamiche migratorie» (ivi, p. 17).

Il welfare transnazionale, quindi, rappresenta una riconfigurazione degli stati sociali nazionali e locali che è in grado di farsi carico dei nuovi bisogni che spesso travalicano le frontiere - generati e conformati al processo di globalizzazione - espressi dai singoli individui o dalle famiglie transnazionali. Un tale welfare si baserebbe, quindi, su un’ideale di solidarietà globale, sulla costruzione inoltre di relazioni tra paesi basati su forme di collaborazione, coordinamento e negoziazione; non più quindi relazioni di dominio finalizzate alla sottrazione reciproca (Hegelich & Schubert, 2009 cit. in Tognetti Bordogna, 2012).

Il welfare, in generale, è stato utilizzato come uno strumento a disposizione di una politica di cittadinanza attuata dai governi nazionali, una sorta di accordo tra stato e cittadini che prevede diritti e doveri: l’offerta di welfare da una parte, il rispetto di determinate regole (in primis adempimenti fiscali) dall’altra. Si tratta di protezioni ancorate esclusivamente alla residenza, fissata in un luogo ben preciso, che prediligono inoltre la tutela di famiglie “normali” composte da padre, madre e figli conviventi. Non si tiene nella giusta considerazione la mobilità odierna, che dovrebbe rendere tali diritti “portabili” e circolari”, né dell’importanza di tutelare il singolo individuo che può vivere in luoghi differenti, per periodi di tempo diversi, o avendo a carico persone non per forza legate da un vincolo familiare di tipo diretto (Tognetti Bordogna, 2012). Le migrazioni attuali, secondo alcuni autori, possono essere lette come un tentativo di superamento di tali sistemi di welfare, visti come confini internazionali di disuguaglianza (Bommes & Geddes, 2000). Questa visione si presenta particolarmente in linea con quanto messo in luce in precedenza, quando si è individuato proprio nel crollo del sistema di welfare dei Paesi postsocialisti, una delle principali cause alla migrazione verso i Paesi occidentali. Le migrazioni quindi possono, attraverso l’invio di rimesse, costituire un “welfare parallelo” (Piperno, 2012), o una forma di “welfare transnazionale informale” (Tognetti Bordogna, 2012), uno strumento

cioè che può integrare i livelli di protezione sociale locale, soprattutto nel campo educativo e sanitario. Secondo un interessante rapporto UNDP (Overcoming barriers; human mobility and

development) del 2009, viene messo in luce come le migrazioni siano fortemente intrecciate con

lo sviluppo umano, in termini di benessere sociale per il singolo individuo e la sua famiglia. Con Piperno (2012) possiamo mettere in evidenza come, da una parte, ci sia la tendenza, soprattutto negli ultimi anni, ad alzare i confini nazionali dello stato sociale tra chi sta dentro e chi sta fuori, ma anche interni agli stessi stati-nazione dove autoctoni/cittadini e migranti sono in competizione tra loro, ma, dall’altra, come l’internazionalizzazione del welfare italiano sia una realtà sempre più strutturale. Nell’evocare un welfare di tipo transnazionale si corre, infatti, il rischio di trascurare che una tale dimensione contraddistingue già le attuali conformazioni di molti modelli di welfare; ad esempio nel nostro Paese, il sistema si regge grazie a un processo chiamato “internazionalizzazione della cura”, dove risorse interne ed esterne risultano ibridate tra loro. Si tratta tuttavia di un fenomeno generale, che riguarda molti Paesi europei che stanno compensando alla mancanza di lavoratori nel settore socio-sanitario, causata anche dai tagli alla spesa sociale e dall’invecchiamento della popolazione, attingendo a manodopera straniera. In modo simile, anche i Paesi di origine, in questo caso dell’Europa dell’Est, si servono di risorse esterne per sviluppare e sostenere i propri sistemi di welfare. Se questa, seppur spesso trascurata nel discorso pubblico, rappresenta una faccia generalmente conosciuta, perché visibile, della transnazionalizzazione dei sistemi di welfare, l’aspetto più nascosto è rappresentato invece dall’interdipendenza venutasi a creare tra gli stati sociali dei Paesi “occidentali” e “periferici” in seguito alle migrazioni (Ibidem). Numerose sono ormai le connessioni – che talvolta possono tramutarsi in contraddizioni ‒ esistenti tra i due poli della migrazione messe in luce dalla letteratura. Uno degli aspetti più comuni e diffusi è il drenaggio di forza lavoro dai settori educativi e socio-sanitari di Paesi dove la manodopera qualificata è spesso già di per sé carente (Torre et. al., 2009; Piperno, 2012), che indebolisce i sistemi di protezione sociale locali, finendo con l’incentivare le migrazioni internazionali. In parte collegato a questo un altro aspetto che riguarda il nostro Paese è rappresentato dal risparmio in termini di spesa sociale per lo stato italiano, ottenuto grazie al ricorso a forme di welfare privato, che comporta nei Paesi di origine un innalzamento della spesa pubblica per la presa in carico di anziani e minori e per la perdita inoltre - a causa dell’emigrazione - di considerevoli percentuali di forza lavoro femminile qualificata, quali insegnanti, infermiere ed assistenti sociali (Piperno, 2008, 2010). Un esempio di questa interdipendenza che genera contraddizioni ci viene proposto dal seguente episodio:

«Se nel 2007 una dirigente del Ministero del lavoro italiano ha potuto annunciare il risparmio di 6 miliardi di euro grazie al lavoro delle assistenti familiari (principalmente straniere) e dunque alla mancata spesa in prestazioni assistenziali, nel 2006 l’amministrazione di Vaslui, uno dei comuni più poveri della Moldavia rumena, denunciava che su 600 minori con genitori all’estero, 100 sarebbero stati beneficiari di una qualche misura di assistenza sociale da parte delle autorità pubbliche» (Piperno, 2010 p. 55).

Un altro fenomeno problematico legato alle migrazioni femminili di ritorno è la cosiddetta “sindrome Italia”, di cui si è già parlato in precedenza. Si tratta di uno stato di spaesamento psico- sociale e depressivo riscontrato in molte donne che nel nostro Paese hanno lavorato nel settore dell’assistenza agli anziani, le quali una volta rientrate in patria faticano a reinserirsi nel loro precedente contesto di vita a causa di una forte sofferenza emotiva. Una situazione che, com’è evidente, può generare una nuova domanda di servizi di intervento e sostegno ad hoc.

In questi esempi abbiamo visto l’avvantaggiarsi del “qui”, in altri termini dei contesti “occidentali”, a discapito di quanto avviene in quelli di origine. Secondo altri studi (Torre, 2005; Torre et.al., 2009; Piperno, 2010), tuttavia, viene progressivamente messa in luce anche l’altra faccia della medaglia. Ad esempio ci si sofferma sulla difficile gestione e presa in carico da parte dei servizi socio-educativi italiani nei confronti di molti ricongiungimenti familiari che comportano complessi inserimenti sociali di figli adolescenti, provenienti in particolare dai paesi dell’America Latina. Si tratta di un “effetto collaterale” delle migrazioni molto spesso non previsto. Come spiega efficacemente Torre (2005):

«cade l’illusione di poter attingere a man bassa alle risorse di cura delle donne immigrate, senza dover pagare dei prezzi in termini di presa in carico delle loro realtà familiari, destabilizzate dai processi migratori».

Attraverso i ricongiungimenti familiari le problematiche vissute dai “children left behind” possono trasformarsi di colpo in un fenomeno che riguarda il nostro Paese, in quanto coinvolge i figli dei migranti, la cosiddetta generazione 1,5 (Rumbaut, 2009), e richiede spesso l’intervento della rete di servizi sociali. Alla luce di queste criticità, alcuni amministratori locali, hanno promosso un lavoro di collaborazione con i contesti di origine a scopo preventivo (Piperno, 2010).

D’accordo con Deluigi (2016) si ritiene fondamentale che le politiche sociali, in dialogo con quelle economiche e quelle educative, sappiano prendere in considerazione l’interdipendenza venutasi a creare all’interno del mondo globale attuale, impegnandosi nell’individuazione di nuovi percorsi attuabili per sostenere l’invecchiamento continuo che contraddistingue il nostro

Paese in particolare, ma più in generale l’intero continente europeo. La prospettiva di un welfare transnazionale, inoltre, potrebbe essere di notevole aiuto soprattutto per le famiglie migranti che, in particolare durante alcune fasi più delicate del percorso migratorio (ricongiungimento, ritorno in patria, ecc.), potrebbero avvantaggiarsi di un supporto di tipo psico-sociale e di un accompagnamento dislocato “qui” e “lì”, attraverso progetti avviati in modo integrato e sinergico (Piperno, 2010). Quali tipologie di supporto psicologico, materiale, economico e di servizi di welfare richiedono tali famiglie che vivono divise dai confini? Si tratta secondo Tognetti Bordogna (2012, p. 57) di interrogativi non più ignorabili dai Paesi coinvolti nel processo migratorio.

Tognetti Bordogna (Ivi, pp. 64-67) individua sei diverse tipologie di welfare transnazionale finora realizzate, che vale la pena scorrere rapidamente che risultano utili anche per provare a classificare le esperienze analizzate negli studi di caso, presentate nei paragrafi che seguono:

1) Welfare transnazionale informale: viene garantito dalle rimesse spedite da chi è migrato in favore a chi è rimasto nei paesi d’origine

2) Welfare transnazionale di terzo settore: si tratta delle esperienze attivate dalle cooperative sociali o Ong, nate grazie a finanziamenti europei o nazionali, che danno vita a supporti e servizi con sedi dislocate sia nei paesi d’arrivo e d’origine dei migranti. «L’obiettivo dell’integrazione tra territori e servizi sociali e il lavoro a favore di una progressiva convergenza degli standard di sviluppo sociale tra paesi d’arrivo e di origine, viene perseguito non solo nell’ottica di una migliore stabilità politica e convivenza tra le nazioni, ma anche come strumento di gestione delle migrazioni e rafforzamento della coesione sociale interna agli stessi contesti di arrivo» (Ivi, p. 65).

3) Welfare transnazionale solidaristico, mutualistico o della capacitazione: portato avanti dalle associazioni di migranti per rispondere ai bisogni dei loro concittadini emigranti, ma al contempo per favorire un sostegno ai contesti di origine, laddove necessario.

4) Welfare transnazionale pubblico: attivato da enti locali, spesso grazie a finanziamenti dedicati, sotto forma di progetti di cooperazione decentrata che si occupano di migrazioni di ritorno, mediazione transnazionale tra domanda e offerta di lavoro, sviluppo imprenditoriale transnazionale.

5) Welfare transnazionale promosso dai paesi di partenza: è finalizzato a garantire ai propri concittadini emigrati la tutela di alcuni diritti, ad esempio quello di voto (diritto voto all’estero) o il mantenimento della doppia cittadinanza. Si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione di un atteggiamento di “corteggiamento” dei propri cittadini emigrati.

6) Welfare transnazionale “grigio” o illegale: costituito dalle molteplici forme di sostegno all’inserimento lavorativo nel contesto di immigrazione, che spesso prevedono erogazioni di visti o permessi di soggiorni provenienti dal mercato nero, o sistemi di reclutamento lavorativo illegali.