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«La cultura della genitorialità per gli psicoanalisti, gli psicologi, gli psichiatri o i neuropsichiatri, ma anche per i filosofi, gli insegnanti, gli educatori, come per i politici, è la sfida del XXI secolo» (Moro 2008, p. 108). Abbiamo a che fare tuttavia con uno dei mestieri più antichi, universali ma anche complessi e complicati del mondo. L’importante dunque, osserva la studiosa di etnopsichiatria, è «trovare il proprio modo di essere genitore, di trasmettere il legame, la tenerezza, la protezione di sé e degli altri, la vita» (Ibidem).

Prima di entrare nel merito dei diversi approcci e prospettive teoriche, è importante innanzitutto collocare temporalmente il concetto di genitorialità; esso infatti è cambiato molto nel corso degli anni e il modello attuale, ricorda Novara (2009, p. 44), rappresenta una forma storicamente inedita di genitore. Nel corso delle diverse epoche storiche, infatti, si è assistito per moltissimo tempo ad una concezione puramente procreativa e biologica della genitorialità, mentre si è giunti solo di recente alla considerazione odierna che vede nel genitore non solo colui che mette al mondo un figlio, ma chi di fatto si prende cura e si assume la responsabilità di un altro individuo, sostenendolo nel percorso di sviluppo e facilitando la soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali ed evolutivi (Natoli et. al., 2016). Il concetto di genitorialità implica una forte complessità concettuale e terminologica, esistono infatti numerose distinzioni tra i molteplici termini utilizzati nel riferirsi ad essa e ai relativi costrutti. Il riferimento alla genitorialità, ad esempio, può essere utilizzato per intendere le pratiche di cura, le funzioni genitoriali, gli stili di accudimento, gli stili genitoriali ecc. Inoltre all’interno del panorama della letteratura internazionale sono presenti anche diversità semantiche e linguistiche, ad esempio il significato del termine parenting, che implica l’atto del prendersi cura (caring), non coincide con quello di

parenthood, che invece indica semplicemente lo stato dell'essere genitore (Margiotta &

Zambianchi, 2013). Il concetto di genitorialità in ogni caso non fa riferimento al semplice status genitoriale, bensì è importante cogliere la sua dimensione processuale e intenderla come una «relazione in atto, concreta e produttiva: un divenire dialettico per eccellenza» (Zaccagnini & Zavattini 2007, p. 199). Una consistente parte della letteratura è infatti d’accordo nell’affermare che la genitorialità è una funzione autonoma e processuale che qualsiasi individuo,

indipendentemente dall’essere genitore, sviluppa fin dai primissimi momenti della sua vita, essa è preesistente alla generatività biologica, che appare soltanto come una delle sue espressioni, fondamentale quindi ma non necessaria (Fava Viziello, 2003; Bastianoni, 2009; Taurino & Bastianoni, 2007).

L’interesse per la genitorialità, perlomeno in ambito internazionale, si è venuto affermando da qualche decennio, con il risultato di aver prodotto una corposa e variegata letteratura sull’argomento28, per quanto riguarda il contesto italiano invece, il tema è stato affrontato

inizialmente soprattutto dagli psicologi, ma recentemente anche i pedagogisti hanno contribuito ad arricchire lo stato dell’arte (in particolare Milani, 2001, 2009; Sità, 2005). Come già in parte osservato in precedenza, la traiettoria degli studi sul parenting, così come quelli sulla famiglia, si è caratterizzata dal succedersi di diverse fasi, le principali in estrema sintesi appaiono le seguenti:

1) prospettiva strettamente diadica che ha focalizzato l’attenzione esclusivamente sull’influenza del genitore -in modo particolare la madre- sul figlio.

2) Prospettiva bidirezionale che prende in considerazione l’influenza del bambino, riconoscendolo come soggetto attivo e partecipe nella relazione interpersonale. 3) Prospettiva triadica che, da una parte comprende anche la figura paterna e, dall’altra,

considera la relazione genitoriale come strettamente interconnessa sia alla dimensione coniugale che alle relazioni intergenerazionali.

Il contesto ecologico in cui è inserita la famiglia e in particolare la triade familiare assume sempre più importanza, come messo bene in luce dagli studi basati sull’approccio contestuale (Novak, 1996; Rogoff, 2003). Va sottolineato tuttavia come le ricerche sulla genitorialità, nonostante la presenza di studi culturali, cross-culturali e transculturali, nella grandissima maggioranza dei casi siano state condotte in relazione a famiglie “occidentali” bianche e quindi rimangano limitati solo all’esplorazione di determinati contesti di vita (Bornstein & Venuti, 2013).

Il lavoro di analisi bibliografica che segue cercherà di tratteggiare le principali prospettive teoriche sulla genitorialità, in particolar modo si darà spazio alla prospettiva psicoanalitica e a

28 I termini parenting, parenthood e parent-child relation sono associati a numerosissime pubblicazioni. Scabini e Rossi (2006) dieci anni fa ne avevano individuate più di duemila, apparse nei cinque anni precedenti. Alle quali bisogna sommare la letteratura relativa alle “pratiche genitoriali”. Una rassegna della letteratura è ad opera di Bornstein (2002), in particolare volume 1, 3 e 5.

quella ecologica e socio-interazionista, per poi delineare la particolare concettualizzazione della genitorialità assunta nel presente lavoro di ricerca.

La connessione tra genitorialità, esperienza passata dell’adulto in quanto figlio e i rapporti intergenerazionali sono stati messi in luce soprattutto dalla prospettiva psicoanalitica. Secondo l’approccio psicodinamico sociocostruzionista, infatti, la genitorialità va intesa sia con le variegate pratiche del prendersi cura, quindi con gli atteggiamenti e i comportamenti rivolti a colui del quale ci si occupa, sia come una dimensione interna simbolica che si origina a partire dalla personale esperienza dell’essere figlio e che viene riattivata più volte nel corso della vita, ogni volta che l’individuo si ritrova coinvolto in specifiche interazioni di cura (Bastianoni, 2009). Questo può accadere in primo luogo quando si è bambini attraverso le relazioni con le persone che si prendono cura di noi, in secondo luogo in età adulta quando ci si occupa di qualcuno che necessita le nostre cure e infine da anziani, nell’eventualità di dover dipendere nuovamente da un caregiver che si prenderà cura di noi. Si tratta com’è evidente di una lettura in stretta linearità con la visione largamente presente in letteratura, ma non più di tanto appartenente al senso comune, che considera la genitorialità una condizione preesistente all’atto di concepire, riconducibile più all’esperienza di essere figlio che non a quella di genitore. Secondo Bastianoni e Taurino (2007) la genitorialità, dunque, è strettamente legata alle narrazioni, intese come complesso patrimonio emotivo, di esperienze, schemi mentali e sistemi di comportamento immagazzinati in memoria e parte di un sistema inconscio:

«Le genitorialità sono narrative-espressione, rivelazione, “epifania” dei contenuti latenti dei sistemi narrativi soggettivi, che pur partendo da un piano strettamente individuale/personale, accomunano tutti gli esseri umani in relazione al loro essere/essere stati figli, alla loro specifica modalità di sentirsi figli e di sentire l’altro in quanto genitore, alle emozioni e ai vissuti della propria esperienza di genitorialità interiorizzata nel corso delle prime interazioni con chi ha gestito la funzione di cura nell’infanzia e oltre» (Ibidem, p. 18).

I due studiosi propongono di abbandonare qualsiasi visione riduzionistica e di assumere il presupposto imprescindibile che un ruolo fondamentale deve essere assegnato alle rappresentazioni interne legate alla genitorialità, le quali sono rese accessibili a se stessi e agli altri attraverso le personali narrative prodotte; la capacità autoriflessiva del soggetto sulla complessità rappresentazionale che si attiva nella dinamica Sé figlio/Sé genitore-caregiver-Sé altro, diventa quindi un aspetto centrale.

La prospettiva ecologica prende il via dal fondamentale lavoro di Bronfenbrenner (1979) - la teoria dei sistemi ecologici - che permette ai ricercatori di correggere la visione riduttiva nella lettura dello sviluppo psicologico infantile, assumendone una più complessa. Il contesto inoltre

non viene più inteso in senso unitario, ma viene scomposto ed esteso alle diverse interconnessioni tra più situazioni ambientali (Benedetto & Ingrassia, 2010). L’ambiente ecologico si presenta come una serie di strutture sovrapposte e incluse l’una nell’altra, in esso troviamo quattro livelli, ognuno interconnesso con l’altro: il microsistema, il mesosistema, l’esosistema e il macrosistema.

La genitorialità, secondo la definizione proposta da Bornstein (2003), è posta nel primo livello, quindi nella dimensione più interna, in cui Bronfenbrenner colloca le prime interazioni dirette tra individuo in via di sviluppo e persone, oggetti ed attività. Lo studio del microsistema familiare (e della genitorialità) implica prendere in considerazione una molteplicità di fattori, quali la personalità e il genere dei genitori, la presenza di fratelli o sorelle, il clima familiare, il sistema di regole e l’organizzazione delle routine ecc. Le relazioni che prendono vita in questa sede sono di tipo bidirezionale, vanno lette quindi a partire sia dal bambino che dall’adulto. Il contesto familiare inoltre non è l’unico microsistema del bambino, altri infatti sono individuabili nella scuola dell’infanzia, nel gruppo di coetanei in giardino/cortile, nelle associazioni sportive29 ecc.

Il livello successivo, il mesosistema, è sede delle connessioni tra i diversi microsistemi in cui è inserito il bambino, qui hanno luogo ad esempio le interazioni tra insegnanti o quelle tra associazioni sportive e famiglia. All’interno dell’esosistema, invece, sono presenti i fattori che, pur essendo esterni alla famiglia, influenzano la genitorialità e quindi indirettamente anche il bambino, i principali sono: il contesto lavorativo del genitore, le reti di sostegno amicali e familiari e la comunità in cui la famiglia è inserita, come ad esempio il quartiere cittadino. Il macrosistema, infine, comprende i livelli precedenti e fa riferimento al sistema culturale (credenze, valori, comportamenti ecc.) che viene trasmesso da una generazione all’altra attraverso i processi di socializzazione attuati dalle diverse agenzie educative (famiglia, scuola, chiesa, ambito lavorativo ecc.) (Benedetto & Ingrassia, 2010). Il microsistema familiare è caratterizzato da reciproci scambi interpersonali; il termine che riesce meglio ad esprimere tali relazioni dinamiche all’interno del sistema genitori-figli è quello di transazione che indica il processo attraverso il quale l’individuo e l’ambiente si influenzano reciprocamente e in modo cumulativo e dinamico. Alla luce di quanto appena esposto va sottolineato come, secondo alcuni

29 A questo proposito alcuni psicologi, in particolare Harris (1998) hanno ridimensionato il peso del microsistema familiare ritenendo ad esempio che le esperienze con i pari fossero più importanti sullo sviluppo del bambino rispetto all’attaccamento precoce o allo stile genitoriale. Come notano Benedetto & Ingrassia (2010) si tratta di una posizione che presenta forti limiti in quanto, in modo simile alle letture che prendono in considerazione solo il peso dell’esperienza familiare, si focalizza esclusivamente sulla dimensione extra-familiare. Il merito di questi studi tuttavia è senz’altro quello di aver promosso il dibattito e la riflessione rispetto all’eccessivo determinismo con il quale lo sviluppo del bambino veniva ricondotto esclusivamente alle esperienze relazionali in famiglia.

autori, la prospettiva ecologica contribuisce a promuovere una nuova visione del “disfunzionamento”:

«i problemi di un bambino non sono del bambino o del genitore, ma sono sempre condivisi, essi cioè riflettono un disfunzionamento che si situa non nel bambino, non nel genitore, ma nella relazione tra loro, ossia in quello “spazio interattivo” che è definito dall’insieme della relazione genitore-figlio con l’entourage familiare complessivo, sociale, culturale e storico» (Dumas 2005, p. 63 in Milani, 2015a).

Nei modelli processuali, in particolare in quello elaborato da Belsky (1984), vengono raggruppate tre dimensioni familiari: le caratteristiche del genitore, del bambino e del contesto. Si tratta di un modello che assume che le pratiche genitoriali siano influenzate, sia in modo diretto che indiretto, da ciascuna delle tre dimensioni, questo comporta che ognuna di esse venga analizzata e presa in considerazione nel tentativo di spiegare, tanto una situazione adattiva e funzionale, quanto una di tipo problematico che può sfociare in incuria, negligenza o maltrattamento infantile. Per quanto riguarda le caratteristiche del genitore che influenzano la genitorialità, Belsky include la personalità, la storia personale e le esperienze familiari, in primis i modelli educativi appresi dai propri genitori. In modo simile alle caratteristiche del genitore, anche il contributo del bambino, in particolare la sua componente temperamentale, contribuisce all’influenza nella relazione con il genitore (Thomas & Chess, 1977). Il temperamento rappresenta l’insieme delle differenze comportamentali su base biologica che compaiono in modo precoce e presentano una certa stabilità nel tempo, contribuendo alla base dell’individualità della persona. Questa componente del bambino, tuttavia, mostra anch’essa una forte connessione con l’ambiente di vita, il temperamento del bambino infatti può risultare adattivo, o viceversa disadattivo rispetto alle aspettative sociali e familiari. Diverse ricerche hanno mostrato a questo proposito come l’emozionalità negativa e la bassa socievolezza vengano il più delle volte associate al temperamento “difficile”, ma come allo stesso tempo vadano tenute in considerazione alcune significative differenze culturali. Nelle ricerche anglosassoni, ad esempio, i bambini considerati “difficili” sono quelli che presentano cattivo umore e emozioni negative vissute in modo intenso, al contrario per i genitori italiani è fonte di preoccupazione l’avere un figlio timido, pauroso ed inibito (Axia, 2002).

A conclusione della presente analisi viene infine dato spazio alla concezione della genitorialità assunta da Paola Milani e collaboratori nei loro diversi lavori portati avanti a partire dagli anni Novanta sul tema del sostegno alla genitorialità,30 si tratta peraltro di un tema e di una prospettiva

30La prof.ssa Paola Milani lavora dagli anni ’90 sul tema della genitorialità. Recentemente si è occupata soprattutto del sostegno educativo alle famiglie vulnerabili e alla prevenzione all’allontanamento e all’istituzionalizzazione dei minori. Cfr. in particolare il programma P.I.P.P.I (2011-2015) avviato presso l’Università di Padova con la

di ricerca esplicitate in maniera molto chiara all’interno della recente intervista rilasciata dalla pedagogista a Zambianchi a cui si rimanda per maggiori approfondimenti (2014, pp. 300-309). Tale concezione a ben vedere risulta molto interessante e particolarmente adeguata al presente contesto di ricerca. Il costrutto assunto e utilizzato dalla studiosa, infatti, viene inteso come al contempo multidimensionale, sistemico, ecologico e dinamico e culturale. Si tratta di coordinate assunte perché ritenute necessarie tanto in un’ottica valutativa formativa, quanto in una tesa all’intervento educativo di sostegno alla genitorialità. Di seguito, seguendo la proposta di Milani e Zanon (2015a) verranno presentate una ad una le diverse dimensioni che caratterizzano il costrutto della genitorialità che si vuole assumere nel presente lavoro:

1) Multidimensionale: la genitorialità in primo luogo è costituita da una molteplicità di ingredienti, alcuni sono collettivi (giuridici, culturali, sociali, storici..) mentre altri si presentano intimi e privati, consci o inconsci e quindi appartenenti a ciascun genitore in quanto persona o futuro genitore, così come alla coppia, alla storia familiare del padre e della madre (Moro, 2008 p. 109). In secondo luogo «essere genitori non consiste in un insieme di compiti “universali”, ma significa mettere in campo, a seconda dell’età e delle peculiarità temperamentali dei figli, un repertorio di funzioni che si connotano per una relativa autonomia» (Milani 2015a, p 10). Va sottolineato inoltre come a fronte di alcune lacune in determinate funzioni genitoriali, altre possano essere svolte in modo adeguato nella relazione educativa con i bambini, mentre altre ancora possono essere svolte da figure complementari e di supporto. Questo comporta che a livello valutativo vada messa al centro l’osservazione e la descrizione della vita quotidiana per individuare alcune aree, anche residuali, di funzionamento positivo, quindi di adeguatezza rispetto ai bisogni evolutivi dei figli.

2) Sistemico: la famiglia non va limitata alla sola triade, bensì estesa anche a tutte le persone che hanno un legame affettivo significativo con il bambino (nonni, fratelli, zii ecc.) e che quindi possono facilmente farsi interpreti dei bisogni del minore e anche fungere da risorsa e da fattore protettivo nei suoi confronti.

3) Ecologico: la prospettiva bioecologica dello sviluppo (Bronfenbrenner, 1986) sostiene «il principio che una “buona genitorialità” è l’esito dell’interdipendenza tra le

collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Milani, Serbati & Ius, 2011; Milani et.al, 2015b).

caratteristiche personali dei genitori e il grado di supporto che l’ambiente sociale può offrire a livello formale e maggiormente “naturale (parenti, vicinato, volontariato, associazioni sportive e ricreative..)» (Milani 2015a, p 10). Concettualizzare la genitorialità come costrutto ecologico implica, quindi, che tanto nella valutazione quanto nell’intervento educativo tutti i diversi contesti e sistemi ecologici vadano presi in seria considerazione. Gli interventi di natura relazionale saranno da prediligere, specialmente quelli capaci di coinvolgere e porre in relazione i meso ed eso sistemi (ad esempio la relazione tra genitori ed insegnanti) che influiscono sul benessere del bambino.

4) Dinamico: genitori non si nasce, lo si diventa, quindi la funzione genitoriale non si presenta come una capacità innata, bensì è più il frutto di un apprendimento continuo. Si tratta, quindi, di una funzione che si presenta come processuale, contestuale, relazionale e storica. Alla luce di questo un assunto fondamentale da mettere in evidenza per il lavoro educativo con le famiglie e con i genitori in particolare, è che le competenze genitoriali possono essere apprese. «Uno sguardo processuale e dinamico implica pertanto: nella valutazione non limitarsi a un processo di descrizione iniziale “definitivo” della situazione [..] ma di considerare l’azione valutativa come una dimensione costante e trasversale dell’intero percorso di accompagnamento delle famiglie [..] Nell’intervento [implica] pianificare e realizzare una gamma di dispositivi di intervento come occasioni perché i genitori possano apprendere forme sempre più positive e autonome per relazionarsi con i figli» (Ibidem, 10).

5) Culturale: «esistono diversi modi di essere genitori “sufficientemente buoni” e i comportamenti delle mamme e dei papà con i loro figli possono essere compresi solo se vengono collocati nella cornice di significati del contesto in cui si sono prodotti e si trasmettono» (Ibidem, 11). Assumere una prospettiva evolutiva (Milani, 2001) significa quindi prendere in forte considerazione in contesto ambientale ma anche le fasi, i compiti del ciclo vitale di una famiglia, nonché i singoli tratti distintivi personali, culturali, di etnia, genere e classe. Questo orientamento promuove il superamento della dicotomia, ancora molto spesso utilizzata, che vede alcune famiglie considerate “funzionali” mentre altre sono “disfunzionali”: in queste seconde spesso troviamo dei genitori etichettati in vario modo, ad esempio “la mamma depressa”, “il papà tossicodipendente” ecc. Affrontare tale tematica collocando la complessità delle famiglie lungo un continuum con diversi gradi di benessere/malessere, appare di gran lunga preferibile e utile per la progettazione di un intervento educativo. Questo appena introdotto rappresenta un tema

molto importante, si tratta di una connotazione legata al costrutto genitoriale che appare imprescindibile per l’oggetto di ricerca in esame, che si occupa di genitorialità migrante a distanza. Nel prossimo paragrafo, dedicato per l’appunto alla genitorialità migrante e alle molte traiettorie infantili, ci si occuperà di approfondire e chiarire maggiormente questi elementi.

Dalla breve descrizione degli elementi che vanno a comporre il costrutto di genitorialità che si intende assumere nel presente lavoro di ricerca, va messo in evidenza innanzitutto come esso vada inteso sia come funzione personale ed interna dell’adulto (approccio psicodinamico), sia come funzione strettamente connessa e dipendente dal contesto sociale e dalla ricchezza degli aiuti e supporti che esso può offrire (approccio ecologico e sistemico).

Siamo di fronte, dunque, a una funzione dinamica che, sebbene risulti subire l’influenza dei modelli genitoriali appresi, non è data una volta per tutte in modo deterministico. La genitorialità, al contrario, si presenta come una funzione che evolve nel tempo - nel corso del ciclo di vita tanto dell’adulto, quanto lungo l’arco di sviluppo del bambino - e varia a seconda dello spazio. Le competenze genitoriali per concludere non sono date una volta per tutte in modo innato, ma si modificano nel corso dei cambiamenti individuali e all’interno della relazione interpersonale con il bambino. Si tratta di un aspetto di grande importanza, sul quale si sono poste le basi per il sostegno alla genitorialità.