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G LI EPIGRAMMISTI : A NDREA N AVAGERO E M ARCO A NTONIO C ASANOVA

Il genere dell’epigramma ha goduto di enorme fortuna nelle corti italiane: assieme all’elegia esso ha rappresentato infatti il metro più frequentato dai poeti umanisti. Contrariamente all’elegia, che trattava esclusivamente la tematica amorosa, l’epigramma consentiva agli autori una maggiore libertà espressiva: la concisione del componimento permetteva inoltre anche a poeti più modesti di cimentarsi in questo genere i cui modelli principali erano Marziale, Catullo e i testi dell’Anthologia Palatina639. Furono valenti autori di epigrammi Marco Antonio Casanova, Andrea Navagero nonché tutta la schiera di poeti rappresentati nella raccolta dei Coryciana.

Riguardo ai modelli Giovio esprime con chiarezza la sua ostilità verso Marziale. L’occasione è offerta dall’elogio del Navagero (LXXVIII) nel quale l’autore propone nuove considerazioni sul tema dell’imitazione:

Proposito quidem Cicerone ad imitandum, quem Politianus et Hermolaus fastidisse videbantur, utpote qui omnis eruditionis exundante copia instructi, aliquid in stylo proprium, quod peculiarem, ex certa nota mentis effigiem referret, ex naturae genio effinxisse nobilius putarint, quam servili imitatione enata ad novam frugem ingenia distorsisse. Magno tum quidem probro erat doctis, ridendis pares simiis videri640.

637 Ibidem; trad. it., p. 241: “Alla morte di Leone i poeti furono messi al bando”.

638 Ivi, p.106: “Oppressus utraque praedurae egestatis, et insanabilis morbi miseria, in publica hospitali domo, vitae finem invenit, quum indignatus Fortunae acerbitatem prae dolore, ventrem sibi, ac intima viscera forbice perfoderit”. Trad. it., p. 241: “Schiacciato da una doppia disgrazia, quella di una povertà durissima e di una malattia incurabile, passò all’altro mondo in un ospedale pubblico quando, sdegnato contro la sua cattiva sorte, per il dolore si trafisse il ventre e le viscere con un paio di forbici”. Si noti che il suicidio non compare frequentemente fra le cause di decesso dei letterati degli Elogia.

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Si rinvia al volume collettaneo Il rinnovamento umanistico della poesia. L’epigramma e l’elegia, a cura di Roberto Cardini e Donatella Coppini, Firenze, Edizioni Polistampa, 2009.

640 Paolo Giovio, Elogia, p. 102; trad. it., p. 227: “Si era prefisso come modello da imitare Cicerone, che Poliziano ed Ermolao sembravano avere sdegnato, perché, educati in maniera eccessiva in tutto lo scibile, consideravano più importante restituire qualcosa di personale nello stile in base alla propria natura, qualcosa che riproducesse un’immagine particolare, derivata da una certa caratteristica della propria mente, piuttosto che distorcere con una bassa imitazione servile ingegni creati per produrre nuovi frutti. Allora era un grande disonore per gli intellettuali apparire simili a ridicole scimmie”.

164 Navagero guardava quindi a Cicerone come a un esempio di stile: per i detrattori del ciceronianismo era invece più importante fornire un apporto stilistico personale alle proprie opere che non ricalcare fedelmente i passi di un qualunque modello, seppur illustre. La definizione di “simia Ciceronis” si affermò come un topos della critica umanistico - rinascimentale fin dai tempi della polemica che oppose Filippo Villani a Coluccio Salutati: durante la prima metà del Cinquecento queste accuse erano però tornate in voga negli scritti di Erasmo, il quale non aveva esitato a qualificare come “scimmie di Cicerone” coloro che osservavano pedissequamente il duplice modello cicero – quintilianeo.

All’interno del profilo del Navagero l’autore dedica dunque largo spazio alla critica letteraria. Lodato per la sua lingua latina migliore, secondo Giovio, di quella del maestro Sabellico641, nei suoi Epigrammata il veneziano perseguì la ricerca dell’eleganza formale conseguente al rifiuto del modello marzialesco:

Eodem quoque praestanti iudicio, quum Epigrammata lepidissime scriberet, non salsis aculeatisque finibus, sed tenera illa et praedulci prisca suavitate claudebat; adeo Martiali severus hostis, ut quotannis stato die Musis dicato, multa eius volumina, tanquam impura, cum execratione Vulcano dicarentur642.

Giovio fu il primo divulgatore dell’aneddoto del rogo: l’episodio ebbe però enorme fortuna ed è stato propagato da tutti i biografi successivi643. Nelle parole dell’autore non si rinviene alcun tono di derisione per il gesto di Navagero: Marziale rappresentava infatti l’eccesso, la poesia costantemente spinta nei toni e nei contenuti che disturbava la sensibilità di Giovio da sempre più interessato all’ordine dello stile che non all’impiego dell’arguzia.

Come esempio del perfetto stile del Navagero, Giovio cita all’inizio dell’elogio le due orazioni funebri scritte rispettivamente per il generale Alviano e per il doge Loredano. L’autore ricorda poi anche la sfortunata vicenda della Storia di Venezia: su incarico del

641 Ibidem: “Andreas Naugerius, Patritii Ordinis, Sabellico Venetiis, profitente latinas literas, graecas autem a Marco Musuro Cretense Patavii hausit; sed in latinis delectu ac observatione praeceptore diligentior, illum, quem superior aetas in salubri atque aspera styli novitate delectata contempserat, candorem antiquae puritatis assecutus est […]”. Trad. it., p. 227: “Andrea Navagero, patrizio, imparò il latino da Sabellico, quando quest’ultimo era professore a Venezia, e il greco dal cretese Marco Musuro, all’Università di Padova; ma nella scelta delle parole (latine) e nello scrupolo fu più attento del suo maestro e ottenne quello splendore proprio della purezza antica che l’epoca precedente aveva disprezzato, innamorata com’era di una novità di stile capziosa e difficile […]”. 642 Ibidem; trad. it., p. 227: “Facendo prevalere questa stessa mentalità, scrisse gli Epigrammata con estrema eleganza, senza chiuderli con finali arguti e mordaci, ma con quella tenera, dolcissima grazia che è propria degli antichi. Era un nemico di Marziale così spietato che ogni anno, in un giorno prestabilito come dedicato alle Muse, con esecrazione offriva molti suoi libri a Vulcano, considerandoli impuri”.

643 Cfr. la rassegna di Emmanuele Antonio Cicogna, Della vita e delle opere di Andrea Navagero, Venezia, Presso la tipografia Andreola, 1855, pp. 290-291.

165 Senato veneziano l’umanista aveva avviato la redazione di quest’opera storiografica ma, atterrito forse dal lavoro che gli si prospettava, preferì desistere dall’impegno644. Giovio sottolinea maliziosamente che l’incombenza aveva fruttato al Navagero una grossa somma di denaro che evidentemente non fu restituita nonostante il rifiuto di terminare il compito intrapreso. Anche Marin Sanuto nei suoi Diarii registrò con tono polemico l’episodio645:

Item, preseno una parte, che il reverendo domino Pietro Bembo è a Padoa, sia quello scrivi latino la istoria veneta in loco del Navaier che morse, tirò 3000 ducati di provision et nulla scrisse646.

Secondo la lettura di Giovio, il fallimento del Navagero deve essere imputato al suo umore malinconico che di fatto gli impedì di dedicarsi con costanza a quest’opera: come un perfetto umanista infatti egli aveva trascorso troppe notti sui libri, pregiudicando così la propria salute mentale647.

La letteratura classica rappresenta la stella polare che deve orientare la cultura moderna. Nel confronto fra antichi e moderni il modello classico si pone sempre come archetipo al quale dover guardare rispettosamente. Anche l’elogio di Marco Antonio Casanova (LXXVI) propone un’accurata riflessione sui prototipi del corretto epigramma. Diversamente dal puro Navagero, Casanova optò infatti per il modello di Marziale. Il Casanova godette in vita di una solida fama: è noto infatti che i suoi epigrammi furono molto apprezzati presso l’Accademia Romana e presso il circolo coriciano, ricevendo le lodi, fra gli altri, dell’Arsilli, di Sadoleto e

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Paolo Giovio, Elogia, p. 102: “Propterea scribendae venetae historiae munus a Senatu demandatum acceptoque liberali stipendio susceptum praestare non potuit, quanquam non desint qui eum in ipso statim limine feliciter exordientem religiosi operis gravitate deterritum existiment, quum infinita curiositate summoque labore et pertinaci memoria tantarum rerum notitia paranda videtur”. Trad. it., pp. 227-228: “Per questo motivo non fu in grado di portare a termine l’incarico di scrivere le storia di Venezia, che il senato gli aveva affidato e che Andrea aveva intrapreso dopo aver intascato un ricco stipendio. Ma c’è anche chi ritiene che fu distolto sul nascere, quando aveva appena iniziato quest’opera con successo, spaventato dal peso dell’impegno: gli sembrò che per procurarsi le informazioni relative a eventi tanto importanti fosse necessaria una curiosità senza limiti, una fatica immensa e una memoria salda”.

645 Cfr. Claudio Griggio, Il frammento della Storia veneta di Andrea Navagero. Appunti di storiografia

veneziana nell’età del Rinascimento, in Tra storia e simbolo. Studi dedicati a Ezio Raimondi dai Direttori, Redattori e dall’Editore di «Lettere italiane», Firenze, Olschki, 1994, pp. 86-87: in data 22 settembre 1531

Sanudo scriveva a Bembo, nuovo storiografo ufficiale, mettendogli a disposizione i propri Diarii: “Et Vostra Signoria non farà come ha fatto altri quod nihil scripsit”. Gli “altri” sono ovviamente il Navagero. Sul mancato reperimento dell’opera del Navagero pesava tra l’altro la consueta leggenda del rogo degli scritti in punto di morte: questa diceria, tramandata da più voci fra le quali quelle di Bembo e dei curatori della princeps degli epigrammi, non è registrata da Giovio.

646 Marino Sanudo, Diarii, cit., 1899, vol. LIII, col. 568 (26 settembre 1530).

647 Paolo Giovio, Elogia, p. 102: “sed in Liviani contubernio castra secutus, studiorum diligentiam remisit, et salubri quidem remedio, quum ingenium bilis atra, veterum lucubrationum vigiliis accersita, haud leviter afflixisset”. Trad. it., p. 227: “Ma quando era al seguito dell’esercito dell’Alviano e ne condivideva la tenda tralasciò gli studi e certamente ne trasse giovamento dal punto di vista della salute, poiché la melanconia derivatagli dalle notti passate a studiare gli aveva non poco compromesso la salute mentale”. Si ricordi anche che Giovio e Navagero si conobbero assai precocemente alla scuola del Pomponazzi.

166 di Valeriano. Casanova fu in amicizia col Goritz, col Colocci, con Blosio Palladio e con Evangelista Capodiferro: parla di lui anche Matteo Bandello nel proemio alla novella IV, 14 celebrandolo per la sua valentia negli epigrammi648. Essendo quindi un poeta ben inserito nell’entourage della corte leonina, fu inevitabile che alla morte del pontefice anche le sue fortune iniziassero a declinare. In particolare il Casanova ebbe accesi contrasti con Clemente VII: nonostante i decisi attacchi che il poeta gli aveva riservato il pontefice si mostrò però magnanimo nei suoi confronti e gli offrì la grazia. Giovio legge in questo comportamento del papa un’analogia con la clemenza dimostrata da Cesare verso Catullo.

Proprio Catullo rappresenta per Giovio il miglior modello per gli epigrammisti moderni:

Elocutioni tamen casta puritas ac in numero saepe duro lenitas defuit, qualis in Catullo praetenero poëta conspicitur, quum ingeniose mordaci et impuro Martiali persimilis esse mallet, et una praesertim peracutae circumductaeque sententiae gloria duceretur649.

Già nel Dialogus Giovio aveva discettato su questo genere latino argomentando per esteso le riflessioni che negli elogi saranno inevitabilmente più concentrate. A proposito dello stile del Navagero infatti Muscettola aveva affermato nel dialogo:

Mira est hercle, inquit Musetius, haec romana simplicitas; non retortis enim et turbidis argutiis, sed florentibus et liquidis sensibus aures implet, ac animos vel languentes exhilarat, ut est et illud eiusdem de frigido ac umbroso fonte, propter divinam suavitatem latius evulgatam [segue testo]. Tum vero, ego inquam, hoc ipsum aedepol Catullum deceret auctorem; nec crediderim omnino veteres ipsos, qui interierunt, ut Cinna, ut Calvus vel Pedo, et Marsus in huiusmodi carmine tenerius atque limpidius umquam lusisse650.

648 Cfr. Matteo Bandello, Novelle, cit., vol. V, p. 197: “Venne, non è molto, da Roma a Milano il dotto m. Marco Antonio Casanuova, per andare a Como a vedere li suoi propinqui; perciò se ben egli nacque in Roma, e fu criato de la magnanima casa Colonna, il padre suo nondimeno era cittadino Comasco. Egli in Milano fu molto accarezzato da tutti quei, che de le buone lettere si dilettavano per l’argutia e soavità de li suoi epigrammi”. 649 Paolo Giovio, Elogia, p. 100; trad. it., p. 221: “Tuttavia il suo modo di scrivere era privo di senso del pudore e i suoi versi, spesso rozzi, mancavano di quella grazia che si può osservare in un poeta così raffinato come Catullo. Marco Antonio, infatti, che preferiva assomigliare a un poeta ingegnoso nella sua mordacità e svergognato come Marziale, componeva con il solo obiettivo di arrivare a una frase particolarmente acuta e allusiva”.

650 Id., Dialogo, cit., p. 220; trad. it., p. 221: “È meravigliosa, disse Muscettola, questa romana simplicitas: senza contorte e torbide arguzie, ma con trasparenti e floridi sensi riempie le orecchie, e rende ilari persino gli animi languenti, come è anche quell’altro suo epigramma su una fresca e ombrosa fonte, che ha trovato larga diffusione per la sua divina soavità [segue testo]. Non sarebbe disdicevole, dissi io, se fosse stata composta da un Catullo, e sarei propenso a credere che persino gli antichi, ormai defunti, come Cinna, come Calvo, o Pedone, e Marso, non abbiano mai composto qualcosa di più tenero e di più limpido, di un carme di questo tipo”.

167 Marziale è invece criticato per la fangosità di uno stile che solo il fuoco di Vulcano avrebbe potuto definitivamente raffinare:

Hic ego: «Benigne, inquam, iudicas Museti. Sed quis hominum vel Deorum etiam, nisi sit ipse Vulcanus, tam lutulentum vatem ab olidis sordibus satis laute repurgabit?»651.

Contrariamente alla generale riserva espressa dai critici di Marziale circa la sua eccessiva licenziosità, Giovio si preoccupa solo dell’aspetto stilistico. La sua condanna però non si costituirà in dogma negli anni successivi: lo Scaligero nei Poetices libri (1561) rivendicherà infatti con decisione il primato dell’argutia nell’economia del genere epigrammatico. Di conseguenza il modello al quale uniformarsi non potrà più essere Catullo ma dovrà necessariamente diventare Marziale. A nulla era servito quindi il tentativo del Robortello (1549)652 di propagandare Catullo come principe degli epigrammisti: a seguito dell’opera dello Scaligero, Marziale diverrà senza oscillazioni il modello di riferimento per il genere. Tuttavia la critica gioviana era ancora coerente col gusto dei suoi anni, dal momento che nel primo Cinquecento Catullo era stato identificato pressoché all’unanimità come il miglior autore del genere653.

L’opera del Casanova che Giovio apprezza maggiormente sono gli Heroica, significativamente ribattezzati Elogia:

Sed miscuisse utrumque genus tum iuvit, quum paucorum versuum spectanda posteris Elogia priscis romanae virtutis heroibus tanquam manentibus eorum statuis inscripsisset654.

Tra i “posteris” che guardarono con assoluto interesse a questa raccolta doveva esserci anche Giovio. Gli Heroica di Casanova non furono mai editi nel Cinquecento: Giovio deve perciò

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Ivi, p. 206, trad. it., p. 207: “A questo punto io: «Sei benevolo nel tuo giudizio, dico, o Muscettola. Ma chi, tra gli dei o tra gli uomini, se non Vulcano in persona, ripulirà con sufficiente finezza un poeta così fangoso dalla sua feccia puzzolente?».

652 Francesco Robortello scrisse il primo trattato moderno sull’epigramma: Eorum omnium quae ad methodum et

artificium scribendi epigrammatis spectant, explicatio eorum omnium quae ad questiones de salibus pertinent, in Librum Aristotelis de arte poetica explicationes, Florentiae, in officina L. Torrentini, 1548.

653 Cfr. Pierre Laurens, Epigramma greco, epigramma latino: una eredità conflittuale? e Giovanni Parenti, La

traduzione catulliana nella poesia latina del Cinquecento, in Il rinnovamento umanistico della poesia, cit., pp.

49-52; 63-66. L’avvicendamento fra questi due diversi modelli è, secondo Parenti, immagine di un’ “evoluzione […] del gusto che dal classicismo cinquecentesco andò gradatamente declinando verso il manierismo e il barocco” (p. 63). Sul tema resta pur sempre imprescindibile Ulrich Schulz-Buschhaus, Das Madrigal: zur

Stilgeschichte der italienischen Lyrik zwischen Ranaissance und Barok, Berlin-Zürich, Verlag Gehlen, 1969, pp.

149-154.

654 Paolo Giovio, Elogia, p. 100; trad. it., p. 221: “Ma il fatto di aver mescolato i due generi piacque quando compose degli Elogia di pochi versi dedicati agli antichi eroi simbolo del valore romano, a mo’ d’iscrizioni, come se si fossero conservate le loro statue. I posteri non potranno che restarne meravigliati”.

168 averne avuto contezza tramite il manoscritto che li tramandava, un codice che fu forse approntato per lo stesso dedicatario Leone X655.

Il ritratto dell’uomo è però disegnato con toni di elogio che delineano l’immagine di un personaggio amabile ed elegante656. Il Casanova, secondo Giovio, morì a causa della pestilenza conseguente al Sacco di Roma: i contemporanei ritennero invece che fosse stata l’estrema povertà in cui versava assieme alla sua famiglia ad averne affrettato il decesso657.