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L A MEDICINA NEGLI E LOGIA : G IOVANNI M AINARDI E M ARCO A NTONIO D ELLA T ORRE

Diversamente dalla dettagliata biografia del Nifo, l’essenzialità del ritratto di Giovanni Mainardi (LXXXI) corre il rischio di essere scambiata per corrività410. L’elogio del medico ferrarese s’inaugura con precisione al 1513, anno nel quale il Mainardi si recò in Ungheria su invito del re Ladislao (“Ioannes Manardus Ferrariensis in Pannonia Vladislao Rege medendi artem exercuit”)411. Con questa notizia l’autore fa luce sugli intensi rapporti culturali che in quegli anni legarono l’Italia alla corte magiara. Giovio è sempre attento a segnalare la presenza di umanisti italiani fuori dai confini della penisola: possiamo leggere in questa

407 Ibidem: “senescente uxore septuagenarius senex, puellae citra libidinem impotenti amore correptus est usque ad insaniam: ita ut plerique philosophum senem atque podagricum ad tibiae modos saltantem, miserabili cum pudore conspexerint, unde illi maturatum vitae exitum constat.” Trad. it., p. 272: “Ma quando sua moglie era ormai vecchia e anche lui era un vecchio di settant’anni, fu travolto fino alla pazzia da una passione incontrollabile e sfrenata per una ragazza, tanto che l’immagine del filosofo vecchio e gottoso che ballava al ritmo del flauto apparve vergognosa e contemporaneamente penosa alla maggior parte della gente. Non c’è dubbio che in questo modo Nifo affrettò la propria morte”. Cfr. Agostino Nifo, La filosofia nella corte, a cura di Ennio De Bellis, Milano, Bompiani, 2010, pp. 406-435. Si veda anche Gabrielis Naudaei, De Augustino Nipho

iudicium, in Augustini Niphi sua tempestate philosophi omnium celeberrimi opuscula moralia et politica,

Parisiis, Sumptibus Roleti Le Duc, 1645, cc. uVI-aa. 408 Paolo Giovio, Elogia, p. 116.

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Si ricordi che il Florimonte fu corrispondente di Giovio: cfr. Paolo Giovio, Lettere, cit., vol. II, pp. 204-206 (di Fiorenza, il 3 d’ottobre 1551). È significativo, che nella missiva, vertente su una progettata e mai realizzata opera del Giovio, il De esculentis et poculentis quae veniunt in mensam Romani Pontificis, lo storico comasco citi al Florimonte alcune parole di Averroè qualificandolo come “vostro” (ivi, p. 206). Sul Nifo si veda anche il contributo di Aulo Greco, Agostino Nifo nel V centenario della nascita, in «Atti e memorie. Arcadia accademia letteraria», serie III, vol. VI, fasc. 4, 1975, pp. 147-164.

410 Franco Minonzio, Studi gioviani, cit., vol. II, pp. 529-540 avverte a proposito del ritratto del Mainardi che non sempre l’estensione dell’elogio è un parametro affidabile per dedurre l’opinione dell’autore sul personaggio (p. 530).

411 Paolo Giovio, Elogia, p. 105. È ormai accertato che il Mainardi si trasferì in Ungheria su invito del cardinale Ippolito d’Este, vescovo della città magiara di Agria (cfr. Andrea Ostoja, Notizie inedite sulla vita del medico e

umanista ferrarese Giovanni Manardo, in Atti del Convegno Internazionale per la celebrazione del V centenario della nascita di Giovanni Manardo 1462-1536, [Ferrara, 8-9 dicembre 1962], Ferrara, Università degli Studi,

1963, p. 114). Sul soggiorno del medico ferrarese si vedano i contributi di Kalman Arady, Giovanni Manardo

nella letteratura medica ungherese dalla sua morte ai giorni nostri e di Ludovico Tardy, Manardo e l’Ungheria,

99 affettuosa reminiscenza la nostalgia per un’epoca non troppo remota, ma agli occhi dell’autore già conclusa, nella quale la cultura italiana deteneva ancora una solida egemonia in Europa.

Gli eventi precedenti all’arrivo del Mainardi in Ungheria non sono quindi contemplati dal ritratto gioviano: restano pertanto ignoti il suo discepolato col Leoniceno, l’amicizia che il ferrarese strinse con Pico della Mirandola, la sua identità di medico umanista intento a esercitare la filologia sui testi della sua professione e anche il suo primo matrimonio con tale Samaritana dal Monte dalla quale ebbe due figli412. Quest’ultimo dettaglio è importante ai fini della corretta decrittazione dell’elogio poiché la parte finale del breve profilo è incentrata proprio sul secondo (ma per il lettore è il primo) matrimonio che il Mainardi contrasse con una donna molto giovane al solo scopo di avere dei figli: secondo Giovio fu infatti questa scelta avventata a decretarne la morte413. Dal momento che questo comportamento vizioso è emerso anche nell’elogio di Agostino Nifo, è importante contestualizzare i racconti gioviani con l’etica contemporanea. Nel Cortegiano di Castiglione leggiamo ad esempio (libro IV, cap. XLIX) una severa censura della passione amorosa in età senile:

l’amor ne’ vecchi non riesce e quelle cose, che ne’ giovani sono delicie e cortesie, attillature tanto grate alle donne, in essi sono pazzie ed inezie ridicule ed a chi le usa parturiscono odio dalle donne e beffe dagli altri414.

Il tema era peraltro affrontato sovente sia nella commedia sia nella satira del nostro Rinascimento (basterà ricordare la trama della Clizia machiavelliana) e in generale si può dire che la condanna di questa attitudine fosse unanime415.

412 Cfr. Daniela Mugnai Carrara, Mainardi, Giovanni, in DBI, vol. LXVII, 2007, pp. 561-564: 562. 413

Paolo Giovio, Elogia, p. 105: “Duxit autem uxorem plane senex, et articulorum dolore distortus, ab aetate, formaque, fiorenti iuvenis toro dignam, adeo levi iudicio, et letali quidem intemperantia, ut maturando funeri suo, aliquanto prolis, quam vitae cupidior ab amicis censeretur”. Trad. it., p. 237: “Era già piuttosto vecchio e deformato dai dolori articolari, quando sposò una donna più adatta a un giovane nel fiore degli anni per età e bellezza. Ma Giovanni la sposò con poco giudizio e un’intemperanza che gli fu fatale, tanto che i suoi amici pensarono che desiderasse più i figli che la vita, visto come affrettò la sua morte”. Pare ormai certo che la seconda moglie di Mainardi sia stata una donna onestissima e molto affezionata al marito come dimostrano i documenti testamentari rinvenuti alla Biblioteca Estense di Modena (cfr. Domenico Furfaro, Contributo alla

biografia del Manardo. Gli inediti testamenti della seconda moglie Giulia e della cognata, in Atti del Convegno,

cit., pp. 153-159). Le malevoli dicerie gioviane trovavano però una conferma nell’epitaffio di Pietro Corsi (tràdito dal ms. cl. I, n. 434 della Biblioteca Ariostea di Ferrara) che Giovio pose come epigrafe in calce all’elogio del Mainardi (si veda Andrea Ostoja, Notizie inedite sulla vita del medico e umanista ferrarese

Giovanni Manardo, in Atti del Convegno, cit., p. 127, n. 78).

414 Baldassarre Castiglione, Il libro del Cortegiano, cit., p. 336 (ma per una trattazione diffusa dell’argomento si legga libro IV, capp. XLIX-LV, pp. 336-343).

100 L’elogio gioviano non offre un quadro organico della vasta produzione del Mainardi: l’attenzione dell’autore si rivolge infatti solo alle celeberrime Epistulae medicinales (in Giovio solo Epistulae), un’opera fondamentale per il progresso degli studi medici nel Cinquecento416. Nonostante al loro interno Mainardi trattasse di ogni branca del sapere medico, Giovio si interessa alle Epistulae solo per i passi relativi alla botanica: in particolare lo storico comasco esalta l’utilità degli studi del Mainardi sui cosiddetti “semplici” che venivano spesso usati in medicina senza un adeguato criterio. Il cenno così circostanziato di Giovio tiene conto di un diffuso interesse: nel 1546 a Padova fu ad esempio inaugurato il primo orto botanico accademico e con questa iniziativa, presto diffusa in tutti gli altri atenei, le scienze naturali mutano il proprio assetto teoretico evolvendosi da semplici materie ausiliarie della medicina a discipline autonome417.

Il medico ferrarese commentò anche alcuni passi del De simplicibus di Mesue, un testo indispensabile per farmacisti e botanici: confrontando le affermazioni di Mesue con quelle di Teofrasto, Plinio, Avicenna e altri ma soprattutto comparando i vari nomi coi quali un determinato semplice è descritto dai vari autori, Mainardi riesce a risalire alla corretta identificazione delle piante418. È evidente dunque che il passo gioviano (“obsoleto antiquo nomine et incerta virium potestate, perobscuris eruditam claritatem”)419 accenni più al suggestivo ricordo di questo commento, pubblicato a Basilea nel 1535 proprio in calce alle

Epistulae medicinales, che non all’intera silloge del Mainardi. La sua identità di botanico

surclassa quindi agli occhi di Giovio quella di medico. Anche Marin Sanuto nei suoi Diarii (LVI, 398, 14 giugno 1532), accredita la fama di grande botanico che il Mainardi si era guadagnato nel corso dei suoi insegnamenti:

Come il vice retor di scolari e consieri e altri iuristi è venuto da loro pregando scrivino alla Signoria per contento loro vogliano metter una nova lectura de simplici, letion molto utile et necessaria alla

416 Su quest’opera si veda Daniela Mugnai Carrara, Per lo studio degli «Epistolarum medicinalium libri XX» di

Giovanni Mainardi, in «Medicina nei secoli: arte e scienza», XVII, 2005, pp. 363-382. A riprova della fortuna

incontrata da questo testo, si ricordi che l’edizione lionese delle Epistulae recava la prefazione di Rabelais (cfr. Ernest Wickersheimer, Érasme et Rabelais face aux Epistolae medicinales, in Atti del Convegno, cit., pp. 291- 295).

417 Cfr. Matteo Merzagora e Paola Rodari, La scienza in mostra. Musei, science centre e comunicazione, Milano, Bruno Mondadori, 2007, pp. 16-18.

418

Cfr. Girolamo Spina e Francesco Guido, Il commento al «De sempliciis» di Mesue, in Atti del Convegno, cit., pp. 270-272.

419 Paolo Giovio, Elogia, p. 105; trad. it., p. 237: “il loro nome antico si era perso e l’efficacia delle loro proprietà era incerta”.

101 medicina, et aricordano uno domino Zuan Maynardo da Ferrara qual è excellentissimo a questa lectura, ut in litteris, et mandano una lettera scrive essa università di questo a la Signoria nostra420.

Fra i maestri di Paolo Giovio, mette conto di ricordare anche l’anatomista Marco Antonio Della Torre (LIX), celebre soprattutto per essere stato considerato, sebbene a torto, maestro di Leonardo da Vinci per quella disciplina421.

Questo profilo si apre eccezionalmente con una breve digressione sul ritratto posseduto da Giovio:

Quam vides Marci Antonii Turriani Veronensis effigiem, nullis idcirco interlitam picturae coloribus, sed carbone tantum atque unis umbrarum finibus deliniatam hoc loco dicavimus422.

Per dare maggior risalto alla figura esemplare del veronese, Giovio interseca il suo elogio col ritratto dello sventurato medico Zerbi. Nel confronto fra due intellettuali, i meriti dell’uno risaltano per contrappunto dalla descrizione del personaggio antagonista. In questo caso il carattere ambizioso e avaro di Zerbi si distingue per antitesi da quello confidenziale e generoso del veronese423. L’ambizione di Zerbi si misura sull’aneddoto che lo riguarda. Chiamato in Bulgaria per guarire il pascià Schender, Zerbi aveva promesso al sovrano cure miracolose che sfortunatamente non sortirono alcun effetto: per punire allora il suo grave errore e vendicare la morte del sovrano, i servitori fedeli al re lo uccisero squartandolo. Il breve excursus si arricchisce anche di una pungente nota di colore: pare che il Della Torre indulgesse addirittura nello schernire la memoria del collega defunto plaudendo a questa sua fine atroce che gli si confaceva come perfetto contrappasso per la sua imperizia di anatomista:

420

Il brano è tratto da Antonio Favaro, Lo Studio di Padova nei Diarii di Marino Sanuto, in «Nuovo Archivio Veneto», nuova serie, XIX, tomo XXXVI, 1918, pp. 65-128: 126.

421 Su questa ipotetica, e oggi poco credibile, collaborazione dette notizia in primo luogo Giorgio Vasari (Le Vite

de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare di Paola

Barocchi, vol. IV, Firenze, Studio per le Edizioni Scelte, 1976, pp. 15-38). Marta Teach Gnudi, Torre,

Marcantonio della, in Dictionary of Scientific Biography, vol. XIII, a cura di Hermann Staudinger e Giuseppe

Veronese, New York, Scribner, 1976, pp. 430-431, non ritiene credibile l’ipotesi data in primo luogo la differenza d’età fra i due (con Leonardo ben più vecchio del Della Torre). Si veda anche lo specifico contributo di Ernesto Travi, Paolo Giovio a Pavia accanto a Marco Antonio della Torre e a Leonardo, in «Communitas. Annali del Centro Studi Storici della Val Menaggio», 1983, pp. 121-125, che non sono riuscita a consultare. 422 Paolo Giovio, Elogia, p. 85; trad. it., p. 171: “Ho riservato questo posto al ritratto (che non vedi dipinto a colori, ma solo con i chiaroscuri disegnati a carboncino) del veronese Marco Antonio della Torre”.

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Come esempio di questa abnegazione per la professione e dell’indole integerrima del veronese si tengano presenti le circostanze della sua morte: Giovio non affronta esplicitamente il tema ma noi sappiamo che il medico, a sprezzo della propria vita, morì dando soccorso alle popolazioni gardesane ammalate di peste: cfr. Augusto De Ferrari, Dalla Torre, Marco Antonio, in DBI, vol. XXXII, 1986, pp. 46-48: 48.

102 ita ut lepide Turrianus in eum iocaretur, cum libri eius errata dispungeret, quasi iure concisus esset, quod magna discentium iniura perperam secando cadavera, ipse vivum meritam talionis poenam subisset424.

I meriti scientifici del veronese resteranno invece per sempre legati al suo insegnamento. Giovio ricorda un’unica opera del Della Torre, l’Anatome, basata sulle dottrine galeniche: proprio con questo testo il medico aveva confutato le argomentazioni di Zerbi e di Mondino, celebre anatomista del primo Trecento. Il trattato non fu mai pubblicato in vita e dovette subire la medesima sorte di tutti gli altri lavori del veronese, rimasti incompiuti e manoscritti a causa della sua precoce scomparsa (“prius immiti Fato gymnasiis est ereptus, quam admirandae utilitatis exquisitaeque doctrinae inchoata opera absolverentur”)425. La compilazione dell’Antome è assegnata da Giovio agli anni dell’insegnamento: è plausibile dunque che l’autore ne abbia seguito la genesi durante il suo alunnato.

Anche Bandello parla di Marco Antonio Della Torre introducendo la novella V, 15. Naturalmente il novelliere è fonte di poco successiva all’edizione degli Elogia ma è comunque interessante notare la coincidenza del ritrattino edificante:

Si ritrovò allora con voi il gentilissimo e di ogni sorta di scienza adornato messer Marco Antonio da la Torre, gentiluomo veronese, ma per antica origine disceso da la nobilissima famiglia de li Torriani, che lungo tempo con gli avi vostri Vesconti del principato di questa città e di tutta la Lombardia combatterono, seguendo tra loro alcune sanguinose battaglie426.

424 Paolo Giovio, Elogia, p. 85; trad. it., p. 171: “E così Della Torre si prese elegantemente gioco di lui mentre correggeva gli errori presenti nella sua opera: disse che lo avevano fatto a pezzi giustamente poiché, sezionando cadaveri in modo sbagliato, aveva fatto un torto enorme ai danni dei propri allievi, così avrebbe pagato da vivo con la legge del taglione che si meritava”. Sulla fine di Gabriele Zerbi si legga anche la testimonianza di Marin Sanuto che nei suoi Diarii dedica alcune note al tragico destino del medico. In data 15 ottobre 1504 il diarista veneziano riporta: “Noto, essendo venuto uno nontio di Schander bassà a la Signoria, per avere uno miedego, e condurlo al suo signor, ch’è ammalato e vechio, et la Signoria fu contento, et cuss’ domino Cabriel Zerbo, leze a Padova, volse andar per doi mexi, et li fo riservato la lectura, et li coresse salario: et ha da Schander ducati…. al mexe;et domino Andrea Griti di qui li promisse. Et questa notte partì per Verbossana.” Ma il 15 gennaio 1505 Sanuto dà notizia della morte di Zerbi: “Come Schander bassà era morto, a dì 26 novembro, in Bossina o Verbossana; et che domino Cabriel Zerbo, medico, lezeva a Padoa, era sta tajato a pezi da’ turchi, e il fiol; et perhò qui di sotto noterò uno sonetto fato in la so morte. (Cfr. Antonio Favaro, Lo Studio di Padova nei Diarii di

Marino Sanuto, cit., pp. 84-85). Ricorda Franco Minonzio, Studi gioviani, vol. II, cit., p. 498, che Marco Antonio

ereditò l’inimicizia nei confronti di Zerbi da suo padre Girolamo Della Torre il quale entrò più volte in contrasto col povero anatomista ucciso dai turchi.

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Paolo Giovio, Elogia, p. 85; trad. it., p. 171: “fu strappato alle università dal destino crudele prima di riuscire a portare a termine le opere di straordinaria utilità e raffinata dottrina che aveva iniziato”. Conferma il dato gioviano anche Augusto De Ferrari, Dalla Torre, Marco Antonio, cit., p. 47.

103 Alludendo alle lotte fra Torriani e Visconti, Bandello inserisce nel ritratto dell’anatomista un elemento innovativo rispetto all’elogio gioviano che ricordava invece soltanto il governatorato dei veronesi su Milano (“Natus est Turrianus ex ea perillustri familia, quae ante ducentus annos Insubribus imperarat”)427.