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I MEDICI FILOLOGI : N ICCOLÒ L EONICENO E T HOMAS L INACRE

Dovendo passare in rassegna la schiera dei filosofi e dei medici del primo Cinquecento non è possibile eludere un cenno al vicentino Niccolò Leoniceno (LXX)428, massima figura della medicina rinascimentale429. Sui banchi delle sue aule sedettero i più noti umanisti del XVI secolo: da Ariosto, che lo ricorderà nella serie degli uomini illustri del canto XLVI del

Furioso, a Pietro Bembo, da Celio Calcagnini a Jacopo Sadoleto430.

La statura intellettuale del Leoniceno impone un’adeguata presentazione e per questo motivo Giovio inaugura il ritratto con una subitanea celebrazione delle sue doti:

Nemo profitentium Medicorum, Nicolao Leoniceno Vicentino vera salutaris scientiae dogmata purius atque nitidius explicavit. Nemo errores Sophistarum importuna garrulitate cuncta foedantium eloquentius atque validius confutavit. Nemo eo demum ad illustrem certiori peritiae fidem longius atque salubrius vitam produxit431.

427 Paolo Giovio, Elogia, p. 85; trad. it., p. 171: “Marco Antonio della Torre apparteneva a quella famiglia prestigiosissima che aveva governato su Milano nel corso dei duecento anni precedenti”.

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Si ricorderà che fin dal 1521 Giovio si adoperò per ottenere il ritratto del Leoniceno chiedendo il favore ad Alfonso I d’Este: con la missiva del 2 giugno 1521 (Paolo Giovio, Lettere, cit., vol. I, p. 88) il vescovo di Nocera ringrazia il duca per il dono. In precedenza Alfonso aveva scritto a Pier Antonio Taurello, in data 28 marzo 1521, dicendo: “A m. Paulo Iovio direte che pensando noi di chi (Nicolò Leoniceno) sia l’effige che si ritrahe dal naturale, et a chi s’ha da mandare, non havemo voluto che si dipinga troppo in fretta, ma a commodo et voglia del pictore per mandare cosa ben facta e fra pochi dì sarà fornita e manderemolo”. Il testo della lettera si trova in Domenico Vitaliani, Della vita e delle opere di Niccolò Leoniceno vicentino, Verona, Tipografia dei Sordomuti, 1892, p. 94.

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Si veda Daniela Mugnai Carrara, Profilo di Niccolò Leoniceno, in «Interpres», II, 1979, pp. 169-212. Può essere ancora utile, per la segnalazione di certi documenti, anche il vecchio Domenico Vitaliani, Della vita e

delle opere di Niccolò Leoniceno vicentino, cit. Una fonte importante è rappresentata dalla Vita di Leoniceno

scritta dal suo illustre allievo Anton Giulio Brasavola detto Musa: l’opera, rimasta manoscritta, è andata perduta ma ne è giunta a noi notizia grazie a un riassunto ottocentesco steso da G. Milan Massari. Il testo è conservato oggi alla Biblioteca Bertoliana di Vicenza (segn. Gonz. 5. 4. 3. per il quale cfr. Daniela Mugnai Carrara, op. cit., p. 169, n. 2). Non è possibile stabilire però se lo scritto del Brasavola sia antecedente o successivo all’elogio gioviano: la questione andrebbe risolta dal momento che entrambe le fonti presentano vari punti di contatto. 430

Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Lanfranco Caretti, Torino, Einaudi, 1992, vol. II, p. 1385 (XLVI, 14, 7): “Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno”. Si noti che assieme al vicentino viene ricordato anche il Mainardi: entrambi avevano insegnato infatti a Ferrara.

431 Paolo Giovio, Elogia, p. 95; trad. it., p. 203: “Nessun professore di medicina ha spiegato i veri principi della scienza della salute con più chiarezza ed eleganza del vicentino Niccolò Leoniceno. Nessuno ha confutato con più forza ed eloquenza di lui gli errori dei ciarlatani che insozzavano quei principi con le loro chiacchiere fuori luogo. Nessuno ha vissuto più a lungo e più in salute guadagnandosi una fiducia basata su una professionalità più sicura”.

104 L’anafora del pronome indefinito (“Nemo…Nemo…Nemo”) mette in risalto l’eccezionalità di questa figura che ha raggiunto insigni risultati nel campo della medicina, della filologia e della vita pratica.

L’impegno profuso per la corretta decifrazione dei testi medici, e quindi l’applicazione del metodo filologico allo studio dei manuali galenici, rappresentano la principale eredità del Leoniceno. Questa peculiare attitudine del vicentino scaturiva dalla sua doppia formazione di medico e di umanista: all’ortodossia della disciplina il Leoniceno sommava uno stile espositivo che Giovio loda, secondo i parametri della buona retorica, per chiarezza ed eleganza (“purius atque nitidius”)432. Può risultare interessante incrociare i dati dell’elogio gioviano con testimonianze parallele al fine di ricostruire la figura del medico vicentino attraverso le opinioni dei suoi contemporanei. Nel 1491, ad esempio, Poliziano scrive al Leoniceno elogiandone proprio le competenze ambivalenti di medico e umanista:

La tua lettera, o Niccolò, colla quale confuti gli errori di Avicenna e dimostri in quale e quanta ignoranza si trovino gli antichi medici, non so se più m’abbia recato piacere o dolore. Imperocchè mi sono rallegrato che tu, uomo sapientissimo, ti sia mosso a sgomberare gli errori in ciò che riguarda la salute degli uomini. Infatti chi è che non veda, che v’è più pericolo da parte del medico che della stessa malattia, curandosi talora un morbo per un altro e ordinando l’un per l’altro i rimedi? Continua, ti scongiuro, nella via intrapresa e nel medesimo tempo che a te procurerai gloria immortale, agli ammalati apporterai salute433.

Per lo stesso motivo, Erasmo cita più volte il nome di Leoniceno nelle sue lettere e lo ricorda come “iam aetate grandior, nec infeliciter tamen” esaltandolo soprattutto per la sua opera filologica, affine a quella di Cop, Linacre e Ruellio, e fondamentale perché “haud alia in arte erratur pericolosius”434.

I meriti profusi da Leoniceno per il rinnovamento degli studi medici erano ben noti alla res

publica literaria coeva tanto che Giovio non esita ad assegnargli il primato di questa rinascita

(“Primus enim Graeca Galeni volumina latine interpretando studiosis perdiscenda demonstravit”)435. La multiforme produzione del medico vicentino è stilizzata da Giovio attraverso rapidi tocchi bibliografici che lasciano emergere dal corpus dei suoi scritti il

432 Ibidem, p. 95.

433 La missiva si legge in Domenico Vitaliani, Della vita e delle opere di Niccolò Leoniceno vicentino, cit., p. 133.

434 Riporta le varie testimonianze Daniela Mugnai Carrara, Profilo di Niccolò Leoniceno, cit., pp. 202-203. 435 Paolo Giovio, Elogia, p. 95; trad. it., p. 203: “Per primo, infatti, Niccolò, traducendo in latino i volumi greci di Galeno, dimostrò che dovevano essere conosciuti a fondo dagli studiosi”.

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Romanus Medicus Antisophista436, il De ordine trium doctrinarum e il De virtute formativa. L’elogio si sofferma poi sulle importanti traduzioni della storia di Dione e dei Dialoghi di Luciano, realizzate, a detta di Giovio, per corrispondere alle esigenze di Ercole d’Este che non conosceva bene il latino437. Resta fuori dal novero delle opere del Leoniceno il De Plinii

erroribus, il testo che maggiori dibattiti suscitò fra gli umanisti. L’autore latino, si sa, era

particolarmente caro a Giovio, cosicché, in questa polemica che stimolò la risposta di Pandolfo Collenuccio, lo storico comasco preferì prendere le difese di quest’ultimo: nell’elogio dedicatogli (XLVI), Giovio ricorda che con la Pliniana defensio438 Collenuccio aveva difeso in modo magistrale lo scrittore latino dalle calunnie di Leoniceno (“Indignatione siquidem superba et ostentatione precipiti, Plinium adversus calumniatorem Leonicenum desertissime defendit”)439.

Le informazioni precisamente circostanziate che Giovio tramanda circa la figura del Leoniceno risalgono alla loro reciproca amicizia: dalla lettura dell’elogio emerge dunque il ritratto esemplare di un uomo quasi stoico, molto parco nel mangiare, nel bere e nel dormire, del tutto alieno dalla lussuria e tanto avverso al denaro da non conoscere neppure la forma delle monete coniate440. Per tutta la vita egli ha teso ogni suo sforzo al raggiungimento della gloria lasciando infatti ai duchi di Ferrara la cura del suo sostentamento (“nec opportuna mediocris vitae subsidia, benignitate Ferrariensium principum Herculis Alfonsique filii sibi de futura prospiceret”)441. Nell’ultima parte dell’elogio Giovio trascrive lo stralcio di un dialogo avvenuto fra lui e Niccolò: alla domanda su quali fossero i suoi segreti per preservare la salute dai problemi della vecchiaia, il Leoniceno risponde che proprio con la sua frugalità egli ha mantenuto l’intelletto vivace e la forma fisica integra:

436 Per dovere di completezza si dovrà ricordare che l’attribuzione di quest’opera al Leoniceno è stata ormai smentita definitivamente.

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Non è dato sapere se questa notizia sia malevola o accreditata: i dati storici in nostro possesso dicono comunque che Ercole I d’Este commissionò molte traduzioni di opere classiche per arricchire i fondi della Biblioteca Estense: cfr. Trevor Dean, Ercole I d’Este, duca di Ferrara, Modena e Reggio, in DBI, XLIII, 1993, p. 103.

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Pliniana defensio Pandulphi Collenucii Pisauriensis iuriconsulti ad versus Nicolai Leoniceni accusationem, Ferrariae, André Belfort, 1493.

439 Paolo Giovio, Elogia, p. 76; trad. it. p. 137: “Difese Plinio contro le calunnie di Leoniceno in modo davvero magistrale, con una perorazione superba e una dimostrazione irresistibile”.

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Ivi, p. 95: “Cibi enim et vini maxime abstinens, somnique minimi, praesertim vero Veneris continentissimus, usque adeo mollioris vitae voluptates abdicavit, ut pecunias, luxuriae instrumenta, nec agnita quidem monetae nota contemneret”. Trad. it., p. 203: “Mangiando, bevendo e soprattutto dormendo pochissimo, ed essendo assolutamente moderato nei piaceri di Venere, rinunciò a tal punto alle delizie di una vita troppo raffinata da disprezzare il denaro in quanto strumento di lussuria, senza nemmeno conoscere la forma delle monete coniate”. 441 Ibidem; trad. it., p. 203: “E aveva previsto che la generosità di Ercole e del figlio Alfonso, signori di Ferrara, non gli avrebbe fatto mancare le risorse economiche necessarie a tirare avanti con un tenore di vita modesto come il suo”.

106 Quum ego aliquando comiter ab eo peterem, ut ingenue proferret, quo nam arcano artis uteretur, ut tanto corporis atque animi vigore vitia senectutis eluderet. Vividum, inquit, ingenium perpetua Iovi vitae innocentia, salubre vero corpus hilari frugalitatis praesidio facile tuemur442.

In un regime di reciproco scambio è pertanto difficile stabilire se fu più forte l’influenza positiva che il carattere esercitò sulla professione o viceversa: la condotta di vita irreprensibile del vicentino rappresenta infatti la miglior dimostrazione della sua perizia di medico (“Nemo eo demum ad illustrem certioris peritiae fidem longius atque salubrius vitam produxit”)443. L’equivalenza di valore fra ethos e ars connota positivamente tutto il ritratto del Leoniceno e proprio per questo non presta occasione a racconti aneddotici sfavorevoli. Allo stesso modo l’elogio di Leonico Tomeo, eccettuata la stranezza dell’allevamento domestico di una gru (“Aluerat domi gruem, de manu ipsius senili oblectamento cibaria capientem per quadraginta annos”)444, offre un’immagine del tutto edificante di questo filosofo: l’esistenza morigerata di Leonico fu vissuta difatti in funzione della passione per l’insegnamento, esercitato per amore del sapere anche fuori dalle università445. L’integrità morale di Leoniceno e di Leonico Tomeo consegue anche dal loro celibato: agli occhi di Giovio l’intellettuale che sfugge ai pericoli di una vita matrimoniale mantiene più facilmente un comportamento virtuoso.

L’apprezzamento per la cultura umanistica del Leoniceno si ripropone anche nel ritratto di Thomas Linacre (LXIII). La fama dell’intellettuale inglese, noto presso tutti gli umanisti di vaglia, da Poliziano a Erasmo, non poteva esentare l’autore dal dedicargli le sue attenzioni. Calcondila, Poliziano e Lorenzo il Magnifico furono fra i primi ad accorgersi del valore di Linacre il quale, giunto a Roma, ebbe presto un incontro rivelatore con Ermolao Barbaro in Biblioteca Vaticana. Il dialogo che segue fra i due umanisti è volto a manifestare, oltre al reciproco rispetto, anche l’epifania del giovane inglese sulla scena delle lettere:

442 Ibidem; trad. it. p. 204: “Quando un giorno gli chiesi, in confidenza, di dirmi francamente qual era il suo segreto per tenere lontani gli acciacchi della vecchiaia con tanto vigore fisico e mentale, mi disse: «Caro Giovio, con la mia vita integra riesco senza difficoltà a mantenere l’intelletto vivace; la forma fisica la mantengo con l’aiuto di una frugalità che pratico con gioia»”.

443 Ibidem; trad. it., p. 203: “Nessuno ha vissuto più a lungo e più in salute guadagnandosi una fiducia basata su una professionalità più sicura”.

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Ivi, p. 115; trad. it., p. 269: “Per quarant’anni aveva allevato in casa una gru che prendeva il cibo dalla sua mano, con gran divertimento del vecchio”.

445 Ibidem:“Vita eius procul a contentione, ambitioneque, in studioso mollique otio versabatur ita, ut domi, quam in schola clarior, benevolis vera Peripateticorum et Academicorum dogmata suavissima comitate pomeridianis horis explicaret”. Trad. it., p. 268: “Trascorreva la sua vita lontano dalla rivalità e dall’ambizione, in una pace fatta di studio e di piacere e addirittura il pomeriggio spiegava agli amici le vere dottrine dei peripatetici e degli accademici con la più dolce amabilità, con maggiore efficacia nella dimensione privata che nelle lezioni all’università”.

107 Nam ingresso Vaticanam bibliothecam et grecos codices evoluenti, supervenit Hermolaus, ad pluteumque humaniter accedens: «Non tu hercle - inquit - studiose hospes, uti ego plane sum, Barbarus esse potes, quod lectissimum Platonis librum (is erat Phaedrus) diligenter evoluas». Ad id Linacrus laeto ore respondit: «Nec tu sacrate heros, alius esse iam potes, qua mille fama notus Pathriarca Italorum Latinissimus»446.

Il colloquio arguto, arricchito dal detto proverbiale o, come in questo caso, dal dialogo cordiale, replica il topos degli apoftegmata delle biografie laerziane: al pari di altre rubriche, quali la descrizione del vestiario o la rappresentazione fisiognomica, anche ai motti è affidato il compito di svelare l’indole del personaggio447. Giovio si serve così della conversazione avvenuta fra Linacre e Ermolao per illustrare la modestia dell’inglese e la sua naturale inclinazione all’apprendimento.

Come Leoncieno, anche Linacre poté esprimere il proprio talento grazie alla sua completa formazione di medico e umanista: il suo percorso scientifico lo portò col tempo a rinunciare alla cura degli ammalti per dedicarsi interamente alle lettere. La produzione del Linacre annoverava opere come la Procli sphaera448 scritta per Arturo, figlio del re Enrico VII e suo allievo. Giovio lesse forse il testo nell’incunabolo aldino del 1499, nel quale la dedica di Manuzio ad Alberto Pio da Carpi informa precisamente circa il destinatario dell’opera449. Converrà spendere qualche parola su questa dedicatoria: negli anni maggiormente fastosi della nostra letteratura essa infatti mette il lettore in guardia da quel processo di translatio

studiorum che Giovio decreterà come oramai avvenuto nella peroratio finale degli Elogia

446 Ivi, p. 89; trad. it. p. 183: “Era entrato nella Biblioteca Vaticana e, mentre sfogliava dei codici greci, sopraggiunse Ermolao. Avvicinandosi gentilmente al tavolo di lettura, gli disse: «Per Ercole, tu non puoi essere “barbaro” proprio come lo sono io, poiché stai studiando con attenzione uno dei migliori libri di Platone» (si trattava del Fedro). Al che Linacre con volto sorridente, gli rispose: «E neppure tu, uomo divino, puoi essere diverso da quel famoso patriarca, il più latino degli italiani».

447 L’opera laerziana resta, a parer nostro, il principale modello di riferimento per la strutturazione interna degli elogi gioviani (si rinvia per questo al capitolo introduttivo della tesi). Cfr. Marcello Gigante, Per una

interpretazione di Diogene Laerzio, in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, voll. 2, a cura di Marcello Gigante,

Roma-Bari, Laterza, 2010 (Ia ed. 1962), vol. I, pp. IX-LXIV: XXIII-XXVI.

448 Iuli Firmici Astronomicorum libri […] Procli Diadochi Sphaera graece Procli eiusdem Sphae, Thoma

Linacro Britanno interprete, Venetiis, cura et diligentia Aldi Ro., 1499.

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Cfr. Aldo Manuzio editore. Dediche, prefazioni, note ai testi, introduzione di Carlo Dionisotti, testo latino con traduzione e note a cura di Giovanni Orlandi, Milano, Il Polifilo, 1976, vol. I, p. 28: “Est enim opusculum iis, qui in astronomiam induci atque imbui cupiunt, utilissimum. Quod cum ipse Linacrus noster, acri vir iudicio, percenseret, Arcturo principi suo hoc a se tralatum opusculum nuncupavit, quod adolescens ille bonarum literarum studiosus astrologiae operam daret.” Trad. it., vol. II, p. 216: “Quest’opuscolo è infatti utilissimo per chi voglia introdursi e istruirsi nello studio dell’astronomia. In tale persuasione appunto, il nostro Linacre, uomo di acuto discernimento, ha voluto dedicare l’opuscolo da lui tradotto al suo amico principe Arturo, dato che costui, giovane studioso di buone lettere, si occupa di astrologia”. La dedica è datata 14 ottobre 1499. Giovio ha modo di elogiare quest’opera anche nel Dialogo, cit., p. 296: “In Britanni autem eruditione et stili gravitate coeteris omnibus antecellit Thomas Linacrus, qui Galeni aliquot libros et Procli sphaeram in latinum cultissime transtulit”; trad. it. p. 297: “In Inghilterra, invece, è superiore a chiunque altro, per cultura ed impegno stilistico, Thomas Linacre, che tradusse in latino con raffinatezza estrema, alcuni libri di Galeno e la Sphaera di Proclo”.

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virorum clarorum450. La presenza di un inglese in Italia e la sua eccellente riuscita nel campo degli studi umanistici aveva suscitato non poca curiosità: per questo Aldo già nel 1499 rimarca il fatto che una cultura un tempo rozza e barbara quale quella britannica oggi ha conquistato l’Italia e, senza indulgere in catastrofici scenari, auspica che da questo fulgido esempio possa scaturire per la res publica litterarum della penisola un nuovo impulso alla rinascita451.

L’attività filologica del Linacre ha prodotto anche la versione del De tuenda valetudine di Galeno e l’impresa della traduzione dell’intero corpus aristotelico. La tessitura biografica dell’elogio è piuttosto scarna: eccettuato il puntuale riferimento alla causa della morte, ricondotta alla fuoriuscita di un ernia (“ex dolore disruptae erniae”)452, non leggiamo alcun cenno ai fatti della sua vita precedenti all’arrivo in Italia. Il ritratto però è volto a disvelare, secondo un crescendo positivo, la progressiva maturazione dell’ingegno di Linacre: dall’alunnato con Poliziano e Calcondila (“Florentiae Demetrium et Politianum audivit”)453 all’amicizia con Ermolao, dal ritorno in Inghilterra fino alla traduzione di Aristotele la carriera di Linacre non subisce momenti di arresto e la sua biografia assume i caratteri dell’esemplarità.