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In un’ideale consequenzialità cronologica e sostanziale, all’elogio del Pomponazzi avrebbe dovuto fare seguito quello di Agostino Nifo (XCII): fra il 1516 e il 1518 egli si rese infatti protagonista di un violento attacco alle dottrine mortaliste del Pomponazzi concretatosi nella pubblicazione di un’aspra requisitoria sul De immortalitate animae393. Giovio tuttavia elude la questione nell’elogio di Agostino preferendo ribadire la propria posizione di disaccordo nel già citato ritratto del Contarini394. Nel profilo del Nifo l’attenzione di Giovio torna ad appuntarsi sulla questione retorica. L’elogio presta il fianco infatti a una veemente invettiva contro la grossolanità stilistica dei testi filosofici contemporanei:

quod Latine, recteque scribendi facultatem, tamquam inimicam otpimis disciplinis, ab ipsa praesertim philosophia segregabat395.

391 Paolo Giovio, Elogia, p. 96: “inde Mantuam, nobile sepulchrum Herculis Gonzaga Cardinalis, erga civem et magistrum liberali pietate promeruit”; trad. it., pp. 206-207: “Il suo corpo fu trasportato a Mantova, dove fu onorato con una splendida tomba grazie al generoso affetto del cardinale Ercole Gonzaga: Pomponazzi, oltre che suo concittadino era stato anche suo maestro”.

392 Bruno Nardi, Studi sul Pomponazzi, cit., p. 49. Giovio scrisse dapprima a Pietro Bertano, segretario del cardinale Ercole Gonzaga, chiedendo il ritratto del vecchio maestro: Bertano contattò allora il cardinale, il quale in data 20 ottobre 1545, scrisse (la lettera si legge, come avverte Nardi, in un copialettere della Biblioteca Imperiale di Vienna, cod. 6497): “Quanto alli ritratti che desidera mons. Giovio, vi dico che ho il Peretto naturalissimo, et bisogna farne cavar da quello un simile, ché altramente non mi priverei della memoria di quell’huomo che fu mio maestro; ma colui che l’ha da fare, il quale è m. ro Fermo, andò questa istate a Vinegia dove stette a lavorare alcuni mesi, poi se n’è venuto a Roma, et di necessità mi convien aspettare che si ritorni, perché non è altri in questa terra che sapessi fare una cosa tale che stesse bene né presso che bene. A m. Giulio non la ricercherei, perché non attende se non a disegni e fabriche, nelle quali è sempre occupatissimo, et nelle mie non fa se non i disegni. Ma tornato che sia m. ro Fermo, ve lo metterò subito intorno, e vedarò d’aver anco il Carmelitano, più naturale che si possa. Onde potete sicuramente dire a mons. Giovio, che nel suo museo lasci per il luogo a questi due ritratti sopra di me e li tenga per fatti”. Il Fermo ricordato in questa missiva è il pittore Ghisoni, attivo alla corte dei Gonzaga. Nella lettera dell’11 gennaio del 1547 Giovio ricorda al Bertano il dono ricevuto: cfr. Paolo Giovio, Lettere, cit., vol. II, pp. 64-65.

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Augustini Niphi De immortalitate animae libellus, Venetiis, apud Octavianum Scotium Modoetiensis, 1521. 394 Ricorda Bruno Nardi (Studi su Pietro Pomponazzi, cit., p. 64) che i rapporti fra Pomponazzi e Nifo furono spesso tesi: il Peretto infatti riservò sempre parole di dileggio al Nifo. La loro rivalità era iniziata anni prima della pubblicazione del De immortalitate animae, quando cioè il Nifo fu chiamato a Padova nel 1495 come concorrente del mantovano nell’insegnamento della filosofia.

395 Paolo Giovio, Elogia, p. 115; trad. it., p. 271: “infatti allora gli studiosi tenevano separata dalla filosofia in quanto tale, la capacità di scrivere in latino correttamente, ritenendola incompatibile con l’esercizio delle discipline più elevate”.

96 Passando in rassegna le varie opere del Nifo, Giovio muove a ognuna precise accuse di carenza stilistica. Il capolavoro di Agostino, a detta dei più, è la Destructio destructionum scritta per difendere il pensiero di Averroè dalle critiche di Al Gazali396. Giovio coglie subito nel segno individuando nella mancata sistematicità il carattere precipuo della speculazione nifiana: se con la Destructio il filosofo si era orientato verso la ricerca di un accordo fra le dottrine averroiste e quelle platoniche, le opere successive avrebbero invece svelato il suo percorso di ritorno all’aristotelismo più ortodosso397. Il cammino evolutivo compiuto dalla ricerca speculativa del Nifo è dunque riassunto da Giovio nella seguente formula: “quamquam ipse in opinione, decretoque, parum constans”398. Valutando la sua produzione, Nifo assegnava la sua preferenza ai commenti agli Analytica priora e al De anima di Aristotele (“commentationes in Analytica priora et in libros de Anima tenerius adamasse videamus”). L’intera produzione del filosofo patisce però agli occhi di Giovio di un difetto irrimediabile, la deficienza stilistica: lo stile di Agostino infatti è rozzo, ridondante e adatto a un pubblico di bassa estrazione (“Scripsit […] sed rudi et incondita quadam ubertate, et tum mos erat crassis, et plane barbaris auribus accomodata”)399. Anche le operette più varie come l’Adversus

astrologos, il De tyranno et rege o il De auguriis avrebbero avuto una sorte migliore se

fossero state scritte in un latino più fluido400. Col trattato De tyranno et rege il suessano (1526)401 si propone di evidenziare analiticamente, e col metodo dell’exemplum, i comportamenti del despota assieme alle norme secondo le quali deve governare un buon re. Il

396 Come talora accade, il titolo dell’opera non viene citato esplicitamente ma viene identificato attraverso una perifrasi: “Luculentius eius operum existimatur id, quod pro Averroè adversus Algazellem disputante tum publicavit” (ivi, p. 115); trad. it. p. 271: “La più splendida tra le sue opere, secondo il giudizio comune, è quella che pubblicò a difesa della disputa di Averroè contro Al Gazali”.

397

Cfr. i saggi di Ennio De Bellis, Il pensiero logico di Agostino Nifo, Galatina, Congedo, 1997 e Id., Nicoletto

Vernia e Agostino Nifo: aspetti storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, 2003. Dice infatti il De Bellis in Il pensiero logico di Agostino Nifo, cit., p. 25: “Ciò significa che anche in lui agisce una delle istanze

caratteristiche del pensiero filosofico italiano che si sviluppa a cavaliere tra XV e XVI secolo, cioè la propensione a tener conto di una possibile conciliazione eclettica nella quale il platonismo venga piegato a coniugarsi con teorie attinte ad altre scuole”.

398 Paolo Giovio, Elogia, p. 115; trad. it., p. 271: “benché personalmente fosse poco costante nelle opinioni e nei giudizi”.

399 Ibidem; trad. it., p. 271: “Scrisse […] ma con uno stile ridondante che risultava rozzo e disordinato, adatto, come si usava allora, a orecchie grossolane e barbare”.

400 Ivi, p. 116: “scripsit adversus Astrologos, Moralesque libellos et De tyranno et rege, et De auguriis, varietate tituli vel parum curiosis expetendos, et longiore quidem dignos vita si plenior Latini sermonis spiritus accessisset”; trad. it., p. 271: “scrisse il volume Adversus astrologos e alcuni piccoli trattati di morale, il De

tyranno et rege e De auguriis, che per la varietà del loro argomento attirano anche i lettori meno curiosi e che

sarebbero stati degni di più lunga esistenza se solo fossero stati scritti in un latino migliore e più ispirato”. 401 Augustini Niphi de medicis philosophi suessani libellus De rege et tyranno, Impressum Neapoli, per M. Evangelistam Papiensem, 1526. Diversamente da quanto ipotizzato dal commentatore degli Elogia (Paolo Giovio, Elogia, p. 274, n. 8), non ritengo che sia opportuna l’identificazione del De tyranno et rege con il De

peritia regnandi, dal momento che l’opera esiste ed è nota proprio con questo titolo. Su questo trattato cfr.

Davide Canfora, «De rege et tyranno» di Agostino Nifo e il «De infelicitate principum» di Poggio Bracciolini, in «Critica letteraria», XXVII, 1999, pp. 455-468.

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De auguriis affrontava invece quelle tematiche demonologiche che abbiamo visto essere

ineludibili nelle riflessioni dei medici e dei filosofi tra Quattro e Cinquecento402. Curiosamente Giovio non affronta la più nota questione relativa al Nifo, ovvero quella del suo presunto plagio del Principe di Machiavelli403.

Morto nel 1535, il Nifo godette di una fortuna postuma: Tasso decise infatti di farne il protagonista di un suo celebre dialogo, Il Nifo, ovvero del piacere onesto404. È probabile che la celebrazione preordinata dal Tasso fosse volta ad omaggiare la produzione etica di Agostino che era rappresentata da una serie di opere di filosofia morale (i “moralesque libellos” ricordati da Giovio).

Giovio non tralascia però di esaltare anche gli aspetti positivi del carattere del Nifo. A fronte di un disaccordo dottrinale che si intuisce chiaramente fra le righe, lo storico comasco loda il fertile ingegno di Agostino. Durante le lezioni egli si esprimeva con un linguaggio accattivante che, se pure tradiva nell’inflessione la sua origine campana, risultava comunque piacevole nella spiegazione. Nonostante il volto campagnolo, Nifo era capace di raccontare storielle spiritose e non appena tornava a tacere il suo volto riacquistava una certa austerità405. La gotta infine non gli impedì di innamorarsi in tarda età di una giovane ragazza per la quale perse completamente il senno. Nella prospettiva di una selezione di dati, preordinata al fine di disvelare il carattere, il caso del Nifo è sintomatico: esattamente come nel ritratto di Poliziano, l’apprezzamento per le qualità intellettuali non può offuscare l’etopea. Accusando lo stile rozzo degli scritti del Nifo, Giovio giunge a stabilire una singolare equivalenza: alla grossolanità della sua esposizione corrisponde infatti la sua morte poco nobile. All’interno di questo elogio gli eventi che esorbitano dalla regolare e rispettabile condotta di vita soverchiano le vicende più comuni. Così se la prole del Nifo è appena menzionata (“susceptis liberis”)406, la sua follia d’amore è raccontata con dovizia di particolari. Sebbene non sia possibile trovare una puntuale conferma alla specifica diceria gioviana, sappiamo che fu lo

402 Augustini Niphi Suessani De auguriis libri duo, Bononiae, apud haeredes Hyeronimi de Benedictis, 1531. 403 Basti ricordare l’interessante riflessione che su questo plagio e sulla figura del Nifo propone Carlo Dionisotti,

Dalla repubblica al principato, in Id., Machiavellerie, Torino, Einaudi, 1980, pp. 128-134.

404

Cfr. Ennio De Bellis, Il pensiero logico di Agostino Nifo, cit., p. 47; Torquato Tasso, Dialoghi, a cura di Ezio Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958, vol. II, pp. 157-245.

405 Paolo Giovio, Elogia, p. 115: “Erat ingenio fertili, adaperto, liberali, sermone autem Campanum pingue quoddam resonanti maxime libero, et adserenda fabulas in suggestu coronaque, ad voluptatem aurium periucundo: sed vel toto ore subagresti, et penitus infaceto ita se ad urbanos iocos componebat, ut valde mirarentur, qui mox tacentis supercilium austeraque labra et lineamenta conspicerent”. Trad. it., p. 271: “Era di ingegno fertile, aperto, liberale, espresso in un linguaggio schietto e accattivante dalla rotonda inflessione campana, piacevole quando raccontava dalla cattedra o in una discussione più informale, per il piacere degli ascoltatori. Ma anche se, nell’insieme, il suo volto era campagnolo e molto grossolano, Nifo lo adattava ai suoi racconti spiritosi tanto che, non appena smetteva di parlare, ci si meravigliava della sua espressione, dell’austerità delle labbra e dei lineamenti del viso”.

98 stesso Nifo a documentare nel De re aulica le sue passioni amorose: sulla scorta di questa traccia Giovio ha verosimilmente deciso di selezionare il materiale aneddotico per il suo profilo407. In base al già noto esercizio della sincronizzazione storica, la morte del Nifo è poi concordata con quella di Alessandro de’ Medici, assassinato in una notte che Giovio ritiene tragica per la Toscana (“ea ipsa nocte Etruriae admodum funesta”)408. In definitiva, l’elogio del Nifo offre un quadro piuttosto esaustivo della vita di questo filosofo: in esso l’autore ripercorre sinteticamente tutte le tappe della sua esistenza, dall’insegnamento alla produzione letteraria, dalla follia erotica senile alla celebrazione dei funerali richiamata implicitamente attraverso il nome di Galeazzo Florimonte e il suo epitaffio sepolcrale409.